Le origini egizie
Quando per il tramite d’Alessandria le divinità faraoniche penetrarono nel mondo classico, non mancò naturalmente il suo posto, con Iside e Osiride, ad Horus, il terzo della triade. La religione egiziana aveva distinto Horus giovane da Horus fanciullo, e il primo, anche a causa della natura solare del suo mito, era già stato da Erodoto (II, 144) e Plutarco (De Iside et Os., 21) identificato con Apollo. (Fonte: Treccani.it)
Gli Egizi, avevano la fondata pretesa di avere dato ai Greci tutto il loro sistema teogonico; tuttavia, poiché il successivo sincretismo religioso di epoca ellenistico-romana, fuse di nuovo le divinità greco-romane con quelle orientali – dalle quali comunque avevano avuto anticamente origine – non è facile stabilire le origini con precisione.
Horus giovane quindi, identificato con Apollo, era figlio di Iside, identificata dai greci con Afrodite e Demetra, e Osiride, dai greco-romani assimilato a Serapide. Tale era la bellezza che gli egizi attribuivano a questo dio, che diedero perfino il suo nome al Sole anzi al Cielo intero.
Questo principe divino, egualmente ammirevole per le qualità dell’ingegno come per quelle del corpo, fu il primo ad insegnare agli Egizi le scienze e le arti. Dopo essersi unito a Poseidone per fondare la città di Troia, Apollo passò nell’isola di Delo ove soggiornò per un periodo di tempo, ed in seguito andò errando per la Grecia, fissando finalmente il suo soggiorno dove si trovava la città di Delfi.
Qui fece edificare un palazzo od un tempio. Egli diede ai Greci la prima cognizione delle arti e delle scienze, e fece godere loro i vantaggi di uno stato civile. Col favore della musica, insegnava loro i precetti morali, offriva a coloro che andavano a consultarlo dei responsi sempre poi confermati dagli eventi, prediceva il diverso corso dei pianeti, il levarsi e il tramontare della luna, le eclissi di questo o quel pianeta e quelle del sole.
Tanto bastò ai popoli semplici e rozzi perché credessero che questo principe fosse un uomo straordinario e divino. Apollo quindi approfittò della loro credulità per governarli con maggior autorità.
A questo semplice racconto si limita pressapoco la storia di Apollo, di probabile origine egizia, giunta da loro già divinizzata, e abbellita poi dalla fervida immaginazione dei Greci di tutti gli ulteriori prodigi del mito.
L’Apollo o Febo dei Greci era il dio della luce e delle belle arti, figlio di Zeus e di Latona, figlia di Ceo, uno dei Titani, e nipote di Urano o il Cielo, e di Gea o la Terra. Tutti gli autori sono d’accordo intorno la sua origine, ma è qui da notarsi che sebbene Cicerone, abbia fatto menzione nel De Natura Deorum di quattro diversi Apollini, i poeti greci non ne riconoscono che uno: il figliuolo di Latona.
Apollo greco
Nacque questi sul monte Cinzio a Delo, isola del mar Egeo. La tradizione che lo fa nascere in quest’isola emersa dal mare, è tratta anch’essa dalla mitologia egizia la quale afferma che Horus, figlio di Iside e Osiride, fu sottratto dalla madre alla persecuzione di Tifone (che gli egizi chiamavano Apopi) e nascosto dalla stessa Iside tra le Paludi. I Greci hanno poi ampliato e variato questo mito:
Zeus si invaghì di Latona, figlia del Titano Ceo, e la dea a sua volta non seppe resistere al padre degli Dei. In breve Latona non ebbe più modo di nascondere il frutto della sua debolezza: era infatti incinta. La dea Era dunque, la scacciò dal cielo, ma questa punizione non le bastava, per cui fece uscire dalla terra putrefatta il serpente Pitone, incaricandolo della sua vendetta e fece giurare inoltre a Gea, la terra, di negarle un ricovero in ogni luogo esistente sulla terra, ove Latona potesse partorire.
