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ANCO MARZIO, IL FONDATORE DI OSTIA

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Tullo Ostilio è stato il leggendario terzo re di Roma. Succeduto al re Numa Pompilio, condusse la guerra contro Albalonga, durante la quale vi fu la lotta fra gli Orazi contro i Curiazi.

Anco Marzio (a. 640-616.) anno numero 114 dalla Fondazione di Roma

Anco Marzio, da “Promptuarii Iconum Insigniorum“, Guillaume Rouille, 1553

Fatevi coraggio! Anco Marzio è un re un po’ noioso, come Numa Pompilio (ma almeno quello aveva una piccante e chiacchierata relazione con una ninfa sempre giovane e bella), quindi non c’è un gran che da raccontare anche su di lui.

Dopo un nuovo interregno, come nei avvicendamenti precedenti, Anco Marzio, appunto, nipote di Numa e al pari di lui pacifico e pio, fu eletto Re dal popolo, scelta ratificata poi dal Senato che poi la confermò. Poiché questo monarca discendeva da Numa, sembrava volesse calcare le orme del suo illustre antenato e predecessore. Egli istituì delle cerimonie sacre le quali dovevano precedere le dichiarazioni di guerra, ma nel medesimo tempo incoraggiò i suoi sudditi a darsi all’agricoltura e a metter da parte tutti gli ardori guerrieri che non fossero utili. Le potenze vicine guardarono a queste istituzioni e a questi regolamenti, interpretandoli più come prove di viltà che come dimostrazioni di coraggio. I Latini incominciarono dunque a fare delle scorrerie sopra il territorio di Roma, tentando di rifarsi delle perdite patite nelle guerre recenti, e togliersi di dosso la sudditanza da Roma.

Ma il loro successo fu effimero come la loro speranza: Anco vinse i Latini e distrusse le loro città, trasferendone la popolazione sul colle Aventino, ad aumentare la crescita demografica di Roma. Pacificò l’insurrezione dei Veienti dei Fidenati e dei Volsci ed ottenne un secondo trionfo sopra i Sabini. Ma le sue vittorie contro i nemici non erano paragonabili alla sua accorta gestione della politica interna. Edificò templi, fabbricati, città fortificate e una prigione per rinchiudere i malfattori (il Carcer Tullianum o Carcere Mamertino).

Ostia

Ostia

Le felici imprese di Anco portarono la signoria romana sull’una e sull’altra sponda del basso Tevere in fino al mare, dove alle foci del fiume fu stabilita la prima colonia romana, Ostia (plurale di Ostium, foce) e dove fu costruito il porto omonimo, all’imboccatura del fiume, per assicurare ai suoi sudditi il commercio attraverso di esso e nelle zone delle vicine paludi pontine. A lui si dovrebbe la costruzione della via Ostiense, dove per primo organizzò le saline 

Anco rinforzò anche il lato di Roma che dava sulla riva destra del Tevere, fortificando il colle Gianicolo e l’Aventino.

La fondazione di Ostia è in realtà, il punto più contestato della narrativa tradizionale. Nessuna scoperta archeologica è giunta a corroborare questa tesi e tutti gli elementi portati alla luce mostrano che la costruzione del porto sia stata molto più tarda.

La nuova popolazione trasferita a Roma diede origine alla plebe. Il suo nome è legato anche al celebre Ponte Sublicio (che non ha nulla a che vedere con quello attuale a Roma, che risale invece ai primi del Novecento) che deriva il suo nome dal termine sublicae, in lingua volsca “tavole di legno”, poiché in origine era appunto costruito tutto in legno. Anche di Anco Marzio si ipotizza un’effettiva storicità.

L’interpretazione di Dumézil

Georges Dumézil
Georges Dumézil (1898  1986) storico delle religioni, linguista e filologo francese.

Nella tripartizione funzionale descritta dallo studioso francese Georges Dumézil, Anco Marzio occupa un posto d’elezione poiché è legato alla prosperità. Dopo Romolo e Numa Pompilio, che incarnano la duplicità della sovranità (sovranità basata sul potere per la prima e formale, di origine sacerdotale per la seconda), e Tullo Ostilio, che incarna il potere bellicoso, Anco Marzio rappresenta la produzione.

Il fatto che sia il quarto re di Roma ad essere legato alla sua prosperità (simboleggiata nella tradizione dall’estensione verso il mare con la fondazione di Ostia e la conquista di città poste tra il mare e Roma o dalla costruzione di il Ponte Sublicio) non è privo di significato.

