Ampiamente conosciuto come uno degli amanti più famigerati della mitologia greca, Zeus fu sposato con numerose donne durante il suo regno come sovrano dei cieli. Queste donne erano di natura immortale e compaiono per la prima volta nell'opera di Esiodo, la Teogonia, in cui il poeta presenta in dettaglio la genealogia degli dei. Sebbene Hera, la sorella di Zeus, sia la più famosa di tutte, molte altre dee e titanesse hanno avuto la fortuna di stare al fianco di Zeus sulla cima del Monte Olimpo.
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Oltre alle sue divine sette mogli, Zeus fu anche l’amante di un nutrito numero di fanciulle mortali che sedusse usando vari travestimenti, poiché se si fosse rivelato nella sua vera forma di nume del cielo, lo splendore della sua gloria avrebbe causato la distruzione istantanea di ogni essere vivente che si fosse imbattuto in lui sulla terra. Le relazioni amorose di Zeus con fanciulle terrenee, sono state un tema talmente prediletto da poeti, pittori e scultori, che è necessario raccontare la storia di ognuna di esse. Le più note sono Antiope, Leda, Europa, Callisto, Alcmena, Semele, Io e Danae.
Antiope
Zeus le apparve sotto forma di satiro. Lei era la figlia di Nitteo, re di Tebe. Per sfuggire all’ira del padre fuggì a Sicione, dove il re Epopeo, rapito dalla sua meravigliosa bellezza, la prese in moglie senza chiedere il consenso del padre. Questo fece infuriare così tanto Nitteo, che questi dichiarò guerra a Epopeo, per costringerlo a restituire Antiope. Alla sua morte, avvenuta prima che potesse riuscire nel suo scopo, Nitteo lasciò il suo regno al fratello Lico, ordinandogli, allo stesso tempo, di continuare la guerra e di eseguire la sua vendetta.
Lico invase Sicione, sconfisse e uccise Epopeo e riportò indietro Antiope prigioniera. Sulla via per Tebe, la ragazza diede alla luce i suoi due figli gemelli, Anfione e Zeto, i quali, per ordine di Lico, furono subito esposti sul monte Citerone, e sarebbero morti se non fosse stato per il buon cuore di un pastore, che ebbe pietà di loro e che salvò la vita ad entrambi i neonati. Antiope fu, per molti anni, tenuta prigioniera dallo zio Lico e costretta a subire la massima crudeltà per mano di sua moglie Dirce.
Ma un giorno i suoi lacci furono miracolosamente allentati, ed ella fuggì in cerca di riparo e protezione fin nell’umile dimora dei suoi figli sul monte Citerone. Durante il lungo periodo della prigionia della madre, i bambini erano ormai diventati dei giovani robusti e, mentre ascoltavano con rabbia la storia dei torti da lei subiti, divennero presto desiderosi di vendicarli. Partiti subito per Tebe, i due giovani riuscirono a impadronirsi della città, e dopo aver ucciso il crudele Lico, legarono Dirce per i capelli alle corna di un toro selvaggio, che la trascinò qua e là finché ella non spirò. Il suo corpo maciullato fu gettato nella fonte vicino a Tebe, che porta ancora il suo nome. Anfione divenne re di Tebe al posto di suo zio. Fu amico delle Muse e dedito alla musica e alla poesia.
Suo fratello, Zeto, era famoso per la sua abilità nel tiro con l’arco e amava appassionatamente la caccia. Si dice che quando Anfione volle rinchiudere la città di Tebe con mura e torri, non dovette far altro che suonare una dolce melodia con la lira, datagli da Ermes, e le grosse pietre cominciarono a muoversi, e obbedienti si unirono insieme in blocchi.
La punizione di Dirce per mano di Anfione e Zeto costituisce il soggetto del gruppo marmoreo di fama mondiale del Museo di Napoli, noto con il nome di Toro Farnese.
