A Valentiano successe Graziano, (375-383) che regnò in Occidente con Valentiniano II. Egli scoraggiò il paganesimo e sotto di lui il cristianesimo fece rapidi passi avanti. Suo zio Valente fu ucciso in una battaglia contro i Goti; ma l'Impero d'Oriente e quello d'Occidente erano ormai così completamente separati che Graziano non tentò mai di diventare l'unico sovrano, ma nominerà poi Teodosio sul trono vuoto. Graziano, come molti dei suoi predecessori, fu assassinato. Intanto i barbari, soprattutto gli Unni, premono ai confini dell'Impero.
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Valentiniano difese con grande abilità ed energia non solo i propri territori, ma aiutò con le armi e con i consigli il fratello Valente, più debole, nella salvaguardia dei suoi. Alla morte di Valentiniano, gli successe il figlio Graziano (375).
Flavio Valente, imperatore romano d’Oriente, nato verso il 328 d.C. e ucciso ad Adrianopoli il 9 agosto 378. Nel marzo del 364 suo fratello Valentiniano I lo nominò imperatore d’Oriente. L’anno successivo Procopio fu proclamato imperatore dal popolo di Costantinopoli e incontrò e sconfisse Valente a Calcedonia; ma nel 366, dopo due battaglie vittoriose, Valente catturò Procopio e lo uccise. Dopo aver ridotto le tasse di un quarto e aver ricevuto il battesimo, nel 367 iniziò una guerra con i Goti che avevano assistito Procopio, e in un primo momento ebbe successo, costringendo Atanarico, capo dei Tervingi, a chiedere la pace. Ritornato in trionfo, iniziò una guerra incerta contro i Persiani, soprattutto in difesa dell’Armenia. Nel frattempo ai Goti, ritiratisi perché premuti dagli Unni, era stato permesso di insediarsi in Mesia; ma ben presto divennero scontenti, devastarono la Tracia e la Macedonia e sconfissero i Romani in diverse battaglie. L’ultima di queste, ad Adrianopoli, in cui perì lo stesso Valente, fu una delle più gravi sconfitte subite dai Romani.
(Libera traduzione da The American cyclopaedia 1879)
L’acquedotto di Valente
L’acquedotto di Valente (in turco Bozdoğan Kemeri) è un antico acquedotto romano situato nella parte europea di Istanbul; la sua costruzione fu completata sotto il regno dell’imperatore romano Valente nel 368, anche se i lavori iniziarono probabilmente sotto Costantino I il Grande o Costanzo II. Costruito tra la terza e la quarta collina della città vecchia, serviva a portare l’acqua alla fontana monumentale (ninfeum) dalla foresta di Belgrado.
È alto 64 m dal livello del mare e 20 m dalla sua base. In origine era lungo 1 km, ma oggi se ne conservano solo 600 m nel quartiere di Unkapani e 200 m a Beyazıt. I materiali utilizzati per la costruzione dell’acquedotto, sia le pietre grandi in basso che quelle piccole in alto, sono stati portati dalle mura dell’antica città di Calcedonia.
I Goti attraversano il Danubio
L’anno successivo alla morte di Valentiniano, in Oriente si verificò un evento di grandissima importanza. I Visigoti (Goti occidentali) che abitavano a nord del basso Danubio, e che spesso in bande ostili avevano attraversato il fiume per guerreggiare contro gli imperatori romani, si presentarono ora in grandi quantità sulle sue rive sventolando bandiera bianca.
Il passaggio attraverso il Danubio
Dicevano che una razza terribile, contro la quale erano impotenti a resistere, aveva invaso il loro territorio e non aveva risparmiato né le loro case né le loro vite. Chiesero ai Romani il permesso di attraversare il fiume e di stabilirsi in Tracia e promisero, se la richiesta fosse stata accolta, di rimanere sempre i grati e saldi alleati dello Stato romano.
Valente acconsentì ad accogliere la loro richiesta a condizione che consegnassero le armi, dessero i loro figli in ostaggio e fossero tutti battezzati nella fede cristiana (È alquanto dubbio che quest’ultima condizione fosse davvero parte dell’accordo). Il terrore e la disperazione li indusse ad accettare queste condizioni. Così l’intera nazione, che contava un milione di anime, uomini, donne e bambini, fu autorizzata ad attraversare il fiume. Il trasporto dell’immensa moltitudine richiese giorni e notti. Gli scrittori del tempo paragonano il passaggio a quello dell’Ellesponto da parte delle schiere di Serse.
