I numeri: simboli di armonia e saggezza nella filosofia pitagorica
Il nostro mondo moderno è intriso di numeri, ma raramente ci soffermiamo a riflettere sulla loro natura profonda. Cosa si cela davvero dietro questa entità così pervasiva?
Le origini del termine “numero”:
La parola “numero” deriva dal latino “numerus”, a sua volta imparentato con il greco “νέμω”, che significa “dividere”. In questo senso, il numero rappresenta l’atto di suddividere la realtà in unità distinte e quantificabili.
Un’altra parola per indicare il numero:
Oltre a “numero”, usiamo anche il termine “cifra”, che deriva dall’arabo “sifr” e significa “vuoto”. Sotto l’influenza dell’italiano, questa parola si è trasformata in “zefiro” e poi in “zero”, la cifra che rappresenta l’assenza di quantità.
Il simbolismo numerico nella filosofia pitagorica:
Il simbolismo pitagorico, risalente al VI secolo a.C., attribuisce ai numeri un significato profondo, associandoli a concetti filosofici e spirituali. Al centro di questa teoria vi è l’idea di armonia: i numeri sono visti come le note di una sinfonia cosmica, che regolano l’ordine e la bellezza dell’universo.
I numeri sacri:
Secondo la filosofia pitagorica, alcuni numeri assumono un valore sacro e simbolico particolare. Tra questi, il numero 3 rappresenta il Tutto, in quanto possiede un inizio, un centro e una fine. Il numero 7, invece, è associato all’oratoria, alla danza e alla dea Atena. Lo ritroviamo in diverse ricorrenze storiche e mitologiche, come i 7 saggi della Grecia, le 7 meraviglie del mondo, le 7 fanciulle e i 7 fanciulli inviati come sanguinoso tributo al Minotauro di Creta, le 7 fanciulle che formavano il coro alle feste di Callisteia o partecipavano ai concorsi di bellezza di Lesbo, ecc.
Nel nono canto dell’Iliade, nell’elenco dei doni offerti da Agamennone ad Achille per placare la sua ira, leggiamo:
Davanti a tutti voi elencherò gli splendidi doni: sette tripodi mai messi sul fuoco […], Poi gli darò sette donne, esperte in lavori perfetti, donne di Lesbo, che ebbi in appannaggio quando lui conquistò Lesbo ben costruita, superiori in bellezza a tutte le donne. […] Ho ben tre figlie nel mio palazzo splendido, Crisotemi e Laodice e Ifianassa, fra loro quella che voglia, si porti in casa di Peleo senza doni nuziali, come sua sposa; e io le darò beni dotali in numero immenso, quanti nessuno ne dette a sua figlia: sette città gli darò, ben popolate, Cardamile ed Enope e l’erbosa Ire, e Fere divina e Antea ricca di pascoli, ed Epea la bella e Pedaso ricca di vigne.
La decade: simbolo di perfezione:
La combinazione dei numeri 3 e 7, 3 + 7 = 10, genera la decade, considerata il numero sacro per eccellenza. Secondo il filosofo pitagorico Filolao, la decade rappresenta “principio e guida della vita, divina e celeste oltre che umana”. In questo senso, la decade simboleggia la perfezione e l’armonia universale, un culmine appropriato per concludere questo capitolo sui numeri.
I numeri non sono solo strumenti di calcolo, ma simboli carichi di significato. La filosofia pitagorica ci invita a riscoprire l’armonia e la saggezza nascoste nel linguaggio dei numeri, aprendoci a una nuova dimensione di conoscenza e di consapevolezza.
Il fascino del numero sette: Sette Meraviglie e Sette Saggi
Il numero sette: un numero che ha da sempre affascinato l’umanità, associato a concetti di perfezione, completezza e saggezza. Lo ritroviamo in diverse culture e tradizioni, tra cui quella greca antica.
