Alla morte di Antonino, gli successe Marco Anneo Vero con il titolo di Marco Aurelio Antonino. I barbari intanto invadevano la Spagna e la Gallia, l'esercito in Britannia tentò di insediare un altro imperatore e con i Parti in Oriente le legioni si trovarono in una situazione di difficoltà. La guerra d'Oriente, tuttavia, si concluse favorevolmente e il re partico ottenne la pace cedendo la Mesopotamia a Roma. Ma l'esercito di ritorno portò con sé una pestilenza che diffuse la devastazione in tutto l'Occidente. I cristiani furono accusati di essere la causa della peste e furono crudelmente perseguitati. Tra le vittime ci furono Giustino Martire a Roma e Policarpo a Smirne. La morte di Lucio Vero nel 168 liberò Aurelio da un collega che attirava l'attenzione solo per la sua inadeguatezza. L'imperatore fu così sollevato da imbarazzi che avrebbero potuto diventare il suo più grande pericolo. Il resto del suo regno, tuttavia, non fu meno infelice. I pericoli derivanti dagli insidiosi barbari aumentavano sempre di più. Roma aveva ormai superato l'età della conquista e cominciava a mostrarsi incapace persino di difendere ciò che aveva acquisito. Per quattordici anni Aurelio fu impegnato alle frontiere a combattere i barbari e a cercare di frenare la loro avanzata. Morì a Vienna, mentre era così impegnato, nel suo cinquantanovesimo anno di vita (180). Poco dopo fu stipulata la pace con i barbari, una pace comprata con il denaro; un esempio spesso seguito nei tempi successivi, quando Roma non aveva la forza e il coraggio di imporre il suo volere con la forza delle armi. Marco Aurelio fu il Filosofo dell'Impero. La sua indole era tranquilla; non aveva ambizioni personali, sempre intento al bene del popolo. I suoi difetti erano delle amabili debolezze; le sue virtù, quelle di un eroe. Le sue Meditazioni lo hanno reso noto come autore di pensieri profondi. Con lui si concluse la linea dei Buoni Imperatori. Dopo la sua morte, la prosperità e la potenza di Roma cominciarono rapidamente a declinare.
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Ragazzi, meno male che adesso arriva Commodo! Mi spiego meglio: Commodo in realtà fu una vera disgrazia per l’impero romano, e sebbene i libri di storia, come al solito sia un poco ingiusti con lui (gli attribuiscono l’inizio della decadenza dell’Impero stesso, mentre c’erano già stati dei segnali visibili perfino a partire da Traiano, e anche durante regno del padre, Marco Aurelio, che venne funestato da invasioni e pestilenze; certo è che il nostro Commodo non diede una mano a risollevare le cose; anzi), e per quanto non sia mai piacevole per i contemporanei sottostare ad un pazzoide tiranno, rimane innegabile che la storia in generale, si fa interessante e divertente solo quando compaiono individui come lui.
Siate sinceri! Non vi eravate forse annoiati a leggere le storie dei “Cinque buoni imperatori” (a parte un po’ Adriano forse)? Tutti bravi, belli, saggi e perfetti? Non parliamo poi di Nerva e Antonino Pio! Gli imperatori degli sbadigli!
Volete invece conoscere un imperatore davvero divertente? Ecco a voi Commodo, e uno dei più belli fun facts o aneddoti su di lui, ce lo racconta lo storico Cassio Dione quando ci descrive gli spettacoli del Circo durante i quali Commodo si esibiva nei suoi combattimenti, e ai quali costringeva ad assistere sia senatori che cavalieri:
Quando l’imperatore combatteva, noi senatori e i cavalieri eravamo sempre presenti. Solo Claudio Pompeiano il più anziano, non si presentava mai, ma mandava i suoi figli, tenendosi sempre alla larga da questo genere di spettacoli, perché preferiva venir condannato a morte, piuttosto che vedere l’imperatore, figlio di Marco Aurelio, comportarsi in quel modo.