Troppo barbari perfino per i barbari: Gli Unni
Il nemico che aveva terrorizzato i Goti erano gli Unni, una razza terribile di feroci cavalieri nomadi, che due secoli e più prima dell’era cristiana vagavano nei deserti a nord della Grande Muraglia cinese, il grande bastione che si estende per circa ventunomila chilometri lungo la frontiera settentrionale della Cina. Fu costruito dai cinesi verso la fine del III secolo a.C. come barriera contro le incursioni dei Mongoli.
Migrando da quella regione, si spostarono lentamente verso Occidente, attraverso le grandi pianure dell’Asia centrale, e, dopo aver vagato per diversi secoli, apparvero in Europa. Appartenevano a una razza (la turanica) diversa da tutte le altre tribù europee di cui ci siamo occupati finora. Forse erano imparentati con quelle popolazioni nomadi che minacciarono la stessa Cina. Il loro aspetto incuteva terrore: il naso appiattito e le guance squarciate, per rendersi più spaventosi agli occhi del nemico e per impedire la crescita della barba. Persino i barbari Goti li chiamavano appunto “barbari”.
Eh no! Pure gli Ostrogoti, no!
I Visigoti fuggitivi non erano ancora stati accolti entro i confini dell’impero quando una folta schiera di loro parenti, gli Ostrogoti (Goti orientali), anch’essi scacciati dalle loro case dagli stessi terribili Unni, si affollarono sulle rive del Danubio e chiesero che fosse loro concesso, come ai loro connazionali, di mettere il fiume tra loro e i temuti nemici.
Ma Valente, allarmato dalla presenza di così tanti barbari all’interno dei suoi domini, rifiutò la loro richiesta; allora essi, temendo il feroce e implacabile nemico alle spalle più dell’ira dell’imperatore romano che avevano di fronte, attraversarono il fiume con le armi in pugno.
E meno male che dovevano entrare tutti disarmati!
A questo punto si scoprì che la cupidigia dei funzionari romani aveva impedito l’esecuzione delle clausole dell’accordo tra l’imperatore e i Visigoti sulla rinuncia alle armi. I barbari avevano corrotto coloro che erano stati incaricati di trasportarli oltre il fiume e avevano acquistato il privilegio di conservare il loro arsenale. Anche le persone incaricate di rifornire la moltitudine di cibo fino a quando non fossero state assegnate loro delle terre, avevano speculato sulla fame dei loro protetti e avevano distribuito le provviste più scadenti ai prezzi più alti. (Ci sembra quasi di leggere un resoconto della condotta senza scrupoli tenuta dagli agenti indiani di frontiera negli Stati Uniti, nell’Ottocento, all’epoca del Far West).
Fritigerno, il ribelle
Come era naturale, quelle popolazioni, umiliate e ferite nell’orgoglio, si sollevarono in una rivolta indignata. Unendosi ai loro alleati che stavano forzando il passaggio del Danubio, iniziarono, sotto la guida del grande Fritigerno, a invadere e devastare le province danubiane.
La disfatta e la morte di Valente
Valente inviò rapidi messaggeri a Graziano in Occidente, chiedendo assistenza contro il nemico che aveva così incautamente ammesso all’interno del suo territorio ai confini dell’impero. Nel frattempo, radunò tutte le sue forze e, senza attendere l’arrivo delle legioni occidentali, affrontò il rischiò di uno scontro con i barbari nei pressi di Adrianopoli. L’esercito romano fu quasi annientato. Valente stesso, ferito, si rifugiò nella capanna di un contadino; ma l’edificio fu incendiato dai selvaggi e l’imperatore morì bruciato vivo (378). I Goti si impadronirono rapidamente della Tracia, della Macedonia e della Tessaglia, devastando il Paese fino ad arrivare sotto alle mura di Costantinopoli.
Battaglia di Adrianopoli (378)
La battaglia di Adrianopoli fu combattuta il 9 agosto 378, nei pressi appunto della città di Adrianopoli, l’odierna Edirne , tra l’esercito romano guidato dall’imperatore Valente e i ribelli goti (in gran parte Tervingi, ma anche Grutungi, Alani non gotici, alcune truppe di Unni e vari ribelli locali) guidati da Fritigerno. La battaglia ebbe luogo a circa 13 chilometri a nord di Adrianopoli, nella parte europea della Turchia (vicino all’attuale confine con la Grecia e la Bulgaria) nell’allora provincia romana della Tracia e si concluse con una schiacciante vittoria dei Goti . La sconfitta romana fu di tale portata che presto fu paragonata alla Battaglia di Canne di quasi seicento anni prima.
La battaglia è l’episodio principale della Guerra Gotica (376-382) ed è spesso considerata come il preludio al crollo dell’Impero Romano d’Occidente nei successivi cento anni. La battaglia di Adrianopoli fu combattuta tra i Goti e l’esercito dell’Impero Romano d’Oriente, ma alla fine quest’ultimo riuscirà a respingere le invasioni gotiche e deviare la maggior parte del loro flusso verso l’Impero Romano d’Occidente.
