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LE AVVENTURE DI ODISSEO

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Odisseo, Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale
Odisseo, Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale

I capi Greci, al loro ritorno da Troia, furono, come abbiamo visto, tutti più o meno perseguitati dall’ira degli dèi; ma nessuno di loro dovette sopportare tante avversità come Odisseo re di Itaca, l’eroe dell’Odissea, l’epopea di Omero, famosa in tutto il mondo.

Per dieci lunghi anni vagò per i mari, scacciato dalla sua terra natale da venti contrari, navigando da un luogo all’altro, perdendo navi e compagni, finché alla fine gli dèi gli permisero di tornare a casa. Le sue meravigliose avventure e le sue numerose disavventure durante questi dieci anni costituiscono il tema dell’Odissea.

L’Assalto dei Ciconi

Ilustrazione da L'Odissea, di Luis Segalá y Estalella--Barcellona, Montaner y Simón
Ilustrazione da L’Odissea, di Luis Segalá y Estalella–Barcellona, Montaner y Simón

Dopo aver lasciato Troia in rovina, Odisseo si imbarcò con i suoi uomini, e, favorito da un buon vento, giunse presto in vista di Ismara, la capitale dei nobili e opulenti Ciconi. Per aumentare le ricchezze da portare a casa, propose al suo esercito di sbarcare e prendere d’assalto la città, proposta che ovviamente fu accolta con entusiasmo e subito messa in pratica.

Ma quando gli uomini si radunarono presso la flotta, invece di imbarcarsi come Odisseo li esortava a fare, cominciarono a bere molto vino, ad arrostire interi buoi, e a dedicarsi ai giochi e alla baldoria. Mentre erano così occupati e del tutto sprovvisti di guardia, i vicini e gli alleati dei Ciconi piombarono su di loro ignari e ne uccisero molti.

I Greci, benché colti di sorpresa, combatterono valorosamente; ma fu solo quando il sole fu al tramonto che finalmente, in tutta fretta, si imbarcarono, e abbandonarono le fatali coste Ciconiane.

«Inoltre navigammo, lamentando amaramente
i nostri compagni uccisi, ma felici di sfuggire
noi stessi alla morte».

Omero, Odissea, IX

I mangiatori di loto

Odisseo fra i lotofagi
Odisseo fra i lotofagi

Presto si levò un uragano. Le nuvole s’addensavano nascondendo le stelle alla vista. Le navi, con gli alberi spezzati e le vele squarciate, furono spinte lontano dal loro percorso e, dopo dieci giorni, raggiunsero la terra dei Lotofagi o dei Mangiatori di Loto, un popolo il cui unico cibo consisteva appunto in frutti di loto e fiori.

Tre dei migliori uomini di Odisseo furono mandati a terra in ricognizione: ma non si dovettero spingere molto lontano, perché subito incontrarono gli indigeni, seduti sotto i loro alberi preferiti, a banchettare con il loro dolce cibo.

Questi accolsero gli stranieri in modo ospitale e gli fecero assaggiare i fiori di loto; ma non appena i tre uomini l’ebbero fatto, ogni ricordo dei loro compagni in attesa o delle loro case lontane svanì dalle loro menti, mentre una sensazione di sogno lisergico li pervadeva e gli faceva desiderare di sdraiarsi a pancia all’aria e festeggiare per sempre.

Chiunque abbia assaggiato una sola volta di quel dolce cibo
non ha più voluto vedere il suo paese natale,
né dare ai loro compagni più alcuna notizia di sè.
E quindi i miei esploratori desideravano dimorare
tra i mangiatori di loto, e nutrirsi
di esso, per non tornare mai più”.

Omero, Odissea, IX

Odisseo attendeva impaziente il loro ritorno; poi, vedendo che non tornavano, temette che gli fosse capitato loro qualcosa di male, e con pochi uomini ben armati si mise alla loro ricerca. Invece di trovarli in catene, come si aspettava, li vide ben presto banchettare tra i mangiatori di loto.

I loro occhi erano quasi completamente spenti e i loro sguardi si posavano su di lui in preda al torpore e all’incoscienza, cosa che destò i suoi sospetti. Nello stesso momento alcuni dei mangiatori di loto si fecero avanti per invitare anche lui e il suo gruppo a unirsi al loro banchetto.