L’infelice madre, errante e inseguita dappertutto, non trovò alcun luogo dove rifugiarsi. Ma ecco che Poseidone, mosso a pietà per lei, fa uscire dal mare ad un cenno del suo tridente, l’isola Ortigia (cioè sempre Delo), la quale essendo finora sommersa, non rientrava nel giuramento che la Terra dovette fare alla dea Era: si intendeva infatti l’esclusione di ogni luogo della terra conosciuto al momento della promessa, ma l’isola non esisteva allora, giacendo ancora in fondo al mare.
Latona si poté rifugiare dunque in questo luogo, ma difficilmente poteva occultare l’istante preciso della nascita dei figli e si servi perciò di Cibele: infatti lo strepito delle armi dei suoi sacerdoti, i coribanti, impediva alla dea Era di udire le loro grida (uno stratagemma già utilizzato da Rea, madre di Zeus, per nascondere il piccolo dalle mire antropofaghe di Crono). Artemide ed Apollo vennero alla luce sotto una palma.
Subito le ninfe oceanine lavarono le due piccole divinità nelle loro onde. L’infanzia di Apollo fu breve, al pari di quella del padre Zeus e appena nato egli divenne un uomo fra i più belli che si fossero mai visti.
Apollo ricevette da Efesto un arco e delle frecce dorate micidiali; l’abilità con la quale si serviva di queste, gli fece ottenere il soprannome di Ecatébolos, “colui che scocca da lontano” e suoi principali attributi furono l’arco e il turcasso o faretra.
Giovinezza di Apollo
Poco dopo la sua nascita, il figlio di Latona uccise a colpi di freccia il serpente Pitone, altro strumento della vendetta della sposa di Zeus, il che gli fece dare il nome di Pizio; della pelle di questo serpente si servì per coprire il tripode sul quale sedeva la Pitonessa per proferire gli oracoli.
Ricorderò, non dimenticherò, Apollo l’arciere;
gli dei tremano quando entra nella casa di Zeus.
Saltano non appena si avvicina. Si alzano tutti
dalla loro sede quando tende il suo arco luminoso.
Solo Lètô rimane al suo posto vicino a Zeus, gioia della luce;
scioglie la corda dell’arco, chiude la faretra.
Prende l’arco ancora fissato sulle spalle forti.
Lo appende a un chiodo d’oro sulla colonna
Che è di suo padre; essa lo guida
al trono dove siede.(Inno omerico ad Apollo)
La leggendaria abilità con l’arco sarà però anche causa di molti guai per questo dio: Apollo voleva infatti vendicare la morte di Asclepio, suo figlio, che era stato fulminato da Zeus per avere risuscitato Ippolito, cosa che aveva mandato su tutte le furie Ade, il dio dell’Oltretomba, perché così diminuiva il numero di morti negli inferi.
Furibondo, Apollo uccise dunque a colpi di freccia, i Ciclopi che avevano fabbricato le folgori. Questa vendetta irritò a sua volta talmente il padre degli dei, che egli decise di privare Apollo, per un certo periodo di tempo, degli onori della divinità, scacciandolo dal cielo ed esiliandolo in Tessaglia.
Durante il suo esilio, il figlio di Latona andò a stare presso Admeto, re di Fere e divenne guardiano delle greggi di questo principe. Per consolarsi nella sua sventura e passare lietamente il tempo del suo esilio, questo dio inventò i versi bucolici e faceva spesso risuonare l’eco de canti della sua voce che egli accompagnava col suono della cetra.
Il soggiorno presso Admeto
Mentre soggiornava presso Admeto, rese a questo re degli importanti servigi: per prima cosa fece divenire feconde le sue vacche, da sterili che erano, e che quindi produssero due vitelli per volta. In secondo luogo, poiché Admeto si era innamorato di Alcesti, figlia del re Pelia – il quale non voleva darla se non a colui che gli conducesse un carro tirato da un leone e da un cinghiale – Apollo allora gli insegnò il modo di aggiogare queste due bestie, cosicché Admeto poté ottenne in sposa Alcesti.
Finalmente, per ricompensare Admeto del buon trattamento ricevuto, il dio ottenne dalle Parche che questo principe in occasione di una malattia per la quale era sul punto di morire, potesse vivere, purché qualche suo congiunto volesse sacrificarsi per lui.
La lira e la musica
A proposito della lira di Apollo, a torto alcuni mitologi ne attribuiscono a lui l’invenzione, perché sappiamo da Omero e da tutti gli antichi autori di teogonie, che questa invenzione si deve piuttosto ad Hermes, affidandosi ad una più antica tradizione.
