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LA CONGIURA DI CATILINA (64-62 a.C.)

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Pompeo, proveniente da una famiglia di recente nobiltà, ricco proprietario terriero nel Piceno, partecipò giovanissimo alla lotta contro i partigiani di Mario in Sicilia e in Africa; fu proclamato imperatore dalle sue truppe, che gli diedero il soprannome di Magnus (il Grande); Silla non poteva rifiutargli il beneficio del trionfo a 25 anni. Combatte contro Sertorio in Spagna, poi schiaccia con Crasso le bande di Spartaco. Fu eletto console senza aver completato la carriera tradizionale della magistratura. Nel 67, riuscì in una campagna contro i pirati. Nel 66, gli fu affidata la guida della guerra contro Mitridate, che si trasformò in una conquista dell’Impero Seleucide.

Mentre le legioni erano assenti dall’Italia con Pompeo in Oriente, a Roma si formò l’ardita cospirazione di Lucio Sergio Catilina per prendere possesso del governo. Catilina era un giovane patrizio di brillanti capacità, ma dalla vita dissoluta – come molti appartenenti alla sua classe –  pieno di debiti, dai quali non vedeva altro modo per liberarsi se non gettando nella confusione la società e il governo. Con l’aspettativa di poter prendere il potere nelle sue mani, aveva radunato una grande compagnia di giovani altolocati e dissoluti, in bancarotta e disperati come lui, e aveva deliberatamente progettato, si diceva, di uccidere i Consoli e i capi dello Stato e di saccheggiare e bruciare la Capitale

Catilina2 Maccari affresco
Catilina, particolare da Cicerone denuncia Catilina  di Cesare Maccari , affresco, Palazzo Madama (Roma), 1880

Gli uffici del nuovo governo avrebbero dovuto essere divisi tra i congiurati. Questi cospiratori dipendevano da alcuni aiuti provenienti dall’Africa e dalla Spagna e si proponevano di arruolare sotto le loro insegne i gladiatori delle varie scuole d’Italia, nonché gli schiavi e i criminali. Le proscrizioni di Silla dovevano essere rinnovate e tutti i debiti dovevano essere cancellati.

Non si può supporre con certezza che Catilina stesso avesse dei piani di riforma o qualsiasi altro obiettivo se non la gratificazione delle proprie passioni e ambizioni; ma si crede che Gaio Giulio Cesare, un altro giovane patrizio, di vita altrettanto dissoluta e ugualmente sommerso dai debiti, lo appoggiasse nell’ombra. Cesare era tuttavia un uomo lungimirante e forse già nutriva piani illuminati per la riorganizzazione dello stato.

La cospirazione

Era intenzione di Catilina ottenere il consolato e usare l’autorità di questa carica per portare avanti i suoi piani. Quando fu sconfitto alle elezioni da Cicerone, decise di ottenere con la forza ciò che non era riuscito a ottenere con mezzi legali. I cospiratori organizzarono un’associazione segreta, composta da uomini scontenti appartenenti a varie classi, in tutte le parti d’Italia; quando si avvicinò l’autunno, uno dei loro aderenti, Marco Manlio, pose il suo stendardo a Faesule (Fiesole), nell’Etruria settentrionale e raccolse intorno a sé una forza considerevole: in parte marmaglia, in parte soldati ben addestrati. Dapprima non si sapeva con certezza, anche se lo si sospettava, che questo esercito fosse in combutta con i cospiratori.

 

Catilina e la congiura nei dettagli

Lucio Sergio Catilina era di famiglia patrizia, ma decaduta e impoverita; era dotato di ottime qualità d’ingegno ma la società corrotta in cui crebbe volse queste qualità al male. In lui si mescolavano virtù e vizi. Fra i più audaci partigiani di Silla, egli era stato strumento delle proscrizioni macchiandosi di sangue e raccogliendo infami ricchezze, che presto profuse nelle dissolutezze fra liberti, istrioni, compagni di gozzoviglie ed amori dissoluti.

