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Atena, la guerriera dea della saggezza accende l'animo di Diomede che uccide un gran numero di guerrieri troiani, finché Pandaro non lo ferisce con una freccia. Diomede quindi prega Atena che gli offre una vista speciale per distinguere gli dèi dagli uomini e gli chiede di ferire Afrodite se mai verrà in battaglia. Lo avverte anche di non ingaggiare battaglia con nessun altro dio. Egli continua a far strage tra i Troiani. Infine, Enea (figlio di Afrodite) chiede a Pandaro di salire sul suo carro in modo che possano combattere insieme Diomede. Questi, poiché deve eseguire l'ordine di Atena, ordina a Stenelo di rubare i cavalli mentre affronta i due. Pandaro viene ucciso ed Enea è rimasto solo a combattere contro Diomede, che raccoglie un'enorme pietra e lancia contro il suo nemico. Enea sviene e viene salvato dalla madre prima che Diomede possa ucciderlo. Memore degli ordini di Atena, Diomede corre dietro ad Afrodite e le ferisce il braccio. Lasciando cadere il figlio, la dea fugge verso l'Olimpo.
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Nel frattempo, nella pianura davanti a Troia, Diomede inseguiva ancora ardentemente Enea, pur sapendo che l’eroe era sotto la protezione divina. Tre volte si precipitò, e tre volte Apollo lo respinse, ma quando fece il quarto tentativo,
L’arciere dei cieli, Apollo, dunque,
Con parole minacciose, lo rimproverò: “Diomede
Stai attento a te! Desisti! Non pensare di crederti
Uguale a un dio. La stirpe immortale
Degli dèi non è come quella
Di coloro che camminano sulla terra”.Omero, Iliade , Libro V
Diomede si ritrasse, temendo l’ira di Apollo, il quale portò via Enea e lo depose nel suo stesso tempio nella sacra Pergamo, la cittadella di Troia. Là Artemide e Latona, madre di Apollo, guarirono la sua ferita e gli restituirono la salute e la forza. Poi Apollo pregò Ares di assistere i Troiani nella battaglia, e in particolare di scacciare dal campo l’empio figlio di Tideo, che aveva osato attaccare gli immortali con la sua lancia, e ora avrebbe combattuto anche con Zeus stesso. Il dio della guerra acconsentì e, assumendo le sembianze di Acamante, un capo della Tracia, passò per le file troiane incoraggiando i capi a combattere valorosamente.
Anche l’eroe Sarpedonte esortó Ettore, e quindi il comandante in capo troiano, balzando da lì sul suo carro, e brandendo i suoi giavellotti, si precipitò tra le sue truppe incitandole alla battaglia.
Ben presto, però, i Greci furono costretti a ripiegare. I loro grandi capi, Agamennone e Menelao, e i due Aiace e Odisseo, compirono mirabili gesta di coraggio, uccidendo molti guerrieri troiani. Ma Atena aveva lasciato il campo e Ares combatteva dalla parte di Troia. Anche Enea era tornato alla battaglia con rinnovata forza e coraggio, ed Ettore e Sarpedonte erano al fronte, infliggendo perdite al nemico.
Un tale massacro dei suoi amati Greci non era gradita ad Hera, che stava osservando il conflitto dal suo posto sull’alto Olimpo, e pregò Zeus di permetterle di scacciare Ares dalla battaglia. Zeus acconsentì, ma le consigliò di affidare quel compito piuttosto ad Atena, che spesso prima aveva “portato gravi danni al dio della guerra”. Hera obbedì. Poi le due dee, che erano già salite sul grande carro della regina del cielo, scintillante di oro, argento e bronzo, partirono per l’accampamento dei Greci.
