Filippo (244-249) e Decio (249-251) caddero entrambi in battaglia. Sotto Decio iniziò una persecuzione dei cristiani più severa di tutte quelle che l'avevano preceduta. I diciassette anni successivi (251-268) sono un periodo di grande confusione. Diversi generali in diverse province furono dichiarati imperatori. L'Impero quasi cadde a pezzi, ma alla fine si risollevò senza perdite di territorio. La sua debolezza, tuttavia, era evidente a tutti. Questo periodo è spesso chiamato l'Età dei Trenta Tiranni. Cinque buoni imperatori regnarono e rianimarono in qualche modo la forza del governo in frantumi: Claudio (268-270); Aureliano (270-275); Tacito (275-276); Probo (276-282); e Caro (282-283).
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Aureliano (270-275)
Le milizie allora elessero il prode Aureliano a cui il senato aveva contrapposto il fratello di Claudio, Quintilio. Costui, privo di qualunque appoggio militare e politico, o si uccise o venne ucciso e l’impero restò senza un rivale da opporre all’imperatore già acclamato dei soldati.
Ripristina l’ordine ma rinuncia alla Dacia
Ripristinata la disciplina militare egli condusse le milizie contro le orde barbariche degli lutungi, dei Vandali e dei Goti che erano comparse di nuovo nella Pannonia. Le vinse, ma volendo assicurare maggiormente la linea del Danubio pensò di abbandonare ai Barbari la Dacia. L’elemento romano tuttavia non scomparve mai davvero in quelle regioni.
Dal Danubio ben presto fu chiamato in Italia invasa dagli Alemanni e dai Marcomanni. Vinto a Piacenza, li sconfisse poi al Metauro, poi a Pavia e quindi li respinse oltre le Alpi (271).
Missione Palmira
Salvato cosi lo stato, si recò a Roma e la circondò di nuove mura per renderla più sicura; quindi si recò in Oriente ove Odenato, valoroso guerriero, aveva fondato un principato a Palmira (264) guardando gagliardamente i confini dell’impero contro i Persiani. Morto questi, mentre era impegnato a liberare l’Asia Minore dai Goti (267), sua moglie Zenobia, bella, casta e dotta, aveva cercato con tutte le sue forze di rendere lo stato indipendente da Roma, ingrandendolo con la conquista dell’Egitto e dell’Asia Minore.
Quando Vaballato fu dichiarato imperatore nel 271, Aureliano, non appena si trovò libero dalle lotte in Occidente, si diresse verso est e Sul fiume Orante (El-Asi), presso Antiochia, si combattè la prima battaglia. La seconda presso Emesa (Oms) fu quella decisiva.
Le armi romane ebbero piena vittoria a Palmira che, assediata e affamata, aprì le porte al vincitore; Zenobia fu catturata mentre cercava di fuggire e di assoldare le truppe persiane. Fu deposta e si stabilì una guarnigione romana. Aureliano si diresse verso il Danubio per occuparsi della frontiera, ma venne a sapere che in una rivolta a Palmira era stata spazzata via l’intera sua guarnigione. L’imperatore tornò allora indietro per attaccare definitivamente la città, che fu distrutta e non risorse più.
Dopo aver represso altre insurrezioni, Aureliano tornò in Occidente. Sottomessa anche la Gallia, che da ventun anni s’era staccata dall’impero, celebrò splendidi trionfi, nei quali fece sfilare in catene sia Tetrico dell’Impero Gallico che Zenobia di Palmira, ma permise loro di vivere in pace. Poco dopo cui seguì una terribile sommossa a Roma (274), e una doppia invasione delle Gallie. Aureliano trionfò dell’una e dell’altra, ma cadde vittima di una congiura ordita da un suo segretario infedele, mentre nell’Illirico si preparava ad una nuova spedizione per l’Asia (275).
La fine dell’Impero Gallico
Nel 268, ci fu una rivolta contro Postumo, imperatore delle Gallia. Postumo riuscì a sedarla, ma non permise ai soldati di saccheggiare Magonza. Così questi uccisero Postumo. Seguì una successione di imperatori di brevissima durata, che si concluse con Tetrico I (270-273) e suo figlio Tetrico II. Aureliano, invase la Gallia nel 273. I due Tetrici si arresero subito e calò il sipario sull’Impero Gallico.
Aureliano imperatore
Aureliano tentò di riformare l’economia e di porre fine alla crescita incontrollata dell’inflazione senza riuscirvi; tuttavia si servì dei proventi che aveva ricavato dalla guerra contro Palmira per pagare i rifornimenti di pane, carne, olio e sale per il popolo di Roma. Fece riparare gli argini del Tevere e iniziò a trasformare le corporazioni alimentari e marittime in organizzazioni semiufficiali per migliorare il commercio e la produzione.
Il precursore dell’Euro
Aureliano fu il primo sovrano della storia ad introdurre una moneta unica comune. Fra il 270 e il 275, egli ordinò infatti la chiusura di tutte le zecche che avevano avuto, fino a quel momento, l’appalto dall’Impero di Roma per coniare monete e impose un regime monopolistico di stato per le riserve oro e un unico simbolo. Era la nascita della prima moneta unica internazionale, denominata della “concordia”.
Aureliano collaborava con il Senato, coinvolgendolo nelle decisioni. Era soprannominato Manu ad ferrum, “Mano sul ferro”, “sul ferro” non “di ferro”, perché il significato è leggermente diverso: era sempre pronto a sfoderare la spada se necessario.
Morte di Aureliano
Nel 275 Aureliano si trovava in Tracia per affrontare di nuovo i Persiani. Durante il tragitto, fu assassinato dagli ufficiali del Pretorio ai quali un segretario imperiale aveva riferito la falsa notizia che Aureliano aveva stilato una lista di alti funzionari da uccidere.
