Rifornire una grande città di acqua abbondante e salubre è una questione non meno difficile che importante. Tutte le grandi capitali del mondo, antiche e moderne, si sono assicurate questo vantaggio solo con il più grande dispendio di lavoro e denaro. I re di Babilonia hanno speso un’immensa quantità di sforzi per distribuire l’acqua nei giardini e nelle residenze della loro capitale.
La più grande opera di Salomone, dopo il Tempio, fu il taglio di serbatoi (ancora esistenti come Piscine di Salomone) per la raccolta dell’acqua e la costruzione di condotti per condurla, da una distanza di diverse miglia, all’interno delle mura di Gerusalemme. Ma gli acquedotti dell’antica Roma erano le più stupende costruzioni di questa natura mai realizzate dagli abitanti di una città. La capitale era probabilmente meglio rifornita d’acqua di qualsiasi altra grande città dell’antichità o, forse, dei tempi moderni. Gli scrittori antichi paragonano ai fiumi i torrenti che gli acquedotti riversavano per le sue strade.
I dominatori dell’acqua: l’ingegneria idraulica romana
i Romani non erano soltanto abili costruttori di strade, ma vantavano un’eccellenza ineguagliabile anche nell’arte dell’ingegneria idraulica. Seppur lambita dal Tevere, la città eterna non poteva affidarsi unicamente al fiume per il suo approvvigionamento. I corsi d’acqua, infatti, trovavano maggiore impiego nel trasporto di merci e nello smaltimento delle acque reflue.
Per alimentare città e fortezze, era necessario piegare le leggi di gravità al proprio volere. L’ingegno romano ideò un sistema semplice quanto efficace: individuare una sorgente ad alta quota e convogliare l’acqua a valle, sfruttando la naturale pendenza del terreno.
L’acquedotto
La parola “acquedotto” significa semplicemente “condotto d’acqua” e si riferisce a una struttura che può essere costituita da gallerie, canali a cielo aperto o tubi aerei sostenuti da grandi archi in muratura che si snodano attraverso la campagna.Una volta raggiunta la città, l’acqua scorre in un bacino di distribuzione (castellum divisorium) sul fondo del quale si depositano limo e detriti. Questo bacino riduceva la pressione accumulata nel corso dei chilometri e non poteva tracimare, poiché il suo contenuto confluiva direttamente in tubature che servivano:
✓ gli edifici pubblici, come anfiteatri e terme;
✓ le fontane pubbliche;
✓ le case dei privati più abbienti.
Per ridurre ulteriormente la pressione, l’acqua veniva convogliata in piccole torri situate agli incroci delle strade, che rifornivano i quartieri in modo permanente: questo sistema di drenaggio costante impediva anche gli straripamenti.
Il sistema idrico di Roma fu avviato da Appio Claudio (circa 313 a.C.), che fece costruire un acquedotto che portava l’acqua in città dalle colline sabine, attraverso un canale sotterraneo lungo undici miglia. Con il bottino ottenuto nella guerra con Pirro fu costruito l’Acquedotto Anio, così chiamato perché portava l’acqua dal fiume Anio (Anio è il nome latino del fiume Aniene).
Un secondo acquedotto che partiva dallo stesso corso d’acqua, chiamato Anio Nova per distinguerlo dal condotto più antico, era lungo circa novanta chilometri. Scorreva sotto il suolo fino a circa dieci chilometri dalla città, quando veniva portato su arcate e quindi trasportato sopra i bassi livelli della capitale. In alcuni punti l’acquedotto si ergeva per più di trenta metri sopra la pianura. Durante la repubblica furono completati quattro acquedotti; sotto gli imperatori il numero fu portato a quattordici.
Sotto Domiziano (81-96 d.C.), la sola città di Roma aveva 1.350 fontane pubbliche. Man mano che cresceva, la Città Eterna si dotò di acquedotti che portavano così tanta acqua che il geografo Strabone li paragonò a dei fiumi. Eccone solo alcuni:
✓L’Aqua Marcia: costruita nel 144-140 a.C. da Quinto Marcio Re, comprende quarantotto chilometri di gallerie e circa undici chilometri di archi in muratura.
