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LA REPUBBLICA DEI CONSOLI

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Durante i primi secoli della sua esistenza Roma fu governata da re; i primi erano monarchi semileggendari di origine sabina, poi vennero i re stranieri di origine etrusca. Questo periodo va dalla mitica fondazione di Roma nel 753 a. C. al -509 a.C. (anno della caduta della monarchia etrusca). Fu in questo periodo che vennero stabilite le principali caratteristiche della società romana (religione, divisioni sociali tra patrizi e plebei e organizzazione politica con le riforme attuate da Servio Tullio).

La Costituzione repubblicana

Cacciati i re si decise di affidare il governo della repubblica a due magistrati annui, detti consoli. Nell’anno 245 dopo la fondazione di Roma (509 a. C.) si costituisce dunque il governo consolare o repubblicano, che durò per lo spazio di quasi cinque secoli (dal 509 al 30 av. C., anno primo dell’impero di Augusto).

La repubblica si stabilisce e si consolida con forza durante il dominio del patriziato, che tenne il potere fino all’anno 366 a. C.; divenne floridissima, estese il dominio su tutta Italia, formò con le conquiste la maggior parte del suo impero, mantenne saldo per tutto questo tempo, un forte e ben ordinato regime di democrazia, fino al 146, anno cruciale della presa di Corinto e di Cartagine; da lì in poi, e soprattutto a partire dal 133, cominciarono le sedizioni interne, che portarono alle guerre civili dalle quali si maturò la fine della vecchia costituzione repubblicana per dar luogo all’impero.

I Consoli

I primi due consoli di Roma furono Lucio Giunio Bruto e  Lucio Tarquinio Collatino. Il passaggio dalla costituzione monarchica alla repubblicana vide il potere prima riunito nella persona di un re a vita, diviso fra due consoli, magistrati annualmente eletti dall’assemblea delle centurie.

I poteri civile, militare, giudiziario passarono nei consoli, ma subirono delle restrizioni, perché il potere consolare fu esercitato da due rappresentanti, i quali avevano una reciproca sorveglianza, così che l’autorità dell’uno correggesse e frenasse quella dell’ altro, e perchè la loro potestà era limitata allo spazio di un anno, e chi l’esercitava era di fatto responsabile davanti al popolo, per cui ci si garantiva contro il pericolo che l’autorità degenerasse in tirannide.

Il giuramento di Bruto, Gavin Hamilton

I Distintivi o le insegne dei consoli erano i fasci di verghe con le scuri portati dai dodici littori, la sedia curule, la toga praetexta in tempo di pace, il paludamento in guerra. Essi erano magistrati eponimi, vale a dire che col loro nome si indicava l’anno di loro amministrazione.

Nel rispetto dei poteri civili, i consoli erano in Roma dei capi amministrativi, che vegliavano sull’ordine e la sicurezza dello stato; presidevano l’assemblea popolare e del senato, erano investiti del potere giudiziario in materia criminale e infine, facevano da intermediarii fra lo stato e la divinità negli atti religiosi.

I consoli, nei primi secoli della repubblica, esercitavano questi poteri alternativamente un mese per ciascuno; il console in carica aveva i dodici littori. Se dei due consoli in carica uno moriva, si eleggeva in suo luogo un supplente (consul suffectus) per il rimanente corso dell’anno.

Rispetto ai poteri militari facevano la leva delle legioni, ne avevano il supremo comando, conducevano le operazioni militari nel paese di guerra, e in campo tenevano il potere assoluto, con pieno diritto di vita e di morte.

Le competenze religiose dell’autorità regia non passarono per intero ai consoli, ma andarono divise fra il Pontefice massimo, rivestito della somma dignità sacerdotale, ed un magistrato a cui, per rispetto delle antiche forme, delle quali l’indole romana fu sempre molto osservante, si mantenne il nome di re dei sacrifici.

Tale il potere dei consoli; ma si deve tener presente che la storia dei primi due secoli della repubblica prende un suo particolare carattere da un’inclinazione, anzi da uno sforzo continuo a diminuire il potere esecutivo ponendovi delle restrizioni, ovvero scindendone le attribuzioni, in modo che si formassero altri separati collegi di magistrati.

Il Senato

ll senato, oppresso e scemato di numero per opera di Tarquinio, fu ricostituito e completato nel numero di 300 con l’iscrizione di nuovi membri, scelti tra i cavalieri, ammettendo probabilmente, assieme alla antica parte patrizia, anche rappresentanti plebei; da qui la forma allocutiva di « padri coscritti » (patres (et) conscripti).

