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ATTILA CONTRO EZIO: IL NEMICO ALLE PORTE

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A Teodosio successe Arcadio e prima della fine dell'anno i Goti scoppiarono in aperta rivolta sotto il loro capo, Alarico. Atene fu costretta a pagare un riscatto; Corinto, Argo e Sparta furono prese e saccheggiate. Nessun luogo era abbastanza forte da opporre una resistenza efficace. A questo punto Stilicone, generale dell'Impero d'Occidente, si precipitò sul posto e riuscì a circondare i Goti, ma Alarico sfondò le sue linee e fuggì. Si riappacificò quindi con Costantinopoli e gli fu conferita la carica di Maestro Generale dell'Illirico. Quanto il barbaro fosse sincero nelle sue offerte di pace lo si capisce dal fatto che in due anni invase l'Italia (400). Onorio, che allora era imperatore d'Occidente, era un uomo così debole che nemmeno il genio di Stilicone riuscì a salvarlo. Appena seppe dell'avvicinarsi di Alarico, si affrettò a mettersi al sicuro, lasciando a Stilicone il compito di difendere Roma. Furono chiamate truppe dalla Britannia, dalla Gallia e da altre province lontane e vicine, lasciando i loro posti vacanti e indifesi. Onorio, che aveva tentato di fuggire in Gallia, fu sorpreso da Alarico e, rifugiatosi nella città fortificata di Asta, fu assediato fino all'arrivo del coraggioso Stilicone, che attaccò gli assedianti e, dopo un sanguinoso combattimento, li sbaragliò completamente. Nella sua ritirata, Alarico tentò di attaccare Verona, ma fu di nuovo sconfitto e riuscì a fuggire solo grazie alla floridezza del suo cavallo. Onorio tornò in patria (404) e godette di un trionfo. Roma ebbe appena il tempo di congratularsi per la sua fuga dai Goti, quando fu minacciata da un nuovo nemico. Gli Unni, spingendosi verso occidente, avevano sloggiato le tribù settentrionali della Germania che vivevano sul Baltico. Si trattava di Alani, Suevi, Vandali e Burgundi. Sotto la guida di Radagaiso, queste tribù invasero l'Italia con circa duecentomila uomini. Nei pressi di Firenze furono affrontati da Stilicone e sconfitti completamente (406). Lo stesso Radagaiso fu ucciso. I sopravvissuti tornarono indietro, irruppero in Gallia, devastarono la parte bassa del Paese e infine si separarono. Una parte, i Burgundi, rimase alla frontiera e dai loro discendenti deriva il nome di Borgogna. Gli Alani, i Suevi e i Vandali si spinsero in Spagna, dove stabilirono dei regni. Gli Alani occuparono il paese ai piedi dei Pirenei, ma furono presto sottomessi dai Visigoti. I Suevi si insediarono nel nord-ovest della Spagna, ma subirono la stessa sorte degli Alani. I Vandali occuparono la parte meridionale e da lì passarono in Africa, dove si mantennero per quasi un secolo e, come vedremo, furono abbastanza potenti da conquistare la stessa Roma. Roma fu ora per un certo tempo liberata dai suoi nemici e l'imperatore, non avendo più bisogno di Stilicone, si convinse facilmente che egli stesse tramando per il trono. Fu messo a morte, insieme a molti dei suoi amici. Con Stilicone cadde Roma. Appena due mesi dopo la sua morte, Alarico si presentò di nuovo e cercò di ridurre la Città Eterna alla fame e alla sottomissione. Carestia e pestilenza infuriarono tra le sue mura. Alla fine la pace fu comprata con un grosso riscatto e Alarico si ritirò, ma presto tornò. La città fu tradita e, dopo otto secoli, divenne per la seconda volta preda dei barbari (24 agosto 410). Roma fu saccheggiata per cinque giorni, poi Alarico si ritirò per devastare il paese circostante. Ma i giorni di questo grande condottiero erano quasi finiti. Prima della fine dell'anno morì e poco dopo il suo esercito marciò in Francia, dove stabilì un regno che andava dalla Loira e dal Rodano, fino allo stretto di Gibilterra.
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Solo un uomo ha il potere e il coraggio di preservare Roma dalla distruzione totale, ma per salvare l’Impero deve prima superare la spada di Attila.

