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LA SECONDA GUERRA PUNICA

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Dopo il logoramento che la prima guerra punica aveva comportato, entrambi i contendenti, Roma e Cartagine, erano quasi esausti. Ma la parte peggiore era toccata ai Cartaginesi, che non solo avevano subito ingenti perdite economiche a causa dell’interruzione del loro commercio marittimo, ma avevano dovuto accettare costose condizioni di resa. Insieme a questo, oltre a dover rinunciare a qualsiasi pretesa sulla Sicilia, dovettero pagare ai loro nemici un’indennità di 3.200 talenti d’argento. La chiave di questa decisione di resa furono le pressioni dei grandi oligarchi cartaginesi (capitati da Annone il Grande), che volevano soprattutto la fine della guerra per riprendere le loro attività commerciali. Altri importanti personaggi punici, invece, ritenevano che la resa fosse stata prematura, soprattutto considerando che Cartagine non aveva mai saputo sfruttare la propria superiorità navale, e che la condotta della guerra era apparentemente migliorata da quando lo stratega Amilcare Barca aveva assunto il comando di operazioni in Sicilia. Inoltre, consideravano un abuso e disonorevoli le condizioni dell’armistizio imposte da Roma. Ad aggravare la situazione già tesa, gli oligarchi, che dominavano il senato cartaginese, rifiutarono di pagare le truppe mercenarie che erano tornate dalla Sicilia e che erano di stanza in città. Questa mossa gli costò l’assedio non solo di Cartagine ma anche la perdita di altre enclavi puniche, come Utica, e solo una magnifica campagna di Amilcare riuscì a porre fine alla rivolta dei mercenari ribelli e libico-fenici dell’interno che si erano uniti alla sommossa.

 

Annibale inizia la sua marcia

L’impero cartaginese era ora agitato dai preparativi per la lotta imminente. Annibale era la vita e l’anima di ogni movimento che egli aveva già pianificato ed eseguito. Il Senato cartaginese acconsentì e confermò tardivamente i suoi atti. Il suo audace piano era di attraversare i Pirenei e le Alpi e discendere su Roma da nord. Si assicurò le province in Spagna e Africa ponendo guarnigioni di iberici in Africa e di libici nella penisola. Furono inviati ambasciatori tra le tribù galliche su entrambi i versanti delle Alpi, per invitarli a prepararsi a unirsi all’esercito che sarebbe presto partito dalla Spagna.

L'esercito di Annibale era costituito da un misto di persone provenienti da molte terre diverse. Oltre ai Cartaginesi c'erano la cavalleria numidica e i soldati spagnoli. Più tardi molti Galli si unirono ad Annibale in Italia.

L’esercito di Annibale era costituito da un misto di persone provenienti da molte terre diverse. Oltre ai Cartaginesi c’erano la cavalleria numidica e i soldati spagnoli. Più tardi molti Galli si unirono ad Annibale in Italia.

Con questi preparativi completati, Annibale lasciò Nuova Cartagine all’inizio della primavera del 218 a.C., con un esercito che contava circa 100.000 uomini e comprendeva trentasette elefanti da guerra. Tra lui e i Pirenei c’era un paese ostile. Attraverso le tribù guerriere che resistettero alla sua marcia si fece strada fino ai piedi delle montagne che custodiscono la frontiera settentrionale della Spagna. Perse più di 20.000 dei suoi soldati in questa parte della sua marcia.

Annibale, generale cartaginese
Annibale, generale cartaginese

Annibale (247 – 183 a.C.), il grande generale cartaginese, figlio di Amilcare Barca, nato a Cartagine e morto in Bitinia. Dopo aver preso Sagunto, alleata dei Romani, attraversò la Spagna, il sud della Gallia, varcò le Alpi presso il Monginevro (Montgenèvre). sconfisse i Romani al Ticino, Trebbia (218) al Trasimeno (217), e poi a Canne (216), quindi prese Capua.

Fu sconfitto a Zama da Scipione l’Africano (202). Dopo la sconfitta, si rifugiò presso Antioco, re di Efeso, poi presso Prusia, re di Bitinia. Quando seppe che il suo protettore voleva consegnarlo ai Romani, si uccise con il veleno, che portava sempre con sé in un anello (247-183 a.C.).