Si noti che questo dio rubò, nel giorno stesso in cui nacque, i buoi e la faretra del figlio di Latona, il quale da quell’istante divenne suo nemico. In seguito Hermes glieli restituì e per riconciliarsi con lui, gli fece dono della lira, appunto da questi inventata.
Apollo in attestato di riconoscenza, gli regalò una verga d’oro, della quale Hermes si serviva per condurre gli armenti. Questa verga, chiamata poi Caduceo, aveva le virtù di riunire i nemici che fossero in discordia e di far cessare le liti, toccando con essa i contendenti o ponendola tra essi. Hermes volendo metterla alla prova, la gettò tra due serpenti che si battevano fra di loro e vide subito scendere la pace su entrambi.
Da allora questa verga venne sempre ornata da due serpenti. Apollo invece, munito della lira donatagli da Hermes, che da altri fu chiamata cètera o cetra, vi aggiunse molte altre corde e la perfezionò così bene, che ne traeva i suoni più soavi.
Pan, il Dio dei boschi e delle foreste, sostenne che il suo flauto fosse migliore della lira di Apollo, ed osò anche sfidarlo nel canto. Questi accettò; furono scelti per arbitri della contesa Tmolo re di Lidia e Mida re di Frigia. Avendo il primo decretato il premio ad Apollo ed il secondo a Pan, Apollo punì Mida per il suo pessimo gusto facendogli crescere delle orecchie della forma di quelle di un asino.
Il culto
Fra tutti gli Dei greci, Apollo è uno quelli che ebbero maggiori onori. Templi ed oracoli gli venivano dedicati in quasi tutte le città della Grecia e dell’Italia. L’oracolo più famoso di questo dio, era quello di Delfi, che si veniva a consultare provenendo anche dai luoghi più lontani: il tutto per udire quello che veniva proferito per la bocca di una vecchia donna ispirata dal dio.
Nei sacrifici ad Apollo, dio dei pastori, s’immolavano uno sparviero ed un lupo, animali funesti al gregge. Il gallo invece, gli era consacrato, perché questo uccello annunziava col suo canto il ritorno del sole, o di Febo, e lo sparviero perché i suoi occhi acutissimi sono simbolo del sole che vede ogni cosa, e ogni cosa fa vedere.
Il grifone, il cigno, il corvo, la cornacchia, erano anche essi consacrati ad Apollo, poiché si credeva che questi uccelli avessero un particolare istinto a predir l’avvenire. Come riferisce Virgilio, talvolta si immolavano a questo dio degli agnelli e secondo Pausania anche il toro.
La palma e l’alloro erano le piante che componevano i vari attributi del dio: la palma perché egli era nato ai piedi di un albero di questa specie, l’alloro perché si credeva che i vapori delle sue foglie avessero il potere di rivelare le ispirazioni e i sogni.
Euripide nell’Ecuba, loda assai elegantemente la palma ed il lauro di Delo. Tra i fiori che erano consacrati ad Apollo, vi è il loto il mirto, il ginepro, il giacinto…
I giovani, giunti alla pubertà, consacravano la loro capigliatura nei suoi templi, come le fanciulle deponevano le loro trecce in quelli di Artemide.
Poiché l’universo intero adorava questo dio, o almeno l’astro del quale era simbolo, egli ebbe quasi altrettanti nomi quanti i paesi che gli rendevano un culto religioso, ma indipendentemente da questi nomi, i Greci ed i Latini gliene avevano dati altri.
I nomi di Apollo
Al pari di sua sorella Artemide, egli ebbe tre nomi: si chiamava Febo, Phoebos, che significa “chiaro” “che illumina” poiché egli era visto come il dio della luce appunto.
Altri dicono che questo nome tragga origine da quello di Febe, madre di Latona. Sulla terra era chiamato anche Libero e gli fu egualmente dato il nome di Delio, per via dell’isola di Delo, dove nacque.
Cinzio era un epiteto derivato dalla montagna a lui consacrata, quello di Nomio (pastorale) perché insegnò ai pastori a custodire e governare il gregge; era detto anche Moiragate o capo delle Parche, come ci riferisce Pausania.
