Comunità agricole: questo erano nella maggior parte casi i paesi e le città della Grecia antica e tali resteranno nel corso dei circa 2000 anni della loro storia. Ovviamente c’erano anche molti greci che lavoravano nell’industria o nel commercio, ma la stragrande maggioranza di loro si guadagnava da vivere, nel vero senso della parola, grazie ai frutti della loro terra o da ciò che ottenevano dal proprio bestiame.
La vita di campagna nell’Antica Grecia, che tu fossi agricoltore o allevatore, era durissima, e se non lavoravi duro – o comunque non producevi – non mangiavi! Altro che i bei quadretti della poesia bucolica!!
Guadagnarsi la pagnotta
Immaginate una giornata lavorativa che inizi all’alba e duri fino al tramonto: circa 14 ore, senza i fine settimana liberi, senza ferie, in qualche caso anche se siete malati e senza garanzia di una pausa pranzo o pausa caffè o per la sigaretta. Lavorare la terra era così: un lavoro molto duro e difficile nel mondo antico. E dato che spesso ciò che coltivavi era l’unica cosa che poi mangiavi, non ti potevi permettere errori.
Il contadino medio dell’antica Grecia lavorava di solito un appezzamento di terra abbastanza piccolo, quasi senza sosta, sebbene in realtà le celebrazioni e le festività a carattere più o meno religioso fossero molte. Una piccola fattoria poteva essere tramandata in famiglia di generazione in generazione, con al massimo due o tre acri di terra annessa. Modesta tutto sommato, ma non era affatto poco per quei tempi.
Le fattorie più grandi utilizzavano schiavi e servi, questi ultimi potevano essere lavoratori salariati cui si forniva anche alloggio.
L’agricoltura
L’agricoltura nell’antica Grecia era basata sulle tradizioni comuni a tutto il Mediterraneo e rimaste invariate di generazione in generazione. Essa si basava sulla produzione di :
- Grano: la coltivazione dei cereali, era per i greci non solo la base della loro alimentazione, ma anche un indicatore di civiltà e di umanità: Omero scrive del ciclope Polifemo che «era un gigante mostruoso: non aveva nemmeno l’aspetto di un mangiatore di grano (σιτοφάγος / sitophagos) ». Il fatto che il termine σῖτος (sitos) abbia anche il significato di «pasto» sottolinea la centralità di questo cereale nella dieta dei greci. Se di tanto in tanto, di qualche altro alimento si poteva anche fare a meno, il grano era per loro indispensabile. La «ristrettezza» della terra στενοχωρία / stenokhôría spiega la colonizzazione greca, orientata a cercare nuovi campi da coltivare e l’importanza che i klēruchí (i fondatori di colonie) dell’Asia Minore avrebbero avuto in epoca classica nel controllo dell’approvvigionamento del grano. Per quanto riguarda gli altri cereali coltivati, non siamo in grado di identificare con precisione le varietà utilizzate con quelle odierne, sappiamo che si trattava soprattutto di orzo, in misura minore di grano duro.
- Orzo: L’orzo era il grande cereale del mondo greco. Se gli antichi erano ben consapevoli del miglior apporto nutritivo del grano, l’orzo era molto più coltivato, soprattutto dalle classi più povere, perché richiede meno risorse e ha una resa migliore. Certo, il consumo di grano si sviluppò molto nel V secolo a.C. ad Atene, ma rimase marginale nel suo insieme e non ebbe grosse conseguenze economiche: se gli Ateniesi delle commedie di Aristofane prendono in giro gli Spartani chiamandoli «mangiatori d’orzo», la qualifica venne estesa a tutti i Greci dai Romani. Inoltre, il suo breve ciclo vegetativo ne consente una raccolta anticipata, sin da aprile, evitando così il rischio di una siccità prematura.
- Vite: La coltivazione della vite è antichissima, così anche in Grecia (nell’Odissea, Omero cita una vite nei giardini di Alcinoo) diffusa ovunque fossero presenti le condizioni naturali locali che la consentivano. Erano rinomati i vitigni attici di Diacria e Corinzia, così come i vini delle isole e delle coste del Mar Egeo. La coltivazione della vite è laboriosa. In tutti gli strati sociali il consumo di vino era quotidiano: Il vino è fonte di vitamine e calorie per via dell’alcol e degli zuccheri. Una parte della produzione della vite, in misura minore, era destinata ad essere consumata come uva da tavola.