Entrato nella vita politica, aveva sostenuto la carica di pretore nell’ 86 a. C.; nell’anno seguente era passato ad amministrare la provincia d’Africa, dove con malversazioni ed estorsioni si studiava di ripristinare le sue dissipate fortune. Ritornato dalla provincia nel 66 a. C., lo seguirono le lamentele e le accuse dei provinciali maltrattati, che trovarono un’eco nel senato; contro Catilina fu sporta accusa nei tribunali, per cui nell’estate dell’anno 60 a.C. presentatosi candidato per le le elezioni consolari, essendo sotto processso, vide la sua candidatura respinta.

Dal processo intentatogli, che si prolungò per quasi due anni (65 e 64), egli ne uscì assolto, pare mediante la corruzione dei giudici; ma nella rinnovata sua candidatura consolare, nella quale aveva come competitore M. Tullio Cicerone, rimase sconfitto. Al consolato per l’ anno 63 a.C. furono eletti C. Antonio, che di Catilina era amico, e Cicerone stesso, sebbene questi fosse un uomo nuovo e contro di sé avesse, sulle prime, la nobiltà. Ma poi questa, mutato consiglio, si era data a favorirlo, confidando che egli sarebbe stato un valido oppositore di Catilina, il quale nel 64 a. C. si era fatto ispiratore di una congiura per sovvertire la repubblica, ed ora, esasperato dalla nuova sconfitta elettorale, si volgeva a più feroci disegni, raccogliendo intorno a sé quanto vi era di più sinistro, di più inquieto ed ambizioso ed audace nella cittadinanza.

Si diceva che dalle trame di Catilina non fossero alieni M. Crasso e G. Cesare. L’anno del consolato di Cicerone fu in principio agitato per via della proposta di una legge agraria fatta dal tribuno P. Servilio Rullo con la quale (anno 63 a. C.) si cercava di fomentare il popolo nella speranza di larghe assegnazioni di terreno e insieme di dare singolari poteri nell’amministrazione dello stato ad alcuni capi popolari, eleggendoli a formare una commissione esecutrice della nuova legge.

Contro questa, a cui gli ottimati erano contrari, si oppose Cicerone contrastandola con tre orazioni, che ancora ci rimangono. Il tribuno Rullo disperando dell’esito, ritirò la sua proposta. Si avvicinava intanto il tempo dei comizi elettorali per i magistrati del 62 a.C. Catilina aveva rinnovato la sua candidatura e allo stesso tempo non cessava di stringere le fila della congiura, proponendosi di spargere il terrore nella città con degli incendi, uccidere Cicerone e i maggiorenti del senato, sollevare al governo uomini facinorosi, accendere le passioni popolari. Ma troppi erano e troppo imprudenti gli addetti alla cospirazione, della quale Cicerone ebbe notizia da una certa Fulvia, amante di un tale Quinto Curio compagno di Catilina; egli venne a sapere dei preparativi fatti a Roma e in Italia: in Etruria, presso Fiesole, un Manlio, veterano di Silla, aveva raccolto una forte schiera di altri veterani e di banditi; similmente aveva fatto un certo Settimio Camerte nel Piceno, come un C. Giulio nell’Apulia; molti schiavi erano stati fomentati ed erano pronti all’insurrezione.

 

Il giuramento di Catilina, 1809, Joseph Marie Vien
Il giuramento di Catilina, 1809, Joseph-Marie Vien

Soppressione della congiura

I congiurati all’interno dell’Urbe, stavano progettando, in riunioni segrete, di sollevare una rivolta, massacrare i magistrati e i principali cittadini, prendere possesso del governo e poi unirsi con l’esercito in Etruria. Ma il console Cicerone vigilava e li superò in astuzia. Tramite suoi emissari segreti si informò di tutti i loro movimenti; e proprio mentre si avvicinava il momento concordato per l’inizio della rivolta, fece conoscere al pubblico i loro piani. 