Infatti, tra le altre cose che facevamo, gridavamo qualsiasi cosa ci venisse comandata, e soprattutto queste parole in continuazione: “Tu sei il signore e sei il primo, tra tutti gli uomini, il più fortunato! Vincitore sei e vincitore sarai sempre! Ercole trionfatore sulle Amazzoni, tu sei il vincitore!”. Ma tra il popolo in generale, molti non mettevano neppure piede nell’anfiteatro se c’era lui e altri se ne andavano, dopo aver dato solo un’occhiata; un po’ per la vergogna di ciò che stava accadendo, un po’ anche per la paura, poiché si era sparsa la voce che egli avrebbe potuto scoccare delle frecce dirette verso qualche spettatore a imitazione di Ercole che combatté contro gli uccelli di Stinfale.
E questo timore si fondava anche sul fatto che una volta egli aveva fatto prelevare tutti gli uomini della città che avevano perso i piedi a causa di una malattia o di qualche incidente e poi, dopo aver fatto legare alle loro ginocchia dei serpenti o qualcosa che gli somigliava, e quindi aver dato a questi poveri mutilati delle spugne da lanciare contro di lui al posto delle pietre, li uccise tutti quanti a colpi di clava, fingendo che essi fossero dei giganti.
Dione Cassio, 73-20
La scena rivela una profonda crudeltà e disumanità, quale forse neppure i nazisti seppero mai esibire, ma a parte questo, al solo leggerla o sentirla raccontare, ci appare assolutamente e tragicamente ridicola. Ma non è finita qui:
Questa paura era condivisa da tutti, da noi senatori come dagli altri. Ed ecco un’altra cosa che ci fece e che ci diede tutte le ragioni per temere che volesse da un momento all’altro darci la morte. Dopo aver ucciso uno struzzo e avergli tagliato la testa, si avvicinò al luogo in cui eravamo seduti, tenendo la testa dell’animale nella mano sinistra e sollevando con la destra la spada insanguinata; e sebbene non dicesse una parola, scuoteva la testa con un ghigno, indicando che ci avrebbe trattato tutti allo stesso modo.
E molti sarebbero morti a fil di spada sul posto, per aver riso di lui (perché era il riso, più che l’indignazione, ad averci letteralmente sopraffatto), se non avessi masticato io stesso alcune foglie di alloro, che avevo preso dalla mia ghirlanda, e non avessi convinto gli altri, che erano seduti vicino a me, a fare lo stesso, in modo che, muovendo continuamente la nostra bocca, potessimo nascondere il fatto che stavamo tutti in realtà solo ridendo.
Dione Cassio, 73-21
Dite quello che vi pare, ma sono dettagli di questo genere ad essere cercati dai lettori e biografi di ogni tempo, non certo le virtù di Traiano o Marco Aurelio. Gli aneddoti come questo riempiono i racconti delle guide turistiche che si guadagnano il pane ogni giorno intrattenendo i visitatori narrando anche tali episodi, tra una nozione e l’altra, nessuna delle quali resterà in testa ai viaggiatori (a parte forse i tedeschi che ricontrollano l’esattezza di ogni parola che sta dicendo la guida sul loro libro della Lonely Planet o della Michelin, e che si sono portati appresso apposta per coglierla in fallo).
Ecco dunque la storia di un imperatore da Circo.
Commodo: la scelta infelice di Marco Aurelio
Commodo Lucio Elio Aurelio. Figlio di Marco Aurelio nacque nell anno 161 dell’era comune. All’età di sedici anni accompagnò suo padre nella Siria, agitata per la rivolta di Avidio Cassio. Al suo ritorno a Roma, ottenne il suo primo consolato, quindi seguì ancora il padre nell’ultima sua spedizione contro i Quadi ed i Marcomanni, durante la quale Aurelio stesso morì a Vindobona (Vienna in Austria), e dunque gli succedette nel 180.