“Portavano rami da quel gambo incantato,
carico di fiori e di frutti, dei quali ne diedero
a ciascuno di loro, ma chi li riceveva,
e ne assaggiava il succo invitante
Lontano, lontano andava con la mente,
piangendo e in delirio, su sponde aliene;
e se il suo compagno gli rivolgeva parole,
egli rispondeva con voce molto tenue,
come venisse da dentro una tomba;
E sembrava profondamente addormentato,
eppure pareva allo stesso tempo sveglio,
E una musica egli udiva nelle sue orecchie
che gli faceva pulsare il cuore.

The Loto-Eaters, Tennyson

Con tono perentorio Odisseo proibì rapidamente ai suoi uomini di assaggiare il cibo magico, ordinò loro di afferrare e legare i loro compagni riluttanti e di riportarli con la forza alle loro navi. Là l’effetto magico del cibo del loto svanì presto, e gli uomini remarono costantemente verso ovest, finché giunsero fino all’isola di Sicilia, allora abitata dai Ciclopi, una rozza razza di giganti con un occhio solo.

“Un solo bulbo visivo era fissato
nella loro metà della fronte: da qui il nome del Ciclope:
poiché quell’unico occhio circolare era ampio infisso
nella metà della fronte: – la forza era in loro, e la forza,
e l’arte dell’industriosa fatica.”

Esiodo, Teogonia

La maggior parte della flotta era di stanza in un’altra isola poco distante, ma Odisseo e dodici compagni sbarcarono in Sicilia in cerca di cibo. La prospettiva era promettente, poiché sulle pianure e sui pendii, grandi greggi di pecore brucavano la tenera erba; e Odisseo e i suoi seguaci giunsero presto in una grande caverna piena di ricche scorte di latte e formaggio.

Questa era la dimora di Polifemo, figlio di Poseidone, il più grande e feroce della gigantesca razza dei Ciclopi. Il primo impulso dei Greci fu di servirsi di tutto quel ben di Dio, poiché non c’era nessuno a dire loro di no; ma alla fine decisero invece di attendere il ritorno a casa del proprietario e chiedere gentilmente il suo aiuto. Avevano ormeggiato la loro nave sotto una scogliera a strapiombo, dove nessuno avrebbe potuto trovarla, e quindi non avevano paura che le loro vie di fuga venissero tagliate.

Polifemo e Galatea

Polifemo e Galatea, dipinto di Lanfranco
Polifemo e Galatea, dipinto di Lanfranco

Polifemo, l’orribile gigante nella cui caverna stavano aspettando i Greci, una volta aveva visto l’affascinante ninfa marina Galatea cavalcare sul suo carro di conchiglie di perle trainato da delfini che saltavano sulle onde. La sua insuperabile bellezza gli fece provare una vivida impressione e presto il Ciclope si innamorò profondamente di lei.

Trascurava le sue greggi, evitava i suoi compagni e trascorreva tutto il suo tempo vicino alla spiaggia, osservandola e maledicendo amaramente il suo destino, che gli impediva di cercarla nel suo elemento nativo, poiché gli dei avevano maledetto la razza dei Ciclopi infliggendo loro un’invincibile avversione per l’acqua. Egli…

… la amava
ma non nello stile galante di chi fa regali,
con cesti di frutta fresca e vasi di rose,
ma con una passione divorante. Molte volte
i suoi greggi tornavano a casa da soli alla sera,
lasciandolo deperito presso la scura spiaggia del mare,
e l’alba lo trovava mentre si consumava ancora.

Teocrito, idilli

Per indurre Galatea a lasciare le onde del mare salato e ad giacere al suo fianco sulla spiaggia di sabbia bianca, Polifemo le faceva costantemente le promesse più stravaganti; ma la delicata ninfa si limitava a sorridere di tutti i suoi tentativi di seduzione, e passeggiava sulla spiaggia solo quando egli dormiva profondamente.

Anche lo se prendeva in giro per via del suo amore, non era così insensibile invece nei confronti dei modi di fare di Aci, un giovane pastore molto affascinante, che non aveva bisogno di chiamarla ripetutamente; poiché ella cedeva sempre al suo primo appello, si univa a lui con gioia e sedeva accanto a lui all’ombra di qualche grande roccia, ascoltando il suo tenero corteggiamento.

Polifemo una volta si imbatté in loro per caso, prima che si accorgessero che si trovava nei paraggi. Per un momento li guardò torvo; poi, afferrando un’enorme roccia, giurò che il suo rivale Aci non sarebbe vissuto abbastanza da godere dell’amore che gli era stato negato, e scagliò il masso sugli innamorati ignari.