In una campagna epica che gli storici hanno definito la più cruciale della storia, due grandi guerrieri si sfidano a colpi di forza e tattica in una lotta colossale per il destino del mondo conosciuto.

L’autorità ultima del fragile Impero d’Occidente poggia sulle spalle di un solo uomo. Aderendo all’antico codice d’onore su cui Roma è stata fondata, egli conduce una lotta senza quartiere contro le invasioni barbariche e la decadenza interna per evitare un catastrofico regno del terrore. Rispettato e temuto da amici e nemici, è il conte Flavio Aezio, generale supremo delle legioni, meglio noto alla storia come l’Ultimo dei Romani.

Di fronte a lui c’è un nemico che ha guidato le sue orde asiatiche in una furia di conquista e terrore, dalle aride steppe del nord alle sabbie della Persia, distruggendo senza pietà vaste aree di civiltà. Ora lui e il suo esercito di feroci cavalieri sono penetrati in profondità in Europa e sono pronti a colpire il cuore dell’impero, la stessa città di Roma. Il mondo intero rabbrividisce quando si pronuncia il nome di quest’uomo: Attila l’Unno. Le vittime inorridite lo chiamano il flagello di Dio.

In un’afosa giornata di giugno del 451 d.C., i destini di questi due titani dell’antichità si scontrano in un conflitto di una tale carneficina ed eroismo da superare quasi ogni altra battaglia della storia. Anche se oggi è poco conosciuto, questo monumentale scontro in una remota pianura della Gallia ha determinato il destino dell’Europa e il corso stesso della civiltà. In La spada di Attila, Michael Curtis Ford dimostra ancora una volta la sua maestria come cronista di battaglie, onore e mondi antichi.

Dalla quarta di copertina di The Sword of Attila (Attila. Attacco all’Impero, edito in Italia da Tropea)

 

Il Flagello di Dio

Nel 439 Genserico espugnava Cartagine e con la presa di questa città completava le sue conquiste e fondava in Africa il nuovo regno dei Vandali. Nel 449 i Sassoni in gran numero passavano nella Britannia, la conquistavano e stabilivano una nuova signoria nell’isola, che già da qualche anno si era disgiunta dai domini di Roma.

Ulpiano Checa, L'invasione dei barbari o Gli Unni entrano a Roma, 1887
Ulpiano Checa, L’invasione dei barbari o Gli Unni entrano a Roma, 1887

Quanto più l’impero nella sua senile decadenza perdeva le forze, tanto maggiormente vigorose e baldanzose sorgevano le giovani nazioni barbariche. La grande lotta fra l’antica civiltà greco-latina e la barbarie nordica era prossima alla sua fine: la vittoria di quest’ultima avrebbe dato una nuova condizione etnografica e una nuova forma politica all’Europa.

Gli Unni, da più di mezzo secolo invasori delle regioni orientali d’Europa, si erano espansi dal Volga al Danubio e fin verso l’interno delle contrade scitiche. Nelle nuove dimore essi già vedevano logorarsi le proprie forze o nell’ozio della pace o nel contrasto di discordie intestine. Da conquistatori ormai si erano fatti popolo mercenario, che si offriva a schiere o ai capi barbarici o ai generali dei due imperi.

Ma sorse in seno alla nazione unnica, un tale condottiero che sembrava essere chiamato a guidarla a maggiori destini. Nel 434 la regia potestà degli Unni era passata in mano ai due fratelli Attila e Bleda, figli di Mundzuk, discendenti dei più antichi e più valorosi capi delle tribù unniche.

Ritratto vivente della sua nazione, così nella deformità delle fattezze come nella selvaggia energia delle imprese, Attila, – che al fiero ed audace ingegno congiungeva la finezza dell’accorgimento, la ferocia del selvaggio e il genio del conquistatore – credendosi e vantandosi predestinato vincitore di popoli, formò il vasto disegno di abbattere i capi delle tribù unniche per comporre ed unificare in un grande impero gli Unni stessi e le altre genti barbariche del settentrione d’Europa.