- Olivo: L’olivo costituisce il terzo pilastro dell’alimentazione e dell’agricoltura greca, L’olio d’oliva era per i greci essenziale in una società in cui il consumo di carne e latticini era basso. I Greci distinguevano due tipi di olivi coltivati, quelli dai frutti ovali, piccoli e molto oleosi, destinata alla produzione di olio, e quelli che producono olive da tavola, grandi e carnose.
Il mito agricolo delle stagioni: Persefone e Demetra
Demetra figlia di Crono e Rea insegnò agli uomini l’arte di coltivare la terra e della semina il che la rendeva il nume tutelare dell’Agricoltura. Ebbe una figlia di nome Persefone. Demetra dimorava in un delizioso paese della Sicilia, chiamato Enna, che vuol dire “Fonte gradevole” dove c’erano bei prati irrigati da acque limpide. Un giorno Persefone passeggiava in quei bellissimi prati raccogliendo dei fiori, insieme ad alcune Ninfe sue compagne, quando fu rapita da Ade, dio degli inferi. Demetra, afflitta per la disgrazia avvenuta a sua figlia, montò sopra un carro tirato da due dragoni alati e si affrettò a cercarla per terra e per mare. Tutta presa dalla ricerca della figlia, essa dimenticò le sue benedizioni agli uomini.
Ciò rese il mondo sterile e causò una diffusa carestia. Finalmente Aretusa, ninfa che era stata tramutata in fiume, le cui acque nascevano da Elide nella Sicilia, passando nel fondo del mare per arrivare fino ai luoghi vicini allo Stige, rivelò a Demetra che Persefone era stata rapita da Ade. Allora la dea si recò sull’Olimpo per chiedere indietro sua figlia a Zeus, il quale non potendo farla restituire perché Persefone nei Campi Elisi aveva ormai mangiato alcuni semi di melagrana, cosa che ormai la rendeva appartenente al mondo dei morti, per placare il dolore di Demetra, permise a sua figlia di passare sei mesi dell’anno sulla terra con la madre e gli altri sei mesi negli inferi con lo sposo.
I greci spiegavano in questo modo il motivo per cui la stagione è fredda durante l’autunno e l’inverno, quando Persefone è negli inferi, e calda in primavera e in estate quando la fanciulla è tornata sulla terra. Questo è un ottimo esempio di mito utilizzato per spiegare un fenomeno naturale. Demetra era rappresentata come una donna dal gran seno, coronata di spighe, tenendo in mano un ramo di papavero che è pianta di grande fecondità. Alcune volte veniva rappresentata con due fanciulli fra le braccia, ciascuno de quali teneva un corno dell’abbondanza per indicare che la dea è come la nutrice del genere umano. Demetra, secondo alcuni storici antichi era un’antica regina della Sicilia, il cui regno divenne memorabile per la cura che ella ebbe nell’istruire il suo popolo nella coltivazione della terra e per le sue leggi che portarono la civiltà.
Il culto di Demetra e i contadini
Diverse divinità greche erano associate all’agricoltura e alla fertilità: la più importante di tutte era Demetra. identificata con il grano e il suo nome significa effettivamente “la madre”. Demetra e Persefone, madre e figlia divennero note come “le due dee” o talvolta “le Sacre Gemelle”. L’antico calendario religioso greco era strettamente allineato con le varie fasi dell’agricoltura, quindi la maggior parte delle celebrazioni dedicate a Demetra coincideva con l’aratura o la raccolta. Una delle feste più famose erano la Tesmoforie, che avvenivano durante il periodo della semina. La celebrazione era riservata alle sole donne; gli uomini ne erano rigorosamente esclusi, perché la fertilità nella campagna era strettamente connessa con la possibilità da parte di una donna, di avere figli. Per questo motivo Demetra era chiamata anche “Dea Madre”.