Le Sette Meraviglie del Mondo:
Nel 140 a.C., il poeta Antipatro di Sidone compose un poema che elencava le Sette Meraviglie del Mondo antico. Tra queste, la grandiosa Babilonia, la statua di Zeus ad Olimpia, i giardini pensili di Babilonia, il Colosso di Rodi, le Piramidi d’Egitto, il Mausoleo di Alicarnasso e il Tempio di Artemide a Efeso.
“Ho posato gli occhi sul bastione della vasta Babilonia, sormontato da una strada per carri, sulla statua di Zeus di Alfeo, sui giardini pensili, sul Colosso del Sole, sull’enorme opera delle alte Piramidi, sulla vasta tomba di Mausoleo; Ma quando vidi la casa di Artemide che si innalzava fino alle nuvole, queste altre meraviglie persero il loro splendore, e dissi: “A parte l’Olimpo, mai il Sole ha visto una cosa così grande”.
(Antipatro, Antologia della Grecia )
Il numero sette e la saggezza:
Nella cultura greca, il numero sette era considerato il numero della saggezza e della conoscenza. Non a caso, si tramanda che i grandi saggi dell’antichità fossero sette.
I Sette Saggi:
L’elenco dei Sette Saggi varia a seconda delle fonti, ma tra i nomi più ricorrenti troviamo Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene e Solone di Atene. Questi uomini si distinsero per la loro intelligenza, il loro acume e il loro impegno nella vita politica e sociale.
Le 7 Pleiadi: da ninfe a stelle, dai poeti a simbolo di collettività
Le sette figlie di Atlante e Pleione:
Le Pleiadi, sette ninfe dalla bellezza abbagliante, figlie del titano Atlante e della ninfa oceanina Pleione, erano destinate a un futuro radioso. La loro fama giunse fino agli dei, che le scelsero come prescelte, garantendo loro un destino luminoso.
La fuga da Orione e la metamorfosi:
Tuttavia, la loro vita non era priva di insidie. Il gigante cacciatore Orione, invaghitosi di loro, le perseguitò incessantemente sulle montagne. Disperate, le Pleiadi implorarono l’aiuto di Zeus, il re degli dei. Commosso dalla loro supplica, Zeus le trasformò in sette stelle luminose, ponendole in cielo come costellazione.
Dalle stelle ai poeti:
Il nome delle Pleiadi non solo identificò la costellazione, ma venne associato anche a un gruppo di sette poeti tragici di Alessandria, vissuti durante l’epoca di Tolomeo. Questi poeti, come le stelle, brillavano di luce propria, illuminando il panorama letterario con la loro arte.
Un’etimologia ambivalente:
Il termine “Pleiade” possiede un’etimologia ambivalente. Da un lato, evoca l’idea di luminosità e perfezione, associata alle stelle. Dall’altro, deriva da una radice che significa “navigare”, alludendo al mito di Atlante, padre delle Pleiadi, che era solito navigare per mare.
Un’eredità rinascimentale:
Le Pleiadi ebbero una seconda vita durante il Rinascimento francese. Il poeta Pierre de Ronsard, ispirandosi al mito e all’associazione con la perfezione, scelse sette poeti e amici per formare un gruppo letterario noto come “La Pléiade”. Questi poeti si dedicarono alla difesa e all’illustrazione della lingua francese, dando vita a una nuova costellazione letteraria.
Un simbolo immortale:
Ancora oggi, il termine “Pleiade” viene utilizzato per indicare qualsiasi gruppo di poeti, artisti o altri individui uniti da una comune passione e da un profondo legame di amicizia. A testimoniare la loro influenza duratura, una casa editrice francese ha persino adottato il nome “Bibliothèque de la Pléiade”, pubblicando opere letterarie di fama mondiale.
Le Pleiadi, nate come ninfe e trasformate in stelle, hanno attraversato i secoli, ispirando poeti e artisti e diventando un simbolo di collettività e di eccellenza in vari campi. La loro storia ci ricorda che la bellezza, la conoscenza e l’amicizia possono illuminare il mondo, come le stelle che brillano nel cielo notturno.