Annibale aveva solo nove anni quando, quando vide suo padre, l’illustre Amilcare Barca, recarsi al tempio per offrire un sacrificio agli dei e chiedere loro di essergli favorevoli durante la guerra che stava per intraprendere; Annibalo lo chiamò perché lo portasse con sé. Sopraffatto dalle preghiere del figlio, nel quale vedeva già un futuro eroe, Amilcare lo prese in braccio e, giunto al tempio, gli fece giurare odio eterno verso i Romani. Questo giuramento di Annibale da bambino è spesso ricordato nella letteratura, nella quale Annibale  è ricordato anche per altri episodi :

  • Annibal ad portas! (Annibale è alle nostre porte!  – Cicerone, De finibus bonorum et malorum, IV, 9. e Livio, XXIII, 16) grido di allarme che i Romani lanciarono dopo la battaglia di Canne. Un grido divenuto poi proverbiale per indicare un pericolo imminente.
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  • “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”, “mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”. (Tito Livio, Storie, XXI, 7, 1). Frase divenuta anch’essa proverbiale, usata per ammonire qualcuno dal non perdere tempo mentre una situazione di emergenza diviene sempre più pressante. Il cardinale Salvatore Pappalardo citò queste parole durante l’omelia funebre del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso dalla mafia nel 1982.
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  • Gli ozi di Capua, riferito al rilassarsi dei costumi dell’esercito cartaginese una volta giunto a Capua e averne goduto le delizie.
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  • “Sai vincere, Annibale, ma non sai approfittare della vittoria”; queste furono le parole rivoltegli dal suo luogotenente Maarbale dopo la vittoria di Canne, rimproverando al suo generale di non aver attaccato subito Roma.  Questa citazione viene spesso rivolta a colui che non sa approfittare di un vantaggio e si ferma davanti ad un successo.

(Da Larousse Universel en 2 Volumes, Nouveau Dictionnaire Encyclopédique, 1923 con aggiunte e integrazioni)

Passaggio dei Pirenei e del Rodano

Lasciando un forte esercito a presidiare le terre appena conquistate e scaricando altri 10.000 dei suoi uomini che avevano cominciato a protestare a causa delle loro difficoltà, si spinse con il resto attraverso i Pirenei e li condusse nella valle del Rodano. I Galli tentarono di contestare il passaggio del fiume, ma furono sconfitti e l’esercito fu traghettato attraverso il torrente su barche indigene e su zattere rozzamente costruite.

Itinerario annibale
L’tinerario di Annibale

Passaggio delle Alpi

Quando i soldati esausti di Annibale iniziarono la lunga discesa dalle Alpi verso l'Italia furono colpiti dalle prime bufere di neve invernali. Molti precipitarono verso la morte sui sentieri ghiacciati, altri sono morti di malattia o per il freddo gelido.
Quando i soldati esausti di Annibale iniziarono la lunga discesa dalle Alpi verso l’Italia furono colpiti dalle prime bufere di neve invernali. Molti precipitarono verso la morte sui sentieri ghiacciati, altri sono morti di malattia o per il freddo gelido.

Annibale seguiva ora il corso del Rodano, e poi uno dei suoi affluenti orientali, l’Isere, fino a raggiungere la pedemontana, probabilmente sotto il passo del Piccolo San Bernardo. Natura e uomo si unirono per opporsi al passaggio. La stagione era già molto avanzata, – era ottobre – e la neve cadeva sulle parti più alte del sentiero. Giorno dopo giorno l’esercito procedeva faticosamente lungo il pericoloso sentiero. In alcuni punti la via stretta doveva essere resa più larga per i corpi mostruosi degli elefanti. Spesso valanghe di pietra venivano scagliate sulle trupe dalle bande ostili che tenevano il possesso delle alture soprastanti. Finalmente la vetta fu raggiunta e l’esercito tremante guardò giù nella calda foschia delle pianure italiane. Bastava la sola vista a risvegliare gli animi rattristati dei soldati; ma Annibale li incitava ancora di più, ricordando loro che stavano sulla cittadella d’Italia e che Roma giaceva nella pianura che stava al di là. L’esercito iniziò la sua discesa, e alla fine, dopo molte fatiche e perdite eguagliate solo da quelle dell’ascesa, i suoi ormai esigui battaglioni uscirono dalle gole dei monti sulle pianure del Po. Dei 50.000 uomini e più con cui Annibale aveva iniziato il passaggio, appena la metà di quel numero era sopravvissuto alla marcia, e questi “sembravano più fantasmi che uomini”.

Battaglie del Ticino, della Trebbia e del Lago Trasimeno

Annibale e il suo esercito in marcia
Annibale e il suo esercito in marcia

I romani non avevano la minima idea dei piani di Annibale. Con la guerra decisa, il Senato aveva inviato uno dei consoli, Tiberio Sempronio Longo, con un esercito in Africa dalla Sicilia; mentre all’altro, Publio Cornelio Scipione, avevano ordinato di condurre un altro esercito in Spagna.

