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DALL’ARATRO AL POTERE: LA STRAORDINARIA ASCESA DI CINCINNATO

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Lucio Quinzio Cincinnato ( latino , Lucius Quinctius Cincinnatus ) (519 a.C.-430 a.C.) fu un patrizio romano , console , generale e successivamente dittatore per un breve periodo per ordine del senato . Catone il Vecchio e altri repubblicani romani fecero di lui un archetipo della rettitudine, dell’onestà, dell’integrità e di altre virtù romane, come la rustica frugalità e la mancanza di ambizione personale, virtù che seppe coniugare con notevole capacità strategica militare e legislativa.

Era un patrizio , contrario al tribunato della plebe e ad ogni legge scritta. Si era ritirato nei suoi possedimenti disgustato, rifiutandosi di intervenire in politica, perché suo figlio Ceso era stato esiliato per aver usato un linguaggio violento contro i tribuni.

Ahala, capo della cavalleria, presenta il morto Melius a Cincinnato il dittatore
Ahala, capo della cavalleria, presenta il morto Melius a Cincinnato il dittatore

Prima dittatura

Fu chiamato dal Senato , nel 460 a.C. C., come consul suffectus , alla morte del console facente funzione, Publio Valerio Publícola , per mediare in una disputa tra tribuni e plebei riguardante la legge Terentilia Arsa , dopodiché tornò alla sua occupazione agricola.

Due anni dopo, nel 458 a. C., fu nuovamente chiamato dal Senato a salvare l’esercito romano e Roma dall’invasione degli Equi e dei Volsci , per cui gli concessero poteri assoluti e lo nominarono dittatore . Si dice che Cincinnato avesse l’aratro fra le mani quando gli fu rivolta la richiesta. Dopo aver ottenuto la vittoria sugli invasori in sedici giorni, rifiutò tutti gli onori.

I romani avevano intrapreo una pericolosa guerra contro un popolo vicino, gli Equi.

Ne seguirono conseguenze nefaste: uno dei consoli era incredibilmente incompetente dal punto di vista militare. Disperati, i romani vedevano una sola soluzione: concentrare tutti i poteri nelle mani di un solo uomo. E scelsero Cincinnato (“dai capelli ricci”), un patrizio divenuto famoso come console per il suo coraggio e talento politico.

Quando gli inviati del senato giunsero al piccolo podere che Cincinnato possedeva dall’altra parte del Tevere per informarlo dell’esito della votazione, l’ex console stava arando il suo campo. Il mattino dopo si presentò al Foro indossando la toga da dittatore bordata di porpora e chiamò alle armi tutti i cittadini romani. Li formò in legioni e guidò le truppe.

A mezzanotte, l’esercito romano arrivò all’accampamento degli Equi e, col favore dell’oscurità, circondò il nemico ed eresse una palizzata lungo le loro linee. A lavoro quasi terminato, Cincinnato ordinò ai suoi uomini di lanciare grida di guerra. I connazionali circondati dal nemico si fecero coraggio e si lanciarono all’attacco; e con le loro fortificazioni già finito, il dittatore li sostenne. Gli Equi, presi tra due fuochi, chiesero la pace.

Cincinnato concesse loro la libertà a condizione che consegnassero le armi e i loro capi ai romani. Compiuta la sua missione, il dittatore si tolse la toga con le frange viola dopo soli sei giorni e, sebbene potesse ancora prolungare il potere per sei mesi, tornò al suo aratro. Da allora in poi Cincinnato fu il simbolo dello spirito civico dei romani.

Nel 450 a.C. Cincinnato era un candidato non scelto per la carica di decemviro . Nelle controversie sulla legge per l’apertura del consolato ai popolani partecipò come difensore delle misure di pacificazione.

Statua di Cincinnato che regge i fasci al suo aratro a Cincinnati, Ohio
Statua di Cincinnato che regge i fasci al suo aratro a Cincinnati, Ohio

Seconda dittatura

Nel 439 a.C C., lasciò nuovamente il suo ritiro su chiamata del console Tito Quincio Capitolino Barbato . All’età di ottant’anni fu nominato dittatore per la seconda volta per opporsi alle presunte macchinazioni di Espurio Melio , che tentò un colpo di stato nel 439 (o almeno ne fu accusato).