Ecco la lista dei soprannomi di questo dio: Acesio, Acirorocome, Acreite, Afetore, Agreo, Agieo, Aleo, Alessicaco, Aleuromantide, Amazonio, Amicleo, Anace, Anafeo, Apeo, Archegete, Arcitenente o Arciero, Argoo, Antispaleo, Azio, Beleno, Beli, Boedromio, Carino, Carneo, Carnia, Cataone, Celipede, Cereate, Cilleo, Cinnio, Cinzio, Cirreo, Clario, Comeo, Coo, Corinzio, Dafneo, Dafnite Decatefaro, Delfico, Delfinio, Delio, Deradiote, Diceo Didimeo, Dionisiodoto Dircesio Ecasio Ecatombeo, Egineto, Egizio, Eglete, Elio, Embasio, Eoo, Epazio, Epibaterio, Epicurio, Epidelio, Epitropio Erisateo, Erizio, Eutresite, Fane, Finlesio, Febo, Filleo Frigio, Gergizio, Gerunzio, Grineo, Ilata, lleo, Intonso Iperionide, Iso, Ismenio, Ixio, Larisseo, Latoo, Lotreo Leschecorio, Leschenario, Leucadio, Libistino, Liceo Licio, Licoreo, Litesio, Lossi, Maleate, Marmarino, Mirragete, Milesio, Mioctano, Musagete, Nomio Oetosiro, Onceate, Onceo, Orio, Oro, Palatino, Parnopio, Parnasio, Pabertareo, Ptoo, Salganeo Sciallio, Selinunzio, Sitalca, Sminteo, Soratte, Sosiano, Spondio, Stoboo, Teario, Tecmio, Tegireo Telchinio, Telmisso, Tembrio, Temenite, Teneale, Termio Tilfossio, Timbreo, Tirbeno, Tireo, Tirseo, Titano, Torate, Tornace, Tragico, Triopio Ulio, Vulturio, ecc.
L’immagine di Apollo
La sua immagine era declinata ovviamente in molte variazioni. A Lesbo la sua statua teneva un ramo di mirto, albero dagli antichi guardato come favorevole alla divinazione.
Talvolta lo si vede con un pomo in mano, premio dei giuochi pitici. A Tessalonia egli si coronava da sé come vincitore di Marsia.
A Delo aveva un arco nella mano destra e sulla sinistra le tre Grazie recanti ciascuna uno strumento musicale, come il flauto, la siringa e la lira.
Quando è assimilato sole, ha un gallo in una mano, è circondato da raggi e scorre lo zodiaco sopra un carro tirato da quattro cavalli bianchi, oppure lo zodiaco è sopra la sua testa e corrisponde al segno che indica la stagione dell’anno in cui si vuole rappresentare l’azione.
In questa qualità, il suo carro sembra salire a fatica un lido scosceso o discendere agevolmente per un rapido pendio.
Altre volte lo si vede sul Parnaso, in mezzo alle nove muse con la lira nelle mani ed una corona d’alloro sul capo.
Il colosso di Rodi era una figura di Apollo e sulla maggior parte delle medaglie di questa città, il dio è rappresentato coronato di raggi.
I monumenti antichi lo presentavano sotto l’aspetto di un bel giovane imberbe con lunga capigliatura, coronato di alloro.
D’oro è il suo mantello, e anche il fermaglio; d’oro la lira e l’arco di Licia, e la faretra; d’oro anche i sandali. Apollo è tutto oro e tutta la ricchezza; questo lo vide bene Pitone. Dio sempre bello, Dio sempre giovane; mai nessuna barba copriva le sue tenere guance. I suoi capelli spruzzano a terra l’olio profumato che distilla; ma le gocce non sono un unte di grasso; no, esse sono la panacea stessa; lì, nella città dove la rugiada scivola a terra, lì tutto è salvezza.
(Callimaco, Inni)
Tibullo gli attribuisce il colorito e le grazie di una fanciulla. Egli ha vicino a sé diversi strumenti d’arte e tiene fra questi sempre la lira d’oro, i cui dolci concerti dilettavano egualmente gli uomini e gli dèi.