Cicerone denuncia Catilina, affresco, Cesare Maccari, 1889, Roma, Palazzo Madama
Cicerone denuncia Catilina, affresco, Cesare Maccari, 1889, Roma, Palazzo Madama

Il senato rivestì subito i consoli di potere dittatoriale con la formula consueta: che «badassero a che la repubblica non ricevesse danno». I gladiatori erano costantemente sorvegliati; le mura della città erano presidiate e in ogni punto la Capitale e lo Stato erano armati contro il “nemico invisibile”

Poi, nella camera del Senato alla presenza dello stesso Catilina, Cicerone smascherò l’intera congiura in un famoso discorso, noto appunto come “La prima orazione contro Catilina” (il corpus completo delle quattro orazioni è diventato celebre col nome di Le Catilinarie). I senatori si allontanarono dal cospiratore e lasciarono vuoti i seggi intorno a lui. Dopo un debole tentativo di rispondere a Cicerone, sopraffatto dalla vergogna e dalle grida di “traditore” e “parricida” dei senatori, Catilina si precipitò fuori dal Senato e si affrettò a fuggire via dalla città per dirigersi all’accampamento dei suoi seguaci in Etruria, capeggiati da Manlio. I suoi complici furono poi arrestati e messi a morte.

 

Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?

Il giorno delle elezioni, Cicerone si presentò in Campo Marzio armato di corazza sotto la toga, la qual cosa, insieme alle voci minacciose che correvano, parve indizio di grave pericolo. Furono eletti consoli D. Giunio Silano e L. Licinio Murena. Catilina fu un’ altra volta respinto; deliberò allora di non tardare più  lo scoppio della rivoluzione.

Si diffondevano gravi minacce  di tumulti che dovevano scoppiare il giorno 28 d’ottobre; il popolo era in grande timore. Il senato ai 21 d’ottobre fece decreto che dava ai consoli pieni poteri per difendere la repubblica; furono mandate milizie in Etruria, nel Piceno, in Apulia e in Campania; furono ordinate nuove leve; promessi premi ai delatori della congiura; disposte per la città molte sentinelle notturne.

Il 28 d’ottobre passò tranquillo. Al 1° di novembre, un tentativo fatto dai seguaci di Catilina di assalire la città di Preneste andò fallito. Nella notte dal 6 al 7 novembre, Catilina radunò i suoi più fidati in casa di M. Porcio Leca, assegnò a ciascuno sua parte e si deliberò di sorprendere al mattino Cicerone nella sua casa ed ucciderlo; ma anche questo disegno andò a vuoto, perchè Cicerone, per mezzo della sua polizia segreta, ebbe notizia d’ogni cosa. Il giorno 8 di novembre, il grande oratore convocò il senato nel tempio di Giove Statore; vi intervenne pure Catilina, forse allo scopo di stornare ogni sospetto, ma quando egli prese posto nel suo seggio i senatori suoi vicini si scostarono indignati.

Cicerone si alzò e lo investì con terribile eloquenza, smascherando tutti i suoi disegni (Prima Catilinaria).

Fino a quando, Catilina, intendi abusare della nostra pazienza? Fino a quando la tua follia si prenderà ancora gioco di noi? Quando finirà la tua sfrenata audacia, che si aggira spavalda come ora? Le guardie notturne piazzate sul Palatino, le veglie poste in tutta la città, l’allarme del popolo e l’unione di tutti gli uomini di buona volontà, la precauzione di riunire il Senato nel luogo più difendibile, gli sguardi e le facce di questo venerabile corpo qui presente, non hanno forse qualche effetto su di te? Non senti che i tuoi piani sono stati scoperti? Non vedi che la tua cospirazione è già stata smascherata e resa impotente dato che tutti i presenti ne sono a conoscenza? Che cosa hai fatto ieri sera, che cosa hai fatto la sera prima, dove sei stato, chi hai convocato, quale disegno hai adottato, che tu pensi nessuno di noi conosca?