Il lavoro sporco lo lascia fare agli altri
Fatta poi la pace con quella tribù, Commodo, ritornò a Roma ed ebbe gli onori del trionfo. Ne primi tempi governò con moderazione, mentre parecchi capitani di esperienza come Albino Pescennio Nigro, Severo Pertinace ed altri, facevano sì che il nome romano fosse rispettato e temuto sulle frontiere. Ma abbandonati poi i consiglieri e gli amici di suo padre, il nuovo imperatore si circondò di liberti di gladiatori e di meretrici, con i quali passava tutto il suo tempo. La sua sorella maggiore Lucilla, avendo cospirato contro di lui con Pompeiano Quadrato ed altri senatori, fu con essi mandata al supplizio.
Cospirazioni continue
Posta a morte la propria moglie Crispina, Commodo si prese per concubina Marcia, amica già di Quadrato, la quale sembra avere esercitato su di lui una qualche influenza sino alla morte. Ben presto, una serie di indegni favoriti s’impadronì di tutto il potere, e commise ogni sorta di ingiustizie e di crudeltà.
Si scoprivano o si creavano continuamente nuove cospirazioni e molti dei principali senatori vennero posti a morte e i loro beni furono confiscati. Gli stessi favoriti furono successivamente autori della rovina e della eliminazione l’uno dell’altro.
Uno di essi, Perenne, fu messo condannato alla pena capitale (smentendo così il suo nome) con tutta la sua famiglia, e gli succedette Cleandro, liberto frigio, il quale pretendeva tangenti per tutti gli onori da elargire, così come per i vari incarichi dell’impero da assegnare, non meno che per le vite stesse dei cittadini. Intanto le legioni nella Britannia si ammutinarono e Commodo mandò Pertinace, che era stato prima esiliato da Perenne, per rappacificarle.
Nella Gallia anche un altro soldato, detto Materno, raccolse una numerosa banda di disertori, ma avendo trovato la resistenza di Pescennio Nigro, egli trovò allora il modo di fuggire con molti dei suoi seguaci, e giunto segretamente a Roma con l’idea di uccidere l’imperatore, fu però scoperto e quindi messo a morte.
Incendi e pestilenze
Intorno a quel periodo, Roma venne afflitta da una terribile pestilenza, che a quanto ci riporta Dione durò tre anni. Per evitare il contagio, Commodo si ritirò a Laurento, ove continuò a condurre il suo solito tenore di vita da rockstar. Finalmente scoppiò a Roma una rivolta contro Cleandro; il popolo respinse la cavalleria pretoriana mandatagli contro, e Commodo, per calmare la folla, dovette sacrificare il suo favorito: non ci pensò due volte e non gli pianse certo il cuore.
Nel 191, anno in cui era consoli Aproniano e Bradua, venne appiccato un incendio al Tempio della Pace, uno dei più splendidi edifici di Roma, e rimasero danneggiati i molti tesori e le preziose collezioni di libri che vi si trovavano.
Di là il fuoco si espanse sino al Tempio di Vesta, e le vestali dovettero ripararsi nel palazzo imperiale, dove portarono con loro il palladio. Ma le fiamme si estesero pure in questo edificio, che fu così in parte rovinato.
L’ultimo anno di Commodo
L’anno seguente, Commodo fu console per la settima volta, ed ebbe come compagno Pertinace che egli aveva richiamato a Roma. Avuta notizia che Severo aspirava all’impero, Commodo scrisse ad Albino, che si trovava in Britannia, offrendogli il titolo di Cesare, ma questi non accettò.
Verso la fine del suo regno e della sua vita, Commodo, oltrepassò ogni limite nelle sue stravaganze. Non curandosi minimamente della decenza, si esibì al circo e nell’anfiteatro coi gladiatori, si vestì da Ercole, di cui prese il nome, e giunse perfino a danzare nudo pubblicamente.
Marcia ed alcuni dei suoi familiari, volevano persuaderlo a non degradarsi in pubblico in compagnia dei gladiatori; per tutta risposta, Commodo si preparò a redigere una lista di proscrizione, contenente i nomi di tutti questi parenti che lo contestavano, per farli poi condannare.