✓L’Aqua Virgo: lunga ventuno chilometri, fu costruita nel 19 a.C. per alimentare le terme.
✓L’Aqua Claudia: costruita da Claudio nel 52 d.C. per alimentare i palazzi imperiali, era ancora in uso nel V secolo, quando fu distrutto dai barbari.
Curatore delle acque di Roma a partire dal 97 d.C., Sesto Giulio Frontino (35-103), scrisse una relazione che oggi è per noi una fonte preziosa sugli acquedotti della capitale. Tra le altre cose, egli espresse preoccupazione per le deviazioni fraudolente e per i danni alle tubature causati da radici non curate, descrivendo al contempo la costruzione e la manutenzione degli acquedotti come “la migliore testimonianza della grandezza dell’Impero Romano (magnitudinis Romani imperii)”.
I Romani costruivano i loro acquedotti attraverso depressioni e valli su alti archi in muratura, non perché ignorassero il principio secondo cui l’acqua cerca un livello, ma perché non potevano costruire grandi tubi abbastanza robusti da resistere alla fortissima pressione a cui sarebbero stati sottoposti.
In alcuni casi si ricorreva al principio del sifone rovesciato, e i tubi (di solito di piombo o di terra) venivano posati lungo un lato di una valle e sul pendio opposto. Ma il loro rischio di incidenti, quando la pressione era forte, come abbiamo detto, ha portato all’adozione generale dell’altro metodo.
Per quanto riguarda gli acquedotti principali, che fornivano a Roma un volume giornaliero di circa un milione e mezzo di metri cubi d’acqua, sarebbe stato impossibile sostituire i canali in muratura con tubi metallici, perché i Romani non conoscevano la ghisa e nessun tubo, se non quelli in ghisa, avrebbe potuto sopportare una pressione così enorme”. – Rodolfo Lanciani, L’antica Roma
Le alte arcate degli acquedotti in rovina che corrono in lunghe linee spezzate sulle pianure al di là delle mura di Roma sono descritte da tutti i visitatori della vecchia capitale come la caratteristica più impressionante della campagna romana.
L’acquedotto Claudio: un gigante di pietra al servizio di Roma
L’acquedotto Claudio, inaugurato nel 52 d.C. dall’imperatore Claudio, rappresentava un’opera colossale che rivoluzionò l’approvvigionamento idrico di Roma. Con i suoi oltre 68 chilometri di lunghezza, di cui 15 in arcate, questo gigante di pietra garantiva alla città un flusso giornaliero di oltre 180 milioni di litri d’acqua.
Un’opera mastodontica:
La costruzione dell’acquedotto richiese un’impresa ingegneristica senza precedenti. La sorgente si trovava nel Lazio, vicino al fiume Aniene, e l’acqua viaggiava attraverso un sistema di canali sotterranei e condotti in muratura, fino a raggiungere la città. Per superare dislivelli e ostacoli naturali, vennero realizzate imponenti opere come il Ponte del Gard in Francia e gallerie scavate nella roccia.
Un impatto significativo:
L’acquedotto Claudio non solo garantiva acqua potabile per le abitazioni, le terme e gli edifici pubblici, ma alimentava anche fontane monumentali e giardini, contribuendo alla bellezza e al decoro della città. Inoltre, l’acqua in eccesso veniva utilizzata per irrigare i campi, favorendo l’agricoltura e la crescita economica.
Un’eredità duratura:
L’acquedotto Claudio rimase in funzione per oltre 400 anni, fornendo un servizio essenziale alla popolazione romana. Ancora oggi, seppur non più utilizzato per il trasporto dell’acqua potabile, l’acquedotto Claudio rappresenta un’importante testimonianza dell’ingegneria romana e del suo impatto sulla civiltà.
