Era la dea dell’amore in quel senso ampio della parola, che nei primi tempi abbracciava anche l’amore per gli animali, e l’amore che si pensava fosse la causa della forza creatrice in tutta la natura. Perciò troviamo nel suo carattere, accanto a ciò che è bello e nobile, molto anche di sensuale, di disinibito, di ambiguo, di passionale, di seducente, di carnale, di sfacciato, per arrivare fino anche alla menzogna, e ancora giù fino al volgare e all’indegno.
Oh, che sarà, che sarà
quel che non ha decenza
né mai ce l’avrà
quel che non ha censura
né mai ce l’avrà
quel che non ha ragione.…Che non ha governo, né mai ce l’avrà
Che non ha giudizio….
Così cantava in una sua celebre canzone, O que será (À flor da terra), Chico Buarque De Hollanda, versione italiana di Ivano Fossati, interpretata da noi da Fiorella Mannoia.
Le origini
Amor sacro e amor molto profano, amore platonico e amore fisico, amore che move il ciel e le altre stelle e amore che muove ben altro sotto le lenzuola. In Afrodite c’era tutto: beatitudine e perdizione. Nei tempi migliori della Grecia si tenevano in risalto i tratti raffinati e belli del suo culto, sia nella poesia che nell’arte; ma questi, quando si succedettero i tempi del lusso, dovettero cedere a impurità di vario genere: o forse proprio per questo la sua figura divenne più viva e vitale? La si può vedere in diversi modi.
Così descrive Omero il suo arrivo, nell’Inno a lei dedicato:
E giunse all’Ida irrigua di fonti, nutrice di fiere,
ed a la stalla mosse, diritta pel monte; e a lei contro,
scodinzolando, lupi, leoni dagli occhi di fuoco,
orsi, veloci pantere, che mai non si sazian di damme,
mosser. La Diva scòrse le fiere, fu lieto il suo cuore,
e infuse a tutte quante nel petto la brama d’amore;
e giacquer tutte a coppie per entro gli ombrosi covili.(Omero, Inno ad Afrodite, trad. E. Romagnoli)
I sentimenti suscitati dall’osservazione della forza produttiva della natura avevano, a quanto pare, dato origine a una personificazione divina dell’amore in tempi remotissimi tra le nazioni dell’Oriente.
I Fenici chiamavano questa personificazione Astarte e portavano con sé il suo culto ovunque stabilissero fabbriche o mercati in Grecia, nelle isole del Mediterraneo e in Italia. I primi Greci entrando in contatto con questi commercianti e ottenendo da loro la conoscenza della moneta, dei pesi, delle misure e di altre cose necessarie al commercio e agli affari – incluso, si dice, un sistema di scrittura – sembrano aver trasferito alcune delle funzioni della dea orientale alla propria Afrodite, come, ad esempio, la funzione di protettrice del commercio. Le prime monete greche conosciute — quelle di Egina — i cui pesi corrispondono esattamente allo standard orientale, hanno la figura di una tartaruga, il noto simbolo di Afrodite.
Sarebbe impossibile dire quanto altro del carattere della loro dea i Greci possano aver derivato dai Fenici. Ma la straordinaria devozione con cui continuò ad essere adorata a Cipro, Citerea, Corinto, Cartagine, Sicilia e dovunque nei primi tempi i Fenici si erano stabiliti, può significare che altre sue funzioni oltre a quella di proteggere il commercio, erano state prese in prestito dalla dea orientale. La più antica Afrodite venerata in Grecia prima dell’introduzione di elementi fenici nel suo carattere, è descritta come figlia di Zeus (Iliade V. 312) e di Dione – una dea primitiva del cielo, del mare e della bellezza – e tramite la madre era associata all’antico culto di Dodona.
La dea più giovane, d’altra parte, è descritta come parte della progenie di Urano (Esiodo, Teogonia, 188-206), nata dopo l’evirazione di questi da parte di Crono: direttamente dal membro mutilato del dio del cielo, lasciato alla deriva tra la schiuma del mare. Dapprima pose la sua sede a Cipro, e chiamata Anadiomene, o “colei che venne fuori dal mare».
E le vergogne (i genitali di Urano), cosí come pria le recise col ferro,
dal continente via le scagliò (è Crono che compie il gesto) nell’ondísono mare.