Galatea, la dea, essendo immortale, ne uscì illesa; ma il povero Aci, suo diletto, fu schiacciato a morte. Il flusso di sangue delle sue spoglie straziate, fu mutato dagli dèi nello scorrere inesauribile dell’acqua limpida, che sempre si lanciava giù verso il mare per unirsi a Galatea.

La Grotta di Polifemo

Ulisse e Polifemo, figurina Liebig
Ulisse e Polifemo, figurina Liebig

Odisseo e i suoi compagni, in attesa nella grotta, subito sentirono tremare la terra sotto i loro piedi, e videro le pecore accalcarsi nella grotta e prendere i loro soliti posti; poi dietro di loro apparve l’orribile apparizione di Polifemo, che raccolse un’enorme roccia e la posò davanti all’apertura della grotta, impedendo ogni uscita.

I compagni di Odisseo si erano ritirati con timore negli angoli più bui della caverna, da dove osservavano il gigante mungere le sue pecore, sistemare i suoi formaggi e preparare la sua cena. Ma la luce del fuoco rivelò presto gli intrusi; e subito Polifemo chiese chi fossero, donde venissero e cosa cercassero.

Odisseo, sempre scaltro, rispose che il suo nome era Nessuno, che lui e i suoi compagni erano dei marinai naufraghi, e che avrebbero gradito ricevere la sua ospitalità. Per tutta risposta, il Ciclope tese la sua enorme mano e afferrò due dei marinai, che procedette a divorare come dessert. Poi, terminato il suo spaventoso pasto, si sdraiò sui giunchi e si addormentò, il suo forte russare risuonava come un tuono attraverso la grande caverna.

Odisseo si spostò silenziosamente al suo fianco, spada alla mano, e stava per ucciderlo, quando improvvisamente si ricordò che né lui né i suoi uomini potevano spostare la roccia all’ingresso della grotta e che non sarebbero mai riusciti a scappare.

Decise quindi di ricorrere a uno stratagemma.
Quando venne il mattino, il gigante si alzò, e dopo aver munto il suo gregge, preparato il suo formaggio e sistemava i recipienti, senza il minimo preavviso, afferrò di nuovo due Greci e li divorò. Il suo braccio muscoloso spinse poi da parte la roccia, e vi rimase accanto con occhio vigile, finché tutto il suo gregge non fu passato; poi, riponendo il masso per impedire la fuga dei suoi prigionieri, se ne andò al lontano pascolo.

Durante la sua assenza Odisseo e i suoi uomini escogitarono un astuto stratagemma per mezzo del quale speravano di riuscire a fuggire, e si misero tutti al lavoro per assicurarne il completo successo: un enorme tronco di pino che trovarono nella grotta fu debitamente appuntito, indurita nel fuoco e messa da parte per un uso futuro.

Quando l’oscurità cominciò a calare sulla terra, Polifemo rotolò di nuovo via la pietra per far entrare le sue greggi, vigilando attentamente sui Greci. Quando le pecore furono tutte all’interno della caverna, rimise a posto la roccia, svolse i suoi soliti compiti serali, e poi divorò altri due membri dell’equipaggio di Odisseo.

Odisseo acceca Polifemo

Odisseo e i compagni accecano Polifemo
Odisseo e i compagni accecano Polifemo

Trascorsa questa parte della cena, Odisseo si avvicinò e gli offrì una fiaschetta di cuoio piena di vino inebriante, che il gigante trangugiò d’un sorso, senza sospettarne l’effetto. Ben presto sprofondò in un profondo sonno, essendo completamente ubriaco; e poi gli uomini, a un cenno di Odisseo, scaldarono la punta della grande mazza e gli cavarono l’unico occhio che aveva.

Le sue spaventose grida e maledizioni, presto attirarono l’attenzione degli altri Ciclopi, che si accalcarono fuori dalla caverna, chiedendo a gran voce chi gli stesse facendo del male. “Nessuno!” rispose il Ciclope, urlando di dolore: “Nessuno!” A sentire questa risposta, i suoi compagni si convinsero che non potevano fare nulla per lui, dato che “Nessuno” gli stava facendo del male appunto, e allora se ne andarono.