Ricostruzione del volto e dell'aspetto di Attila in un museo ungherese Foto Wikimedia Commons
Ricostruzione del volto e dell’aspetto di Attila in un museo ungherese Foto Wikimedia Commons

A tanta impresa si accinse per mezzo del fratricidio, facendo uccidere Bleda per raccogliere nelle proprie mani tutto il governo. Quindi mosse a guerra contro l’impero d’oriente; invase la Mesia, corse devastando la Pannonia e la Tracia e minacciò CostantinopoliTeodosio Il imperatore, non ebbe altro scampo fuorché comprare con ingente prezzo di riscatto e di tributi la ritirata degli Unni (446). Attila si stanziò sulla destra riva del Danubio, e di questa zona chiese il riconoscimento del proprio possesso da parte dell’imperatore.

Per la mancata esecuzione dei patti di pace e per sdegno causato dal rifiuto opposto alla sua nuova richiesta, Attila fu pronto a rinnovare la guerra contro il debole imperatore bizantino. Ma prima di muovere le armi, Teodosio II morì (450). La potestà imperiale passò a sua sorella Pulcheria, che sposò il senatore Marciano. Tenuto a freno dai vigorosi preparativi di guerra e dalla prudente energia di Marciano, Attila volse allora i suoi disegni di conquista all’occidente.

Invasione in Gallia di Attila (451)

Invasione degli Unni in Gallia (Wikimedia Commons)
Invasione degli Unni in Gallia (Wikimedia Commons)

Le cause che spingevano Attila verso l’occidente erano molteplici: Il regno visigotico di Tolosa sotto Teodorico, successore di Vallia, era cresciuto forte e prospero, ma era venuto in conflitto con i Vandali di Spagna e d’Africa. Genserico, nella previsione d’una guerra imminente, fece accordi per aver Attila come alleato.

Nel settentrione delle Gallie, i Franchi già avevano stabilito il loro dominio sotto il regno dei re Merovingi, ma fra i discendenti della stirpe reale erano sorte discordie intestine e si erano formati due partiti: uno si appoggio ai Romani, l’altro sperò di avere soccorso dalla venuta di Attila.

Presunto ritratto di Ezio
Presunto ritratto di Ezio

Per muovere guerra all’imperatore d’occidente, il re unno ebbe poi un singolare pretesto. Onoria, sorella di Valentinano III, relegata e custodita quasi in prigione fra le donne della corte bizantina da Ravenna a Costantinopoli, via per uno scandalo di corte, si narra che si fosse innamorata di Attila o almeno del suo terribile nome, oggetto di spavento nell’impero orientale, e che cedendo alla follia di questo romanzesco amore o forse preparando disegni di vendetta, gli mandasse promessa di matrimonio.

Attila, cui forse lusingò il pensiero di congiungersi in parentela coll’imperatore romano e in tal modo consacrare i principi dell’impero che voleva fondare, chiese a Valentinano III  la mano d’Onoria. Il rifiuto fu il pretesto di una guerra e nell’imminente minaccia di nuove incursioni barbariche, Placidia aveva affidato la difesa dell’impero ad Ezio, patrizio barbarico, ed egli, come già Stilicone, fu per un breve istante il protettore e l’ultimo difensore della maestà romana e della potestà imperiale.

Nelle provincie ancora fedeli e congiunte, mantenne salda l’autorità imperiale le difese e le resse con valore; coi popoli barbarici più potenti cercò di mantenere tranquilli ed onorevoli rapporti; ed ora che il re degli Unni minacciava con le sue orde l’occidente romano, Ezio preparò la difesa, stringendosi in alleanza col valoroso re dei Visigoti di Gallia e cercando soccorso presso una parte dei Franchi.

Attila, al principio del 451, levò il campo dalla Pannonia e risalendo il corso del Danubio giunse alle frontiere del Reno lungo la marcia turbe di germaniche genti, Quadi, Marcomanni e Svevi, si aggiunsero con lui e al passaggio del Reno vennero a rinforzarlo molti dei Franchi.

Sembrava che tutte le stirpi del settentrione, confuse in un immensa accozzaglia sotto la guida d’un conquistatore terribile, vantandosi che l’erba più non crescesse dove fosse passato il suo cavallo, ora si rovesciassero dentro i confini dell’impero romano.

Attila non trovò in Gallia nessuna resistenza, avanzò fino alla Mosella e alla Senna, devastando borghi e campagne, e pose sotto assedio la città di Aureliano (detta più anticamente Genabum, odierna Orlean). Teodorico ed Ezio indugiavano ancora nella Gallia meridionale.