Le sette gemme della Grecia continentale: un viaggio virtuale
Immaginiamo di poter plasmare la geografia greca a nostro piacimento, suddividendola in sette distinte regioni. Soffermiamoci sulla Grecia continentale, dove sette gemme preziose si susseguono da nord a sud:
1. Tessaglia: una pianura fertile ai piedi della Macedonia, rinomata per l’allevamento di cavalli e bagnata dal fiume Peneo. La valle del Tempe, tra i massicci dell’Olimpo e dell’Ossa, incanta con la sua bellezza, mentre Farsalo riecheggia di storia.
2. Acarnania: a sud dell’Epiro, questa regione montuosa e calcarea è solcata dall’impetuoso fiume Achelaos.
3. Etolia: situata alle porte dell’Acarnania, custodisce un passato ricco di miti e leggende.
4. Doride: più a est, si considera la culla della razza dorica, un popolo fiero e guerriero.
5. Focide: una regione di valli che circonda il monte Parnaso, la cui vetta svetta a 2.460 metri. Delfi, con il suo celebre oracolo, ne ha reso il nome immortale.
6. Beozia: nota per il suo clima rigido e i costumi austeri, Tebe ne era la città principale. I Tebani, spesso considerati rozzi e incolti dagli Ateniesi, rappresentavano per loro una sorta di rivali da punzecchiare, simile al rapporto tra i settentrionali e i meridionali nell’Italia dei giorni nostri.
7. Attica: una penisola che si protende fino a Capo Sounion, il cui nome significa “terra delle coste”. Qui sorgono città storiche come Maratona, Eleusi e, soprattutto, Atene, la cui vivacità intellettuale ha dato origine all’espressione “sale attico”.
Ogni regione della Grecia continentale possiede un fascino unico e una storia avvincente. Esplorarle significa immergersi in un caleidoscopio di paesaggi, culture e tradizioni che hanno plasmato la civiltà occidentale.
Le sette regioni della Grecia continentale sono un invito alla scoperta. Attraverso di esse, si dispiega un mosaico di bellezze naturali, vestigia storiche e tesori culturali che rendono questo territorio un luogo davvero speciale.
Il Peloponneso: un viaggio tra storia e natura
La Grecia peninsulare: conosciuta anche come Peloponneso o “Isola di Pelope”, questa regione si estende a sud della Grecia continentale, unita ad essa dall’Istmo di Corinto. Caratterizzata da un territorio prevalentemente montuoso, si divide in sei regioni, come illustrato nella mappa.
Un mosaico di identità:
Ogni regione del Peloponneso possiede un’anima propria, un’identità forgiata dalla storia e dalla natura.
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Arcadia: terra di pastori e di miti antichi, dove l’eco delle zampogne si mescola al canto delle Muse.
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Acaia: famosa per i suoi responsi oracolari, laconici e sibillini come la terra che li ha generati.
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Elia: custode di Olimpia, la culla dei Giochi Olimpici, dove l’ideale atletico si intreccia con la sacralità del mito.
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Messenia: terra di guerrieri e di battaglie epiche, dove Sparta forgiò la sua leggendaria potenza.
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Laconia: regno di Sparta, la città-stato austera e rigorosa, esempio di disciplina e forza militare.
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Argolide: un microcosmo di storia e cultura, con città come Epidauro, Argo, Micene e Tirinto che raccontano di epoche gloriose e di civiltà perdute.
Un patrimonio inestimabile:
Le città del Peloponneso sono state protagoniste della storia greca, scrivendo pagine indelebili nell’epopea ellenica. Da Olimpia, dove il corpo celebrava la sua perfezione, a Sparta, dove la mente dominava la materia, ogni luogo pulsa di memorie e di insegnamenti.
Un invito alla scoperta:
Il Peloponneso non è solo un museo a cielo aperto, ma un territorio vivo e pulsante, capace di ammaliare con i suoi paesaggi mozzafiato, i suoi villaggi pittoreschi e la sua calorosa ospitalità. Un invito irresistibile a perdersi tra sentieri montani, borghi marinari e siti archeologici, per immergersi in un’atmosfera unica e indimenticabile.
