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Nella mitologia greca, Elena era figlia di Zeus e della regina Leda, sorella gemella della regina Clitennestra di Micene, sorella di Castore e Polluce e moglie del re Menelao di Sparta. Quando aveva undici anni, fu rapita dall'eroe Teseo, tuttavia i suoi fratelli Castore e Polluce la riportarono a Sparta. Elena aveva la reputazione di essere la donna più bella del mondo, aveva perciò diversi corteggiatori, tra cui molti dei più grandi eroi della Grecia, e il suo padre adottivo Tindaro esitava a prendere una decisione a favore di uno di loro per paura di inimicarsi gli altri. Infine uno di loro, Odisseo (il cui nome latino era Ulisse), re di Itaca, risolse l'impasse proponendo che tutti i corteggiatori giurassero di proteggere Elena e qualunque marito avesse scelto. Elena poi sposò Menelao, che divenne re di Sparta. Elen aè descritta da Omero come colei che ha " le guance rosee". Ibico, Saffo e Stesicoro la chiamano "la bionda".
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Odisseo invoca l’infermità mentale
Il primo dei problemi con la coscrizione si ebbe con Odisseo (Ulisse), figlio di Laerte, re dell’isola di Itaca.
La sua bella e fedele moglie, Penelope, gli aveva partorito un figlio, Telemaco, ed essendo al culmine di una perfetta felicità domestica, non era disposto a rinunciarvi per partire per una guerra le cui sorti apparivano essere molto dubbie.
Quando Agamennone e Menelao, figlio di Atreo, stavano radunando i capi che si sarebbero impegnati ad attaccare Troia, giunsero all’isola di Itaca da Ulisse, figlio di Laerte. Questi era stato avvertito da un oracolo che se fosse andato a Troia sarebbe tornato a casa solo e bisognoso, avendo perduto tutti i suoi compagni, dopo vent’anni.
Igino, Fabulae 95
Ma invece di dare una risposta schietta, finse di essere in preda alla pazzia: indossò un cappello da pescatore, aggiogò un cavallo (o un asino) e un bue insieme e cominciò ad arare sulla riva del mare e sulla sabbia.
Ma Palamede, rilevando la finzione, posò il figlio del re di Itaca, Telemaco, a terra, proprio davanti all’aratro. Nel salvare il bambino, alzando il vomere per non colpirlo, Odisseo rivelò di essere in realtà sano di mente e fu costretto a unirsi alla spedizione.
E così, quando seppe che i portavoce sarebbero andati da lui, Ulisse indossò un berretto e fingendosi in preda follia, aggiogò un cavallo e un bue all’aratro. Palamede quando vide ciò, si rese conto che egli stava fingendo, e allora, preso dalla culla suo figlio Telemaco, lo mise davanti all’aratro dicendo ad Ulisse queste parole: “Sù andiamo! Falla finita con questa storia! Vieni e unisciti agli alleati”. Quindi Ulisse dovette promettere che sarebbe venuto, ma da quel momento in poi fu sempre ostile a Palamede.
Igino, Fabulae 95
Achille: chiamata alle armi per la Drag Queen
L’altro caso fu quello di Achille, figlio di Peleo e di Teti, ninfa del mare. Si dice che lei avesse immerso suo figlio, quando era bambino, nel fiume Stige, rendendolo così invulnerabile, tranne che nel calcagno destro, per il quale appunto lo teneva.
Vita breve ma gloriosa
Quando il ragazzo raggiunse i nove anni fu preannunciato a Teti che egli avrebbe potuto avere due possibilità su come condurre la sua esistenza futura: godere di una lunga vita ingloriosa tra gli agi e gli ozi, oppure dopo un percorso breve ma colmo di vittorie, morire alla fine da grande eroe. Naturalmente, desiderosa di prolungare la vita di suo figlio, l’affettuosa madre sperava che al giovane fosse riservato il primo dei due destini.
L’eroe con i tacchi a spillo
A tal fine lo condusse alla corte di Licomede, nell’isola di Sciro, nel mar Egeo, dove, travestito da fanciulla, fu allevato tra le figlie del re del paese.
Lo tenne tra le sue figlie vergini in abiti femminili sotto falso nome. Le ragazze lo chiamavano Pyrrha, poiché aveva i capelli fulvi, e in greco il rossa è chiama pyrrhos. Quando gli Achei scoprirono che era nascosto lì, mandarono dei portavoce al re Licomede per chiedere che fosse inviato in aiuto ai Danai. Il re negò che si trovasse lì, ma diede loro il permesso di perquisire il palazzo.
Lì, Achille si guadagnò anche l’amore di una di loro, Deidamia, che gli partorì un figlio, Neottolemo, che poi prese parte alla guerra contro Troia.
Quando Achille aveva nove anni, Calcante dichiarò che Troia non poteva essere presa senza di lui; così Teti, prevedendo che era destino che sarebbe perito se fosse andato in guerra, lo travestì da donna e lo affidò come fanciulla a Licomede. Allevato alla sua corte, Achille ebbe una relazione con Deidamia, figlia di Licomede, e gli nacque un figlio Pirro, che poi fu chiamato Neottolemo.
Apollodoro, Biblioteca III, 13, 8
Ora che era necessaria la presenza di Achille, a causa della profezia di un oracolo secondo la quale Troia non avrebbe potuto essere conquistata senza di lui, Menelao consultò l’indovino Calcante, che gli rivelò il luogo del suo nascondiglio.