Battaglia dei Campi Catalaunici

Svolgimento della battaglia
Svolgimento della battaglia

Mentre Orlean si sosteneva una valorosa difesa, Teodorico ed Ezio accorsero cogli eserciti. Innanzi a loro Attila si ritirò dalla città e per nuovamente appoggiarsi sul Reno, trasportò il campo nei piani Catalauni presso Duro Catalaunum o Chalons sur Marne.

“Gli Unni alla battaglia di Chalons" dalla pagina 135 di A Popular History of France From The Earliest Times Volume I of VI. Illustrazione di A. De Neuville (1836-1885)
“Gli Unni alla battaglia di Chalons” dalla pagina 135 di A Popular History of France From The Earliest Times Volume I of VI. Illustrazione di A. De Neuville (1836-1885)

Qui fu combattuta una delle più grandi e memorabili battaglie dell’antichità. I barbari furono disfatti, sul campo giacquero dell’una e dell’altra parte centosessantaduemila uomini, secondo la minor cifra data dalle storie.

Piena fu la vittoria degli eserciti romani, ma il merito principale era dovuto ai loro alleati Visigoti, il cui re Teodorico morì combattendo. Suo figlio Torrismondo, inseguì e ricacciò Attila dentro il suo campo.

La vittoria sembra sarebbe stata ancor più grande, se si fosse ripresa battaglia al giorno seguente, assalendo le trincee degli Unni. Ma Torrismondo, temendo che per la morte del padre non si levassero pretendenti a contendergli la successione del regno visigotico, abbandonò il campo. Ezio non osò riprendere da solo il combattimento ed Attila potè ridursi cogli eserciti oltre il Reno nel 451. Ma la sua ritirata fu una breve tregua, l’anno seguente, il 452, egli richiese nuovamente la mano di Onoria e muovendo con gli eserciti pareva venisse egli stesso a riprenderla con le armi. Dalla Pannonia, per i valichi delle Alpi orientali, egli dunque entrò in Italia.

Invasione in Italia (452)

La Prima città a sentire il flagello nemico fu Aquileia assediata da Attila. Essa si difese con valore per tre mesi, ma all’ultimo fu conquistata e rasa al suolo. La furia devastatrice passò per Altino, Concordia, Padova, Vicenza, Verona, Bergamo, lasciando dietro sė terribile traccia di sangue e d’incendi arrivò fino a Milano e Pavia.

Origini di Venezia (452)

Molte genti, fuggendo all’ira dei barbari invasori da Aquileia da Padova e da terre vicine, cercarono scampo nelle lagune dell’ultimo seno dell’Adriatico, dove alle foci del Sile, del Brenta e dell’Adige vi sono molte e lunghe lingue di terra, a modo di basse isole, formando una siepe o un cordone alla spiaggia e offrivano nei loro canali e recessi sicuro asilo ai fuggiaschi.

Cosi fra quelle lagune sorsero le prime abitazioni, le umili origini di quella che fu poi una città grande, ricca e possente e che dal nome della contrada, distesa in arco dall’Istria alle foci del Po, fu detta Venezia e dalla grandezza della sua fortuna si fece regina dell’Adriatico

Ritirata di Attila

L’Italia era prostrata nello spavento, non avendo più la forza d’eserciti da schierare contro orde numerose, e neppure l’ardimento dei generali contro un conquistatore ebbro del suo facile trionfo. Ezio, con quelle milizie che aveva potuto raccogliere e con gli aiuti chiamati ed ottenuti da Marciano, imperatore bizantino, il quale nell’esito della guerra d’Italia ben vedeva agitarsi anche il destino dell’impero orientale, campeggiava sulla destra del Po a guardare i passi e proteggere Roma.