Mentre il Senato osservava i movimenti di queste spedizioni, furono sorpresi dalla notizia che Annibale, invece di essere in Spagna, aveva attraversato i Pirenei ed era tra i Galli sul Rodano. Sempronio fu frettolosamente richiamato dalla sua spedizione in Africa, a difendere l’Italia. Scipione, in viaggio per la Spagna, aveva toccato Massilia e là apprese dei movimenti di Annibale. Tornò indietro, si precipitò nell’Italia settentrionale e vi prese il comando delle guarnigioni. La cavalleria dei due eserciti si scontrò sulle sponde del Ticino, affluente del Po. I romani furono sbaragliati sul campo dall’assalto feroce dei cavalieri numidi. Scipione attendeva ora l’arrivo dell’altro esercito consolare, che si affrettava per l’Italia a marce forzate.

Nella battaglia della Trebbia (218 a.C.) gli eserciti uniti dei due consoli furono quasi annientati. I profughi fuggiti dal campo cercarono rifugio dietro le mura di Placentia. I Galli, che stavano aspettando di vedere da che parte avrebbe girato la fortuna, ora accorsero sotto lo stendardo di Annibale e lo salutarono come il loro liberatore.

La primavera successiva alla vittoria della Trebbia, Annibale guidò il suo esercito, ora reclutato tra molti Galli, attraverso l’Appennino, e si mosse verso sud. Al lago Trasimeno si scontrò contro i romani guidati da Flaminio, in una gola di montagna, dove la maggior parte dell’esercito romano, sorpreso anche dalla nebbia che riempiva la valle, venne massacrato e lo stesso console cadde in battaglia.

Victor Mature nel ruolo di Annibale nel film omonimo di Carlo Ludovico Bragaglia ed Edgar G. Ulmer, del 1959
Victor Mature nel ruolo di Annibale nel film omonimo di Carlo Ludovico Bragaglia ed Edgar G. Ulmer, del 1959. “Il film è il primo in cui compaiono i celebri attori Mario Girotti e Carlo Pedersoli, ossia Terence Hill e Bud Spencer, che qui però recitano in scene separate. Il loro primo film assieme sarà Dio perdona… io no! del 1967, con la regia di Giuseppe Colizzi.” (Fonte Wikipedia). Va fatto notare come in alcune edizioni in Dvd della pellicola, soprattutto quelle per il mercato tedesco, la copertina rappresenti in bella vista i volti e i nomi di Terence Hill e Bud Spencer, con tanto di elmi da legionari, come se fossero loro i veri protagonisti del film e come se recitassero nelle stesse scene. E il povero Victor Mature? Quasi sparito dai credits, o comunque messo in secondo piano. D’altronde lui che fa in fondo? Recita solo il ruolo di Annibale!

La strategia di Annibale

La via per Roma era ormai aperta. Credendo che Annibale avrebbe marciato direttamente sulla capitale, il Senato fece distruggere i ponti che attraversavano il Tevere e nominò dittatore Fabio Massimo. Ma Annibale non ritenne saggio scagliare le sue truppe contro le mura di Roma. Attraversato l’Appennino, toccò l’Adriatico al Piceno, da dove inviò a Cartagine i messaggeri a recare notizie delle sue meravigliose conquiste. Qui fece riposare il suo esercito dopo una marcia che ha pochi riscontri negli annali di guerra.

Sotto un aspetto solo gli eventi avevano deluso le aspettative di Annibale. Aveva pensato che tutti gli stati d’Italia fossero, come i Galli, pronti a ribellarsi da Roma alla prima occasione che si fosse loro offerta. Ma nessuna città si era finora dimostrata infedele a Roma. L’aiuto che Annibale si aspettava dagli Italici e che invitava ad unirsi alla sua causa, promettendo loro un trattamento migliore dei romani che li tenevano ora nelle loro mani come prigionieri, era destinato a non riceverlo mai.

Sapendo che la Repubblica era in pericolo di morte, il governo romano fece un passo drastico e dichiarò Fabio (a cavallo) suo dittatore. Si sperava che Fabio Massimo avrebbe usato i suoi poteri per schiacciare Annibale, ma il nuovo dittatore scelse invece di temporaggiare e fiaccare.
Sapendo che la Repubblica era in pericolo di morte, il governo romano fece un passo drastico e dichiarò Fabio (a cavallo) suo dittatore. Si sperava che Fabio Massimo avrebbe usato i suoi poteri per schiacciare Annibale, ma il nuovo dittatore scelse invece di temporaggiare e fiaccare.

