LA CITTÀ DI ATENE III - di 4
Reading Time: 35 minutesPisistrato, il Caudillo ante litteram
Partiti politici ad Atene
Man mano che le antiche distinzioni basate sulla nascita – nobile o plebea – stavano tramontando, nascevano nuovi partiti, composti da uomini che curavano i propri interessi particolari. Queste fazioni presero il nome dalle località in cui avevano ricevuto il loro più forte sostegno.
Vi erano, in primo luogo, i ricchi proprietari terrieri, i cui possedimenti occupavano la parte più fertile delle pianure e che per questo venivano chiamati gli Uomini della Pianura, i Pediei (dal greco pedion, pianura appunto); formavano il partito aristocratico o oligarchico più estremo.
Poi c’erano i piccoli contadini, i pastori e i mandriani che vivevano sugli altopiani e quindi erano chiamati gli Uomini della Collina, i Diacri (dal greco diakron, montagna); questi formavano il partito democratico estremo o popolare.
Vi erano infine i mercanti e i commercianti chiamati Uomini della Riva, i Parali (dal greco paralia, costa); questi costituivano il partito moderato o conservatore.
Durante l’assenza di Solone queste fazioni furono impegnate in aspre lotte. In mezzo a tanta discordia, divenne evidente uno dei principali difetti della costituzione ateniese: la mancanza di un unico capo esecutivo, con poteri sufficienti per amministrare il governo con mano ferma.
Solone tornò ad Atene nel 561a.C. e trovò il popolo insoddisfatto quanto gli Eupatridi della legislazione che lui aveva istituito: i primi avevano sperato nell’abolizione assoluta dei debiti e nella divisione delle terre, i secondi si sentivano profondamente colpiti nelle loro prerogative; i vecchi dissensi interni erano già ripresi e Pisistrato si preparava a impadronirsi della tirannia. Solone cercò con tutti i mezzi di sventare la sua impresa e di mettere in guardia il popolo contro le astuzie di Pisistrato, ma gli Ateniesi non vollero ascoltarlo.
La guerra tra le parti diede l’opportunità a un uomo ambizioso di impadronirsi del governo e di dominare come un “tiranno”.
Usurpazione di Pisistrato
L’uomo che ora sedeva come dittatore ad Atene era Pisistrato. Era un abile generale, un brillante oratore, un uomo che combinava la cultura con l’astuzia. Anche se nobile di nascita, sposò la causa del popolo e divenne il capo del partito popolare.
Per impadronirsi del governo aveva fatto ricorso ad uno stratagemma. Un giorno, apparve all’improvviso sulla piazza del mercato pieno di ferite sanguinanti auto inflitte per sua stessa mano, facendo credere alla gente di essere stato aggredito mentre difendeva i propri diritti.
Nonostante le proteste di Solone, il popolo fu ingannato e votò a favore dell’assegnazione a Pisistrato, come guardia del corpo personale, di cinquanta uomini armati di bastoni. In realtà ne arruolò circa 400 e con questo manipolo di uomini si impadronì dell’Acropoli e si proclamò capo supremo (660 a.C.).
Pisistrato era in realtà aristocratico, come abbiamo detto, e cugino di Solone, col quale in realtà aveva rapporti molto stretti. Erano infatti grandi amici; il più anziano dei due aveva il ruolo di mentore nella coppia. Forse, nonostante fossero parenti, furono perfino amanti, come era in uso in Grecia. Pisistrato resterà sempre profondamente legato a Solone e influenzato da lui, anche quando la distanza politica fra loro divenne incolmabile.
Intuendo la progressiva svolta democratica di Atene, Pisistrato comprese che il futuro della politica sarebbe stato quello di assicurarsi il favore del proletariato, più povero ma più numeroso. Fu quindi forse l’inventore della demagogia e di un certo machiavellismo antiborghese proprio di certi governi autoritari, sia di sinistra che di destra.
Megacle e il resto della nobile famiglia degli Alcmeonidi, che rappresenterebbero quelli che oggi chiameremmo ultra conservatori, quando non proprio fascisti, fuggirono via da Atene (su di loro gravava ancora l’accusa di sacrilegio per l’eccidio dei seguaci di Cilone). Solone, invece, decise di restare e si recò in assemblea, dichiarando di non riconoscere la nuova tirannia e ammonendo gli ateniesi sui rischi che questa avrebbe comportato in futuro.
