La Guerra Civile Romana tra Mario e Silla o Seconda Guerra Civile della Repubblica Romana fu un conflitto politico e militare che ebbe luogo negli anni 83 – 82 aC. dC a Roma e in Italia. Si oppone da un lato ai partigiani della fazione populares, guidata da Cinna, Carbonio, Sertorio e Caio Mario “il giovane” e dall’altro al clan degli ottimi, guidato da Silla, circondato da Crasso, Quinto Cecilio Metello Pio , e Pompeo.
Ritorno di Silla in Italia
Tutto quello che stava succedendo in Italia dopo il ritorno di Mario, venne subito riferito a Silla che si trovava in Asia. Gli eventi nella penisola lo spinsero ad accelerare la risoluzione del conflitto con Mitridate e per ritornare con l’esercito in Italia a risollevare le sorti della sua fazione. Cinna e Carbone, che dirigevano la repubblica dopo la morte di Mario, non erano capaci di resistere alle armi di Silla; il quale approdava l’anno dopo nell’Italia meridionale, accolto amichevolmente da quasi tutte le città poste sul suo cammino.
Silla apriva la lotta con soli 40.000 uomini, confidando nel loro valore nel proprio merito e nella incapacità dei generali del partito popolare. Sertorio l’unico condottiero valido della parte Mariana, passava poco dopo in Spagna, mentre i soldati del console Scipione, durante una tregua, si schierarono in corpo dalla parte di Silla, che sconfiggeva così in battaglia l’esercito dell’altro console.
Silla entra col suo esercito a Roma, da Total War Arena
Anche il giovane Pompeo, seguito in questo da altri generali, con una grossa schiera di volontari e di partigiani, finì per unirsi a lui. L’anno seguente le cose per Silla non si misero tanto bene e lui si trovò in grave pericolo: il partito democratico tentò una riscossa estrema sotto Carbone e il giovane Mario, appoggiato dai Sanniti e dai Lucani, nemici giurati di Silla, il quale con una serie di vittorie riportate da lui e dai generali della sua parte, non tardò comunque a diventare l’arbitro della Repubblica.
Nell’anno 672 di Roma (82 a.C.) ogni moto era pacifcato in Italia e tutto dipendeva dal un solo cenno di Silla, il cui esercito diviso per guarnigioni nelle diverse città, vi soffocava con mano di ferro gli estremi aneliti della rivoluzione, mentre i suoi luogotenenti si assicuravano dell’ordine nelle provincie e trattavano le terre ostili al loro partito con estrema ferocia, cosicché nella sola Preneste furono trucidate dodicimila persone.
La dittatura e le proscrizioni
Silla, signore della repubblica e senza rivali, entrò con l’esercito in Roma e diede principio ad una serie di crudeltà fino ad allora inaudite e maggiori di quelle di Mario.
Crudeltà di Silla
Seimila soldati, salvatisi dalla strage generale nell ultima battaglia, vennero a sottomettersi al vincitore; il quale una volta fattili rinchiudere nella villa pubblica, vasta casa nel Campo Marzio, mentre parlava in Senato eloquentemente di sue imprese, ordinò segretamente che quelli venissero trucidati dal primo all’ultimo.
I senatori, sorpresi e spaventati alle grida di quegli infelici, credettero che la città fosse stata messa a ferro e a fuoco.
Ma Silla tranquillo in viso disse loro per rincuorarli “Sono solo alcuni malfattori che vengono giustiziati su mio ordine. Non datevi darsi pena della loro sorte”. Cominciò allora la proscrizione, che riempì di lutto e di sangue tutta l’Italia.
Il dittatore chiese prima al senato di essere investito del supremo potere e il popolo, docile, gli accordò autorità assoluta sulla vita e sulle sostanze dei cittadini.
Leggi e magistrati uomini e cose, tutto fu sottoposto all’arbitrio di Silla, creato dittatore a vita. Egli abusò iniquamente dell’autorità concessagli, cominciando dal mettere al bando della legge comune, tutti quelli che avevano in modo alcuno servito il governo della rivoluzione, dai moti di Sulpizio e di Mario fino alla resa di Preneste.
La morte e la confisca colpivano indistintamente i proscritti, i cui figli e nipoti rimanevano privati dei civili diritti, compresi i figli dei cittadini morti combattendo per la parte contraria.
Ogni mattina si affiggevano in pubblico le sanguinose tavole di proscrizione che il dittatore dichiarò di chiudere al primo di giugno. Per chi era iscritto in quelle liste fatali non vi era speranza di grazia, nė di luogo di rifugio, ma dovevano tutti indistintamente perire.
Chiunque li uccideva, riceveva un compenso in danaro e chiunque desse loro asilo o protezione, veniva inesorabilmente colpito dalla stessa pena. Quella carneficina si ripeteva ogni giorno in tutta Italia.