Fabio “il Temporeggiatore”

Gabriele Ferzetti nel ruolo di Quinto Fabio Massimo, nel film Annibale del 1959
Gabriele Ferzetti nel ruolo di Quinto Fabio Massimo, nel film Annibale del 1959. Fabius Cunctator (o il Temporizzatore), nato nel 275 a.C., proveniva da una nobile e illustre famiglia romana ed era stato eletto console ben cinque volte. Nominato dittatore dopo la sconfitta del Trasimeno (217 a.C.), ebbe l’incarico di guidare la guerra contro Annibale, con pieni poteri, per sei mesi. Con la sua prudente tattica di logoramento riuscì a fermare l’avanzata del generale cartaginese, pur venendo contrastato in patria e dagli alleati e tacciato addirittura di viltà. Prese Tarentum nel 215 a.C ( o nel 209). Minuzio Rufo, comandante della cavalleria, si oppose alla sua strategia militare della terra bruciata e dei piccoli scontri per sfiancare il nemico, inducendo i romani ad un mutamento di rotta che li porterà alla disfatta di Canne. Morì nel 203 a.C., prima di vedere la fine della seconda guerra punica. Era della fazione contraria alla posizione di Scipione l’Africano di invadere l’Africa per costringere Annibale a rientrare a Cartagine. Nella letteratura si è ricordata spesso la saggia circospezione di Fabio il Temporeggiatore.

Il dittatore Quinto Fabio Massimo, alla testa di quattro nuove legioni, si mise all’inseguimento di Annibale, che era di nuovo in movimento. Il destino di Roma era nelle mani di Fabio. Se avesse dovuto ingaggiare con lui battaglia e perderla, il destino dell’Urbe sarebbe stato segnato. 

Decise di adottare una politica più prudente: seguire e infastidire l’esercito cartaginese, ma rifiutare ogni provocazione o battaglia. Così si poteva guadagnare tempo per formare un nuovo esercito e perfezionare misure per la difesa pubblica. In ogni modo Annibale si sforzò di attirare il suo nemico in uno scontro. 

Devastò i campi in lungo e in largo e diede l’assalto alle fattorie degli italici, per costringere Fabio a combattere in loro difesa. I soldati del dittatore cominciavano a mormorare di malcontento. Lo chiamavano Cunctator o “il Temporeggiatore”. Lo accusarono persino di tradimento della causa di Roma. Ma nulla lo smosse dal perseguimento costante della politica che chiaramente vedeva essere l’unica via prudente da seguire. Annibale marciò attraverso il Sannio, desolando il paese mentre procedeva, poi discese nelle ricche pianure della Campania. Fabio lo seguiva da vicino e sui monti, da dove non lasciava partire i suoi soldati, che erano obbligati a guardare, con tutta la calma possibile, le devastazioni del nemico che procedevano sotto i loro stessi occhi.

Le milizie pregarono Fabio che li conducesse giù nella pianura, dove potessero almeno sferrare qualche colpo in difesa delle loro case. Fabio rimase impassibile al loro clamore. Aveva in programma, tuttavia, di intrappolare Annibale. Sapendo che il nemico non poteva sostenersi in Campania durante l’inverno che si avvicinava, ma che doveva ripassare le montagne in Puglia, pose una forte guardia nel passo per il quale i cartaginesi dovevano ritirarsi, per poi aspettare in silenzio i loro movimenti. 

Annibale, si dice, ricorse a uno stratagemma per allontanare i difensori del sentiero di montagna. Alle corna di duemila buoi fece legare torce ardenti e poi questi animali furono condotti una notte sulle colline che sovrastavano il passo. Questi animali, resi frenetici dal dolore e dalla paura, si precipitarono lungo le catene montuose che costeggiavano il passo, portando gli esploratori romani a credere che i Cartaginesi stessero avanzando a forza sulle colline, lanciati in una grande corsa. Immediatamente le guardie sul passo lasciarono la loro posizione per intercettare il nemico in fuga. Mentre inseguivano il bestiame, Annibale marciò tranquillamente con tutto il suo bottino attraverso la gola incustodita e fuggì nel Sannio. 

Una riunione in Senato, dal film Annibale del 1959
Una riunione in Senato, dal film Annibale del 1959

La leadership di Fabio messa in discussione

La fuga dell’esercito cartaginese fece scoppiare in aperta opposizione il soffocato malcontento che già serpeggiava verso Fabio e la sua politica, tanto tra i cittadini della capitale quanto tra i soldati del campo. Minucio, comandante della cavalleria, disobbedì all’ordine del dittatore di astenersi da ogni scontro col nemico e fu tanto fortunato da ottenere un piccolo successo. 