Cosí per lungo tempo nel pelago errarono; e intorno
all’immortale carne sorgea bianca schiuma; e nutrita
una fanciulla ne fu, che prima ai santissimi giunse
uomini di Citèra. Di Cipro indi all’isola giunse.E qui dal mare uscí la Dea veneranda, la bella;
ed erba sotto i piedi suoi morbidi crebbe; e Afrodite
la chiamano gli Dei, la chiamano gli uomini: ch’ella
fu dalla spuma nutrita: Ciprigna anche è detta, da Cipro
ov’ella anche approdò: Citerèa perché giacque a Citera;
e genïale perché dalle membra balzò genitali.Compagno Amor le fu, la segui Desiderio leggiadro,
quando ella prima nacque, dei Numi avanzò fra l’accolta.
Tal da principio onore possiede, tal sorte prescelta
a lei fu tra le genti mortali e fra i Numi immortali:
i virginali colloquî d’amore, ed il riso e gl’inganni,
ed il soave sollazzo, coi baci piú dolci del miele.(Esiodo, Teogonia, 188-205, Trad. E. Romagnoli)
Sotto il titolo di Urania era considerata una personificazione di quel potere d’amore che si pensava unisse cielo, terra e mare in un sistema armonioso, e come tale si distingueva da Afrodite Pandemos, la personificazione dell’amore tra gli uomini.
Come dea nata dalla schiuma del mare, venne naturalmente venerata dai pescatori e dai marinai della costa come la dea del mare sorridente e a lei ci si raccomanda per avere prosperi viaggi. Quindi era usanza nell’isola di Egina far seguire al sacrificio e al banchetto in onore di Poseidone, una festa di grande gioia ed eccitazione in onore di Afrodite. A Cnido era designata e adorata come dea del mare pacifico; una delle rappresentazioni che si incontrano, simboleggiata da un delfino, viene spesso interpretata come una delle immagini di questa dea. L’isola di Citera (Cerigo) deriva il suo nome da uno dei suoi titoli, Citerea, poiché si crede che sia apparsa lì, prima di approdare a Cipro.
La prima e pura fase greca del suo carattere, in cui è chiamata figlia di Zeus e di Dione, era quella di una dea che presiede all’amore umano; è descritta come accompagnata da suo figlio Eros (Amor o Cupido), le Cariti (Grazie), le Horae, Himeros (Dio del desiderio d’amore), Pothos (Dio delle ansie d’amore), e Peitho (Suadela, o il dolce discorso dell’amore). Ma il suo prediletto era il giovane pastore Adone; e quando fu ucciso da un cinghiale, il suo dolore fu così grande che non permise che il corpo senza vita le fosse preso dalle braccia, finché gli dei non la consolarono decretando che il suo amante potesse continuare a vivere per metà dell’anno, durante la primavera e l’estate, sulla terra, mentre lei avrebbe potuto trascorrere l’altra metà con lui nel mondo inferiore, accanto a Persefone (Proserpina); un riferimento al cambio delle stagioni, che trova la sua spiegazione nel fatto che Afrodite sia anche dea dei giardini e dei fiori.
I suoi amori
La sua presenza nella natura si sentiva in primavera, la sua assenza in inverno. Questo cambiamento delle stagioni fu ulteriormente osservato e celebrato da una festa in onore di Adone, nel corso della quale veniva prodotta una sua figura, e si svolgeva la cerimonia della sepoltura, con pianti e canti di lamento; dopo di che si levava un grido di gioia: “Adone vive, ed è risorto! “. Queste feste si chiamavano Adonaia o Adonias, in riferimento a questa storia d’amore e morte.
Oltre a lui, l’altro principale favorito della dea era Anchise, col quale generò Enea, che attraverso suo figlio Ascanio o Julo, divenne, secondo la leggenda, il capostipite della grande famiglia Giuliana a Roma. La relazione con Anchise fu in realtà un disegno di Zeus. Infatti, poiché la dea riusciva a sedurre uomini e donne indifferentemente, finì per risvegliare perfino il desiderio di Zeus stesso, anche se fra i due non vi fu mai un rapporto carnale.
Il senno ella sconvolse perfino di Giove tonante.