Cause
Alcuni anni prima, nel 376, i Visigoti avevano chiesto a Roma di poter rimanere nel territorio dell’impero perché non volevano cadere sotto il giogo degli Unni, che avanzavano verso ovest dall’Asia centrale. Tale richiesta fu accolta dall’imperatore Valente, ma i Visigoti furono successivamente oppressi da pesanti tasse e severamente discriminati come cittadini di seconda classe. I romani speravano anche che questi popoli fornissero rinforzi ai loro eserciti.
Le frustrazioni sopportate dai Goti a causa dell’avidità dei romani e dalla loro volontà di sfruttarli in modo insostenibile, portarono alla battaglia di Adrianopoli nel 378.
La battaglia
Lo stesso imperatore romano Valente comandava l’esercito romano composto da circa 60.000 soldati.
All’inizio di agosto egli andò incontro ai Goti in Tracia, vicino alla città di Adrianopoli. Ignorando il parere dei suoi consiglieri, attese qui i rinforzi. Valente pensava di aver vinto in anticipo. I suoi esploratori segnalarono la presenza di solo 10.000 Goti. I Goti in realtà avevano lo schieramento con maggior soldati in questa battaglia, anche se il loro numero fu probabilmente in seguito esagerato dagli storici romani. Valente si convinse completamente dell’imminente vittoria quando il capo gotico Fritigerno inviò dei negoziatori per discutere la pace. Inoltre, Valente fu incoraggiato dai successi dell’imperatore Graziano sui Barbari in Occidente.
Durante la battaglia iniziale, la cavalleria gotica (pesante) non era presente, avendo lasciato l’accampamento la mattina prima. La fanteria gotica che era rimasta indietro, si era trincerata in un cosiddetto laager, una fortezza di carri disposta a cerchio.
I Goti volevano negoziare di nuovo e intanto fare terra bruciata intorno ai campi circostanti per guadagnare tempo. Il primo attacco romano non coordinato, fu bloccato dallo sbarramento avversario. I romani tuttavia si riorganizzarono e fecero un secondo tentativo, anche questo fallito, di occupare le posizioni dei Goti.
Quando le truppe di Valente ancora una volta non riuscirono a sconfiggere la fanteria nemica, la battaglia si rivoltò contro i romani stessi, con l’arrivo improvviso della cavalleria gotica, richiamata indietro e forte di circa 50.000 unità, che si rivelò un grave colpo per il morale dei romani.
La battaglia stessa ebbe luogo nella zona collinare della città. L’esercito romano fu rapidamente accerchiato dall’avversario numericamente superiore: con la cavalleria che venne presto massacrata e la fanteria in rotta. L’esercito di Valente era ormai assediato da tutte le parti. Alla fine, la battaglia si concluse con una schiacciante sconfitta per i romani. La vittoria fu totale perché lo stesso imperatore rimase ucciso nello scontro. Solo un terzo dell’esercito romano sopravvisse.
Fritigerno, re dei Visigoti, ottenne un enorme potere grazie alla sua vittoria, ma si accontentò di riaffermare l’accordo con i romani sui diritti del suo popolo di stabilirsi entro i confini dell’impero. Il regime fiscale fu abolito, ma i Visigoti rimasero sottomessi a Roma.
Ascesa di Teodosio
Graziano, che trattenuto da nuove invasioni degli Alemanni non aveva potuto accorrere in aiuto, alla nuova della disfatta di Valente, subito provvide al governo d’oriente e alla difesa contro i Goti con sapiente elezione di un valoroso collega nell’impero. Chiamò alla corte imperiale di Sirmio il figlio di Flavio Teodosio il Vecchio, quel valoroso generale che aveva difeso la Britannia e che aveva represso la rivolta di Firmo in Mauritania. Teodosio juniore nativo di Italica nella Spagna, che era stata patria di Adriano, aveva trentatré anni e aveva fatto buon tirocinio di guerra negli eserciti del padre.
Ottenne a Sirmio il titolo di Augusto il 19 gennaio del 379 e il governo della Tracia e delle provincie asiatiche assieme all’Egitto, aggiuntevi ancora, per necessità della guerra gotica, l’Illiria e parte della Dacia e della Macedonia. Di maestosa bellezza prode, d’alto ingegno, l’eletto da Graziano fu l’ultimo dei grandi imperatori romani.
(Libera traduzione da “Ancient History, Greece and Rome” di Philip Van Ness Meyers, Toronto, 1901 con integrazioni da Storia Romana di I. Gentile, 1885)
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