I 14 grandi capolavori rimasti di Eschilo e Sofocle
In realtà, Eschilo e Sofocle, due rinomati drammaturghi dell’antica Grecia, hanno scritto molte più opere di quelle che sono giunte fino a noi. Tuttavia, per circostanze sfortunate o forse per scelta, ci sono pervenute sette delle loro opere principali.
La trilogia di Eschilo, composta da circa novanta lavori, include “Agamennone”, “Le Coefore” (conosciute anche come “Le donne che portano libagioni per i defunti”) e “Le Eumenidi” (le dee della benevolenza). Un’altra sua opera, “I sette contro Tebe”, narra della guerra tra i fratelli Polinice ed Eteocle, insieme ai loro sei alleati. Eschilo è anche autore del grande dipinto eroico che celebra la vittoria di Salamina, I Persiani, e di un dramma conosciuto come “Le Supplici” (che originariamente era parte di una trilogia, poiché trattava delle Danaidi, un gruppo di cinquanta donne…), e infine “Prometeo incatenato”, che mostra il titanico Prometeo solo sulla sua roccia.
Allo stesso modo, la celebre trilogia di Sofocle ruota intorno alla dinastia dei Labdacidi: “Edipo Re”, “Edipo a Colono” e“Antigone”. Le altre opere di Sofocle sono più focalizzate su singoli personaggi e vicende: “Aiace”, che esplora la follia e il suicidio dell’eroe omonimo; “Elettra”, che rielabora il tema delle “Coefore” di Eschilo; “Filottete”; e “Le Trachinie”, che racconta il tragico destino di Eracle sul rogo.
Il numero tre
I personaggi femminili sono spesso associati al numero tre.
Le tre Erinni: Divinità della Vendetta e della Discordia
Nate dal sangue di Urano, le Erinni, o Furie, personificano la vendetta e la punizione per i crimini efferati, in particolare quelli contro la famiglia. Le tre figure distinte sono:
- Aletto: ironicamente chiamata “colei che protegge”, rappresenta la furia incontrollata e la discordia.
- Megera: il suo nome significa “grande ira” e incarna la rabbia vendicativa.
- Tisifone: “colei che porta la vendetta”, personifica la punizione inesorabile.
La loro presenza terrorizzante è descritta anche da Racine il grande autore di teatro del ‘600: creature alate con chiome di serpenti che tormentano Oreste. “Per chi sono questi serpenti che sibilano sulle vostre teste?” Per timore reverenziale, gli antichi greci le chiamavano anche Eumenidi, “le Benevole”, un eufemismo per scongiurarne la maledizione.
Jean-Paul Sartre, nel XX secolo, le identifica con le Mosche, divoratrici implacabili delle loro vittime. La loro natura istigatrice ha dato origine all’eristica, la scienza della controversia.
Megera, il cui nome evoca avarizia e malvagità, rappresenta la matrigna o la bisbetica crudele e insopportabile, domata solo nella penna di Shakespeare.
Le tre Gorgoni
Le Gorgoni abitano oltre il mare, dalla parte del paese delle Esperidi. Sono tre: Steno, che significa “forza, lotta”, Euriale, che significa “ampia corsa”, e Medusa, la più conosciuta tra loro, che “regna su” e “si prende cura” delle sue care vittime.
Il termine “Gorgone”, attestato per la prima volta da Omero al singolare, indica un demone femminile dallo sguardo fiero e terribile, capace di pietrificare. La Gorgone a tre teste si è poi trasformata nel suo plurale: le Gorgoni. Questi mostruosi esseri alati, con chiome di serpenti, denti di cinghiale, collo ricoperto di squame e mani di bronzo, avevano il potere di pietrificare qualsiasi mortale incrociasse il loro sguardo.
Fu proprio con una di loro, la sola mortale, Medusa, che Perseo dovette combattere. Riuscendo a evitare il suo sguardo, decapitò la mostruosa creatura con un colpo di spada e offrì il suo trofeo ad Atena, guadagnandosi il soprannome di Gorgofono, “uccisore di Gorgoni”. In greco moderno, solo il plurale è ancora usato per indicare un demone, una sirena o un drago.