È sopra tutti Giove possente, e fra tutti onorato;
eppur, qualora volle, la scaltra sua mente illudendo,
agevolmente mischiare lo fece con donne mortali,
d’Era lo rese oblioso, ch’è pur sua sorella e sua sposa,
ch’è la più bella d’aspetto fra tutte le Dive immortali(Omero, Inno ad Afrodite, trad. E. Romagnoli)
Zeus allora, per vendicarsi, volle far innamorare anche lei di un mortale:
Eppur, brama soave nel cuore alla stessa Afrodite
infuse Giove, vaga la fe’ d’un amplesso mortale,
ch’essa più a lungo inesperta non fosse del letto d’un uomo,
e non potesse più menar vanto fra tutti i Celesti,
soavemente ridendo, l’amica del riso Afrodite,
ch’essa i Celesti aveva congiunti con donne mortali.
che avean figli mortali concetti agli Dei sempiterni,
che avea le Dee congiunte con gli uomini nati a morire.(Omero, Inno ad Afrodite, trad. E. Romagnoli)
La dea Afrodite notò quindi un giovane uomo mentre pascolava un gregge sul monte Ida. Si fermò, lo contemplò a lungo…si chiamava Anchise…fu un colpo di fulmine! E per la dea, amore a prima vista significa solo una cosa…
“Dunque, d’Anchise brama soave le infuse nel cuore,
che allor dell’Ida irrigua di fonti sui vertici eccelsi
i buoi pasceva, e tutto sembrava all’aspetto un Iddio.Come lo scorse, dunque, l’amica del riso Afrodite,
innamorò, la mente le invase terribile brama.”(Omero, Inno ad Afrodite, trad. E. Romagnoli)
Ma per raggiungere il suo scopo, Afrodite preferì fargli credere di essere una mortale, poi lo sedusse.
Probabilmente ne era era era davvero innamorata, perché poi gli rivelò la sua vera identità, ma gli fece anche promettere di mantenere il segreto sulla loro unione (lo pseudo-Apollodoro attribuisce ad Anchise e ad Afrodite anche un altro figlio, Liro, di cui non si sa nulla).
E Anchise, vedendola, la guardò, ammirando la sua bellezza e la sua statura e le sue ricche vesti. Infatti era avvolta in un peplo più splendido del bagliore del fuoco, e aveva braccialetti flessibili e spille lucenti e, intorno al collo delicato, bellissime catene d’oro che scintillavano come Selene, la Luna, sul suo bel petto e che erano mirabili a vedersi. E il desiderio prese Anchise:
Anchise: – Salve, Regina dei Beati, che vieni qui! Sei Artemide, o Leto? Afrodite d’oro o la nobile Temide? O forse Atena dagli occhi chiari, o qualcuna delle Cariti che accompagnano gli Dei che sono chiamati immortali?…
Sulle alture, io innalzerò per te un altare e lì farò per te sacre offerte nelle stagioni che verranno; e tu, con animo benevolo, concedimi di essere nobile tra i Troiani, fammi avere una stirpe rigogliosa…
Afrodite (celando la sua vera identità): – Anchise… non sono una Dea: perché mi paragoni agli Immortali? Sono mortale e una donna mi ha partorito. Il nome di mio padre è Otreo…
…il dio Hermes mi ha rapita: mentre stavo nel coro di Artemide… Là stavamo danzando, noi, un gran numero di ninfe e vergini di nobili famiglie, e una moltitudine di spettatori ci circondava.
È lì che il dio della bacchetta d’oro mi ha presa. E mi ha trascinata via, per luoghi selvaggi, infestati solo da bestie feroci, che vivono in gole oscure. E mi disse che ero stata chiamata a giacere nel letto di Anchise, e che da me dovevano nascere splendidi figli….”
Anchise allora…
“le prese la mano, e Afrodite, che ama i sorrisi, voltando il capo e abbassando i suoi begli occhi, lo seguì verso il letto ben disposto dove dormiva il Re, e che era fatto di tappeto di lana e ricoperto di pelli di orsi ruggenti e leoni che lui stesso aveva ucciso sulle alte montagne.
