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Sia Cassandra che Laocoonte avevano avvertito i Troiani di non tenere il cavallo. Cassandra aveva ricevuto il dono della profezia da Apollo, ma fu anche maledetta dal dio e condannata a non essere mai creduta. Dei serpenti uscirono dal mare, inviati dal dio del mare Poseidone che voleva la caduta della città, e stritolarono Laocoonte ed entrambi i suoi figli mentre stavano compiendo un sacrificio sulla riva; un presagio divino che allarmò così tanto i Troiani, timorosi della punizione dei numi, che essi decisero di tenere il cavallo di legno.
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Per eseguire efficacemente lo stratagemma del cavallo, Odisseo aveva lasciato sulla riva il suo amico Sinone, con le mani legate e l’aspetto di un prigioniero fuggitivo.
Infatti, proprio in quel momento, fu condotto davanti al re uno straniero, che aveva le sembianze di un greco. Alcuni pastori troiani, trovandolo a girovagare sulla sponda del fiume, lo avevano fatto prigioniero. Quando gli fu chiesto chi fosse e perché si trovasse lì, egli ha raccontò una storia inventata.
Il suo nome, disse, era Sinone appunto, ed in effetti era greco. I suoi concittadini, avendo stabilito di rinunciare alla guerra, decisero di offrire uno di loro in sacrificio agli dei, affinché potessero tornare a casa col vento favorevole e scelsero lui come vittima da immolare.
Per sfuggire a quel terribile destino, egli si era dunque nascosto tra i canneti lungo le rive dello Scamandro, fino a quando la flotta greca non era partita.
Questo fu quindi il racconto di Sinone, cui i Troiani ci credettero e infatti il prigioniero venne liberato. Ma il re gli chiese di raccontare loro anche del cavallo di legno: perché fosse stato eretto e perché fosse stato lasciato nella pianura.
Quindi Sinone raccontò un’altra storia piena di menzogne. Disse che il cavallo era un’offerta di pace ad Atena, che era adirata perché il Palladio era stato portato via da Troia. Per quell’insulto nei suoi confronti, la dea aveva ordinato ai Greci di tornare nel loro paese, rifiutando loro ogni ulteriore aiuto finché non fosse stato riportato al suo legittimo posto. Quindi i Greci erano tornati a casa per cercare di ottenere nuove istruzioni da un oracolo. Calcante aveva suggerito loro di costruire il cavallo come espiazione per il loro crimine: un tributo alla dea offesa, sperando così di placare la sua giusta ira.
Sinone disse anche avevano fabbricato quella scultura votiva così grande, perché i Troiani non potessero trascinarla entro le loro mura attraverso le porte; infatti, se essa fosse stato portata in città, sarebbe diventata una protezione per la stessa Troia. Se invece fosse stata da loro profanata, il regno di Priamo sarebbe caduto.
“Abbiamo innalzato questa macchina meravigliosa,
così imponente, perché tra le vostre porte proibite non passi
e intercetti per voi i nostri migliori favori dal cielo;
ché una volta introdotto il cavallo da voi,
le nostre speranze son perdute;
e Troia potrà allora vantare un nuovo Palladio
ché così la religione e gli dèi ordinano:
se voi lo violate con mani profane, questo dono di Minerva,
la tua città brucerà tra le fiamme
(che presagio, o dèi, dalla Grecia volgete!)
Ma se viene accolto, e nelle vostre mani custodito
ed entro le mura di Troia, e nella città resta,
allora Ilio brucerà Argo e Micene
e il rovescio della sorte tornerà su di noi”.Virgilio, Eneide, Libro II
Il re Priamo e i Troiani credettero a questo racconto, anche perché la terribile notizia che giunse della disgrazia accaduta proprio in quel momento a Laocoonte e ai suoi figli, li persuase ancora di più.
Si decise quindi di portare l’enorme cavallo in città nonostante l’ammonimento di Cassandra: anche lei avvertì tutti che quella scultura in legno avrebbe portato la rovina a Troia.
Poiché tutte le porte della città erano troppo strette per permetterne l’ingresso al grande destriero, fu creata una grande breccia nelle mura, e fissando robuste funi ai suoi piedi, il cavallo fu condotto trionfante nel cuore stesso di Troia.
I Troiani, felicissimi di ciò che ritenevano fosse il loro successo definitivo nella guerra, decorarono i templi con ghirlande di fiori e si abbandonarono alla gioia, ai festeggiamenti e ai banchetti.
(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)
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Gli Achei entrarono nella città e uccisero la popolazione mentre era addormentata. Ne seguì un grande massacro che continuò fino al giorno dopo. I troiani, spinti dalla disperazione, reagirono ferocemente, nonostante fossero disorganizzati e senza leader. Nel corso dei furiosi combattimenti, alcuni indossarono le armature dei nemici caduti e lanciarono contrattacchi a sorpresa nei caotici scontri per le strade. Altri difensori della città, lanciarono tegole e qualsiasi altra cosa fosse pesante sugli attaccanti che erano davvero scatenati. Le prospettive erano comunque senza speranza, e alla fine i difensori rimasti furono trucidati e Troia interamente distrutta.