Per lavare la vergogna di questo misfatto, i soldati chiesero al Senato di eleggere il prossimo imperatore, cosa che non accadeva dai tempi di Nerva nel 96.
Sol Invictus
Prima di diventare parte del titolo di una nota poesia, di dare il nome a un famoso film e ad un altrettanto famoso (e costoso) profumo, Invictus era l’aggettivo associato ad un Dio, anzi al Dio per eccellenza: Il Dio Sole. Il monoteismo si stava ormai diffondendo in molte forme nell’Impero romano. Aureliano era attratto dal dio di origine orientale “Sole Invitto” (Sol Invictus) come dire “Sole sempre vittorioso” ai cui riti aveva assistito a Palmira. Il Sole, il re degli astri, il più grande di tutti, quello che dona calore, vita e luce sulla Terra, con il cielo intero a fargli da reggia. Cosa c’è di più imperiale di una divinità del genere? Fece dunque costruire un tempio a Roma, dedicato proprio al Sol Invictus e creò un collegio di sacerdoti per curarne il culto.
Sulle monete, l’imperatore stesso veniva presentato come sacerdote del Sol Invictus: l’imperatore era in poche parole il rappresentante di Dio sulla Terra. Quasi un Papa ormai. La festa del Sol Invictus era il 25 dicembre, poi convertita nel Natale dei cristiani. Aureliano mantenne il Pantheon dei vecchi dèi, ma in cima alla piramide al posto di Giove o Zeus, aveva messo il Sol Invictus.
La caduta di Palmira e Zenobia (273 d.C.)
Il più noto degli assalitori dell’autorità nelle province durante il periodo di anarchia di cui abbiamo parlato fu Odenato, principe di Palmira, una città che occupava un’oasi in mezzo al deserto siriano, a metà strada tra il Mediterraneo e l’Eufrate.
In segno di gratitudine per l’aiuto prestato ai Romani contro i Parti, il Senato gli aveva conferito titoli e onori. Quando l’impero cominciò a mostrare segni di debolezza e di prossima dissoluzione, Odenato concepì l’ambizioso progetto di erigere sulle sue rovine, in Oriente, un grande regno palmireno.
Alla sua morte, la moglie Zenobia succedette alla sua autorità e alle sue ambizioni. Questa famosa principessa rivendicava la sua discendenza da Cleopatra ed è certo che nel fascino della bellezza personale fosse la rivale della regina egiziana.
Assumendo con coraggio il titolo di “regina d’Oriente”, sfidò gli imperatori di Roma. Aureliano marciò contro di lei e, sconfiggendo i suoi eserciti in campo aperto, li spinse fin dentro le mura di Palmira.
Dopo un lungo assedio la città fu presa e, come punizione per una seconda rivolta, venne alla fine data alle fiamme. Il consigliere della regina, il celebre retore Longino, fu messo a morte; ma Zenobia fu risparmiata e portata prigioniera a Roma.
Dopo essere stata condotta in catene d’oro nel corteo trionfale di Aureliano, la regina ricevette una splendida villa nei pressi di Tibur (Tivoli), dove, circondata dai suoi figli, trascorse il resto della sua vita.
Le rovine di Palmira, che si trova sopra su una sorgente sotterranea, sono tra i resti più interessanti della civiltà romana o greca in Oriente. Il nome Palmira, significa “Città delle palme”. Per molto tempo il sito stesso della città non fu più abitato. I beduini, tuttavia, conoscevano il luogo e raccontavano strane storie di una città in rovina, con splendidi templi e lunghi colonnati, lontana nel deserto siriano.
I loro racconti risvegliarono l’interesse per la città meravigliosa e verso la fine del XVII secolo alcuni esploratori raggiunsero il luogo. Gli schizzi che riportarono delle rovine della città perduta produssero quasi lo stesso stupore delle successive scoperte di Botta e Layard a Ninive. Oggi l’antica città è la prima attrazione turistica della Siria.
Adriano, gli Antonini e altri imperatori romani aiutarono gli ambiziosi Palmirensi ad abbellire architettonicamente la loro capitale. Le principali caratteristiche delle rovine sono i resti del grande Tempio del Sole e del colonnato, che era lungo quasi un chilometro e mezzo. Molte delle colonne di marmo che fiancheggiavano questo magnifico viale sono ancora erette e si estendono in una lunga linea sul deserto. Oggi i visitatori possono vedere ancora la Via delle Colonne, un arco di trionfo, e i resti di diversi templi e altri edifici sparsi su un’area di oltre sei chilometri quadrati. Il museo dedicato conserva mosaici e dipinti che testimoniano l’enorme ricchezza di cui godevano i palmirensi prima che Aureliano distruggesse la città.
Le mura Aureliane
Aureliano si rendeva conto cquanto la minaccia di ribelli e barbari che potessero attaccare Roma fosse molto concreta. Per questo, ordinò la costruzione di un nuovo e massiccio circuito di mura in mattoni e cemento per proteggere la città. Lunghe diciannove chilometri, esse furono terminate sotto Probo (276-282) e dotate di torri di guardia e porte massicce lungo tutto il perimetro. Le mura furono costantemente migliorate nei 200 anni successivi e alla fine avevano 383 torri, 14 porte e 116 latrine per le guardie. Lunghi tratti sopravvivono più o meno intatti ancora oggi; una delle attrazioni più spettacolari di Roma.
(Libero adattamento da “Ancient History, Greece and Rome” di Philip Van Ness Meyers, Toronto, 1901 e da Manuale di Storia Romana di G. Bragagliolo, 1896 con aggiunte e integrazioni)
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