Cavalcando su questo magnifico carro, guidate dalla stessa Hera, “a metà strada tra la terra e il cielo stellato”, le dee scesero nella piana di Troia, vicino a dove il Simoide e lo Scamandro univano i loro fiumi. Là si posarono e gettarono una densa nebbia attorno al carro e ai destrieri per nasconderli alla vista dei mortali. Poi si affrettarono dove il più valoroso dei capi greci stava in piedi intorno al guerriero Diomede, Hera prese l’aspetto dell’araldo Stentore, che aveva una voce più forte del grido di cinquanta uomini. E così la regina del cielo gridava con parole di rimprovero: “Vergognatevi, Argivi! Siete eroi solo di nome. Mentre il divino Achille era con voi, combattendo al fronte, i Troiani non osavano neppure oltrepassare le loro porte, poiché temevano la sua potente lancia; ma ora sono quasi arrivati alle vostre navi.”
Ares va a tappeto
Anche Atena biasimò severamente Diomede per essersi trattenuto dalla battaglia, ma il guerriero rispose che era per suo comando che si era astenuto dall’attaccare Ares. “Non mi hai permesso”, disse, “di combattere con nessuno degli dei tranne Afrodite”.
“Non temere affatto questo Ares“, rispose Atena, “né nessuno degli immortali. Vieni ora e dirigi i tuoi destrieri contro il dio della guerra, e io sarò con te”. Così dicendo, e mettendosi sul capo l’elmo di Ade, che rendeva invisibile chiunque lo portasse, montò sul carro accanto al valoroso Diomede, e, prese le redini, si recò rapidamente dove il feroce Ares uccideva i guerrieri greci.
Appena Ares vide avvicinarsi Diomede, si precipitò contro di lui e gli scagliò contro la sua lancia di bronzo; ma Atena afferrò l’arma e la allontanò dal carro. Allora fu Diomede a spingere in avanti il suo giavellotto, ed era ancora Pallade che la dirigeva e vi aggiungeva la sua forza per rendere più efficace il colpo. L’asta trafisse il lombo del dio della guerra, provocandogli una profonda ferita.
Ares urla di dolore:
Forte come il ruggito che incontrano gli eserciti,
Quando quando milioni di grida scuotono il campo tonante.
Entrambi gli eserciti sussultano e si guardano intorno tremanti;
E la terra e il cielo si ribellano al suono.Omero, Iliade , Libro V
Il dio ferito scomparve in una nuvola scura e, salendo rapidamente sull’Olimpo, rivolse un amaro lamentela a Zeus contro Atena. Ma il re del cielo lo rimproverò severamente, dicendo che le sue sofferenze lui se le era proprio andate a cercare, perché la discordia e le guerre erano sempre la sua gioia. Tuttavia ordinò a Peone, il medico degli dèi, di sanare la ferita, cosa che fu subito fatta.
Nel frattempo Hera e Atena tornarono sull’Olimpo, mentre Ares veniva rimosso dal campo di battaglia. E ora la fortuna della guerra cominciò a favorire i Greci. I Troiani, non più aiutati da un dio che combatteva dalla loro parte, furono respinti fino alle loro mura, e sembrava che stessero per essere completamente sconfitti.
In questa pericolosa situazione Eleno, il profeta e indovino, consigliò al fratello Ettore di recarsi rapidamente in città e di chiedere alla madre, la regina, di convocare le matrone di Troia e di offrire con loro sacrifici e preghiere nel tempio di Atena, implorando l’aiuto e la protezione di quella dea. Il consiglio sembrava buono a Ettore.
Saltando dal suo carro, diede ordini all’esercito di combattere coraggiosamente durante la sua assenza. Poi si affrettò in città. Alla Porte Scee fu accolto da folle di mogli e madri e figlie ansiose, che chiedevano con trepidazione notizie dei loro mariti, figli e fratelli.
(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)
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Il fratello di Ettore, Eleno, mette in guardia dalla furia di Diomede, quindi manda Ettore nella città di Troia per raccontare alla madre cosa sta succedendo. Secondo le istruzioni di Eleno, la moglie di Priamo riunì le matrone nel tempio di Atena nell'acropoli e offre alla dea la veste più grande e bella di Troia. Promette anche un sacrificio di dodici giovenche se Atena avesse avuto pietà di loro e avesse spezzato la lancia di Diomede. Atena, ovviamente, non ascolta queste preghiere.