La morte e la decadenza di un impero
Questa lista cadde nelle mani proprio di Marcia, e da lì si cominciò a tramare un’altra volta contro la vita dell’Imperatore. In qualche modo si riuscì a fargli bere del veleno a sua insaputa, e mentre egli era in preda agli spasmi, fu introdotto nella sua camera un atleta che lo strangolò.
Era l’anno 192; Commodo aveva solo trentadue anni, e aveva regnato per tredici. Pertinace, che gli succedette, lo fece seppellire segretamente, ma le sue spoglie furono poi trasferite al mausoleo di Adriano (Dione lib. 12, Lampridio ed Erodiano 1,6,16).
Commodo aveva goduto dei vantaggi di una buona educazione e dell’esempio del padre, ed aveva trovato l’impero in uno stato florido, dopo una serie di imperatori che avevano governato saggiamente per quasi un secolo, e che avevano provveduto a nominare buoni ufficiali, sia civili che militari.
Egli lasciò invece il regno in preda al disordine, alle sedizioni, alle mal represse invasioni dei Barbari, con un esercito senza disciplina, comandato da uomini che pensavano solo a contendersi il potere.
Si può dire che la visibile e rapida decadenza dell’impero romano, sia cominciata col suo governo.
Si è soliti difendere Caligola con la scusa della follia; ma Commodo aveva davvero un’indole depravata, che per mala sorte ebbe l’occasione di sfogarsi nell’esercizio di un potere senza limiti.
L’ardua sentenza
Commodo fu senz’altro un pazzoide psicopatico, un figlio di papà viziato che era meglio tenere lontano dal trono. Marco Aurelio chiude la serie dei “cinque buoni imperatori” come li definì il Gibbon, e come pedissequamente ripetono tutti i libri di storia fino alla noia, e Commodo chiude in modo indegno la sestina e la dinastia degli Antonini, mandando in malora circa ottant’anni di buon governo in poco più di un decennio.
Sebbene fosse perfettamente normale che un imperatore che avesse un figlio naturale, lo designasse poi alla propria successione; e per quanto sia anche vero che i quattro imperatori precedenti fossero ricorsi al sistema felice dell’adozione solo perché non avevano una discendenza diretta, rimane comunque uno dei grandi misteri della storia il perché un sovrano saggio e filosofo, come Marco Aurelio appunto, non si sia accorto che il suo rampollo era davvero troppo scemo per governare, e che non avesse invece optato per l’adozione di un uomo più valido (d’altronde anche Vespasiano scelse Tito – che era comunque uno dei suoi figli – e non Domiziano come suo successore).
L’amor di padre deve aver accecato il vecchio e saggio sovrano. Un po’ come succede nel film The House of Gucci, dove Al Pacino, che interpreta il ruolo di Aldo Gucci, dice a proposito del figlio (Paolo Gucci, interpretato da un irriconoscibile Jared Leto) : “Mio figlio è un idiota. Ma è il mio idiota.” Qualcosa del genere deve aver a suo tempo pensato o detto pure Marco Aurelio. Solo che una cosa è dare o non dare ad un idiota il controllo di un impero del lusso, e altra è dare ad un idiota il governo di una cosetta da niente come l’Impero Romano.
Ma Commodo era davvero così marcio nell’indole o qualcosa lo fece diventare così? Le fonti storiche non risponderanno mai definitivamente a questa domanda. Ancora una volta, potrebbero essere, come nel caso di Caligola, l’arte e l’immaginazione ad aiutarci a svelare questo mistero, lungo duemila anni.
Nel film Il “Gladiatore” di Ridley Scott, viene rappresentato il complesso e tormentato rapporto tra padre (Marco Aurelio-Richard Harris) e figlio (Commodo-Joaquin Phoenix). Ecco un dialogo tra loro due quando Aurelio dà a Commodo la notizia che egli non sarà imperatore di Roma (nella realtà sappiamo che avvenne esattamente il contrario, perché fu proprio Aurelio a presentare il ragazzo come nuovo imperatore alle truppe):
- Marco Aurelio: Sei pronto a fare il tuo dovere per Roma?