Questo condusse gli eventi a una grave crisi. Con un voto dell’assemblea pubblica Minucio fu nominato co-dittatore con Fabio. Ora questi cercava uno scontro con i Cartaginesi e presto gli si presentò un’opportunità. Ma la fortuna fu contro di lui; e se non fosse stato per il tempestivo aiuto di Fabio, le sue forze sarebbero state fatte a pezzi. Minucio riconobbe subito la temerità della sua politica e riprese la sua vecchia posizione di subordinato; mentre Fabio, per acclamazione universale, fu dichiarato “Salvatore di Roma”.

Annibale Barca alla battaglia di Canne, incisione dell'Ottocento
Annibale Barca alla battaglia di Canne, incisione dell’Ottocento

La battaglia di Canne (216 a.C.)

Il tempo guadagnato da Fabio aveva consentito ai Romani di formare e disciplinare un esercito che potesse sperare di combattere con successo le forze cartaginesi. Intanto la dittatura di Fabio Massimo era scaduta. Il console patrizio si chiamava Lucio Emilio Paolo; quello plebeo, Gaio Terenzio Varrone. Erano tra loro divisi su tutto in consiglio. Varrone, avventato, voleva venire al più presto in battaglia col nemico. 

La durata annuale della carica di capi magistrati e il continuo avvicendarsi degli stessi, sempre diversi, era in tempo di guerra, fonte di debolezza e di sconfitte per i romani. Il voto popolare spesso non riusciva a scegliere generali sicuri ed esperti. I demagoghi controllavano spesso le elezioni, come ad Atene al tempo di Cleone e Alcibiade.  

All’inizio dell’estate dell’anno 216 a.C., tuttavia, forti dei nuovi arruolati, che contavano 80.000 uomini, sotto il comando dei due consoli, i romani affrontarono l’esercito di Annibale, che ammontava a non più della metà di quel numero, a Canne, in Puglia. Era il più grande esercito che i romani avessero mai radunato su un campo di battaglia. Ma gli eventi dimostrarono che era stato raccolto solo per affrontare la sconfitta più schiacciante che fosse mai capitata alle forze della repubblica. 

Con le sue abili manovre, Annibale, accerchiò completamente i Romani e li costrinse a raggrupparsi in una massa inerme sul campo, per poi fare da facile bersaglio, per ben otto ore, alla cavalleria Numidia. Furono trucidati dai cinquanta ai settantamila uomini; poche migliaia furono fatti prigionieri; solo un’esigua manciata riuscì a fuggire, incluso uno dei consoli. La strage fu così grande che, secondo Livio, quando Magone, fratello di Annibale, portò la notizia della vittoria a Cartagine, questi, a conferma della notizia, versò nel portico del senato interi sacchi di anelli d’oro presi dalle dita dei cavalieri romani.

La Battaglia di Canne>

Battaglia di Canne
Battaglia di Canne, 2 agosto del 216 a.C

1 fase: schieramento degli eserciti sulla destra dell’Ofanto. Annibale colloca sull’ala sinistra la cavalleria pesante gallo-spagnola

2 fase: la cavalleria pesante cartaginese sbaraglia l’ala destra romana e quindi, girando alle spalle dello schieramento nemico, mette in fuga anche l’ala sinistra romana, attaccata di fronte dalla cavalleria leggera cartaginese. Nel frattempo la fanteria romana preme contro il centro cartaginese, che arretra.

3 fase: l’esercito romano, incuneatosi nello schieramento cartaginese, viene attaccato alle spalle dalla cavalleria pesante nemica, rimanendo completamente accerchiato

Eventi successivi alla battaglia di Canne

La terribile notizia arrivò a Roma. La costernazione e la disperazione presero tutto il popolo. La città si sarebbe stata svuotata se il Senato non avesse ordinato la chiusura delle porte. Mai prima, i padri coscritti mostrarono maggiore calma, saggezza, prudenza e determinazione. Con le parole e con gli atti, esortavano il popolo a non disperare mai della repubblica. 