Nella tripartizione funzionale di Dumézil, la funzione della prosperità si colloca gerarchicamente in quarta posizione, se si considera la duplicità della prima funzione, quella della sovranità.

È una coincidenza? Il nome stesso di Anco Marzio è inoltre etimologicamente legato al mare e al Tevere, poiché Ancus deriva dal greco Ankos, parola che significa “curvatura” e che designa l’ansa che il Tevere compie prima di gettarsi verso il mare, e che ha permesso a Roma di aprirsi all’intero Mediterraneo.

E anche se questa apertura non diventerà importante fino al III secolo a.C., fu essa a permettere a Roma di prosperare economicamente nel commercio con diverse civiltà mediterranee.

Infatti lo storico latino Floro, autore dell’Epitoma di Tito Livio, scrive “evidentemente perché già allora aveva il presentimento che le ricchezze ed i viveri di tutto il mondo sarebbero stati, un giorno, ricevuti lì, come se fosse lo scalo marittimo di Roma”

Come accennato in precedenza, Anco Marzio è anche il primo re ad aver costruito una prigione a Roma (le cui fondamenta sono state ritrovate qualche tempo fa, risalenti proprio al periodo del suo regno). E in generale, le civiltà che costruiscono carceri hanno raggiunto un certo livello di prosperità.(Fonte: versione francese di Wikipedia)


La dichiarazione di guerra

Il collegio dei Feziali o fetiales è un collegio di sacerdoti dell’antica Roma, principale responsabile delle relazioni tra Roma e gli altri popoli (dichiarazioni di guerra, trattati), per garantire che la pax deorum non venisse rotta.

La funzione dei Fetiali, contrariamente a quanto sostiene Dionigi di Alicarnasso, non era quella di evitare la guerra, perché il fatto è avvenuto solo una volta. Loro dovere era invece di presentare la guerra come giusta e legittima, e in accordo con la tradizione. Questo spiega la rarità dell’intervento dei Fetiali durante la storia romana. In ogni caso, i romani non erano particolarmente pacifici: le porte del tempio di Giano rimasero chiuse solo due volte, sotto Numa Pompilio e sotto Augusto, una volta nel IV° secolo aC. e un’altra volta nel 34 a.C. per tre mesi.

Anco Marcio, quarto re di Roma in onore di Lucio Tarquinio Prisco, quinto re di Roma

Sotto Tullo Ostilio, il re più bellicoso della storia romana, si svilupparono le condizioni tecniche per dichiarare guerre anche contrarie alla giustizia e alla religione. Se tutto era stato compiuto rispettando la forma, allora avevamo un bellum iustum, una guerra giusta, e la vittoria era necessariamente assicurata ai romani, poiché vi era sta una totale adeguatezza al modo religioso di dichiarare guerra, secondo la volontà del di Dio. L’unica spiegazione della sconfitta diventava allora il non avuto rispetto dei riti, e non per via di un’inferiorità dei romani.

A tal fine, si riunirà in Campidoglio una delegazione temporanea del Collegio, composta da due a quattro membri, sotto la guida di uno di essi che assume per l’occasione il titolo di pater patratus populi romani, che va a raccogliere prima La verbena sacra sul Campidoglio, poi va in pompa magna al confine del popolo aggressore, chiedendo la riparazione dei torti subiti.

Se la ottiene, la contesa non va oltre; in caso negativo si procede, trenta giorni dopo, a nuova citazione; infine, essendo la guerra inevitabile, egli si sposta ancora una volta alla frontiera del paese nemico, pronuncia una formula sacramentale e lancia un giavellotto fatto di corniolo sul territorio nemico. Tutti i dettagli di queste cerimonie sono riportati da Tito Livio (I, 32), in connessione con la guerra tra Roma e Alba.

Quando le conquiste di Roma si diffusero dovunque, non fu più possibile procedere con questa complicata cerimonia: fu sostituita da alcune finzioni simboliche, ad esempio dal lancio di un giavellotto oltre il confine fittizio del pomerio, contro il popolo nemico. Fin sotto l’Impero, sempre al tempo di Marco Aurelio, non si aveva una dichiarazione di guerra senza questo cerimoniale.

(Fonte: versione francese di Wikipedia)


Se volete lu Faccio io…

ANCO MARZIO – Se vulete (il re) lu facciu io!

PRINCIPE DEL SENATO – E saresti?