Commodo: Sì, padre.
Marco Aurelio: Tu non diventerai imperatore.
Commodo: [Quasi balbettando] Quale uomo più anziano e più saggio prenderà il mio posto?
Marco Aurelio: I miei poteri passeranno a Massimo (Decimo Meridio, l’immaginario protagonista del film), al quale saranno affidati finché il Senato sarà pronto a governare ancora una volta. Roma deve tornare a essere una Repubblica. (Pura invenzione della sceneggiatura)
Commodo: …Massimo…
Marco Aurelio: Sì… [Fa per rincuorarlo, ma Commodo si discosta] La mia decisione ti delude?
Commodo: Una volta mi scrivesti, citando le quattro principali virtù: saggezza, giustizia, fermezza e temperanza. Leggendo quello scritto, sapevo di non possederle. Ma ho altre virtù, padre. Ambizione. Questa può essere una virtù quando ci conduce a eccellere. Intraprendenza. Coraggio. Forse non sul campo di battaglia, ma… ci sono molte forme di coraggio. Devozione. Alla mia famiglia, e a te. Ma nessuna delle mie virtù era sul tuo scritto. Anche allora era come se non mi volessi come figlio.
Marco Aurelio: Oh, Commodo. Stai esagerando.
Commodo: Vado cercando i volti degli dèi… per fare in modo di compiacerti, di renderti orgoglioso. Una parola gentile. Ci fosse almeno una volta in cui mi avessi abbracciato e tenuto stretto al tuo petto, per me… sarebbe stato come il sole nel mio cuore per mille anni. Cosa odi in me a tal punto?
Marco Aurelio: Shh, Commodo.
Commodo: Non desideravo altro che… essere degno di te. Cesare. Padre.
Marco Aurelio [si mette in ginocchio]: Commodo… le tue mancanze come figlio sono il mio fallimento come padre. [si abbracciano] Figlio mio. [Ultime parole]
Commodo: Padre… Massacrerei il mondo intero, se solo tu mi amassi! [Commodo preme Marco contro il suo petto e lo fa morire asfissiato]
Ecco, il segreto di Commodo potrebbe essere proprio racchiuso in questo dialogo inventato: l’aver convissuto per troppo tempo – tutta l’infanzia e l’adolescenza – con l’idea di non essere desiderato, di non venire accettato dal proprio padre, di non essere all’altezza delle sue aspettative, di non essere per lui adeguato. Figuriamoci un padre imperatore poi! E un imperatore come Marco Aurelio, che ogni giorno sputava sentenze stoiche, sia sul suo libro che a voce, sulla saggezza, la giustizia, la fermezza e temperanza…”che paaallle!” avrà qualche volta sbottato il giovane Commodo, come fa Ruggero, l’hippy, il personaggio di Carlo Verdone nel film Un Sacco bello, mentre magari il padre fa come il professore moralista della pellicola, e ripete:
Per quel che mi riguarda io amo citare un episodio. Era l’inverno del 176 dopo Cristo, che, fra parentesi, fu un inverno estremamente rigido, mio figlio Commodo, che a quel tempo aveva quindici anni, non sopportando una mia giusta osservazione uscì di casa sbattendo la porta. Io allora lo raggiunsi e lo fissai negli occhi e gli dissi: domattina andrai a scuola senza scarpe, a piedi nudi! La sera stessa trovai sul cuscino del mio letto un biglietto: sapete cosa c’era scritto?
Commodo: “A’ stronzo”; punto esclamativo.
Un po’ più seriamente, il rapporto fra Marco Aurelio e Commodo, potrebbe essere stato come quello descritto nel film La valle dell’Eden (East of Eden, tratto dall’omonimo romanzo scritto nel 1952 da John Steinbeck) del 1955 diretto da Elia Kazan, tra Cal Trask (James Dean) e suo padre Adam Trask (Raymond Massey) che segue rigidamente i precetti della Bibbia e predica la stessa morale ai figli.