Dopo essere saliti entrambi sul letto ben costruito, Anchise prima rimosse dal corpo di Afrodite il suo ornamento abbagliante, fermagli e braccialetti, spille e collane. Le slacciò la cintura, le tolse le vesti meravigliose e le depose sul giaciglio tempestato d’argento. E così fu che, per volere degli Dei e per destino, un mortale fece l’amore con una Dea immortale, ma senza saperlo.
Sul far della notte, Afrodite versò un dolce sonno ad Anchise, e la nobile Dea, riprese le sue belle vesti, e tanto alta era, da toccare con il capo il soffitto della splendida dimora. E l’immortale bellezza delle sue guance brillava, ed era lei con la bella corona. Poi lo svegliò e gli disse:
Afrodite: – “Alzati! Perché stai dormendo così profondamente? Dimmi se ti sembro come mi hai visto per la prima volta.”
Anchise, svegliandosi e vedendo il collo e i begli occhi di Afrodite, tremò, e, distogliendo lo sguardo, le coprì il bel viso con una coperta, e la supplicò, e le disse queste parole:
Anchise: – “Appena ti ho visto con i miei occhi, Dea, ho riconosciuto che eri Divina; ma non mi hai detto la verità. Ti prego per Zeus, non farmi di vivere misero tra gli uomini; abbi pietà di me, perché colui che ha dormito con le Dee immortali non conserva a lungo il vigore della giovinezza.
Afrodite: – Anchise, il più bello degli uomini mortali, non preoccuparti e non temere nulla. Non temere alcun male da me, né dagli Dei felici, perché tu sei caro a loro. Avrai un figlio che regnerà tra i Troiani, e da te nascerà un altro figlio, e il suo nome sarà Enea… E gli uomini nati dalla tua stirpe saranno sempre vicini agli Dei in bellezza e grandezza.”
(Liberamente tratto da Omero, Inno ad Afrodite)
Ma un giorno, Anchise si ubriacò in una locanda, e dimentico della parola data, si vantò della sua avventura con tutti i presenti. Zeus, per punirlo, lo colpì con un fulmine, ma Afrodite (sì, doveva essere davvero innamorata) deviò il colpo, che lo ferì soltanto, rendendo zoppo.
Per quanto riguarda la storia dello scultore Pigmalione, l’Adone di Cipro, – su di una delle sue statue che la rappresentava, la dea alitò la vita, su richiesta del medesimo, in occasione di una delle feste a lei dedicate – forse si intendeva trasmettere con essa lo stesso significato dell’alternanza di vita e morte di Adone, cioè l’alternanza di fervore e freddezza dell’amore, o il susseguirsi di fioritura e gelo nella natura.
Tra gli amori più celebri di Afrodite, vi sono, Ares, dio della terra; Ermes, con il quale ebbe un figlio, metà uomo e metà donna, detto infatti Ermafrodito. Seguono Poseidone, con cui generò Rodo ed Erofilo e Dioniso, dalla cui unione nacque Priapo, il dio dotato di enormi genitali. Ma le relazioni di Afrodite in realtà sono innumerevoli.
Il marito di Afrodite era Efesto (Vulcano), che la punì quando la trovò in compagnia di Ares. Tra i suoi figli, ma non avuti da Efesto, c’erano Eros (Amore), Anteros, Imene ed Ermafrodito. Ma se aveva favori per alcuni, aveva anche forti antipatie per altri, e dimostrò questo suo spirito su Ippolito, che uccise; su Polifonte, che trasformò in gufo; su Arsinoe, che trasformò in pietra; e Mirra, che trasformò in un albero di mirto. Celeberrima è la sua lotta e competizione con Era e Atena per il premio alla bellezza, che il principe troiano, Paride, le assegnò, una leggenda connessa con il racconto della guerra di Troia.
Libera, ma favorevole al matrimonio (…degli altri)
Come risultato del suo potere di unire per mezzo dell’amore tutti gli esseri, sia in cielo che in terra, o anche nel più nero Tartaro, venne considerata come una dea che presiede alla vita coniugale e alle cerimonie matrimoniali. Aveva un certo numero di templi nell’isola di Cipro, ma nessuno di loro così splendidamente decorato come quello nella città di Pafo, dove migliaia di visitatori affluivano per prendere parte alla festa annuale e alle cerimonie in suo onore. Anche lì aveva un oracolo e, come Urania, era adorata insieme ad Ares (Marte); quest’ultimo fatto dimostra che la sua connessione con questo dio era fondata nel credo religioso del popolo.