Ma più che nelle armi e nell’imperatore, gli edili del senato di Roma confidarono nelle trattative e quando fosse necessario anche nell’umiltà delle preghiere. Essi mandarono al campo d’Attila sul Mincio, dove confluisce nel Po, un’ambasceria alla cui testa si pose il vescovo di Roma, Leone I detto il Grande, affinché con offerte di donativi e promessa di tributi lo distogliesse dal proposito di portare le armi contro Roma. L’ambasceria, che rappresentava la maestà del vecchio impero e la temuta santità della nuova chiesa, fu da Attila umanamente accolta. Egli aderì ai patti offerti, e come fosse preso da religioso terrore, levò campo e ripassò le Alpi; da qui si formò la pia leggenda che al barbaro re fossero apparsi in visione gli apostoli San Pietro e San Paolo, minacciandolo di morte se non si fosse piegato davanti all’autorità del capo della chiesa, vicario di Cristo.

Papa Leone I Magno ferma Attila, Raffaello, Stanze Vaticane
Papa Leone I Magno ferma Attila, Raffaello, Stanze Vaticane

San Leone Magno incontra e ferma Attila

Attila, il re degli Unni, iniziò a minacciare seriamente l’Italia nel 452 d.C. Papa Leone I fu inviato a incontrare il re degli Unni per cercare di convincerlo a risparmiare l’Italia. Si pensa che il loro incontro sia avvenuto nei pressi di Mantova. Quest’area era nota per il suo legame con il cristianesimo, il che accresceva il simbolismo della ricerca di una soluzione pacifica. Tuttavia, la realtà logistica dell’invasione degli Unni fu forse la ragione ultima del loro ritiro dalla penisola.

L’altra figura di spicco fu Leone I, che regnò a partire dal 440. Sia il papa che l’opinione pubblica romana in generale ritennero che sarebbe stato meglio lavorare per la pace, anche attraverso l’elemosina. Papa Leone I si adoperò per giungere a un accordo che evitasse la violenza. Il risultato fu pacifico, poiché l’approccio del Papa alla situazione permise ad Attila di cessare qualsiasi piano di guerra.

L’imperatore di Roma si rendeva conto che le probabilità di vittoria contro Attila e gli Unni erano scarse, eppure Leone si dimostrò coraggioso, perché si affidò alla sua fede per affrontare questo grande nemico.

La propaganda cristiana aveva fatto della battaglia del ponte sul Mincio un episodio miracoloso, con l’apparizione celeste di un vecchio in abiti sacerdotali che avrebbe terrorizzato gli assalitori. Raffaello, nel suo celebre dipinto del 1513 lo sostituirà con i santi Pietro e Paolo, protettori della città eterna. La leggenda racconta anche che Leone avrebbe fermato Attila mostrandogli il crocifisso.

Esistono due resoconti contemporanei agli eventi: uno di Prospero d’Aquitania  e l’altro dal vescovo Idazio (Chronicon)

Locandina del film Attila (1954), con Anthony Quinn e Sophia Loren
Locandina del film Attila (1954), con Anthony Quinn e Sophia Loren

Nessuno seppe mai cosa esattamente Attila e Leone Magno si dissero, ma nel film Kolossal del 1954 Attila, con Anthony Quinn nel ruolo del Re degli Unni e Sophia Loren in quello di Onoria, viene immaginato più o meno così:

Dopo che Attila è stato messo in guardia “dall’uomo che ti affronterà senza armi”, lo stesso re degli Unni, mentre avanza con le sue orde per arrivare fino a Roma, vede una strana processione pacifica di gente che intona canti liturgici venirgli incontro, con alla testa un uomo tutto vestito di bianco su di un cavallo dello stesso colore

 

Attila: Chi sei tu, che osi attraversare la mia strada?

Papa Leone I: Sono il papa Leone, il servo dei servi di Dio.

Attila: Io non conosco il tuo Dio.

Papa Leone I: Ma Egli conosce te, Attila. Sorveglia ogni tuo gesto, legge nel tuo cuore, parla al tuo spirito con la voce di coloro che hai sacrificato alla tua ambizione.

Attila: Non ho varcato le Alpi per sentire prediche.

Papa Leone I: Lo so. Sei impaziente d’arrivare a Roma. Non c’è più nessuno a difenderla ora. Puoi ridurlo a un cumulo di rovine, puoi uccidere tutti, vecchi, donne, bambini. Ma ricorda, Attila; “il sangue degli innocenti non si cancella.”

Ed è in quel momento che ad Attila tornano in mene le parole del fratello defunto “Tu non puoi conquistare il mondo a prezzo del sangue degli innocenti, perché il sangue degli innocenti non si cancella. Ricadrà su di te Attila!”