Le tre Grazie: un racconto mitologico
Un tempo, vivevano tre splendide figure conosciute come le Grazie, nate da Zeus e dall’Oceanide Eurinome. Queste tre giovani e affascinanti donne, spesso ritratte nude, due di fronte e una di spalle, facevano parte dell’entourage di Afrodite, la divinità dell’amore, e costituivano il seguito delle sue assistenti chiamate “accessoriste”. I loro nomi erano Aglae, la luminosa, Talia, la rigogliosa, e Eufrosine, la gioiosa.
Le Grazie erano spesso presenti nell’accompagnamento pacifico della dea Atena o nel seguito del suo fratello Apollo, insieme alle nove Muse, che dimoravano sugli alti picchi dell’Olimpo accanto agli altri dei e dee.
Le 3 Arpie: creature mostruose tra mito e letteratura
Le Arpie, letteralmente “le rapitrici”, sono figure mitologiche che assumono diverse forme: donne alate dal volto famelico, uccelli con testa di donna o ancora “cani di Zeus” con artigli affilati. Figlie di Taumante ed Elettra, esse personificano la tempesta e la morte.
Il loro nome deriva dal verbo greco “ἁρπάζειν” (harpàzein), che significa “rapire”. E proprio questo è il loro compito: strappare le anime dai corpi dei mortali e condurle nell’Ade. Esiodo, nella sua Teogonia, le descrive come creature malvagie che “danno la morte” con il loro rapimento.
Non solo rapiscono le anime, ma anche la vita dei bambini, un atto considerato particolarmente anti-femminile. In questo senso, le Arpie possono essere viste come l’antitesi della figura materna, che nutre e protegge la prole.
Un esempio letterario che incarna l’avarizia e la rapacità delle Arpie è il personaggio di Harpagon nella commedia “L’Avaro” di Molière. Come le Arpie, egli è ossessionato dal possesso e non è disposto a cedere neanche un briciolo della sua ricchezza, nemmeno un semplice saluto.
Le Arpie, dunque, non sono solo creature mostruose della mitologia greca, ma simboleggiano anche aspetti negativi della natura umana come l’avidità, la crudeltà e la morte.
Le tre Esperidi: le custodi del Giardino e dei pomi d’oro
Nel crepuscolo del mito, ai piedi del Monte Atlante, si trova il Giardino delle Esperidi, un paradiso terrestre baciato dai raggi del sole calante. In questo luogo incantato, regnano sovrane le Esperidi, tre ninfe dal fascino immortale.
Figlie di Atlante e Esperia, le Esperidi vegliano su un tesoro inestimabile: le leggendarie mele d’oro, un dono di nozze che Gea, la dea della Terra, offrì a Era, regina dell’Olimpo. Questi frutti, simbolo di immortalità e giovinezza eterna, crescono rigogliosi in un boschetto rigoglioso, protetti dalla loro costante attenzione.
Ad affiancare le Esperidi nella difesa del Giardino delle Delizie c’è Ladone, un drago possente e infuocato. La sua presenza minacciosa scoraggia qualsiasi intruso che osi avvicinarsi al tesoro dorato.
Tuttavia, la fama delle mele d’oro varca i confini del Giardino e giunge alle orecchie di Eracle, l’eroe più celebre della Grecia. L’undicesima delle sue fatiche lo porta ad affrontare le Esperidi e il loro drago per impossessarsi dei pomi dorati. Dopo una dura lotta, Eracle riesce a superare le creature mitiche e a conquistare il premio ambito.
Le Esperidi, custodi di un Eden perduto, rappresentano la bellezza immortale e la tentazione del Paradiso. La loro storia si intreccia con quella di Eracle, l’eroe che sfida l’ignoto e conquista l’immortalità terrena.
Le (3) Ore: custodi del tempo e delle stagioni
Le Ore, note anche come Hore, sono tre figure divine della mitologia greca, figlie di Zeus, re degli dei, e Temi, dea della giustizia. Incarnano diverse sfumature del tempo: in senso stretto, le ore del giorno, e in senso più ampio, le stagioni dell’anno.