Nella scultura Amfione è sempre rappresentato con una lira; Zeto con una clava.
Leda
Zeus la conquistò presentandosi a lei sotto forma di cigno sulle rive del fiume Eurota. La fanciulla era la figlia di Testio, re d’Etolia. Dopo essersi unita al re dell’Olimpo ella depose un uovo che schiudendosi lasciò uscire i figli Elena (la futura Elena di Sparta, moglie di Menelao e che poi sarà Elena di Troia, causa della celeberrima guerra) e Polluce. La notte stessa Leda fece l’amore anche con il marito Tindaro. Da questa nuova unione videro la luce Castore e Clitennestra (futura moglie di Agamennone). I figli gemelli di Leda, Castore e Polluce (o Polideuce), erano famosi per il loro tenero affetto che li legava l’uno all’altro. Erano anche famosi per i loro successi sportivi, essendo Castore l’auriga più esperto del suo tempo e Polluce il primo dei pugili.
I loro nomi compaiono sia tra i partecipanti della caccia al cinghiale calidonio che tra gli eroi della spedizione argonautica. I due fratelli si innamorarono alle figlie di Leucippo, principe dei Messeni, che erano state promesse dal padre a Ida e Linceo, figli di Afareo. Dopo aver convinto Leucippo a infrangere la sua promessa, i gemelli portarono via le fanciulle come loro spose. Ida e Linceo, naturalmente furiosi per questo atto, sfidarono i Dioscuri a un combattimento mortale, in cui Castore perì per mano d’Ida, e Linceo per quella di Polluce.
Zeus volle conferire a Polluce il dono dell’immortalità, ma questi si rifiutò di accettarlo a meno che non gli fosse permesso di condividerlo con Castore. Zeus acconsentì a quel desiderio e ai fratelli, fedeli l’uno all’altro, fu concesso di vivere entrambi sulla terra, ma solo a giorni alterni. I Dioscuri ricevettero onori divini in tutta la Grecia e furono adorati con speciale riverenza a Sparta.
Europa
Era la bellissima figlia di Agenore, re di Fenicia. Stava un giorno raccogliendo fiori con le sue compagne in un prato vicino alla riva del mare, quando Zeus, affascinato dalla sua grande bellezza e volendo conquistare il suo amore, si trasformò in un bel toro bianco, e si avvicinò tranquillo verso la principessa, per non allarmarla. Sorpresa dalla gentilezza dell’animale, e ammirandone la bellezza, mentre giaceva placida sull’erba, lo accarezzò, lo incoronò di fiori e, infine, si sedette giocosamente sul suo dorso. Non appena fu salita in groppa, il dio travestito, balzò via con il suo adorabile carico e nuotò attraverso il mare portandola fino all’isola di Creta.
Europa era la madre di Minosse, Eaco e Radamanto. Minosse, che divenne re di Creta, fu celebrato per la sua giustizia e moderazione, e dopo la morte divenne uno dei giudici del mondo inferiore, carica che ricoprì insieme ai suoi fratelli.
Callisto
Figlia di Licaone, re d’Arcadia, era una cacciatrice al seguito di Artemide, dedita solo ai piaceri dell’arte venatoria, che aveva fatto voto di non sposarsi mai; ma Zeus, assunse proprio l’aspetto della dea cui era al seguito, e riuscì ad ottenere il suo amore. Era, essendo estremamente gelosa di lei, la trasformò in un orso e fece in modo che Artemide (che non riconobbe la sua ancella sotto questa forma) la inseguisse per abbatterla.
Dopo la sua morte fu posta da Zeus tra le stelle come una costellazione, sotto il nome di Arktos Megale, o l’Orsa Maggiore.
Alcmena
Figlia di Elettrione, re di Micene. Era la promessa sposa di suo cugino Anfitrione; ma durante la sua assenza per seguire una pericolosa impresa, Zeus assunse l’aspetto del marito, e riuscì a sedurla. Eracle (l’eroe le cui gesta ebbero fama in tutta la Grecia e oltre) era figlio di Alcmena e di Zeus.