Questi era un uomo molto ricco, e poiché Roma era afflitta dalla fame, pensò di poterne prendere il controllosfruttando le sue fortune. La situazione era così disperata che, secondo Tito Livio, ci fu chi si gettò nel Tevere per porre fine alle proprie sofferenze. Fu allora che Melio acquistò molto grano dagli Etruschi e lo distribuì tra gli affamati.

Distribuì il grano alla plebe, che lo seguiva dovunque, sedotta dai suoi doni, facendosi ammirare ed esaltare oltre ogni decoro per un privato cittadino; puntò formalmente a ottenere il consolato grazie ai favori elargiti e alle promesse fate. Naturalmente Melio aveva intenzioni ambiziose e tiranniche e le autorità ottennero presto le prove della sua colpevolezza. Si seppe che Melio custodiva delle armi in casa sua, che teneva riunioni segrete, che architettava piani per distruggere la Repubblica e che corrompeva i tribuni del popolo. La libertà di Roma era minacciata, e si riteneva che solo un dittatore potesse salvarla.

Cincinnato fu nuovamente scelto per questo incarico. Aveva allora ottant’anni, ma il suo vigore fisico e intellettuale erano ancora intatti. Mandò Gaio Servilio Ahala (capo della cavalleria, magister equitum ) a informare Melio che il dittatore voleva incontrarlo. Melio capì che la convocazione era sospetta e fuggì chiedendo protezione alla gente. Ma Servilio lo fermò e lo uccise. Successivamente raccontò i fatti a Cincinnato e gli disse: “Caio Servilio, grazie per il tuo coraggio! Lo Stato è salvo!”

Cultura popolare

Il suo esempio ispirò il nome della città americana di Cincinnati , nello stato dell’Ohio , nome dato in onore della società “Cincinnatus”, che onorava George Washington , che da questa società era considerato un “Cincinnato” dei tempi di la Rivoluzione Americana .

La leggenda del servizio disinteressato di Cincinnato per il suo paese fu fonte di ispirazione e ammirazione per la figura di George Washington. La rinuncia da parte di Washington al controllo dell’esercito continentale, il rifiuto di prendere in considerazione l’istituzione di una monarchia o l’assunzione di poteri monarchici e il ritiro volontario dopo due mandati da presidente per tornare alla sua fattoria a Mount Vernon hanno reso le allusioni a Cincinnato comuni nella storia e nella letteratura americana.

La Storia di Cincinnato

Cincinnato mentre riceve il richiamo a salvare la patria
Cincinnato mentre riceve il richiamo a salvare la patria

C’era un uomo di nome Cincinnato che viveva in un piccolo podere non lontano dalla città di Roma. Un tempo era stato ricco e aveva ricoperto la carica più alta nella sua terra; ma in un modo o nell’altro aveva perso tutte le sue ricchezze. Ora era così povero che doveva fare tutto il lavoro nella sua fattoria con le sue mani. Ma a quei tempi si pensava che fosse una cosa nobile coltivare la terra.

Cincinnato era così saggio e giusto che tutti si fidavano di lui e gli chiedevano consiglio; e quando qualcuno era nei guai e non sapeva cosa fare, i suoi vicini dicevano:
“Vai a dirlo a Cincinnato. Lui ti aiuterà.”

Ora viveva tra le montagne, non lontano, una tribù di uomini feroci e semiselvaggi, che erano in guerra con il popolo romano. Persuasero un’altra tribù di audaci guerrieri ad aiutarli, e poi marciarono verso la città, saccheggiando e derubando man mano che avanzavano. Si vantavano che avrebbero abbattuto le mura di Roma, bruciato le case, ucciso tutti gli uomini e reso schiave le donne e i bambini.

All’inizio i romani, che erano molto orgogliosi e coraggiosi, non pensavano che ci corresse un grande pericolo. Ogni uomo a Roma era un soldato, e l’esercito che fu inviato per combattere i predoni, era il migliore del mondo. Nessuno restava a casa con le donne, i bambini e i ragazzi, tranne i “Padri” dai capelli bianchi, come venivano chiamati, che facevano le leggi per la città, e una piccola compagnia di uomini che custodiva le mura. Tutti pensavano che sarebbe stato facile ricacciare gli uomini della montagna al luogo a cui appartenevano.