Cal riesce a recuperare tutto il denaro che il padre ha perso in un raccolto e decide di donarglielo per il giorno del suo compleanno. Ma il genitore chiede al giovane come li abbia guadagnati; quando Cal gli dice che sono il risultato di una speculazione sui fagioli, Adam rimane indignato e rifiuta il denaro come il frutto di un guadagno illecito e immorale. La delusione per Cal che voleva che finalmente il padre fosse fiero per lui di qualcosa, diventa cocente a sentire il suo rifiuto e la sua ennesima rampogna morale. Ecco alcuni dialoghi fra padre e figlio contenuti nel film:
- Ho riflettuto e ho deciso: andrò via da casa e quel denaro mi servirà a iniziare un’attività commerciale. Come ha fatto mia madre. […] Io so dove si trova e che cosa fa e so anche perché ti piantò! Non ci ha resistito. Tu non volevi bene a lei, come non ne vuoi a me! Per la tua innata bontà, per la tua equità… Tu non lasci mai a nessuno tanto così oltre il limite della tua concezione del giusto. Hai tirato avanti perdonandoci, ma non ci hai mai amati. E lo so perché non mi vuoi bene: perché io sono come mia madre. E tu non ti puoi dar pace per averla amata. Abra, non lo perdonerà mai. Non riuscirà mai a perdonarglielo. (Cal) [al padre]
- Sono stato geloso per tutta la mia vita. Geloso al punto da non resistere. Questa sera ho tentato perfino di comperare il tuo amore. Ma ora non lo voglio più il tuo amore. Non saprei che farmene. […] Io non desidero nessun genere di affetto. Non serve a niente, non ne vale la pena. (Cal) [al padre]
Chissà…forse sarà andata così anche fra l’ultimo dei cinque buoni imperatori e il figlio, l’iniziatore della decadenza di Roma. Forse anche Marco Aurelio con “la sua innata bontà e la sua equità” … “non avrà mai lasciato a nessuno tanto così oltre il limite della sua concezione del giusto”. Forse anche lui avrà tirato avanti a perdonare Commodo, senza averlo mai davvero amato.
Forse le “sue (di Commodo) mancanze come figlio sono il mio fallimento come padre” direbbe a noi Aurelio adesso.
Come nel caso di Nerone, Caligola e Domiziano, e altri di cui presto parleremo, non si tratta di riabilitare o di stravolgere la storia con riletture troppo radicali o revisionismi audaci. Tutti questi imperatori hanno una cattiva fama in gran parte esagerata, ma alla base, in qualche modo, devono averla pure un poco meritata.
Ma qui non non stiamo ad assolvere o condannare, ma a comprendere. Commodo rimane sempre il sadico che fece radunare al Circo dei mutilati per ucciderli a colpi di clava mentre egli si atteggiava ad Ercole, e Dione Cassio era un autore che sarà stato pure di parte, ma che, al contrario di Tacito, era testimone oculare di questi fatti che narrava e non può aver inventato “duemila anni di calunnie” di sana pianta.
Ma come mai la mela è caduta così lontana dall’albero di Marco Aurelio? E se fosse stato marcio in origine l’albero stesso? Solo la psicoanalisi potrebbe dare un’adeguata risposta al quesito, ma per farlo dovrebbe avere in cura entrambi sul lettino, sia il padre che il figlio.
Non potendo ciò essere in alcun modo possibile, rimangono le storielle comiche del figlio di un grande imperatore che uccide struzzi minacciando i senatori che vorrebbero ridere di lui, e il mistero di un rapporto padre-figlio forse tormentato e compromesso da tempo.
Come in ogni caso di questo genere, se le cose sono davvero andate così, forse si spera ora che entrambe queste due anime, abbiamo con la morte trovato la loro pace.
(Da Nuova enciclopedia popolare, 1841 con aggiunte e integrazioni)
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