Semele
Una bella principessa, figlia di Cadmo, re di Fenicia, molto amata da Zeus. Come la disgraziata Callisto, fu l’oggetto dell’odio e della gelosia maligna di Era, e la superba regina del cielo era fortemente determinata a procurale una morte terribile. Assunse, quindi, le sembianze da Beroe, la fedele vecchia nutrice di Semele, e persuase abilmente quest’ultima a insistere affinché Zeus si presentasse da lei, così come egli si mostrava ad Era stessa, in tutta la sua potenza e gloria, ben sapendo che ciò avrebbe causato la morte istantanea della fanciulla.
Semele, non sospettando alcun tradimento, seguì il consiglio della sua presunta nutrice; la volta successiva che Zeus venne da lei, ella lo pregò ardentemente di concedere il desiderio che le stava per chiedere. Zeus giurò per lo Stige (che era per gli dei un giuramento irrevocabile) di acconsentire alla sua richiesta, qualunque essa fosse. Semele, dunque, sicura di ottenere quel che voleva, pregò Zeus di apparirle in tutta la gloria della sua potenza e maestà divina.
Poiché aveva giurato di concedere tutto ciò che lei gli avrebbe chiesto, il nume fu costretto a soddisfare il suo desiderio; si rivelò quindi come il potente signore dell’universo, accompagnato da tuoni e fulmini, e la fanciulla fu immediatamente annientata dalle fiamme.
Io
Figlia di Inaco, re di Argo, era sacerdotessa di Era. Fanciulla molto bella, fu da Zeus, che era molto innamorato di lei, la trasformò in una vacca bianca, per sottrarla dai gelosi intrighi di Era, che però non si lasciò ingannare. Consapevole dello stratagemma, riuscì ad ottenere l’animale da Zeus, e la pose sotto la vigile cura di un Titano chiamato Argo Panoptes (“Argo che tutto vede”), che la legò a un olivo nel boschetto sacro alla dea Era stessa. Il guardiano aveva cento occhi, dei quali, quando dormiva, non ne chiudeva mai più di due per volta; essendo così sempre vigile, Era lo trovò estremamente utile per fare la guardia a Io.
Hermes, però, per ordine di Zeus, riuscì ad addormentare tutti i suoi occhi al suono della sua lira magica, e poi, approfittando della sua condizione inerme, lo uccise. Memore dei servigi che Argo le aveva reso, Era posò i suoi occhi sulla coda di un pavone, a ricordo duraturo della sua gratitudine. Sempre piena di risorse, Era inviò poi un tafano a tormentare incessantemente la sfortunata Io, e che vagò per il mondo nella speranza di sfuggire al suo aguzzino. Alla fine raggiunse l’Egitto, dove trovò riposo e fu libera dalle persecuzioni della sua avversaria.
Sulle rive del Nilo riprese la sua forma originaria e diede alla luce un figlio chiamato Epafo, che poi divenne re d’Egitto, e costruì la famosa città di Menfi.
Danae
Zeus apparve a Danae sotto forma di una pioggia d’oro. Figlia di Acrlsio, re d’Argo e di Euridice, avendo il padre appreso da un oracolo che egli sarebbe stato ucciso dal proprio nipote, rinchiuse Danae sua unica figlia in una torre di bronzo; ma Zeus riuscì a sedurla, penetrando nella torre in forma di pioggia d*oro; ed Acrisio la fece quindi rinchiudere in una cassa assieme al figlio neonato, abbandonando tutti e due alla furia del mare. Madre e figlio, in balìa delle onde, giunsero fino ad una delle isole Cicladi, Serifa, il cui re Polidette accolse la donna prestando soccorso a lei e al bambino, il futuro eroe Perseo.