Se nessun uomo ti fa violenza, e tu
sei completamente solo, rifletti che nessuno sfugge
alle malattie; sono inviate da Zeus‘”.

Omero, Odissea, IX

Fuga di Odisseo

Odisseo ai remi
Odisseo ai remi

Abbandonato dai suoi compagni, Polifemo trascorse la notte in agonia; e, quando il muggito ansioso del suo gregge lo svegliò all’alba, egli provvide alla mungitura come ogni mattina, ma a fatica e si preparò a lasciare andare le sue pecore, come al solito, libere al pascolo.

Per evitare che i Greci scappassero, rotolò la pietra solo in parte e lasciò che le pecore vi passassero una alla volta, toccando con la mano la schiena di ognuna di loro per assicurarsi che nessuno dei prigionieri vi fosse montato sopra.

Odisseo, intanto, osservata questa sua manovra, legò i suoi compagni sotto gli arieti, riservandone uno a sè stesso, e vide che così riuscivano a passare uno dopo l’altro inosservati. Poi, aggrappato alla lana del più grosso montone, anch’egli si lasciò lentamente trascinare fuori; mentre Polifemo accarezzava l’ariete si chiedeva come fosse giunto per ultimo.

Il mio ariete preferito, come mai sei ora l’ultimo
a lasciare la caverna? Non è tua abitudine
lasciare andare prima le pecore, ma sei sempre il primo
a pascolare tra l’erba fiorita,
camminando con passi maestosi, e prima ti precipiti
al fresco ruscello, e prima ancora sei alla sera a tornare
la stalla; ora sei l’ultimo di tutti.
Ti addolori per il tuo padrone, che ha perso
l’occhio, colpito da un disgraziato imbroglione
e dalla sua vile ciurma?

Omero, Odissea, IX

Odisseo, fuggito così, balzò in piedi, liberò i suoi compagni, corse con loro in riva al mare, portando a bordo gli animali scelti, e poi, quando i suoi uomini ebbero remato fino ad una certa distanza, alzò la voce e schernì Polifemo, rivelando allo stesso tempo la sua identità.

Ah! Ciclope! coloro che nella tua caverna rocciosa
hai divorato, nel tuo brutale furore,
erano amici di uno non inesperto nella guerra;
Ti ho ampiamente restituito le tue colpe.
Crudele! che non temesti
di mangiare gli stranieri riparati dal tuo tetto,
Zeus e gli altri dèi li vendichino così!

* * *
Ciclope, se un uomo di nascita mortale
guarda ora la tua umiliante cecità, e se qualcuno
ti chiede a chi la devi, digli che il figlio di Laerte,
Odisseo, il distruttore di città dalle grandi mura, la
cui casa è Itaca, lui ti ha cavato l’occhio.

Omero, Odissea, IX

Con un grido di rabbia, Polifemo allora corse giù alla riva, strappò alcune grosse rocce, che scagliò nella direzione da cui proveniva quella voce beffarda, e nella sua rabbia quasi distrusse la nave dei Greci; poiché un pezzo di roccia cadde molto vicino allo scafo, e furono costretti così a raddoppiare i loro sforzi per remare fuori portata e prevenire il disastro.

Il Dono di Eolo

Rilievo con Eolo, dio dei venti
Rilievo con Eolo, dio dei venti

I Greci continuarono la navigazione fino a raggiungere le Isole Eolie, dove abitava Eolo, re e padre dei venti. Avendo sentito parlare della prodezza di Odisseo, lo ricevette gentilmente, e al congedo gli diede una borsa di cuoio contenente tutti i venti contrari, che Odisseo fu così libero di tenere imprigionati finché non fosse arrivato sano e salvo a casa.

Giorno e notte i vascelli di Odisseo sembravano ora volare sulle onde azzurre. Alla nona sera di navigazione le coste di Itaca erano già visibili all’orizzonte dagli occhi ansiosi dei marinai a bordo e tutti fecero i preparativi per lo sbarco che sarebbe avvenuto la mattina seguente, sul presto.

Per la prima volta da quando aveva lasciato le coste eolie, Odisseo ora si poteva concedere un po’ di sonno; e mentre era addormentato i suoi marinai aprirono la borsa di cuoio, con l’intenzione di derubare il loro padrone di una parte di quello che supponevano fosse il suo tesoro, poiché credevano che Eolo gli avesse dato molto oro.