I loro nomi, Eunomia, Dike ed Irene, riflettono le loro nobili missioni: Eunomia rappresenta il rispetto della legge, Dike la giustizia e Irene la pace. Insieme, queste dee vegliano sull’ordine e l’armonia della società, garantendo il rispetto delle leggi e il pacifico svolgimento della vita civile.
L’influenza delle Ore si estende anche al regno naturale. Sotto nomi diversi, Tallo, Auso e Carpo, presiedono alle tre fasi del ciclo vegetativo: Tallo con la sua vitalità favorisce la crescita, Auso ne accompagna lo sviluppo e Carpo porta a compimento la maturazione con la fruttificazione. In questo modo, le Ore regolano il ritmo della natura, assicurando il susseguirsi delle stagioni e la prosperità della terra.
Inoltre il mitografo romano Igino introduce un terzo elenco di nomi:
- Ferusa, la sostanza
- Euporia, l’abbondanza
- Ortosia, la prosperità
Le Ore sono spesso rappresentate come giovani donne bellissime e aggraziate, vestite con abiti leggeri e fluenti. Attributi come ghirlande di fiori e frutti simboleggiano la loro connessione con la natura e il ciclo della vita.
Ampliamenti e approfondimenti:
- Le Ore erano spesso associate ad altre divinità, come Apollo, dio del sole, e Hermes, dio dei viaggiatori.
- Erano venerate in molte città greche, con templi e altari dedicati al loro culto.
- Le Ore sono state raffigurate in numerose opere d’arte, tra cui sculture, pitture e mosaici.
Le 3 Moire (o Parche): tessitrici del destino
Le Moire, conosciute anche come Parche o Filatrici, sono figure mitiche avvolte nel mistero. Figlie della Notte o di Zeus e Temi, a seconda delle diverse tradizioni, esse tessono la tela del destino umano, controllando il filo della vita di ogni mortale.
Cloto, la prima Moira, inizia il ciclo della vita filando il filo. Lachesi, la seconda, ne determina la lunghezza e le vicende, assegnando a ciascun individuo il suo destino. Atropo, infine, con il suo inesorabile taglio, recide il filo decretando la fine della vita.
Le Moire non sono solo le tessitrici del destino individuale, ma anche la personificazione delle tre età della vita: Cloto rappresenta la giovinezza, Lachesis la maturità e Atropos la vecchiaia e la morte.
Le loro cagne infernali, le Kère, accompagnano le Moire nel loro compito, accerchiando le anime dei defunti al momento del trapasso e conducendole nell’Ade.
La figura della Moira, spesso rappresentata come una singola dea, assume il nome di Parca, derivato dal verbo “risparmiare”, in una vana speranza di sfuggire al suo potere ineluttabile.
Nel Foro Romano, tre statue conosciute come “Tria Fata” simboleggiano le Moire, mentre la fiaba della Bella Addormentata, con la fata cattiva e il suo arcolaio mortale, ne rappresenta un chiaro esempio.
Un’ultima storia intreccia i numeri simbolici 7 e 3. Minosse, re di Creta, soprannominato “Fato”, per vendicarsi del rifiuto di Atene di riconoscere la sua supremazia, impose alla città un tributo di sangue: sette giovani, sette uomini e sette donne, da sacrificare al Minotauro.
Per tre volte questo tributo fu pagato, finché l’eroe Teseo, con l’aiuto di Arianna e del suo filo, non uccise il mostro e liberò Atene dalla maledizione.
Il filo di Arianna, simbolo di speranza e di salvezza, diventa la metafora perfetta per il filo della vita, un filo che le Moire tessono, misurano e recidono inesorabilmente.
Ampliamenti e approfondimenti:
- Le Moire erano spesso associate ad altre divinità, come le Erinni, le dee della vendetta, e le Parche, le dee della nascita.
- Erano venerate in molte città greche, con templi e altari dedicati al loro culto.
- Le Moire sono state raffigurate in numerose opere d’arte, tra cui sculture, pitture e mosaici.