A rendersi ragione della pronta ritirata di Attila, conviene pensare che per l’improvvida e selvaggia devastazione dei loro paesi, la gran moltitudine della popolazione  era afflittà da scarsità di cibo e da un misterioso morbo contagioso e che gli eserciti dell’imperatore d’oriente si adunavano nell’Illiria per passare in Italia. Il ricordo recente e vivo della giornata di Chalon indusse Attila, che nel furore delle invasioni non smarriva l’accorta prudenza, ad accettare vantaggiose condizioni di ritirata nel luglio del 452.

Attila e la Stella

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Antonello Venditti
Antonello Venditti

Nel 1975, il cantautore romano Antonello Venditti pubblica il suo quarto album dal titolo Lilly. Venditti, oltre alle musiche e ai testi, cura anche gli arrangiamenti di alcune canzoni. Il disco contiene alcune dei brani più celebri del repertorio del cantautore a cominciare da Lilly, che dà il titolo appunto all’intero album e che tratta il tema della tossicodipendenza, a Penna a sfera (sferzata ironica al giornalista di Ciao 2001Enzo Caffarelli, che aveva polemizzato col cantante), proseguendo con Compagno di scuola (sui suoi ricordi di Liceo), Lo stambecco ferito (sul tema della violenza politica) e poi L’amore non ha padroni, fino ad arrivare al dialetto diSanta Brigida. Ma tra tutti queste canzoni, destinate a diventare tutte più o meno famose, ce ne è una nell’album che è piuttosto insolita e poco conosciuta: Attila e la Stella.

La canzone è una ballata, a metà fra leggenda e favola, che narra appunto dell’avanzata degli Unni e dell’incontro di Attila con papa Leone Magno,  che riesce a fermarlo con la sola forza della parola e della fede.

Barbara luna rosso scudo
il re degli Unni guardava Roma
uomo di poca fantasia
lui la scambiò per una stella
quando gli uomini giunsero in collina
aveva sciolto l’armatura
e fu per ignoranza o per sfortuna
che perse il treno, il treno per la luna

Segue poi la descrizione dell’incontro con il Papa, qui chiamato solo “Il Leone”, richiamando la forza e la regalità dell’animale, ma volta ad una missione di pace e fratellanza

Quando il “Leone” gli prese la mano

lui alzò il pugno chiuso e il suo coltello

Attila, come un nativo americano, è diviso fra la diffidenza verso l’uomo occidentale (“l’uomo bianco”) e l’accettazione della Buona Novella di Gesù

forse mentiva l’uomo bianco

lui era proprio suo fratello

Viene poi citato in latino il soprannome dato al re degli Unni “flagellum Dei”, cioè “flagello di Dio”, che viene poi subito deformato in flagellum Agnus Dei “flagello, Agnello di Dio”, dove l’assonanza delle parole italiane “agnello, flagello” viene accostata al latino Flagellum Dei e Agnus Dei, che è la formula del Vangelo di Giovanni e che viene ripetuta in una delle litanie più celebri del rito romano (senza contare l’ulteriore assonanza fra le parole italiane “Flagello” e “Fratello”). Tutto a simboleggiare la conversione del rude e selvaggio guerriero alla Fede in Dio.

Quando i carri gli volsero le spalle

Leone levò il calice al cielo

e fu per ignoranza o per sfortuna

che questa stella figlio è ancora a Roma…

Così si chiude la ballata. Leone Papa solleva il calice al cielo per ringraziare Dio dello scampato pericolo…il dubbio rimane: Attila fu fatto fesso dalle chiacchiere del Papa (“e fu per ignoranza”) o fu soltanto il caso (“o per sfortuna”)? Non c’è una vera risposta. Ma come ogni vera fiaba che si rispetti, c’è la morale e il lieto fine, rivolti ad un ideale bambino in ascolto o al bambino che è in ognuno di noi: la cosa più importante è che “quella stella, figlio, è ancora a Roma”

 

 

Morte di Attila (453)

Ridottosi agli antichi accampamenti sul Danubio, mentre non cessava di richiedere Onoria, rinchiusa in Ravenna, volle festeggiare nuove nozze con Ildicona, giovane della reale stirpe dei Franchi.