Non appena la borsa venne aperta, i venti contrari, balzarono fuori con impeto e un forte ruggito, e in pochi istanti provocarono una terribile tempesta, che strappò le navi dalle loro ancore, e presto le rispinse lontano in mare aperto.

Dopo indicibili sofferenze, i Greci sbarcarono di nuovo sull’isola di Eolo, e Odisseo cercò di nuovo il re, per implorare ancora una volta il suo aiuto; ma questa volta il dio lo accolse freddamente e gli ordinò di andarsene, poiché la sua crudeltà verso Polifemo aveva risvegliato l’ira degli dei.

Quindi ora tu, Lascia la nostra isola all’istante!
Tu, il più vile degli uomini viventi! Non posso dare
o ricevere aiuto da uno che è odiato dagli dèi benedetti, —
E tu sei maledetto dai numi. Via!

Omero, Odissea, X

I Lestrigoni

I Lestrigoni, illustrazione di John Flaxman
I Lestrigoni, illustrazione di John Flaxman

Tristemente ora i Greci si imbarcarono nuovamente; ma, invece di essere spinti da alisei favorevoli, furono obbligati a remare contro vento e onde, e solo dopo molti giorni giunsero nella terra dei Lestrigoni, dove li attendevano nuove perdite umane.

Incontrarono infatti un popolo di cannibali, che avevano l’abitudine di uccidere tutti gli stranieri che visitavano le loro coste, per soddisfare i loro orribili appetiti. Quando videro le navi entrare nel loro porto, ne affondarono alcune lanciando contro di loro enormi rocce dalle loro alte scogliere, e trafissero i marinai per poi divorare i corpi degli sfortunati membri di quell’equipaggio.

Odisseo, sempre cauto, era rimasto fuori del porto; e quando, da lontano, vide l’orribile destino dei suoi compagni, ordinò ai suoi uomini di battere le onde con i loro “remi che risuonano” e di fuggire via.
Circe, l’incantatrice.

I Greci proseguirono finché giunsero ad Eea, isola abitata dall’incantatrice dai capelli d’oro Circe, sorella di Eete, e zia di Medea. Qui l’equipaggio di Odisseo fu diviso in due gruppi, uno dei quali, guidato da Euriloco, partì per esplorare l’isola, mentre l’altro, guidato da Odisseo, rimase a guardia delle navi. Attraverso una fitta foresta, popolata da bestie feroci stranamente gentili, Euriloco guidò le sue forze, finché giunsero in vista del bellissimo palazzo della dimora di Circe.

Da lontano potevano udire la sua dolce voce levarsi in un canto, mentre tesseva una bella tela per il proprio ornamento: così si spinsero ansiosamente ed entrarono nella sala del palazzo, con Euriloco solo che indugiava sul portico, temendo che qualche pericolo potesse farsi improvvisamente palese.

Circe ricevette i suoi ospiti auto-invitati con la massima gentilezza, li fece sedere su divani ricoperti di arazzi e disse alle sue numerose ancelle di soddisfare prontamente ogni loro desiderio, un ordine che fu immediatamente eseguito.

Gli uomini banchettavano avidamente, perché avevano digiunato per molti giorni, e Circe li osservava con malcelato disgusto. Improvvisamente si alzò dal suo posto, agitò la bacchetta sopra le loro teste e ordinò loro di assumere la forma di maiali (che simili a quegli animali era ormai diventati per via della loro gola) e poi li fece legare e portare nel porcile.

Poi istantaneamente
li toccò con una bacchetta, e li rinchiuse
in porcili, trasformati in maiali nel viso, nella voce,
nel pelo e nella forma, sebbene ancora la loro mente fosse
rimasta umana. Così addolorati furono condotti
nelle loro celle, dove Circe gettò loro
ghiande di quercia e di leccio, e frutti
di corniolo, come si nutrono i porci che sguazzano nel fango.

Omero, Odissea, IX

Euriloco, intanto, attendeva invano il loro ritorno, e alla fine decise di tornare da solo alle navi e riferire l’accaduto. Spada alla mano, Odisseo si mise quindi in viaggio da solo per salvare i suoi compagni; ma non era andato molto lontano che incontrò un giovane, che era in realtà Hermes travestito, che lo avvertì di non avvicinarsi a Circe e gli raccontò della trasformazione subita dai suoi compagni.