Lavorare la terra
L’aratura e la semina venivano effettuate nei mesi di ottobre, novembre, dicembre. In questo periodo cruciale non si svolgevano feste religiose e neppure riunioni dell’Assemblea delle polis. Le viti venivano potate all’inizio della primavera e il grano veniva raccolto tra maggio e giugno. La vagliatura, la trebbiatura e la conservazione avvenivano nei mesi tra giugno e luglio mentre la raccolta dell’uva, dei fichi e la lavorazione del vino, avvenivano in settembre. In autunno le olive venivano raccolte e molite nell’olio. Durante l’inverno si seminavano raccolti più robusti e si mantenevano i campi.
Le testimonianze ci riferiscono del ricorso alla rotazione delle colture e i campi venivano lasciati a riposo per consentire la rigenerazione dei nutrienti del suolo e l’accumulo di umidità. Secondo necessità, alcuni campi sarebbero stati utilizzati continuamente durante tutto l’anno o venivano piantate con più colture contemporaneamente. Anche colture come fagioli e lenticchie venivano coltivate e reimpiantate nel campo per fertilizzarlo nuovamente o si potevano lasciare crescere le erbacce come cibo per gli animali al pascolo. I piccoli appezzamenti utilizzati per la coltivazione di frutta e verdura sarebbero stati irrigati con piccoli canali d’acqua e cisterne. Se la manodopera era disponibile, venivano scavate trincee intorno agli alberi per trattenere la preziosa acqua piovana dove era più necessaria.
Le attrezzature utilizzate nell’agricoltura greca erano di base con lo scavo, il diserbo e l’aratura multipla eseguite a mano, utilizzando aratri, zappe di legno o con punta di ferro (non c’erano vanghe). Gli agricoltori più ricchi impiegavano i buoi per arare i loro campi. Le falci venivano usate per raccogliere i raccolti, che venivano poi vagliati usando una pala piatta, nelle ceste. I cereali venivano poi trebbiati su un lastra di pietra che veniva calpestata dal bestiame. L’uva veniva pigiata sotto i piedi nei tini mentre le olive venivano molite nei torchi in pietra.
La pastorizia
Poiché i territori agricoli della Grecia antica non erano molto grandi, la quantità di animali che si tenevano in una fattoria era piuttosto limitata. Il terreno serviva per l’agricoltura, quindi per riservarne solo una piccola quantità al pascolo, si tenevano solo qualche pecora, un paio di capre e alcuni maiali.
La scelta sugli animali da tenere nelle fattorie dipendeva molto anche dal tipo di terreno. In generale, gli animali più grandi, come bovini e buoi, venivano allevati nelle zone del nord della Grecia e della Macedonia perché erano più umide e disponevano di un numero maggiore di pascoli. Pecore e capre invece erano più diffuse nel Peloponneso e nel sud perché la terra era più rocciosa. Gli ovini erano usati principalmente per produrre latte, formaggio, lana e carne: tutti prodotti che gli agricoltori potevano scambiare con altri al mercato della città. Capre e pecore potevano anche essere vendute e usate per i sacrifici, per i quali si era disposti a pagare un buon prezzo se erano sani e ben allevati.
La Caccia
La caccia alla selvaggina era l’altro modo per procurarsi da vivere. La caccia aveva una parte importante nei miti greci e il cinghiale era la preda preferita dagli eroi. L’attività venatoria stessa era vista come un’attività che contribuiva ad addestrarsi nell’abilità della guerra. Questi eroi di solito usavano con una lancia o un arco, ma la caccia quotidiana era piuttosto diversa e principalmente orientata verso un tipo di selvaggina di piccolo taglio, ad esempio le lepri, per le quali si usavano trappole e lacci. Quest’ultimo tipo di era spesso svolto da ragazzi.
La guida dell’agricoltore
I Manuali e libri sull’agricoltura comparvero molto tardi nel mondo antico (ed erano diffusi soprattutto nel mondo romano). Invece, molti greci facevano affidamento sul lungo poema di Esiodo, scritto intorno al 700 a.C. e intitolato Le Opere e giorni. Il testo fornisce consigli in forma poetica rivolti agli agricoltori e si basa su esempi mitologici, mettendo in guardia dai possibili errori nella coltivazione della terra. Esiodo era fermamente convinto che un contadino avesse bisogno più di una schiava che di una moglie.