La prima missione di Odisseo in incognito
Odisseo fu quindi inviato a Sciro, dove, per mezzo di un ingegnoso stratagemma, scoprì presto quale tra le fanciulle fosse in realtà l’oggetto della sua ricerca. Travestendosi da mercante, egli ottenne di essere introdotto al palazzo reale, dove offrì in vendita alle figlie del re dei gioielli di varia nature.
Le ragazze, salvo un’unica eccezione, esaminarono tutte le sue mercanzie con sincero interesse. Osservando questa circostanza, Odisseo concluse accortamente che colei che si teneva in disparte non poteva essere in realtà altro che il giovane Achille stesso.
Il richiamo delle armi
Ma per verificare ulteriormente la correttezza della sua deduzione, all’improvviso esibì una bella serie di armi, corazze ed elmi, mentre, a un dato segnale, si udirono all’esterno delle musiche che infiammavano gli animi per la battaglia: il corno che chiamava i soldati all’adunata.
A quel segnale, Achille, esplose in tutto il suo ardore bellicoso, prese le armi e si mise in posizione d’attacco, rivelando così la sua vera identità.
Si unì quindi alla causa dei Greci, accompagnato su richiesta del padre dal cugino Patroclo, e contribuì ad accrescere le forze della spedizione con truppe di Tessali, o Mirmidoni, come venivano chiamati, e anche con cinquanta navi. Peleo mandò Patroclo, figlio di Menezio, come compagno di suo figlio.
Il corteo si disperde tra gli applausi, e cercano di nuovo la soglia del re, dove nella camera centrale del palazzo Diomede ha da tempo esposto per attirare l’attenzione delle giovani vergini, i doni, pegno di ospitalità, ricompensa per la loro fatica. Invita le ragazze a scegliere tra quegli oggetti, quelli che più loro piacciano, né il pacifico monarca dice loro di no.
Ahimè! Come era semplice e ignaro Re Licomede, che non conosceva l’astuzia dei doni né gli inganni dei greci né le molte astuzie di Ulisse! Allora le altre fanciulle, guidate dai gusti del loro sesso, dal loro istinto naturale incline alle frivolezze, agitano i tirsi levigati, provano i tamburelli sonori o si cingono la fronte di fasce impreziosite di gioielli; vedono anche le armi, ma le considerano un dono per il loro potente sire.
Ma l’ardito figlio di Eaco, non appena vide davanti a sé lo scudo lucente tempestato di scene di battaglia – che per un caso brillava di rosso per le feroci tracce della guerra – appena vede vicina la lancia omicida, d’un tratto rabbrividisce, la fiamma gli sgorga dagli occhi, e sulla fronte scoperta gli si rizzano i capelli. Dimenticò subito le parole di sua madre, dimenticò il suo amore segreto: Troia ora riempiva tutto il suo petto.
Come un leone strappato dal seno della madre, si sottomette a essere addomesticato e si lascia pettinare la criniera, e impara ad avere timore reverenziale dell’uomo e a non infuriarsi se non quando gli viene comandato; ma se solo poi una volta l’acciaio vede brillare alla sua vista: ecco che la sua fedeltà è rinnegata, il suo domatore diventa il suo nemico e la prima vittima della sua fame, e prova vergogna ora per aver servito un timido signore.
Così quando si avvicinò, l’emulo splendore restituì i suoi lineamenti e si vide specchiato nell’oro che rifletteva, a questa vista, egli detestò se stesso e arrossì di vergogna
Allora Ulisse subito si avvicinò a lui e gli sussurrò: « Perché esiti? Ti conosciamo, sei l’allievo del Centauro Chirone, sei il nipote del Cielo e dell’Oceano; te la flotta dorica, te la Grecia intera attende con gli stendardi alzati per la marcia, e le stesse mura di Pergamo al tuo solo nome già si scuotono. Su! non indugiare più! Lascia che la perfida Ida impallidisca, e possa tuo padre essere orgoglioso della storia delle tue grandi gesta, e l’ingannevole Teti provi vergogna di aver tanto temuto per te.
Già Achille si stava liberando il petto dalla veste, quando Agirte, così come gli era stato comandato, suonò una fanfara di guerra: le giovani vergini fuggirono subito, gettarono qua e là i doni, e corsero ad implorare il padre: credettero di aver udito il segnale della battaglia.
Ma dal petto gli cadde la veste senza che Achille la toccasse, già lo scudo e la lancia corta spariscono nella presa della sua possente mano e nel suo braccio – meraviglioso a credersi! – e parve sovrastare con testa e le spalle Ulisse e Diomede: con uno splendore così terribile l’improvviso guizzo delle armi e il fuoco della guerra abbagliano la sala del palazzo.
Possente di membra, come per chiamare subito alla mischia Ettore, si ferma, in piedi, in mezzo agli spettatori terrorizzati che cercano invano la figlia di Peleo.
Stazio, Achilleide, I, 841- 884
(Libera traduzione e adattamento, da Myths and Legend of Ancient Greece and Rome di E. M. Berens, 1880 con aggiunte e integrazioni)
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La flotta greca sbarca, nel secondo anno dopo il ratto di Elena, a Misia, non lontano da Elea. Si confrontano prima con Telefo, re di Misia e figlio di Eracle che, allarmato dallo sbarco di un esercito così imponente, inviò le proprie truppe contro di esso. Dopo aspri combattimenti, Telefo scopre chi sono i capi dell'esercito nemico e la lotta cessa. La flotta greca torna a casa dopo questa prima spedizione e riposa per otto anni. Questa prima spedizione è raccontata nei Canti di Cipriano, la prima epopea del Ciclo di Troia, attribuita a Stasino e composta nel VI secolo a.C.; questa epopea è quasi del tutto perduta, ma conosciamo un riassunto trasmesso molto più tardi da Proclo nel V secolo.