L’autorità del senato si estendeva all’amministrazione interna, in quanto esso aveva l’alta sorveglianza sulle finanze dello stato, sulla religione ed il culto, ed anche, almeno nei primi secoli della repubblica, una partecipazione alla legislazione con diritto di ratifica delle deliberazioni dell’assemblea popolare.

Gli affari esteri erano in gran parte di spettanza al senato, dal quale dipendevano le relazioni internazionali con gli altri stati, le disposizioni concernenti gli alleati, le deliberazioni dei modi e dei mezzi per condurre la guerra, delle concessioni degli onori del trionfo, e dell’ordinamento dei paesi sottomessi. Ma anche rispetto al senato troviamo una continua tendenza democratica a limitarne le attribuzioni, affinché si affermasse più pienamente  la sovranità popolare.

L’assemblea popolare

L’assemblea delle centurie, quale Servio l’aveva costituita, può dirsi che prenda a veramente funzionare con l’istituzione popolare della repubblica, essendo annualmente convocata per l’elezione dei consoli, ed ogni qual altra volta si richiedesse, sia per nuove leggi, sia per sentenze giudiziarie criminali.

La rivoluzione che pone fine alla monarchia romana non è però da considerarsi come la sollevazione di popolo oppresso che rivendica la libertà contro un tiranno oppressore; è la sollevazione della nobiltà patrizia contro principi, i quali cercavano il proprio appoggio nella parte popolare che favorivano. La rivoluzione dà il potere in mano del patriziato, che si stabilisce nel governo e dominando opprime la plebe.

Tentativi di ritorno di Tarquinio (anno 509)

Tarquinio, bandito ma non privo di speranza di riconquistare il dominio, andò cercando aiuti presso altre città d’Italia. Nè gli mancavano sostenitori a Roma, dove fra la gioventù corrotta e opulenta, già legata alla corte reale e con gli ambasciatori del re venuti a Roma, si formò una congiura.

Fu scoperta e repressa: fra i complici si trovarono anche i figli del console Bruto, i quali furono dal padre, con memorabile esempio di rispetto assoluto della legge, condannati a morte. Si decretò il bando a tutta la famiglia dei Tarquini. Collatino console, sebbene fosse stato un valido cooperatore della repubblica, dovette dunque andare in esilio. Fu eletto in suo luogo Publio Valerio. Il terreno che era stato in possesso del re venne consacrato a Marte e detto Campo Marzio.

Battaglia della Selva Arsia (509 a. C.)

Il re esule, fatta alleanza con le città etrusche di Tarquinia e di Veio, invase il territorio romano. I consoli Mossero subito ad affrontarlo, Bruto conducendo la cavalleria romana, Valerio la fanteria. Gli eserciti si scontrarono presso la selva Arsia; Arunte, Tarquinio e Bruto si avventarono l’un contro l’altro in duello e caddero vicendevolmente uccisi.

La mischia durò terribile fino a notte tarda, senza concludersi in un esito decisivo. All’improvviso, durante una tregua, le milizie  a riposo sul campo, udirono dal vicino bosco la voce misteriosa del dio Silvano proclamare la vittoria per i Romani. Gli Etruschi allora volsero in fuga e Valerio tornò trionfante a Roma.

A Bruto si fecero grandi onori funebri, e per lui, vendicatore dell’onore femminile, le donne romane vestirono il drappo funebre. Valerio rimase per breve tempo console unico.

Ciò fece nascere il sospetto che egli nutrisse il pensiero di proclamarsi re, infatti si diceva che si stesse facendo erigere una reggia sull’altura del Velia.

Ma fu Valerio stesso a fugare tali sospetti; si presentó al popolo coi fasci dei littori abbassati e senza scuri, in segno di riconoscimento della sovranità popolare; fece abbattere la residenza in costruzione e propose leggi favorevoli al popolo. Infine raccolse l’assemblea per l’elezione del collega. Il popolo elesse Spurio Lucrezio, e alla sua morte, avvenuta durante il mandato,  venne nominato al suo posto M. Orazio Pulvillo, così nel primo anno della repubblica vi furono in tutto cinque consoli.

Leggi di Valerio Publicola (anno 509)

Le leggi del console Valerio furono di carattere popolare, perciò gli fu assegnato, in virtù di esse, di diritto,  il nome di Poplicola o Publicola.

Diritto di appello al popolo

A partire da quelle leggi cominciò ad essere diminuita la potestà dei consoli, essendosi stabilito con esse che, contro sentenza emanata dal console, il cittadino avesse diritto d’appello al popolo, riunito nell’assemblea delle centurie.