Si recò a casa, prese le armi e le mise davanti alla porta a significare che ormai aveva combattuto dando tutto per la patria ed era rassegnato ed esausto. Rimase ad Atene per il resto della sua vita, vivendo una vecchiaia serena, rifiutando di andare in volontario esilio, ma disprezzando la codardia degli ateniesi. Pisistrato non lo perseguitò in nessun modo, anzi, ne rispettò le leggi e lo consultò come consigliere. L’anziano legislatore morì nel 558 a. C.
Il nuovo re o tiranno dovette governare con il favore sicuramente del popolo minuto e parte della classe media, ma è quasi certo che avesse contro una buona parte dei ceti più ricchi e gli oligarchi radicali, rimasti in contatto con i gruppi scappati all’estero. Tutti questi suoi nemici, procurandosi mezzi e alleanze, a cinque anni dal golpe, riuscirono ad unirsi per cacciare il tiranno e costringere lui questa volta all’esilio.
Ma Pisistrato doveva essere un leader eccezionale e di grande carisma e influenza: riuscì a rovesciare ancora la sorte a suo vantaggio, tornando al potere col ricorso ad una nuova astuzia. Questa volta si presentò in città su di un carro accompagnato da una maestosa donna vestita di un’armatura per rappresentare la dea Atena, sotto la cui egida sosteneva di essere stato riportato al potere.
La popolazione rimase di nuovo ingannata, oppure c’era ancora troppa disparità sociale perché l’avventura di questo demagogo ma anche statista capace, non potesse conoscere un ritorno di fiamma. Divenne di nuovo il padrone di Atene. Tuttavia la resistenza degli ultra radicali dovette essere costante, visto che dopo questo nuovo governo di sei anni, Pisistrato cadde nuovamente in disgrazia e dovette fuggire.
Ma non era ancora finita per lui: riuscì infatti a riprendersi il potere una terza volta, con l’aiuto di un corpo di mercenari ottenuto da Argo. Questo ultimo regno durò fino alla sua morte.
Il governo di Pisistrato
I metodi che Pisistrato usò per acquisire il suo potere erano del tutto diversi dal modo in cui lo esercitò durante i suoi tre successivi mandati. “La sua amministrazione”, dice Aristotele, “era più simile a un governo costituzionale che a quello di un tiranno”.
Conservò le forme politiche stabilite da Solone, preoccupandosi solo che i suoi stessi sostenitori fossero eletti all’arcontato. Anticipò denaro alle persone più povere per aiutarle a ottenere un sostentamento.
Nominò giudici locali nel paese, in modo che i diritti delle classi inferiori potessero essere tutelati senza che fossero obbligati a venire in città per richiedere giustizia.
Adornò Atene di edifici pubblici, come l’Olympiaion e il Hecatompedon, non solo per soddisfare il proprio amore per l’arte, ma anche per dare lavoro ai disoccupati. Era un mecenate della letteratura e collezionava volumi in una biblioteca che aprì al pubblico. Si dice che abbia fatto pubblicare la prima raccolta dei poemi di Omero. Si circondò dei maggiori poeti ed artisti della Grecia dell’epoca.
Incoraggiò anche il commercio e strinse alleanze con diversi stati stranieri. Incoraggiò in ogni modo il culto degli dèi e istituì splendide feste in loro onore come le Panatenee e le Dionisie durante le quali si allestivano gli spettacoli teatrali, come le tragedie.
Sebbene fosse un tiranno di nome, fu uno dei più grandi sovrani ateniesi e iniziò da lui il regime che in seguito fece di Atene il centro letterario e artistico della Grecia.
La caduta degli dèi
Alla morte di Pisistrato, il potere passò nelle mani dei suoi due figli, Ippia e Ipparco. Quest’ultimo si era fatto padrone della città prendendo con l’inganno l’Acropoli e ricevendo il potere “come proprietà di famiglia” alla morte del padre Pisistrato, nel 527 a.C., insieme al fratello.
Secondo Tucidide, però, Ipparco fu solo un burattino nelle mani di Ippia, che essendo il maggiore, divenne l’effettivo capo dello stato. Durante i primi anni del suo regno questi seguì l’esempio del padre, governando il popolo con mitezza e incoraggiando l’arte e la letteratura. Dalle fonti però risulta talvolta difficile distinguere ciò che, durante il governo dei tiranni di Atene sia da attribuire a Pisistrato e ciò che invece fosse opera dei suoi figli, almeno fino alla morte di Ipparco.