( Cicerone, Prima Catilinaria  – Oratio in Catilinam Prima 1.1)

Catilina turbato uscì dal tempio profferendo parole di minaccia, e nella notte abbandonò Roma; fatta spargere voce che si recava in esilio volontario a Marsiglia, si diresse invece a Fiesole al campo di Manlio.

Tum ille furibundus: ‘Quoniam quidem circumventus’, inquit, ‘ab inimicis praeceps agor, incendium meum ruina restinguam.’

Allora egli (Catilina), furibondo, dichiarò: ‘Poichè mi trovo accerchiato e vengo trascinato nell’abisso dagli avversari, estinguerò il mio incendio con la rovina’.

(Sallustio, La Congiura di Catilina – De Catilinae Coniuratione, 31)

Il Processo ai congiurati e l’affaire degli Allobrogi

Cicerone il giorno 9, radunato il popolo in assemblea, diede notizia degli avvenimenti, rassicurando gli animi dei cittadini, che i consoli e il senato avrebbero vegliato a difesa dello Stato (Seconda Catilinaria). Catilina e Manlio furono dal senato dichiarati nemici della repubblica. C. Antonio console, che si temeva divenisse uno strumento di Catilina, era stato con accorte arti guadagnato dalla parte dei senatori Cicerone e con un esercito di 20.000 uomini passava in Etruria. Restarono in Roma alcuni capi della cospirazione: Cornelio Lentulo Sura, che era pretore, C. Cetego, L. Statilio, P. Gabinio e Cepario. I loro disegni erano noti. Urgeva procedere contro di essi. Ma come? La libertà e la persona del cittadino romano erano sacre, poste nella salvaguardia delle leggi.

ll console, sebbene rivestito dei pieni poteri, non osava affrontare la grave responsabilità di toccare la vita d’un cittadino, della quale solo il popolo poteva decidere. Conveniva almeno avere in mano prove inconfutabili della colpevolezza dei congiurati. Né fu difficile ottenerle. Si erano recati allora in Roma gli ambasciatori degli Allobrogi, popolo gallico (della Savoia), venuti a chiedere giustizia contro le angherie di magistrati romani.

Cornelio Lentulo credette di poter usare il loro malcontento istigandoli e far in modo che dalla loro contrade venissero aiuti all’esercito di Catilina. Gli Allobrogi accettarono, ma poi rivelarono tutto a Fabio Sanga, loro patrono e questi subito ne riferi a Cicerone. Si combinò che gli Allobrogi chiedessero a Lentulo e suoi complici lettere autentiche con cui trattare degli aiuti chiesti presso i loro connazionali. Furono allora date le lettere. Gli Allobrogi quindi partirono da Roma, la notte del 3 dicembre; ma appena usciti, a Ponte Milvio, furono sorpresi da gente appostata e furono loro  tolte le lettere compromettenti.

Subito furono citati in senato Lentulo, Statilio, Gabinio, Cetego, ed essi, non sospettando di nulla, si presentarono. Coi documenti alla mano furono smascherati delle loro trame. Lentulo abdicò dall’ufficio di pretore e fu incarcerato con gli altri. Il senato applaudì all’energica vigilanza di Cicerone; la sera di quello stesso giorno (3 dicembre) convocato il popolo, egli riferì sui recenti avvenimenti (Terza Catilinaria): cosa si doveva fare dei prigionieri? Le leggi Porcia e Sempronia proibivano si violasse alla libertà o alla vita d’un cittadino se non per sentenza del popolo. Alcuni fra i più autorevoli senatori volevano che il console in virtù dei pieni poteri procedesse alla condanna. Cicerone esitava di fronte a una cosi grave responsabilità; gli parve necessario di avere in suo appoggio un decreto del senato.