A Cipro venne, entrò nel suo tempio fragrante d’incensi,
a Pafo: un tempio qui possiede e un altare odoroso.
E poi ch’entrata fu, chiuse ch’ebbe le fulgide porte,
qui la lavarono allora le Càriti, l’unsero d’olio
ambrosio, quale sempre le membra dei Numi cosparge.(Omero, Inno ad Afrodite, trad. E. Romagnoli)
A volte, e particolarmente nel suo antichissimo santuario nell’isola di Citera, come anche a Sparta, ad Argo e sull’acropoli di Corinto, era rappresentata armata.
Venere
Il culto di Venere divenne generale a Roma solo in epoche successive. In suo onore ogni anno si svolgeva una festa, chiamata Veneralia, che consisteva in gran parte della cerimonia in danze notturne e divertimento appassionato nei giardini e tra i pergolati fioriti. Aveva un tempio a lei consacrato in Campidoglio, e un altro sul Quirinale, dove si praticava la prostituzione sacra o la sessualità sacra. Il mese di aprile era a lei dedicato, perché allora i fiori e le piante germogliano; oppure, come dice il mito greco, Adone ritorna dagli inferi.
Simboli
I simboli di Afrodite erano la colomba, l’ariete, la lepre, il delfino, il cigno e la tartaruga, con la rosa come fiore, l’albero di mirto e altre belle piante, la mela e frutti di vario genere. Nuovi incantesimi d’amore le venivano continuamente attribuiti, fino a esaurire tutte le risorse per esprimere una bellezza imperiosa e travolgente. A seconda delle epoche, nell’arte venne rappresentata di volta in volta o drappeggiata o nuda e in vari atteggiamenti.
Nell’arte
La sua arma di seduzione più famosa, era la cintura magica: una fascia di seta, intessuta di vari colori cangianti, capace di accendere la passione altrui quando la indossava e che diede in prestito ad Era che doveva distrarre Zeus, durante la Guerra di Troia:
Là son nascosti tutti gli incantesimi, lì c’è l’amore, là sta il desiderio, il lieve sussurrare di dolci parole che vincono la mente anche del più saggio.
(Omero, Iliade XIV)
La scena della sua nascita dal mare è stata rappresentata da Fidia, sulla base della statua di Zeus ad Olimpia, come se il suo venire alla luce fosse avvenuto alla presenza degli dei dell’Olimpo, essendo stata accolta prima da Eros, che altrove è chiamato suo figlio. Una delle immagini più famose di Apelle la rappresentava mentre sorgeva dal mare. Per indicare la sua connessione con Ares venne rappresentata, come Venus Victrix, ritta con un piede su un elmo e con entrambe le braccia che alzano uno scudo. Di questo tipo sono la Venere di Capua e la Venere di Milo. In un tempio eretto a lei come Euploia o dea dei viaggi prosperi, a Cnido, si trovava una sua statua scolpita da Prassitele, opera molto celebrata nei tempi antichi e di cui si crede che la cosiddetta Venere Medicea sia una copia.
I suoi molti nomi
Molti epiteti sono stati applicati ad Afrodite (Venere). Tra i più comuni c’erano Paphia, Cipride (nata a Cipro), Pelagia (nata dal mare), Urania, Erycina (dal monte Eryx), Pandemos (comune a tutto il popolo), Anadiomene (che sorge dall’acqua), Kalliglouteos (bei glutei), Porne (sgualdrina), Cruse (aurea), Anosia (una poco di buono), Ambologera (che non invecchia mai), Androfonos (mangiatrice di uomini), Pasifaessa (ovunque splendente) e Doloplokos (bugiarda).
A Pafo la prima forma o immagine sotto la quale fu adorata, era quella di una palla o di una piramide, circondata da torce accese o candelabri, come si vede sulle monete di Cipro.
(libera traduzione, rielaborazione e adattamento da “Manual of mythology. Greek and Roman, Norse, and Old German, Hindoo and Egyptian mythology di Alexander Stuart Murray, 1895)