A poco a poco il panico si placò. Furono concordate misure per la difesa della capitale, poiché ci si aspettava che Annibale marciasse immediatamente su Roma. Veloci cavalieri furono inviati lungo la via Appia per raccogliere informazioni sui movimenti del conquistatore e per sapere, come dice Livio, “se gli dei immortali, per pietà dell’impero, avessero lasciato qualche resto del nome romano. ”

Il capo della cavalleria numida, Maarbale, esortò Annibale raccogliere subito i frutti della sua vittoria. «Fammi avanzare con la cavalleria», disse, «e tra cinque giorni cenerai nella capitale». Ma Annibale rifiutò di adottare il consiglio del suo impetuoso generale. Maarbale si voltò e con un misto di rimprovero e impazienza esclamò: “Ahimè, tu sai come ottenere una vittoria, ma non come sfruttarla”. Il gran comandante, pur sapendo di essere invincibile in campo aperto, non ritenne prudente combattere i Romani dietro le loro mura.

Annibale inviò quindi un’ambasciata a Roma per offrire condizioni di pace. Il Senato, fedele alla politica appiana di non trattare mai con un “nemico vittorioso, non permise nemmeno agli ambasciatori di entrare per le porte. Non meno deluso fu Annibale per il carattere degli alleati romani. Per la maggior parte in parte aderirono alla causa di Roma con incrollabile lealtà in tutti questi tempi difficili. 

Alcune tribù dell’Italia meridionale, tuttavia, tra cui i Lucani, gli Pugliesi e i Brutti, passarono dalla parte dei Cartaginesi. Annibale marciò in Campania e qui sistemò il suo esercito per l’inverno nella lussuosa città di Capua che gli aveva aperto le porte. Qui si riposò e inviò urgenti messaggi a Cartagine per rinforzi, mentre Roma esauriva ogni risorsa nel reclutare ed equipaggiare nuove leve, per prendere il posto delle legioni perdute a Canne. Per diversi anni ci fu una tregua in questa terribile guerra, mentre entrambe le parti stavano raccogliendo le forze per un rinnovamento della lotta. 

In realtà i soldati di Annibale, secondo Livio, furono fatalmente rammolliti nel corpo e nella mente dagli influssi di quella capitale sibarita che era Capua. L’inverno fu da loro trascorso tra giri di banchetti, bevute, bagni e mollezze di ogni genere, sicché quasi ogni traccia del vigore e della disciplina di un tempo andò perduta. È opinione degli esperti nell’arte della guerra, aggiunge lo storico, che Annibale, trascorrendo l’inverno nei quartieri di Capua, commise un errore maggiore di quando trascurò di marciare su Roma dopo la battaglia di Canne, (Livio XXIII. 18).

La caduta di Siracusa e di Capua

Annibale sverna a Capua
Annibale sverna a Capua

Nell’anno 216 a.C morì Gerone, tiranno di Siracusa, che amava chiamarsi amico e alleato del popolo romano, e il governo cadde nelle mani di un partito ostile alla repubblica. Si formò un’alleanza con Cartagine e gran parte della Sicilia fu portata dalla parte dei nemici di Roma. L’insigne generale romano, Marco Claudio Marcello, detto “la Spada di Roma”, fu incaricato di riconquistare l’isola. Dopo aver sottomesso molte città, pose infine l’assedio a Siracusa.

Questa nota capitale era allora una delle città più grandi e ricche del mondo greco. Le sue mura erano forti e racchiudevano in circuito un’area di circa 30 km. Per tre anni essa resistette alle forze romane. Si dice che Archimede, il grande matematico, rese prezioso aiuto agli assediati con macchine curiose e potenti escogitate dal suo genio. Ma alla fine la città cadde e fu data al saccheggio (212 a.C.) e lo stesso Archimede fu ucciso. Roma venne adornata con le rare opere d’arte greca – dipinti e sculture – che per secoli erano state accumulate in questa città, la più antica e rinomata delle colonie dell’antica Grecia. Siracusa non si riprese mai dal colpo infertole in questo momento dagli implacabili romani.

Capua doveva poi essere punita per aver aperto le sue porte e aver offerto le sue ospitalità ai nemici di Roma. Fu tracciata una linea di circonvallazione intorno alla città rinnegata e due eserciti romani la tennero in stretto assedio. Annibale, sempre fedele ai suoi alleati ed amici, si affrettò in soccorso dei Capuani. Non potendo spezzare le linee nemiche, marciò direttamente su Roma, come per attaccare quella città, sperando così di trascinare le legioni intorno a Capua a difesa della Capitale.

Lo stesso “terrore Annibale” cavalcava lungo le mura dell’odiata città e, secondo la tradizione, egli scagliò persino una lancia provocatoria contro le sue difese. I Romani certamente tremavano di paura; eppure Livio racconta come essi manifestarono la loro fiducia nei loro affari vendendo all’asta pubblica la terra su cui si era accampato Annibale. Egli a sua volta, allo stesso modo, mise in vendita le botteghe antistanti il ​​Foro. La storia è che c’erano acquirenti desiderosi in entrambi i casi.

