Le Arpie, come le Furie, erano impiegate dagli dèi come strumenti per punire i colpevoli; erano tre divinità femminili, figlie di Taumante ed Elettra, e si chiamavano Aello, Ocipete e Celeno (Omero, Odissea, libro XX).
Erano rappresentate con la testa di una fanciulla bionda e il corpo di un avvoltoio, ed erano perennemente divorate dai morsi di una fame insaziabile. Tormentavano le loro vittime sottraendo loro il cibo, divorandolo con grande voracità o contaminandolo in modo tale da renderlo immangiabile.
Davanti a quest’uomo una mostruosa banda di donne dormiva, sedute su dei troni. No! Non donne, ma piuttosto Gorgoni le chiamo; eppure non posso nemmeno paragonarle a forme di Gorgoni. Una volta vidi in un quadro delle creature che portavano via il banchetto di Fineo; ma queste sono in apparenza prive di ali, neri, del tutto disgustosi; emettono versi e respiri ripugnanti, dai loro occhi gocciolano un liquido odioso; il loro aspetto non è degno di essere mostrato né davanti alle statue degli dèi, né nelle case degli uomini. Non ho mai visto la tribù che ha prodotto questa compagine, né la terra che si vanta di allevare impunemente questa progenie e non si addolora per questo suo frutto in seguito.
Eschilo, Eumenidi
Il loro volo, meravigliosamente rapido, superava di gran lunga quello degli uccelli o anche degli stessi venti. Se un mortale fosse scomparso improvvisamente e in circostanze inspiegabili, si credeva che fosse stato portato via dalle Arpie. Esse infatti rapirono le figlie del re Pandareo per farne le serve delle Erinni.
…come un tempo i venti di tempesta portarono via le figlie di Pandareo. I loro genitori erano stati uccisi dagli dei, ed erano rimaste orfane nella casa, e la bella Afrodite le curava con formaggio, miele dolce e vino piacevole, e qui Hera diede loro la bellezza e la saggezza sopra tutte le donne, e la casta Artemide diede loro l’alta statura, e Atena insegnò loro l’abilità nei famosi lavori manuali. Ma mentre la bella Afrodite andava nell’alto Olimpo a chiedere per le fanciulle il compimento di un matrimonio felice – recandosi da Zeus che scaglia la folgore, perché ben conosce tutte le cose, sia la felicità che l’infelicità degli uomini mortali – intanto gli spiriti della tempesta strappavano via le fanciulle e le diedero nelle mani delle odiose Erinni.
(Omero, Odissea, Canto XX)
Le Arpie sembrerebbero essere personificazioni delle tempeste improvvise, che, con violenza spietata, investono interi paesi, trascinando via o ferendo tutti gli sventurati che si trovino sul loro cammino.
I loro lineamenti sono di vergini; un istinto divorante
Del loro sciame rapace conduce il volo errante;
Un’orribile magrezza incava i loro visi avidi,
I loro ventri, sempre pieni, rimangono sempre vuoti,
Sovraccarichi di cibo, senza essere nutriti,
In un fluido vile danno i loro detriti,
E dal flusso di questa feccia impura
Avvelenano l’aria e contaminano il verde.– Virgilio, Eneide, Canto III
Teorie sulla loro origine
Lo studioso R.D. Barnett suggerisce, nel suo scritto Ancient Oriental Influences on Archaic Greece (un saggio contenuto nel volume The Aegean and Near East, ed. Saul S. Weinberg, Locust Valley, New York, 1956) che l’iconografia delle Arpie sia stata adattata sin dall’inizio dagli ornamenti delle calderoni di bronzo di Urartu, un antico regno dell’Armenia. In essi si possono infatti vedere uccelli con un volto femminile:
Questi [i calderoni e le loro rappresentazioni] fecero una tale impressione in Grecia che sembrano aver alimentato l’ingresso delle sirene nell’arte greca arcaica; queste immagini parevano davvero delle figure misteriose che svolazzavano sui bordi di tali nobili recipienti da cucina, dando origine alla celeberrima leggenda greca di Fineo e delle Arpie, che sono così spesso rappresentate anche nell’arte greca. Il nome stesso di Fineo, vittima delle loro persecuzioni, potrebbe non essere altro che una corruzione del nome di un re di Urartu, Ishpuinish o Ushpina (circa 820 a.C.), che forse era associato a questi vasi dai mercanti greci.
Tradizione iconografica
Un famoso monumento della prima antichità a Xanthos, del 480 a.C., è chiamato il Monumento dell’Arpia, ma questo nome è basato su un’interpretazione ormai dubbia delle creature simili ad arpie presenti sui rilievi di questo complesso tombale. Esempi di pittura vascolare greca sono la ciotola di Fineo nella collezione di antichità del Museo Martin von Wagner, così come due ciotole a Villa Giulia a Roma.
Nel Medioevo, le rappresentazioni delle arpie appartenevano al regno simbolico del male, degli inferi e dell’avidità. Appaiono in drôleries (“Termine francese, utilizzato dagli storici dell’arte in riferimento alle forme figurative di carattere bizzarro che abbondano soprattutto nei margini dei manoscritti miniati di epoca gotica.” Fonte: Treccani.it) nelle incisioni sui libri dei libri e nella scultura architettonica all’esterno delle chiese medievali, di solito senza un contesto scenico. Sono difficilmente distinguibili dalle sirene, forse hanno un po’ meno la forma di uccello.
Nel Rinascimento, queste creature vennero poi raffigurate non solo in contesti decorativi, per esempio nelle impalcature degli arabeschi, ma anche nell’ambito di narrazioni antiche, come negli affreschi degli Argonauti e di Enea di Annibale Carracci a Palazzo Fava a Bologna.
Nel 13° canto dell’Inferno di Dante, i suicidi sono tormentati dalle arpie. William Blake e Gustave Doré hanno illustrato questa scena nel XIX secolo. Mentre nei Caprichos di Goya, esse rappresentano ancora delle minacciose incarnazioni del male, nell’arte del Classicismo le arpie, come i grifoni e le sfingi, diventano reminiscenze puramente decorative dei motivi dell’antichità.
(Libera rielaborazione e adattamento da E. M. Berens. “The Myths and Legends of Ancient Greece and Rome”, 1880 e dalle edizioni multilingue di Wikipedia, con aggiunte e integrazioni)