Odisseo e Circe

Circe offre una coppa ad Odisseo, John William Waterhouse
Circe offre una coppa ad Odisseo, John William Waterhouse

Poiché Odisseo non si sarebbe mai lasciato dissuadere dal suo proposito, Hermes gli diede del moly, un’erba magica che poteva preservarlo dagli incantesimi di Circe, e gli diede varie importanti indicazioni, che furono tutte debitamente ascoltate e osservate.

Spingendosi in avanti, Odisseo raggiunse il palazzo, entrò nella sala del banchetto, bevve la miscela di Circe, resa inefficace dal potere del moly, e, quando lei agitò la bacchetta sopra la sua testa e gli ordinò di unirsi ai suoi compagni, egli sguainò la spada e si precipitò su di lei , minacciando di toglierle la vita se non avesse riportato immediatamente i suoi amici alle loro forme umane e se non avesse promesso di non far loro ulteriore danno.

Circe, terrorizzata dalle minacce, accettò tutte le sue richieste; e in pochi istanti Odisseo fu di nuovo attorniato dai suoi compagni, che gli furono immensamente grati per averli salvati. Circe preparò allora un secondo banchetto, e li intrattenne tutti così piacevolmente, che Odisseo vi si trattenne per un anno intero.

E là di giorno in giorno
indugiammo un anno intero, e banchettavamo
nobilmente con carni abbondanti e vini delicati».

Omero, Odissea, IX

Odisseo visita i Cimmeri

Alla fine, i compagni d’Odisseo cominciarono a desiderare di tornare alle proprie case, e persuasero il loro capo a lasciare la bella maga Circe.

Illustrazione di Adolfo de Carolis
Illustrazione di Adolfo de Carolis

La donna all’inizio era restia a lasciarlo andare; ma, vedendo che i suoi sforzi per trattenerlo più a lungo non sarebbero serviti a nulla, gli disse di cercare le coste Cimmere e di consultare il veggente Tiresia. Questa terra, che si trovava ai confini del regno oscuro di Plutone, era abitata da ombre, gli spiriti dei morti, condannati a soggiornarvi un po’ prima di essere ammessi nell’Ade.

Odisseo si imbarcò dunque e, secondo le indicazioni di Circe, lasciò che la sua nave andasse alla deriva finché la sua prua non si arenò su una spiaggia piena di ciottoli, dove egli sbarcò. Poi, camminando dritto davanti a lui, giunse in un punto da cui poteva udire il ruggito del Flegetonte che si univa all’Acheronte, e qui scavò un solco con la sua spada.

Offrì in sacrificio due vittime, fornite da Circe, e fece scorrere il loro sangue nel tracciato. Immediatamente tutti gli spiriti si affollarono intorno a lui, ansiosi di bere il sangue fresco; ma Odisseo, con la spada sguainata, li respinse, finché alla fine si avvicinò Tiresia, il cieco veggente.

All’indovino egli permise di chinarsi e bere; e, appena fatto ciò, recuperò la potenza della parola umana, e avvertì Odisseo delle molte prove che ancora lo attendevano. Poi, conclusa la sua profezia, scomparve; ma Odisseo indugiò ancora un po’ per permettere a sua madre di bere un po’ di sangue e spiegargli come fosse arrivata qui nella terra degli spiriti.

Molti altri vennero e conversarono con lui; ma alla fine fu costretto a partire e a tornare ad Eaea, dove si trattenne per celebrare i riti funebri per Elpenore, uno dei suoi seguaci, un giovane che si era addormentato su una delle torrette del palazzo di Circe, e per un movimento involontario era caduto a terra, dove era stato trovato morto.

Le sirene

Finite queste esequie, i Greci, favoriti da un vento fresco, lasciarono l’isola di Circe, e navigarono finché non si avvicinarono alla costa rocciosa dove avevano dimora le Sirene. Queste fanciulle solevano sedere sugli scogli e intonare canti melodiosi che attiravano i marinai finché essi non si discostavano dal loro corso, e le loro navi non andavano in frantumi sugli scogli.

Secondo il consiglio di Circe, Odisseo ordinò ai suoi uomini di legarlo saldamente all’albero maestro, di ignorare le sue grida e i suoi gesti di comando e continuare la loro rotta finché le rocce pericolose non furono fuori dalla loro vista; ma, prima di permettere loro di eseguire questi ordini, gli turò loro le orecchie con della cera sciolta, così che non potessero udire alcun suono, perché lui solo poteva sentire il canto delle sirene e sopravvivere.