Ma il mattino seguente alle feste nuziali, il conquistatore terribile, cui piaceva d’essere con superstizioso spavento nominato flagello di Dio, fu trovato morto nel suo letto: la causa e gli eventuali autori della sua morte (qualora si fosse trattato di assassinio) sono avvolti nel mistero (453).

Dopo la morte di Attila, l’impero degli Unni si sfasciò, i moltissimi figli che Attila aveva avuto da molte mogli fra loro si guerreggiarono tra di loro, i popoli germanici che erano stati nell’obbedienza del conquistatore, subito si sollevarono; sulle rovine dell’impero unnico si formarono i nuovi stati germanici degli Ostrogoti nella Pannonia e dei Gepidi nella Mesia. Gli Eruli, i Rugi gli Sciri ed altre tribù che avevano seguito Attila, tennero stanza sui confini orientali d’Italia e nella Rezia e di là presto incominciarono nuove invasioni.

Morte di Attila, dipinto di Ferenc Paczka
Morte di Attila, dipinto di Ferenc Paczka

Morte di Ezio (454)

Il vincitore della giornata di Chalons morì breve tempo dopo Attila. Come già contro Stilicone, così contro Ezio si addensarono gelosie, odi e sospetti  per via della sua fama militare, delle ricchezze e della potenza del suo grado, come anche per il disegno suo di  imparentarsi con la famiglia imperiale grazie alle nozze di suo figlio Gaudenzio con Eudossia, figlia di Valentinano III. Tutto ciò fece temere nella vile corte di Ravenna, che egli aspirasse all’impero.

L’imperatore stesso, in un colloquio con Ezio, venuto con lui a un litigio pieno di aspre parole, lo assalì con la spada e lo ferì; i cortigiani prontamente si gettarono su di lui e lo finirono, era l’anno 454.

Valentiniano tuttavia non gli sopravvisse a lungo. Caduto in dispregio di tutti per via dell’imbelle suo governo, odiato da molti, che coi suoi vizi aveva offeso, fatto segno alla vendetta dei partigiani di Ezio, venne ucciso per una congiura ordita da Petronio Massimo nel 455. Valentinano III fu l’ultimo della famiglia di Teodosio Magno.

(Libera rielaborazione da Storia Romana di Igino Gentile, 1885 con aggiunte e integrazioni)

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A Onorio successe, dopo uno dei più lunghi regni della linea imperiale, Valentiniano III. (423-455). L'Impero non era che una reliquia del suo passato. La Gallia, la Spagna e la Britannia erano praticamente perdute; l'Illiria e la Pannonia erano in mano ai Goti e l'Africa fu presto conquistata dai barbari. Valentiniano ebbe la fortuna di possedere Ezio, uno scita di nascita, che per un certo periodo mantenne il nome romano, conquistando per sé il titolo di ultimo dei romani Fu assassinato dal suo ingrato padrone. Pochi mesi dopo, nel 455, l'imperatore stesso fu ucciso da un senatore, Massimo, che gli succedette, ma solo per tre mesi, quando Avito (455-456), un nobile della Gallia, divenne imperatore. Fu deposto da Ricimero(457-467), un Svevo di notevole abilità, che per qualche tempo gestì gli affari dell'Impero, facendo e disfacendo i suoi monarchi a piacere. Dopo la destituzione di Avito, trascorsero dieci mesi prima che venisse nominato un successore; quindi la corona fu conferita a Maggioriano (457-461). Lo seguì Severo, un uomo troppo debole per interferire con i piani di Ricimero. Dopo la sua morte, Ricimero governò con il titolo di Patrizio, finché il popolo non richiese un imperatore ed egli nominò Antemio (467-472), che tentò di rafforzare la sua posizione sposando una figlia di Ricimero stesso; ma presto nacque la rivalità tra i due. Ricimero reclutò un'orda di barbari d'oltralpe, con i quali prese e saccheggiò Roma e uccise Antemio. Poco dopo, lo stesso Ricimero morì. Nomi che appaiono solo come nomi si susseguono ora in rapida successione. Infine, nel 476, Zenone, imperatore d'Oriente, dichiarò abolita la carica di imperatore d'Occidente e affidò il governo della Diocesi d'Italia a Odoacre, con il titolo di patrizio.

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