Ma una mattina cinque cavalieri arrivarono a cavallo lungo la strada dalle montagne. Cavalcavano con grande velocità; e sia gli uomini che i cavalli erano coperti di polvere e di sangue. Il guardiano alla porta li riconobbe e mentre entravano al galoppo gridò loro: perché cavalcate così? e cosa è successo all’esercito romano?

Essi non gli risposero, ma entrarono in città, per le strade silenziose; e tutti gli correvano dietro, ansiosi di scoprire cosa fosse successo. Roma a quel tempo non era una grande città; e presto raggiunsero la piazza del mercato dove erano seduti i padri dai capelli bianchi. Quindi, saltarono giù da cavallo e raccontarono la loro storia.

“Solo ieri”, dissero, “il nostro esercito stava marciando attraverso una stretta valle tra due ripide montagne. All’improvviso un migliaio di uomini selvaggi balzarono fuori dalle rocce davanti e sopra di noi. Avevano bloccato la strada; il passo era così stretto che non potevamo combattere , lanciavano sassi su di noi dall’alto. Eravamo stati presi in una trappola. Poi dieci di noi, spronanoro i loroi cavalli, ma solo cinque riuscirono a passare; gli altri cinque caddero sotto le lance degli uomini della montagna. Ed ora, o Padri Romani! mandate subito aiuti al nostro esercito, altrimenti tutti gli uomini saranno uccisi e la nostra città sarà presa».

“Che cosa dobbiamo fare?” – dissero i Padri dai capelli bianchi. “Chi possiamo mandare se non le guardie e i ragazzi? E chi è abbastanza saggio da guidarli e salvare così Roma?”

Tutti scuotevano la testa ed erano molto preoccupati, perché sembrava che non ci fosse speranza. Poi uno disse: “Mandate a chiamare Cincinnato. Egli Ci aiuterà”.

Cincinnato era nel campo ad arare quando gli uomini che gli erano stati mandati arrivarono in gran fretta. Si fermò, li salutò gentilmente e attese che parlassero.

“Mettiti il mantello, Cincinnato,” dissero, “e ascolta le parole del popolo romano.”

Poi Cincinnato si chiese cosa volessero dire. “Va tutto bene a Roma?” chiese; chiamò quindi la moglie perché gli portasse la veste.
Cincinnato si tolse la polvere dalle mani e dalle braccia e si gettò la toga sulle spalle. Poi gli uomini raccontarono il motivo per cui erano venuti da lui.

Gli dissero come l’esercito con tutti i più nobili fra gli uomini di Roma, era rimasto intrappolato nel passo di montagna. Gli raccontarono del grande pericolo in cui si trovava la città. Poi dissero: «I romani ti nominano loro governatore e dittatore della loro città, affinché tu faccia tutto come vuoi; e i Padri ti ordinano di venire subito e di partire contro i nostri nemici, i feroci uomini dei monti».

Allora Cincinnato lasciò il suo aratro dov’era e si affrettò verso la città. Quando passava per le strade e dava ordini su ciò che si doveva fare, alcuni del popolo avevano paura, perché sapevano che a Roma egli aveva tutto il potere di fare ciò che voleva. Egli armò le guardie e i ragazzi e uscì alla loro testa per combattere i feroci montanari e liberare l’esercito romano dalla trappola in cui era caduto.

Pochi giorni dopo ci fu a Roma una grande gioia. C’erano buone notizie. Gli uomini delle montagne erano stati sconfitti con grandi perdite. Erano stati ricacciati al loro posto.

E ora l’esercito romano, con i ragazzi e le guardie, tornava a casa con bandiere sventolanti e grida di vittoria; e alla loro testa cavalcava Cincinnato. Egli aveva salvato Roma.

Cincinnato avrebbe potuto allora farsi re; poiché la sua parola era legge e nessuno osava muovere un dito contro di lui. Ma, prima che il popolo potesse ringraziarlo abbastanza per ciò che aveva fatto, restituì il potere ai Padri Romani dai capelli bianchi e tornò al suo piccolo podere e al suo aratro.

Era stato sovrano di Roma per sedici giorni.

(Da Fifty Famous Stories Retold by James Baldwin, 1896)

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