Alle none di dicembre (5 di dic.) i senatori furono convocati nel tempio della Concordia. Cominciata la discussione, fu prima data la parola a Giunio Silano, console designato: espresse essere suo avviso che i prigionieri fossero condannati a morte. Tutti i senatori consolari assentirono con lui. Fu poi data la parola a Giulio Cesare, pontefice massimo e pretore designato; sostenne avviso diverso e più mite: non si doveva proferire sentenza di morte, ma custodire i congiurati in perpetua prigionia, confiscandone i beni. Le ragioni di Cesare furono così efficaci che Silano e molti dei senatori mutando il loro primo pensiero, si schierarono con lui. Cicerone, che presiedeva l’adunanza, fece un riassunto delle ragioni addotte dalle due parti, non senza lasciar intendere ch’egli era dell’avviso dapprima espresso da Silano (Quarta Catilinaria).

E a corroborare le ragioni di Cicerone si levò M. Porcio Catone, che con vigorosa eloquenza e con amare recriminazioni contro Cesare; sospettato non essere estraneo alla cospirazione, rinnovò la proposta dell’estremo supplizio, traendo dalla propria parte l’oscillante maggioranza del senato. Si venne ai voti e fu concluso per la pena di morte, aggiuntavi la confisca dei beni. Cicerone, tutto ardore di zelo, eccitato dai conforti dei più autorevoli senatori, fece trarre i condannati al carcere Mamertino.

Per primo fu strangolato Cornelio Lentulo, poi Cetego, Statilio, Gabinio, Cepario. Il console dal carcere andato al Foro diede notizia della sentenza eseguita con le parole: «Hanno vissuto » (Vixerunt). Ebbe approvazioni, plausi e il nome di salvatore della patria.

La deliberazione presa dal senato era però illegale; la paura del momento presente aveva distolto tutti dalle responsabilità future; l’esaltazione delle menti nel pericolo aveva fatto acclamare Cicerone liberatore della patria. Ancora una volta si era usato fino alle estreme conseguenze il decreto dei pieni poteri, contro il quale il partito popolare aveva sempre protestato denunciandolo come un abuso. Restava per l’avvenire una vittima espiatoria: e dopo pochi giorni, prossimo ad uscire di carica, il console glorificato già si vide fatto segno d’invettive nelle assemblee tribunizie.

 

La battaglia di Pistoia

Catilina era sempre in armi in Etruria; muoveva contro di lui da Roma l’esercito di C. Antonio e alle sue spalle dalla Gallia Cisalpina, l’esercito di Q. Metello. Catilina aveva 20,000 uomini; alla notizia della morte di Lentulo, molti disertarono. Ridotto con pochi seguaci, Catilina cercò di salvarsi attraverso l’Appennino per raggiungere le Alpi. Ma le milizie consolari condotte dal legato Petreio lo raggiunsero presso a Pistoia

Vi fu una disperata e accanita battaglia, combattuta nei pressi della città toscana (62 a.C.) Nessuno dei ribelli volse in fuga, nessuno si arrese; cadde fra i primi Manlio; cadde poi anche Catilina gettandosi disperatamente nel folto della mischia quando vide la battaglia ormai perduta. La sua testa fu portata come trofeo a Roma. Cicerone fu salutato come il “Salvatore della Patria”. La soppressione della cospirazione all’interno della città fu rapidamente eseguita nel gennaio dell’anno successivo.