ANCO MARZIO – Uno che ci ho le carte in regola e posso ambire… in primis so’ sabino e Tullo Ostilio era romano… in secondibus voi altri romani state messi male co li dei, tant’è vero che quando un rumano deve chiede un piacere a un celeste incarica un sabino, no? Nun lu sapevi? Ambè, te lo dico io… quando un romano deve dì, presempio, metti, na preghiera a Diana Primigenia, incarica er sabino, dice, è mejo che je la dichi te, allora il sabino prega e il romano ottiene la grazia per interposta persona… stacce! In terzibus, io sono un figlio di una figlia della ninfa Egeria, erco, dungue, quinti, Numa era mi’ nonno!

PRINCIPE DEL SENATO – Mbè! Le referenze so’ bone

ANCO MARZIO – Eh! ‘Ntanto che t’ariposi, per un quarto so’ divino, no! Ma posso annà?

PRINCIPE DEL SENATO – E te chiami?

ANCO MARZIO – Ango Marzio!

PRINCIPE DEL SENATO – E accetteresti la corona?

ANCO MARZIO – Sine! Ma a patto de nun esse considerato un re da favola, eh!… Un re che uno se mette a riccontà e dice “c’era na vorta un re” e poi s’ha da fermà perché nun se ricorda più come va a finì.

PRINCIPE DEL SENATO – E che re vorresti esse?

ANCO MARZIO – Un re de programmi.

PRINCIPE DEL SENATO – E sarebbe?

ANCO MARZIO – Un re che governa sulla base di un programma concordato sopra il quale convergono i consensi più ampli e articolati dalla maggioranza… Eh! Il momento è difficile, patri coscritti! Il cittadino romano è stanco de guera, aspira alla pace, i posteri… Voi, posteri vi farete un’idea farsa e fuorviante der sordato romano, ricavandone l’immagine dalle figure a rilievo de li sarcofaghi, da le colonne, da l’archi trionfali… Bè, quelli che so’ sordati da burla nun so’ mai esistiti, no! Il soldato romano, il miles romano, era… come ve posso dì… ehio… eh! Una specie de nanerottolo marsicano co le gambe corte corte, tutto ne-ro, tozzo… forte, eh, forte come un bove, famelico come un lupo, pur non di meno aspira a la pace. La pila sempre piena che je bolle, la moje che je lava li pedalini, li ragazzini che je giocano su la porta de casa e lui che ritorna a casa la sera stanco e se mette lì a guardà… er foco… che guardà er foco è come vedè na storia de facce e de personaggi che te suscita dalla fiamma e dalla fantasia. Mbè… io… nun ce passo l’ore? È gajardo, eh! Poi quanno se spegne… er foco, tutti a letto, oppure cambi foco, vedi un po’ te, hai visto mai! Insomma, patri coscritti, concordiamo su questo principio: li romani non prenderanno mai più le armi per primi, ma se costretti a farlo, le deporranno solo pe’ secondi.

PRINCIPE DEL SENATO – Eh bravo! Bravo! Bel concetto!

ANCO MARZIO – Grazie, ma nun è mio è di Plutarco.

PRINCIPE DEL SENATO – Eh, chi…?

ANCO MARZIO – Eh… nun poi capì; poi, per ricucire lo strappo de Tullo Ostilio co li dei, giuriamo di non intraprendere più azioni senza esserci assicurata prima la loro protezione!… Vado?

PRINCIPE DEL SENATO – Eh!

ANCO MARZIO – Ah! Embè!

PRINCIPE DEL SENATO – In nome del Senato e del popolo romano, io ti acclamo Anco Marzio, quarto re de Roma!

(Luigi Magni – I sette Re di Roma)

Nel prossimo episodio – > :

Tarquinio, originario di una potente città del Lazio abitata dagli Etruschi, su consiglio della moglie, l’ambiziosa Tanaquil, viene a Roma, e prende il nome di Lucio
Tarquinio Prisco
. I presagi gli annunciano un grande destino. Diventato amico del re Anco Marzio, questi gli affida la tutela dei suoi figli. Alla morte del re, Tarquinio licenzia i suoi protetti e diventa re di Roma. Per rafforzare il suo potere, raddoppia il senato romano, consiglio creato da Romolo, nominando cento senatori. Introduce a Roma l’istituzione dei littori.

(Libero adattamento e riduzione da Storia romana: dalla fondazione di Roma alla caduta dell’Impero d’Occidente. Iginio Gentile, 1885, e da Compendio della storia romana dalla fondazione di Roma fino alla caduta dell’impero romano in Occidente del dott. Goldsmith, 1801, con successive aggiunte, aggiornamenti e integrazioni)

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