Quest’ultimo – fine studioso, che accolse alla corte i poeti Anacreonte di Teo e Simonide di Ceo e costituì un’imponente biblioteca – fu vittima di una cospirazione guidata dai noti tirannicidi, Armodio e Aristogitone, che portò al suo assassinio.
Infatti, Ipparco era innamorato del giovane Armodio, il quale invece amava Aristogitone e – secondo quanto raccontano Erodoto e Tucidide – aveva respinto le avances del tiranno, che dunque ostacolava questo loro amore. Inoltre Ipparco, per vendetta, rifiutò poi di ammettere la sorella di Armodio tra le canephora delle Panatenee (erano giovani donne che portavano ceste sul capo circondate da ghirlande di fiori che contenevano oggetti dedicati al culto di Atena), sottintendendo che non era vergine.
La soppressione della dignità di canephora equivaleva a un insulto per tutta la sua famiglia. Furioso, Armodio, aiutato dal suo amante Aristogitone, organizzò quindi la sua congiura con il desiderio di assassinare i due fratelli, ma essi riuscirono a pugnalare a morte solo Ipparco. Era il 514 a.C.
Il loro intento era anche quello di rovesciare la tirannia instaurata da Pisistrato nel 546 a.C.
Armodio e Aristogitone, condannati a morte, furono da allora celebrati come eroi della democrazia. Due Statue che li rappresentano (“i Tirannoctoni o Tirannicidi” – Aristogitone e Armodio) sono esposte al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Ippia, rimasto sconvolto per l’assassinio del fratello, cominciò a covare un profondo risentimento e a mutare di carattere: divenne allora un tiranno vero e proprio, sospettoso e ossessionato dalla paura di un regicidio. Mandò quindi a morte sommariamente i suoi presunti nemici e mise al bando in maniera indebita tutti coloro che temeva. Fu instaurato un regime di terrore e di vessazioni verso l’oligarchia.
Il dittatore si circondò di una guardia del corpo di mercenari stranieri e impose tasse arbitrarie al popolo.
Inoltre, in politica estera la posizione di Atene si indebolì dopo la morte di due tiranni alleati, Policrate di Samo e Ligdami di Nasso . A ciò si aggiunse la conquista persiana che travolse il primo impero marittimo ateniese, fondato da Pisistrato; infine la lotta tra Tebe e Atene in seguito all’alleanza di Platea con quest’ultima. Sparta, preoccupata per l’espansione della capitale dell’Attica, esitava ad intervenire direttamente.
Il risultato dei quattro anni di governo dispotico di Ippia, fu che il nome di tiranno, che fino ad allora significava semplicemente “sovrano”, rimase per sempre odioso agli Ateniesi e visto come marchio d’infamia.
Ma Atene era incapace di liberarsi da questa dittatura senza l’aiuto degli dei o il soccorso di una qualche potenza straniera. E il fato volle che entrambi intervenissero per salvare la polis. Gli dei infatti, inviarono gli Spartani in loro sostegno, ai quali fu loro ingiunto dall’oracolo di Delfi di andare in aiuto ad Atene (sembra che in realtà i sacerdoti dell’oracolo fossero stati corrotti dagli avversari di Ippia. Tra questi, degli esuli ultraconservatori come la famiglia degli Alcmeonidi)
Guidato dal loro re, Cleomene, l’esercito lacedemone entrò in città e attaccò la cittadella. I figli di Ippia furono catturati dagli Spartani e per ottenerne la liberazione il padre tiranno si arrese sull’Acropoli (510 a.C.). Gli fu permesso di ritirarsi in Asia Minore. Gli Ateniesi pronunciarono contro di lui e la sua famiglia una sentenza di esilio perpetuo. Ippia si ritirò quindi presso Dario I, re di Persia e spinse quest’ultimo ad intraprendere la prima spedizione persiana contro l’Ellade. Il suo divenne un nome odiato per sempre, come quello di un nemico dichiarato della Grecia.
Ippia verrà ucciso a Lemno, poco dopo la battaglia di Maratona nel 490 a.C.
La guerra civile contro I dittatori si è conclusa, ma la nuova assemblea costituente rischia di vedere il ritorno della destra radicale aristocratica. Fortunatamente un uomo nuovo ed illuminato guida l’affermazione definitiva della democrazia: è Clistene