Le colonie militari e I Cornelii
Proscriveva talora intrere città, il cui territorio destinava a compenso delle sue legioni, divise in colonie militari nella penisola. Diede poi la libertà a 10 mila schiavi, che chiamò Cornelii dal suo nome, affinché questi stessero in Roma come sua permanente guardia del corpo
Riforme e morte di Silla
Ponendo la salvezza di Roma nella restaurazione dell’antica costituzione aristocratica, cominciò dall’abolire quanto ancora rimaneva delle riforme iniziate dai Gracchi e promosse da alcuni dei loro continuatori, tranne il diritto di cittadinanza che mantenne ed estese ad altri Italici.
Il Senato
Abbatté l’ordine dei Cavalieri, che tra proscritti e morti contò all’incirca oltre duemila vittime e che colpì nei privilegi degli appalti delle gabelle, togliendo anche loro il potere giudiziario che restituì al Senato. Questi, accresciuto ad un tratto di 300 nuovi membri nominati da Silla in persona, rimase depositario di ogni iniziativa sulle leggi e gli venne restituita la direzione della finanza e della amministrazione generale. Sicché questo corpo governativo tornò ad essere più potente di prima.
Umiliazione del Tribunato e della Censura
Abbatté la potenza dei tribuni della plebe, riconducendoli all’antico ufficio di difensori del popolo e con l’interdire a chiunque fosse investito di quella carica ogni magistratura curule. Diminuì le attribuzioni dei comizi e privò i censori delle principali loro prerogative per rafforzare il potere del senato e dell’aristocrazia.
Ma con tutto ciò Silla intraprese un’operazione inutile, perché l’antica costituzione non era più adatta ai nuovi tempi e nonostante i miglioramenti introdotti nell’amministrazione della giustizia, la repubblica, dopo la riforma di Silla, non si trovò in uno stato migliore di prima e il dittatore non raggiunse il suo scopo. Sembrandogli tuttavia ormai di aver compiuta la sua missione, l’uomo che aveva giocato orrendamente con la vita e con le sostanze di migliaia di cittadini e che aveva in ogni angolo di Roma un nemico mortale, rinunciava ad un tratto alla dittatura e tornava ad essere un privato cittadino.
Ritiro a vita privata
Abdicò infatti da tutti i suoi poteri davanti all’assemblea popolare, senza accettare il proconsolato attribuitogli dal governo della Gallia, dichiarando la sua disponibilità a rendere sempre conto della sua gestione della cosa pubblica. Senza che gli venissero poste domande, congedò i littori e tornò a casa come un semplice privatus.
Si stabilì in una villa a Puteoli, in Campania, vicino a quella di Caio Mario, che vendette poi a prezzo irrisorio alla figlia Cornelia. Lì scrisse i 22 libri delle sue Memorie (completate in seguito dal suo liberto Cornelio Epicado) e tornò alle compagnie dissolute che caratterizzarono la sua giovinezza, dedicando il suo tempo, secondo Plutarco, a bere e ad intrattenersi con i buffoni. Una condotta di vita considerata molto inappropriata per la sua vecchiaia e che metteva in discussione gran parte della sua autorità.
Morte di Silla (78 a.C.)
Silla morì a causa di una terribile malattia che, stando alle descrizioni lasciateci ancora da Plutarco, sembra essere stata una specie di cancro intestinale.
Dopo la sua morte nell’anno 78 a. C., di fronte ai dubbi su cosa farne del suo corpo, un gruppo di suoi veterani lo portò via dalla sua villa privata fino al Campo Marzio, dove fu eretta una grande pira funeraria nella quale fu cremato il corpo dell’ex dittatore, dando poi sepoltura alle sue ceneri. Sul suo epitaffio, scritto da lui stesso, stava scritto che nessuno lo aveva superato nel fare del bene ai suoi amici o del male ai suoi nemici.
(Adattamento e riduzione da Manuale di storia romana, Luigi Schiaparelli · 1865)
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La guerra contro Sertorio è un episodio delle guerre civili romane che oppongono una coalizione di iberici e romani ai rappresentanti del regime stabilito da Silla. Il nome del conflitto deriva dal nome di Quinto Sertorio, l’ultimo oppositore di Silla. Questa lunga guerra (dall’80 a.C. al 72 a.C.)1 è contrassegnata dall’uso riuscito di tattiche di guerriglia da parte di Sertorio. Dopo l’assassinio di Sertorio da parte del luogotenente Marco Perperna Veiento, il conflitto si concluse con la vittoria degli eserciti della Repubblica Romana guidati dai proconsoli Quinto Cecilio Metello Pio e Pompeo.
Intanto in Italia scoppia la grandiosa rivolta dei gladiatori, alla guida di Spartaco, lo schiavo della Tracia, e si processa il governatore della Sicilia, Verre, per corruzione e malversazione: ad accusarlo il giovane avvocato Cicerone.