Gli uomini quindi lo legarono mani e piedi all’albero maestro, tornarono quindi ai loro remi e remarono costantemente. Presto la melodia delle Sirene raggiunse le orecchie incantate di Odisseo; ma, sebbene avesse comandato e implorato a i suoi uomini di liberarlo e di modificare la loro rotta, essi continuarono costantemente a seguire la loro via fino a quando nessun suono del canto magico riuscì più a raggiungerli, e allora liberarono di nuovo il loro capo.

Scilla e Cariddi

Scilla , John Flaxman
Scilla , John Flaxman

Ora, sebbene questo pericolo fosse stato superato in sicurezza, Odisseo era turbato nello spirito, poiché sapeva che presto sarebbe stato costretto a guidare la sua rotta tra due terribili mostri, Scilla e Cariddi, che giacevano così vicini l’uno all’altro, che, mentre si cercava di evitarne uno , era quasi impossibile non cadere facile preda dell’altro.

La tana di Cariddi giaceva sotto una roccia coronata da un unico fico selvatico; e tre volte al giorno inghiottiva le acque circostanti, attirando anche grandi galee nelle sue capienti mascelle.
Quanto a Scilla, anche lei abitava in una caverna, da cui le sue sei orribili teste sporgevano per divorare qualunque preda gli arrivasse a portata di mano.

Nessun marinaio può vantarsi
di essere passato da Scilla con un equipaggio
illeso; strappa dal ponte e ingoia
in ogni sua bocca torva, un uomo vivo.

Omero, Odissea, XII

La storia di Scilla

Questa stessa Scilla, una volta era una bella fanciulla, che aveva conquistato il cuore del dio del mare Glauco, ma che non corrispondeva al suo amore. Finché l’uomo non implorò Circe di dargli una pozione d’amore abbastanza forte da costringere la fanciulla ad amarlo.

Circe, che aveva a lungo nutrito una segreta passione per Glauco, si adirò con lui, e gelosa della sua rivale, invece di una pozione d’amore, preparò le preparò una pozione ripugnante, che gli ordinò di versare nell’acqua dove Scilla faceva il bagno.

Glauco fece come gli era stato comandato; ma quando Scilla si tuffò nell’acqua, il suo corpo cambiò, ma non i suoi sentimenti: divenne un mostro orrendo, un terrore per gli dèi e gli uomini.

Quando fu in vista del fico, Odisseo, avvolto in armatura, si fermò a prua per attaccare Scilla se avesse tentato di catturare uno dei suoi uomini. Il rumore delle acque impetuose che vorticavano intorno a Cariddi fece tremare di paura tutti a bordo, e il pilota si avvicinò ancora, temendo la tana di Scilla.

All’improvviso si udì un grido penetrante, mentre il mostro afferrò sei degli uomini dell’equipaggio e li divorò. I restanti passarono illesi; ma da allora, parlando di pericoli contrastanti, è consuetudine usare l’espressione “trovarsi tra Scilla e Cariddi”.

Le vacche del Sole

Ben contenti di essere sfuggiti al pericolo, i Greci continuarono a remare finché non avvistarono nella Trinacria, l’isola del sole, dove Fetusa e Lampetia vegliavano sugli armenti sacri del dio del sole.

Gli uomini desideravano sbarcare qui per riposare; ma Odisseo ricordò loro che Tiresia, il cieco veggente, li aveva avvertiti di evitarlo, per timore che uccidendo qualcuno degli animali sacri incorressero nell’ira divina.

Gli uomini, tuttavia, stremati dalla fatica dovuta ai molti giorni di voga, supplicarono così insistentemente di poter riposare, impegnandosi volontariamente ad accontentarsi delle proprie provviste e a non uccidere un solo animale, che Odisseo dovette cedere con riluttanza alle loro suppliche, e tutti scesero a terra.

Dopo essersi opportunamente riposati, furono ancora trattenuti da venti sfavorevoli, finché tutte le loro provviste furono esaurite, e i pochi uccelli e pesci che riuscirono a procurarsi non bastarono più a placare i morsi della fame. Quindi infransero la loro promessa e uccisero le vacche sacre del dio del sole

Con grande stupore e terrore generale di tutti, mentre arrostivano quella carne allo spiedo, udirono che muggiva e le pelli scuoiate si muovevano e strisciavano come se fossero vive. Tutti questi cenni e presagi non potevano, tuttavia, non dissuasero i marinai dall’allestire il loro ricco banchetto, che durò per ben per sette giorni, prima che Odisseo riuscisse a fargli lasciare le coste trinacrie.