Il ritrovamento del corpo di Catilina, Alcide Segoni
Il ritrovamento del corpo di Catilina, Alcide Segoni

 

LX

Petrejo quindi, esplorata ogni cosa, fa dar nelle trombe, e passo passo inoltrar le coorti. Lo stesso fanno i nemici. Giunti a tiro di potersi i fanti leggieri azzuffare, con altissime grida spingendo innanzi le insegne, l’un l’altro si avventano: e gittate le lance, ne vengono ai brandi. I veterani, memori dell’antica virtù, stringono fortemente dappresso i ribelli: questi audacemente resistono; inferocisce orribilmente la pugna. Era Catilina a vedersi; coi più spediti fanti in prima fila aggirarsi, i vacillanti soccorrere, ai feriti supplire coi sani, a tutto badare, combattere egli stesso, e far strage; prode soldato ad un tempo, e gran capitano. Petrejo, vedendosi da Catilina, come già si aspettava, disperatamente investito, spinge fra le di lui squadre una coorte pretoriana, che rotti i loro ordini, quelli che qua e là resistevano, uccide: quindi egli per ogni fianco tutti gli assale. Manlio e il Fiesolano, combattendo fra’ primi, cadono estinti. Catilina, vede sbaragliato il suo esercito, e sè stesso da pochi attorniato, memore allora della stirpe e dignità sua, in mezzo ai più densi nemici si scaglia, ove pugnando è trafitto.

LXI

Finita la battaglia, visto avresti allora davvero, di quale e quant’animo fosse stato l’esercito di Catilina. Quasi ogni soldato, quel luogo stesso, che avea vivo nella battaglia occupato, morto, il copriva. Que’ pochi disordinati da prima dalle coorti pretoriane, benchè non nei lor posti, non caddero perciò feriti da tergo. Ma Catilina, assai lungi da’ suoi, fu trovato nel mezzo dei nemici cadaveri ancor palpitante; e tuttavia nell’esangue volto ritenea la prisca ferocia. Tra tanta moltitudine, in somma, niun libero cittadino nè combattendo, nè fuggendo fu preso: sì fattamente tutti, per aver l’altrui vita avean data la loro. La sanguinosa vittoria all’esercito del popolo Romano riuscì poco lieta, essendovi i migliori tutti rimasti, o morti sul campo, o mortalmente feriti. Quelli, che per curiosità o per amor di preda, a rivolger venivano i nemici cadaveri, chi l’amico, chi l’ospite, chi ’l congiunto, o chi pur anche il proprio privato nemico vi ravvisavano. Perciò tripudiare a vicenda ed affligersi, gioire vedevansi e lagrimare.

(Sallustio, La Congiura di Catilina, traduzione di Vittorio Alfieri)

 

 

(Trad. dall’inglese da High school Ancient History, Greece and Rome di Philip Van Ness Myers, 1901 con integrazioni da Storia Romana di Igino Gentile, 1885)

 Nel prossimo episodio – > :   Marco Tullio Cicerone, il più eloquente degli oratori romani e uno dei politici più influenti della Repubblica, nacque nei pressi di Arpino nel 106 a.C. Sventò la cospirazione di Catilina e fece giustiziare i suoi complici, guadagnandosi il soprannome di Pater Patriae (Padre della Patria). Senza rivali nell’oratoria giudiziaria, primeggiava per la ricchezza della sua immaginazione, la flessibilità di una mente geniale e ricca di idee, la grazia e la seduzione. Per l’abilità della sua dialettica, Cicerone si mostrò  meno vigoroso di Demostene nell’eloquenza politica. Come scrittore è il modello supremo dello stile latino. Nessuno dei prosatori di Roma superò la sua purezza, la ricchezza, l’armoniosa eleganza del suo stile. I suoi trattati: De oratore, Bruto e Orator, sono modelli di critica letteraria. I suoi trattati filosofici (Le Tusculanes, il Trattato sui doveri, De Republica, ecc.), nei quali pratica l’eclettismo della Nuova Accademia, sono testimonianze storiche del pensiero antico, oltre che modelli di eloquenza. Tra i suoi migliori discorsi politici ci sono le Verrine, le Catilinairie, la Pro Milone e i le Filippiche. La sua corrispondenza è un capolavoro letterario e storico di prim’ordine. Vedi lettere. 

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