Curiosità:
- L’acquedotto Claudio è stato realizzato in pietra calcarea e travertino, con una tecnica di costruzione che prevedeva l’utilizzo di malta e pozzolana.
- La portata dell’acquedotto era tale da poter riempire una vasca di dimensioni olimpiche in meno di 24 ore.
- Lungo il percorso dell’acquedotto erano presenti numerosi edifici di servizio, come cisterne, torri di controllo e stazioni di manutenzione.
- Ancora oggi, sono visibili alcuni tratti dell’acquedotto Claudio, sia in città che in campagna, che offrono uno spaccato affascinante di questa grandiosa opera di ingegneria.
- L’acquedotto Claudio è un esempio emblematico della potenza e dell’ingegno della civiltà romana. Un’opera colossale che ha contribuito a migliorare la vita di migliaia di persone e che ancora oggi ci stupisce per la sua magnificenza e la sua funzionalità.
Anche se la tradizione vuole che sia stato preceduto da una struttura costruita da uno dei primi re, Anco Marzio (642-617 a.C.), grazie a questo l’acqua veniva attinta da una sorgente a sedici chilometri dalla città, e scorreva attraverso un tunnel fino alla periferia prima di imboccare un canale aereo sostenuto da archi; che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è solo la parte visibile dell’acquedotto.
Pozzi e serbatoi
L’acquedotto non era l’unico sistema di approvvigionamento idrico: a volte venivano utilizzate catene di secchi per attingere l’acqua da falde sotterranee. Nelle zone più aride, i Romani raccoglievano l’acqua piovana e la convogliavano attraverso gallerie in serbatoi. Una grande cisterna in muratura, ad esempio, si trova nel sito di Thuburbo Majus, in Tunisia. Un sistema simile esisteva nella città siriana di Androna (El Anderin), dove i canali di irrigazione sotterranei sono rimasti in uso fino all’installazione di reti moderne negli anni Sessanta. Nel II secolo d.C., i Bizantini, forti di tutta questa esperienza, costruirono sotto l’ippodromo di Costantinopoli un enorme serbatoio (140 x 70 metri), sostenuto da trecentotrentasei colonne. Tuttora intatto e visitabile.
I problemi idrici di Pompei
Gli acquedotti non sempre garantivano la continuità del servizio. Come altre città del Golfo di Napoli, servite da una rete di gallerie e portici, Pompei era rifornita dall’acquedotto di Augusto. L’acqua raggiungeva un bacino di distribuzione (castellum) in alto nella città, prima di essere convogliata attraverso tubi di piombo che servivano a vari scopi: rifornire le terme e altri edifici pubblici, le residenze dei ricchi e le fontane, accanto alle quali erano state costruite piccole torri d’acqua utilizzate per rifornire i quartieri.
Al momento dell’eruzione del Vesuvio, nel 79 d.C., il sistema era ancora in fase di riparazione, costringendo i ricchi proprietari di immobili a rinunciare alle piscine da giardino e alle lussuose fontane a favore di pozzi e cisterne di acqua piovana. Non si sa se le fontane pubbliche fossero ancora in uso. Oggi le rovine di Pompei ospitano il miglior esempio di sistema di approvvigionamento idrico romano, anche se non era in funzione quando Pompei fu sepolta dalle ceneri.
Le terme
Tra gli antichi romani, il bagno, considerato all’inizio semplicemente come una fastidiosa necessità, divenne col tempo uno status sociale. Durante la repubblica furono costruiti numerosi stabilimenti balneari, il cui uso poteva essere acquistato con una piccola tassa d’ingresso equivalente.
Verso la fine della repubblica, quando il bagno era già considerato un lusso, politici ambiziosi, ansiosi di conquistare il favore delle masse, assicuravano loro una giornata gratuita alle terme. Ma fu durante il periodo imperiale che vennero erette quelle magnifiche strutture a cui si attribuisce propriamente il nome di Therma.