Il pastorello d’Arcadia
Il pastore o il guardiano di capre sembrano a prima vista occupazioni che non hanno nulla di poetico, tuttavia queste figure divennero un soggetto molto frequentato nell’arte e nella letteratura greca antica e anche oltre. L’immagine del pastore greco, che magare vive e soffre le pene d’amore, divenne un tema caratteristico dell’arte e della poesia classica, alessandrina e dunque poi ellenistico-romana. La poesia arcadica e bucolica (Arcadia era il nome della regione della Grecia che divenne lo scenario di tutta la poesia idilliaca; ma fu anche il nome dell’Accademia romana, fondata nel 1690, che promuoveva un ritorno alla poetica degli antichi) ebbe un nuovo impulso nel Rinascimento e si tramandò a sua volta nell’arte neoclassica del Settecento e nel successivo Romanticismo.
Il vino
Anticamente la fama di un vino dipendeva più dalla regione di origine che dallo specifico produttore o vigneto. Nel IV secolo a.C., il vino più costoso venduto ad Atene era il Chio o Chian, ad un prezzo compreso tra un quarto e due dracme per chous (circa 4 bottiglie da 75 cl di oggi). I poeti greci lodavano in particolare certi vini e ne stroncavano altri. I vini più spesso citati come di buona qualità erano quelli della Penisola Calcidica, Ismara, Chio, Cos o Coo (il Choan), Lesbo, Mende, Naxos, Pepareto (l’attuale Skopelos) e Thassos. Tra i singoli vini elogiati due sono di origine misteriosa: il Biblino e il Pramno. Si ritiene che il Biblino fosse un vino prodotto in modo simile a quello fenicio di Byblos, molto lodato dagli scrittori greci come Archestrato per la sua fragranza profumata. Si pensa che la versione greca di questo vino abbia avuto origine in Tracia da un vitigno noto come billina. Il vino Pramno doveva essere coltivato in diverse regioni, soprattutto a Lesbo ma anche a Icaria e Smirne. Ateneo suggerì che pramno fosse un nome generico per vino scuro di buona qualità e ben invecchiato.
Il primo a citare per nome un vino fu al poeta lirico Alcmene (VII secolo a.C.), che lodò il Dénthis, un vino delle pendici occidentali del Monte Taigeto in Messenia, chiamandolo anthosmias (“che odora di fiori”). Aristotele cita un vino di Lemno, che era probabilmente lo stesso dell’attuale varietà chiamata Limnio, un rosso con aromi di origano e timo. Se così fosse, questo vino sarebbe la varietà più antica ancora coltivata. Omero fece anche frequenti allusioni al “mare color vino scuro” (οἶνωψ πόντος, oīnōps póntos).
Il vino più comune nell’antica Grecia era quello dolce e aromatico, sebbene venissero prodotti anche vini più secchi. Il suo colore variava da scuro, quasi nero, a fulvo e persino bianco. L’ossidazione era un difetto frequente e molti vini non duravano oltre l’annata successiva. I vini che si conservavano e invecchiavano bene erano molto apprezzati, come quelli descritti da Ermippo, i migliori vini maturi serviti con bouquet di “viole, rose e giacinto”. I poeti comici dicevano che alle donne greche piaceva “il vino vecchio, ma gli uomini giovani”.
Il vino veniva quasi sempre diluito, di solito con acqua o neve quando lo si voleva servire freddo. I Greci ritenevano che solo i barbari bevessero vino puro e non diluito e che il re spartano Cleomene I fosse impazzito dopo aver bevuto vino in questo modo. I Greci apprezzavano l’abitudine di diluire il vino con l’acqua come un tratto di comportamento civile, il cui contrasto era simboleggiato dal mito della battaglia dei Lapiti con i centauri, spinti a commettere stupri e a venire alle mani perché non abituati al vino, che bevevano senza mescolarlo.