Non riuscendo a distrarre le legioni da Capua come aveva sperato, Annibale si ritirò prima da Roma e poi dall’Italia meridionale, abbandonando Capua al suo destino. Presto la città cadde e pagò la pena che Roma non mancò mai di infliggere a un alleato infedele. I loro capi furono messi a morte e gran parte degli abitanti furono venduti come schiavi (211 aC). Capua aspirava al primo posto tra le città d’Italia: dell’ambiziosa capitale ora restava poco più del nome.

Asdrubale in Spagna

Bashar Rahal, nella parte di Asdrubale nel film Tv
Bashar Rahal, nella parte di Asdrubale nel film Tv “Annibale” con protagonista Alexander Siddig, realizzato nel 2006 dalla BBC

Durante tutti gli anni che Annibale fece la guerra in Italia, suo fratello Asdrubale condusse una lotta disperata con i Romani in Spagna. Il suo piano era di radunare e condurre un esercito in Italia in aiuto di suo fratello. I romani fecero ogni sforzo per prevenire questa eventualità. Quindi, anche mentre Annibale minacciava la stessa Roma, troviamo il Senato che invia le sue migliori legioni e i generali attraverso il mare in Spagna

Ma Asdrubale possedeva gran parte del genio marziale del fratello e si dimostrò più che all’altezza degli Scipioni che comandavano le leve romane. Eppure le sorti della guerra furono più volubili qui che in Italia. In un primo tempo i Cartaginesi furono quasi cacciati fuori della penisola; poi il tutto fu riconquistato dal genio di Asdrubale, e i due Scipioni (Publio e Gneo Scipione, fratelli. Publio Cornelio Scipione era figlio del detto Publio Scipione) furono uccisi. 

Un altro esercito, al comando di Publio Cornelio Scipione, fu inviato a riconquistare il territorio perduto e a mantenere impegnato Asdrubale. La guerra fu rinnovata, ma senza risultati decisi da nessuna delle parti, ed Asdrubale decise di lasciare ad altri la guida del conflitto e andare in soccorso di suo fratello, che aveva tristemente bisogno di aiuto; poiché le calamità della guerra stavano costantemente assottigliando i suoi ranghi. Come Pirro, era stato portato a rendersi conto che anche le continue vittorie ottenute dalla perdita di soldati che non potevano essere sostituiti significavano la sconfitta finale.

Battaglia del Metauro (207 a.C.)

Asdrubale seguì la stessa via che era stata intrapresa dal fratello Annibale, e nell’anno 207 a.C. discese dalle Alpi sulle pianure dell’Italia settentrionale. Di là avanzò verso sud, mentre Annibale si mosse verso nord da Bruttium per incontrarlo. Roma fece un ultimo sforzo per scongiurare il doppio pericolo. Centoquarantamila uomini furono messi in campo. 

Uno dei consoli, Gaio Claudio Nerone, doveva ostacolare la marcia di Annibale; mentre l’altro, Marco Livio, doveva opporsi ad Asdrubale nel nord. Il grande sforzo dei generali romani fu quello di impedire l’incontro degli eserciti dei due fratelli. Asdrubale proseguì verso sud e attraversò il Metauro. Da qui inviò un messaggio ad Annibale, stabilendo un luogo di ritrovo a soli due giorni di marcia da Roma

Busto di Annibale e ricostruzione del suo volto
Busto di Annibale e ricostruzione del suo volto

Il messaggero cadde nelle mani del console Nerone. In un attimo si formò il piano del console. Con settemila soldati scelti, egli si affrettò verso nord, per unirsi a Marco Livio e con le loro forze schiacciare Asdrubale prima che suo fratello venisse a conoscenza dei suoi movimenti. In pochi giorni Nerone raggiunse l’accampamento del suo collega Livio, davanti al quale giaceva l’esercito cartaginese. 

Quando i soldati di Nerone entrarono di notte nell’accampamento del suo compagno, Asdrubale non seppe del loro arrivo fino al mattino successivo, quando si accorse che la tromba suonava due volte dall’accampamento nemico. Temendo di rischiare una battaglia, tentò di ripiegare attraverso il Metauro. Sviato dalle sue guide, fu costretto a voltarsi e affrontare i romani inseguitori. Il suo esercito fu completamente distrutto e lui stesso fu ucciso (207 a.C.).