Nerone, Tito, Traiano, Commodo, Caracalla, Decio, Costantino e Diocleziano fecero erigere splendide terme che, essendo destinate a mostrare la liberalità dei loro costruttori, venivano aperte gratuitamente al pubblico. Questi edifici erano molto diversi dalle terme dell’epoca repubblicana. Quelle costruite dagli imperatori erano tra le opere imperiali più elaborate e costose. Contenevano camere per bagni freddi, tiepidi, caldi, sudatori e per il nuoto; spogliatoi e palestre; musei e biblioteche; colonnati coperti per il passeggio e la conversazione; vasti terreni pieni di statue e attraversati da piacevoli passeggiate; e ogni altro accessorio che potesse accrescere il senso del lusso.
Con l’Impero, le terme divennero quindi una parte essenziale della vita quotidiana romana in tutte le città (Pompei ne aveva almeno tre) e nella maggior parte dei centri minori del Paese. La maggior parte dei Romani si recava alle terme ogni giorno, di solito nel pomeriggio, per fare una serie di bagni. Questi stabilimenti avevano diverse stanze che i bagnanti visitavano una dopo l’altra, un po’ come un moderno club sportivo:
✓ Apodyterium: spogliatoio.
✓ Tepidarium: stanza calda, spesso dotata di una vasca, dove il corpo può iniziare a sudare.
✓ Caldarium: stanza fortemente riscaldata dove si faceva un bagno di vapore per dilatare i pori della pelle e pulirla a fondo. A volte, gli schiavi si strofinavano il corpo con uno strigile prima di frizionarlo con olio e profumo.
✓ Frigidarium: bagno freddo in cui durante il quale si poteva nuotare per chiudere i pori della pelle e rilassarsi.
✓ Unctorium: sala massagg
L’igiene corporea era ben lungi dall’essere l’unica funzione delle terme: erano luoghi sociali dove si conducevano affari, si tenevano riunioni, si scambiavano pettegolezzi e si ricevevano inviti a cena. Ancora una volta, il fatto che fossero così diffuse sottolinea l’influenza della cultura romana: questi stabilimenti lussuosi e giganteschi erano una moda che si è affermata solo durante l’Impero. Avrebbero suscitato infatti solo il disprezzo degli anziani dell’epoca repubblicana, che si lavavano a malapena ed erano orgogliosi di portare addosso l’odore di “battaglie, dei campi e della virilità”.
I pavimenti delle terme erano spesso decorati con i più ricchi mosaici. Le Terme di Diocleziano contenevano più di tremila immagini in pietra. Le Terme di Caracalla avevano più di milleseicento sedili di marmo; pilastri di granito provenienti dall’Egitto decoravano i colonnati; pannelli di marmo verde, tagliati in Numidia, ornavano molte delle camere; gli arredi delle terme erano placcati e in alcune stanze erano d’argento massiccio. Un’idea delle dimensioni stupende di questa struttura si può avere dal fatto che la sala d’ingresso, o rotonda, dell’edificio era grande quasi quanto il celebre Pantheon, a cui assomigliava nella forma.
Non erano solo gli abitanti della capitale ad aver trasformato il bagno in un lusso e in un’arte. Non c’era città di dimensioni ragguardevoli, entro i confini dell’impero, che non fosse dotata di terme; e ovunque sgorgassero dal terreno sorgenti con proprietà benefiche per la salute, nascevano magnifici bagni, che diventavano i luoghi preferiti dai Romani.
Così Baden-Baden fu una nota e lussuosa località di villeggiatura dei ricchi romani secoli prima di diventare il grande ritrovo estivo dei tedeschi. Baiae (Baia), vicino a Napoli, grazie alle sue calde sorgenti sulfuree e alla bellezza dei suoi dintorni, fu affollata dai turisti della capitale. Queste città balneari, come era quasi inevitabile, acquisirono una reputazione poco invidiabile di focolai di vizio e di sfacciata indulgenza.
Quasi tutte le terme romane, dopo aver subito ripetute spoliazioni per mano dei successivi predoni, sono sprofondate in grandi cumuli di rovine. Molti dei loro bellissimi marmi furono portati a Costantinopoli da diversi imperatori greci.