I Questori

La conseguenza  di ciò fu che l’ufficio dei questori, i quali già nell’età dei re erano giudici nelle sentenze capitali, ora venisse a trasformarsi, e a essi fosse invece dato incarico di maneggiare le finanze dello stato, per cui furono chiamati questori dell’erario, limitando per questo modo le attribuzioni dei consoli anche per quel che concerneva l’amministrazione delle finanze. I questori in origine furono due, ma crebbero poi assai di numero col crescere della grandezza e delle funzioni dello stato.

Perduellione

Con un’altra legge Valerio intese a premunire la repubblica dal pericolo di usurpazioni di potere, dichiarando che chiunque si rendesse colpevole di perduellione, cioè d’azione contraria e pericolosa all’ordine costituito, fosse reo di delitto capitale.

Guerra di Porsenna (anno 507)

Il primo anno della repubblica si chiuse colla consacrazione del tempio di Giove Capitolino fatta dal console M. Orazio Pulvillo. Quanto largamente si fosse estesa la egemonia romana sulle vicine popolazioni latine, fino a Terracina, al tempo degli ultimi re, e quanto esteso commercio Roma già esercitasse sul mare, appare dal primo trattato stipulato con Cartagine, conservatoci dallo storico Polibio (v.1. 111. c. 22), che lo riferisce appunto all’anno primo della repubblica.

Ma tanta supremazia venne messa in pericolo e fu per qualche tempo ridotta in più brevi confini, dalle guerre che sorsero in seguito alla cacciata dei Tarquini.

Di queste la prima fu contro Porsenna, re etrusco di Chiusi, chiamato da Tarquinio a prendere le armi contro Roma. Il Re etrusco avanzò con un numeroso esercito e cacciò i Romani dalla fortificazione sul Gianicolo, tentando il passo del Tevere sul Ponte di Legno (Ponte Sublicio).

Orazio Coclite

Ma un eroe, Orazio Coclite, con tre suoi compagni, ritarda l’avanzata nemica, fin tanto che il ponte non viene tagliato. Solo allora Orazio si tuffa nel Tevere e raggiunge la sponda a nuoto. Una volta crollato il Sublicio, gli Etruschi sono costretti ad accamparsi sulla riva destra del fiume.

Muzio Scevola

Giunse allora al campo etrusco, un giovane romano, che, introdottosi nella tenda reale, tentò di uccidere Porsenna; fallito il colpo, viene preso: confessa di chiamarsi Muzio, capo d’una congiura ordita per assassinare il re. Resta imperterrito di fronte ad ogni minaccia di tortura, e per dimostrare la sua fermezza, stende sopra un braciere ardente la mano destra, che aveva fallito nel colpire il bersaglio, e la lascia che si bruci. Da qui egli ebbe poi il nome di Scaevola (mancino).

Colpito da tanto coraggio, Porsenna scende a condizioni di pace con i Romani, a patto che rendano il territorio già conquistato sotto i re  ai Veienti e consegnino in ostaggio giovani nobili e ragazze.

Clelia

Fra queste vi era Clelia, che condotta nel campo nemico, notte tempo, insieme alle sue compagne fuggì attraversando a nuoto il Tevere. Il senato romano osservante del trattato appena concluso, riconsegnò la coraggiosa Clelia con le sue compagne al nemico.

Ma Porsenna, di nuovo stupito di tanta audacia e senso dell’onore rese,  tutti gli ostaggi e levò l’assedio. Così Roma fu libera, secondo quanto narra la tradizione. Ma due notizie storiche dateci da Tacito (Storie, III. 72) e da Plinio (St. nat. XXXIV. 39) dicono chiaramente che la città si dovette arrendere agli Etruschi e sottostare a gravi condizioni di pace.

Gli scrittori dei tempi successivi raccolsero poi la narrazione romanzesca che gli antichi avevano escogitato per velare quell’infausto ricordo.

(Adattamento da Iginio Gentile. “Storia romana”, 1885)

 Nel prossimo episodio – > :   Dopo gli Etruschi, Roma dovette vedersela con i Sabini, contro i quali si impegnarono in una guerra durata quattro anni. Il governo viene dato temporaneamente in mano ad un solo magistrato, il dittatore. Presso il lago Regillo si combatte un’eroica battaglia.
Silla prima e Cesare poi si avvaleranno della dittatura per legittimare il loro potere, e ne faranno il mezzo per trasformare la repubblica nell’impero. 

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