I Persiani, che lo fondevano col culto iranico di Mitra e del sole, lo rappresentano sotto l’aspetto di un uomo con la testa di leone, coperto di una tiara che tiene per le corna un toro furioso emblema di origine egizia.
Gli Egizi a loro volta, lo simboleggiavano ora con un cerchio radiante ora con uno scettro sormontato da un occhio e l’emblema più frequente della luce solare, distinta dal disco stesso, era un serpente d’oro alato.
In Frigia aveva una barba acuta, per rappresentare l’emissione dei suoi raggi verso la terra; il canestro d’oro che portava sul capo rappresentava la luce eterea. Nella mano destra aveva una lancia e sul capo un immagine della Vittoria, simbolo della forza irresistibile; nella mano sinistra invece teneva un fiore, emblema del regno vegetale, prodotto maturato e perpetuato dal suo benefico calore; sulle spalle portava un ornamento fatto di gorgoni e serpenti, per indicare la facile influenza del sole sulla mente e sull’intelletto; vicino a lui vi erano le ali stese di un’aquila, rappresentanti l’etere che si sviluppa emanando da lui come dal suo centro.
Ai suoi piedi stavano tre figure di donne circondate da un serpente, delle quali quella di mezzo era l’emblema della terra.
Considerato sotto il suo carattere poetico Apollo è chiamato indistintamente Vates o Lyristes, non essendo state, nei primi tempi, sia la musica che la poesia, che una sola e medesima arte.
In questa qualità è rappresentato talvolta nudo, con i capelli raccolti sulla fronte, con una lira in una mano ed un plettro nell’altra o secondo la descrizione di Properzio, appoggiato sopra un macigno; talvolta i suoi capelli sparsi ondeggiano a seconda degli zefiri; il suo capo è cinto di alloro e gli scende fino sui piedi una lunga veste, l’abito caratteristico di Apollo Vates o Lyristes.
Questa veste si supponeva fosse quella con cui egli compariva alle feste di Zeus, soprattutto in quella che ricordava la memorabile vittoria di questi contro suo padre Crono.
Apollo medico ha un serpente a piedi delle sue statue. Fra quelle che ricordavano l’avventura di Marsia, se ne cita una nel Foro romano, rappresentante questo dio che scortica, con le sue mani, il suo insolente rivale e per questo evento era indicato in latino con l’epiteto di Tortor, cioè colui che tormenta. Questo episodio si ritrova su di una pietra nella quale Nerone fece figurare sé stesso sotto le sembianze di Apollo, che ordina tale supplizio.
I quadri e le statue di Apollo cacciatore di cui Massimo di Tiro ci dà un’idea, lo rappresentano come un giovane col fianco nudo sotto una clamide, armato di arco e col piede alzato in atto di correre. Tale possiamo figurarcelo allorché, secondo i poeti, egli abbandona i boschi della Licia per ritornare a Delo, e quando Virgilio ce lo dipinge per paragonare a lui Enea nella caccia.
Il più celebre monumento che ci rimanga dell’antichità, è il famoso Apollo del Belvedere, d’autore ignoto, ritrovato ad Anzio e descritto dal Winckelmann.
Apollo ebbe una numerose discendenze di figli, quasi tutti veggenti, cantori ed eroi della loro città di origine o di quelle regioni nelle quali egli veniva venerato.
Le statue di Apollo lo rappresentano come un giovane forte, dalla figura eretta, dalle linee ardite, aperta e con la bella testa (akersekómes).
La più antica statua che si sia conservata, è quella scoperta presso Tenea nel Peloponneso, ora a Monaco.
I Romani ricevettero il loro Apollo dai Greci. Si crede che l’oracolo di Delfi fosse stato da loro consultato già al tempo dei re.
Nel 432 a. C. venne eretto il tempio in Roma ad Apollo medicus, quale dio liberatore dei contagi, e presso i Romani ebbe culto specialmente sotto questo aspetto.
Al tempo della seconda guerra punica vennero istituiti in suo onore i ludi Apollinares. Augusto che aveva per questo dio particolare venerazione, ordinò che i ludi saeculares che si celebravano in onore Dite e di Proserpina, fossero in parte consacrati anche ad Apollo e a Diana.
(Adattamento e libera rielaborazione da “La mitologia popolare illustrata”, Francesco Sabatini, 1896