Lampetia intanto si era recata da Apollo per informarlo del sacrilegio commesso dagli uomini di Odisseo. Con rabbia apparve egli davanti agli dei riuniti e chiese riparazione, minacciando di sottrarre la luce dal mondo se non fosse stato adeguatamente risarcito. Zeus, per placare la sua ira ardente, promise immediatamente che tutti i trasgressori sarebbero morti.

Splendi ancora, o Sole! tra gli dèi immortali
e gli uomini mortali, sulla terra fertile.
Presto schiaccerò, con un fulmine lucente,
contro loro galea in mezzo al mare nero!’”

Omero, Odissea, XII

Quindi mise osservò subito questa promessa, facendo annegare tutto l’equipaggio tranne Odisseo, che unico fra loro non aveva preso parte al banchetto della sacra carne, e che, dopo essere rimasto aggrappato al timone per nove lunghi giorni, in balia del vento e delle onde, fu trascinato a riva nell’isola di Ogigia, dove la bella ninfa del mare Calipso aveva preso dimora.

Odisseo e Calipso

Calipso, dipinto di George Hitchcock
Calipso, dipinto di George Hitchcock

Là fu intrattenuto piacevolmente e in modo molto ospitale durante otto lunghi anni; ma non poteva partire, poiché non aveva nave o un equipaggio per affrontare il mare. Alla fine Atena, che gli era sempre stata amica, convinse Zeus a permettergli di tornare a Itaca. Hermes fu inviato a Ogigia per ordinare a Calipso di fornire tutto il necessarie per il suo sostentamento e di aiutarlo nella costruzione di un’enorme zattera, sulla quale il nostro eroe si trovò a navigare dopo molti anni di inattività sulla terraferma.

Tutto sembrava mettersi per il meglio ora; ma Poseidone improvvisamente si accorse che il suo vecchio nemico, colui che aveva accecato Polifemo, stava per sfuggire alle sue grinfie. Con un colpo del suo tridente scatenò una di quelle tempeste improvvise alla cui furia nulla può resistere. Frantumò la zattera di Odisseo e lo sbatté sulle onde, finché la dea Leucotea, vedendolo in pericolo, non lo aiutò a raggiungere la riva dei Feaci.

Odisseo e Nausicaa

Ormai stremato e quasi privo di speranze, Odisseo si trascinò in un bosco vicino, dove si addormentò su un letto di foglie secche. Mentre stava così riposando, Atena visitò in sogno Nausicaa, figlia di Alcinoo, re dei Feaci, e le ordinò di scendere sulla riva e lavare le sue vesti di lino in vista del giorno del suo matrimonio, che la dea le assicurò era vicino. Nausicaa obbedì e si recò con le sue fanciulle fino alla riva, dove, dopo che ebbero finito le loro faccende, organizzarono per divertirsi un’allegra partita a palla.

Odisseo e Nausicaa, disegno di François-Louis Schmied
Odisseo e Nausicaa, disegno di François-Louis Schmied

Le loro risate svegliarono Odisseo, che giunse sulla scena giusto in tempo per recuperare la loro palla dalle onde, e chiese la protezione di Nausicaa come marinaio naufragato.

Ella con gentilezza gli permise di seguirla al palazzo di suo padre, e lo presentò ai genitori Alcinoo e ad Arete, che lo salutarono e lo invitarono a partecipare ai giochi allora in corso.

Odisseo mostrò in quell’occasione una tale forza e abilità che la sua identità fu svelata. Alcinoo allora promise di aiutarlo a tornare casa sano e salvo in una barca dei Feaci, con cui egli raggiunse incolume Itaca, e dove Odisseo fu deposto, ancora addormentato, sulla sua spiaggia natia.

La nave pietrificata

Quando Poseidone scoprì che i Feaci lo avevano ingannato, si infuriò così tanto che trasformò la nave di ritorno in una roccia, che bloccò il porto e pose fine a ulteriori escursioni marittime da parte loro.

Si avvicinò
e la percosse con il palmo aperto, e fece
della nave una roccia, ben radicata nel letto
del mare profondo.

Omero, Odissea, XIII

Il ritorno di Odisseo a Itaca >

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