Carlo Magno decorò il suo palazzo di Aix-la-Chapelle con colonne strappate a queste strutture imperiali, che a Roma stavano cadendo in rovina.
I papi ne costruirono altre nella Cattedrale di San Pietro; e i muratori di Roma, come i cacciatori di mattoni di Babilonia e Ninive, per secoli hanno estratto tra i vasti cumuli delle strutture in rovina, blocchi di marmo e statue, da trasformare in calce per la produzione di cemento. Gli scavi moderni hanno recuperato dai cumuli di rovine alcune delle sculture più famose che si trovano ora in tutti i musei d’Europa.
Un bagno di folla
Una delle scene più belle delle terme è stata raccontata da Seneca, precettore di Nerone, la cui casa era così vicina a un bagno termale che egli era infastidito dal rumore che ne proveniva, al punto da lamentarsene in una lettera a un amico:
Vedi, da ogni parte mi minacciano rumori di ogni genere, perché abito proprio davanti a uno stabilimento balneare. Prova solo a immaginare tutti i rumori Che potrebbero indurti a odiare le tue orecchie; qui si allenano i fisiconi, agitando le loro mani appesantite dal piombo. Mentre fanno fatica o comunque fingono di fare fatica, io odo gemiti ogniqualvolta lasciano andare quel respiro che avevano trattenuto, fischi e respiro affannato. Incontro poi, acusticamente, un pigrone, che si accontenta della dose consueta di unguenti, e poi odo il colpo della mano che batte sulla spalla: a seconda che sia tenuta piatta o cava, il rumore è diverso. Se poi arriva inatteso un giocatore di palla e comincia e contare le palle, sono spacciato. Immagina soltanto un attaccabrighe e un ladro colto sul fatto e uno che ami cantare mentre fa il bagno: immagina anche coloro che si tuffano nella piscina tra il sonoro rimbombo dell’acqua che spruzza ovunque. Immagina poi un ripulitore di ascelle che fa risuonare incessantemente la sua voce sottile e stridula per richiamare l’attenzione e, quando tace, è perché sta radendo le ascelle a qualcun altro, costringendolo così a strillare in vece sua. E poi ancora le varie grida dei venditori di bevande, di salumi, di dolcetti e aìtre cose da mangiare: ciascuno loda la propria mercanzia nel modo più rumoroso e personale possibile!
Seneca, Epistulae morales, 56,1 sg.
Lo smaltimento delle acque reflue: le fogne romane
Le terme producevano acque reflue, così come le lavanderie, le concerie e altre officine, le latrine pubbliche e le abitazioni private. Sfruttando la loro maestria con la pietra, il mattone, il cemento e gli archi, i Romani dotarono le loro città di sistemi fognari sotterranei che si riversavano nel Tevere.
La più antica di queste era la Cloaca Massima, la “grande fogna” costruita da Tarquinio il Superbo (535-509 a.C.). Le fogne di Roma erano così numerose che la città veniva descritta come una “città sospesa” e, in alcuni casi, così ampie che era possibile percorrerle in barca, come fece Agrippa durante un’ispezione che effettuò come consigliere nel 33 a.C.
Altre città avevano sistemi di drenaggio che andavano da semplici cunette a reti elaborate come quella della capitale, ma era anche comune che le acque reflue fluissero direttamente in strada: ecco perché i marciapiedi di Pompei sono fiancheggiati da enormi pietre di guado per consentire ai pedoni di attraversare.
Latrine
Nei bagni, come altrove, i Romani erano persone molto attente alla socialità: le latrine pubbliche erano buchi in una grande panca di pietra appoggiata a un muro, dove gli utenti si sedevano l’uno accanto all’altro senza alcuna separazione. Per lavarsi le mani o inumidire la spugna usata per l’igiene personale, disponevano di piccole fontane collegate a un canale posto direttamente sotto i sedili, dove un getto d’acqua scaricava gli escrementi in una fogna o in una fossa settica.