Nerone si affrettò a tornare ad affrontare Annibale, portando con sé la testa di Asdrubale. Fece scagliare questo sanguinoso trofeo nell’accampamento cartaginese. Dopo aver riconosciuto i lineamenti di suo fratello, Annibale esclamò tristemente: “Cartagine, vedo il tuo destino!”.

Guerra in Africa: Battaglia di Zama (202 a.C.)

La Battaglia di Zama
La Battaglia di Zama

La sconfitta e la morte di Asdrubale diedero un aspetto diverso alla guerra. Annibale si ritrasse ora nella penisola rocciosa di Bruttium, il punto più meridionale d’Italia. Lì affrontò i romani come un leone in un angolo. 

Nessuno però osava attaccarlo. Si decise di portare la guerra in Africa, nella speranza che i Cartaginesi sarebbero stati costretti a chiamare fuori dall’Italia il loro grande comandante a difesa di Cartagine. Publio Cornelio Scipione, che dopo la partenza di Asdrubale dalla Spagna aveva rapidamente portato la penisola sotto il potere di Roma, guidò l’esercito d’invasione. 

Non trascorse molto tempo in Africa prima che il Senato cartaginese mandasse a chiamare Annibale per condurre la guerra. A Zama, non lontano da Cartagine, gli eserciti nemici si trovarono faccia a faccia. La fortuna aveva abbandonato Annibale e lui stava ormai combattendo contro il destino. Qui ha incontrò la sua prima e ultima sconfitta. Il suo esercito, in cui c’erano molti dei veterani che avevano servito in tutte le campagne d’Italia, fu quasi annientato (202 a.C.).

La fine della guerra

Scipione l'Africano
Scipione l’Africano.Publio Cornelio Scipione Africano (nato nel 183 a.C.; latino: Publius Cornelius Scipio Africanus Maior[a]), meglio conosciuto solo come Scipione Africano, è stato un generale, statista e politico romano della famiglia dei Corneli della Repubblica Romana eletto console due volte, nel 205 e nel 194 a.C., rispettivamente con Publio Licinio Crasso Dives e Tiberio Sempronio Longo. Uno dei più grandi generali romani di tutta la storia, sconfisse Annibale nella battaglia di Zama, ponendo fine alla Seconda guerra punica. La battaglia fu un completo disastro per Cartagine, che dovette implorare la pace e ricevette condizioni umilianti da Roma. Quando Scipione fu travolto dalle accuse dei suoi rivali di aver accettato una tangente dal re seleucide di Siria, Antioco III, che aveva sconfitto in Asia Minore, egli autoesiliatosi nella sua villa in Campania, si dice che abbia esclamato “Ingrata patria, non avrai neppure le mie ossa!” (Ingrata patria, ne ossa quidem mea habes). Morì pochi anni dopo, nel 183 a.C. Viene comunemente chiamato Africano maggiore per differenziarlo dal suo omonimo Publio Cornelio Scipione Emiliano, detto “Africano minore”, che distrusse Cartagine a seguito di un lungo assedio nel 146 a.C.

Cartagine era ormai completamente esausta e chiese la pace. Persino Annibale stesso non poteva più consigliare la guerra. I termini del trattato furono molto più severi di quelli imposti alla città alla fine della prima guerra punica. 

La città fu obbligata a rinunciare a tutte le pretese sulla Spagna e sulle isole del Mediterraneo; doveva consegnare i suoi elefanti e tutte le sue navi da guerra salvo dieci galee; pagare un’indennità di cinquemila talenti (circa qualche miliardo di euro attuali) in una volta e duecentocinquanta talenti all’anno per cinquant’anni. In nessun caso, poteva far guerra ad un alleato di Roma. Cinquecento delle costose galee da guerra fenicie furono rimorchiate fuori dal porto di Cartagine e bruciate agli occhi dei cittadini (201 aC).

Tale fu la fine della seconda guerra punica, o annibalica, come la chiamavano i romani, la lotta più disperata mai sostenuta da potenze rivali per l’impero. A Scipione fu accordato uno splendido trionfo a Roma e gli fu dato il cognome Africano in onore delle sue conquiste.

(Traduzione e adattamento dall’inglese “High school Ancient History, Greece and Rome” , di Philip Van Ness Myers, 1901)

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La terza guerra punica fu l’ultimo confronto militare tra la Repubblica Romana e l’antica colonia fenicia di Cartagine tra il 149 e il 146 a.C. Questa guerra fu molto più breve delle due precedenti e consistette principalmente nell’assedio romano della città di Cartagine, che portò infine alla sua totale distruzione e alla morte o riduzione in schiavitù di tutti i suoi abitanti. Così finì l’esistenza di Cartagine come nazione indipendente. 

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