Le Camenae, oppure Camoenae, sono divinità romane il cui nome è legato a carmen (oracolo o profezia, vedi Mommsen, cfr. Nettleship, Essays in Latin Literature, pp. 47-50, Oxford, 1885), da cui troviamo anche le forme Casmenae, Carmenae e Carmentis. Le Camene erano quindi ninfe profetiche delle sorgenti e dei boschi nell’arcaica religione romana e appartenevano alla religione dell’Italia antica, sebbene le tradizioni successive le rappresentino come introdotte in Italia dall’Arcadia. I loro nomi erano:
- Carmenta, o Carmentis
- Egeria, o Ægeria, or Aegeria
- Antevorta, o Porrima (“fata del futuro”)
- Postverta, o Postvorta, or Prorsa (“fata del passato”)
Due delle Camene le più antiche erano Antevorta e Postvorta, indicate specificamente come Carmentae e nell’antichità avrebbero potuto essere due aspetti di una stessa Carmenta piuttosto che figure separate; in tempi successivi, tuttavia, diventano due esseri distinti che si ritiene proteggano le donne durante il travaglio del parto.
Per terza venne Carmenta o Carmentis, divinità profetica e risanatrice, che aveva un tempio ai piedi del Campidoglio, ed altari presso la porta Carmentalis.
Carmenta era a capo delle ninfe. Nel suo giorno di festa, le Carmentalia, l’acqua doveva essere attinta ritualmente dalle Vestali dalla sorgente fuori Porta Capena. Rispetto alle festa celebrata in suo onore, vedi Dict. di Ant. S. v. Carmentalia.
Culto di Carmenta
Il loro culto, originario del Lazio, forse di Aricia, era situato in una regione presso Porta Capena, presso il luogo dove Q. Fabius Verrucosus dedicò all’Onore un tempio trasformato da Marcello, conquistatore di Siracusa, nel doppio tempio dell’Onore e della Virtù.
Le tradizioni che attribuivano un’origine greca al suo culto a Roma, affermano che il suo nome originale fosse Nicostrate, e che fosse chiamata Carmentis per i suoi poteri profetici. Secondo questa tradizione, ella fu madre di Evandro, l’Arcadico, da parte di Mercurio (Hermes), e dopo aver tentato di convincere il figlio ad uccidere il padre, fuggì con lui in Italia, dove diede oracoli al popolo e ad Ercole. Fu messa a morte dal figlio stesso all’età di 110 anni, e poi ottenne gli onori divini. (Dionis. I. 31, ecc.)
Igino (Fab. 277) racconta inoltre che cambiò i quindici caratteri dell’alfabeto greco, che Evandro introdusse nel Lazio, in caratteri romani.
Egeria
La quarta e più celebre Camena era Aegeria o Egeria, che era anche il nome di una delle sorgenti delle Camene, raggruppate attorno alla più nota di esse, quella dell’acqua Egeria appunto. Si diceva che Numa tenesse i suoi colloqui notturni con questa ninfa rivelatrice e che avesse ricevuto nelle sue mani lo scudo sacro mandato dal cielo, che affidò ai Salii. Si narra che l’antico re sabino dedicò alle Camene un tempio di bronzo, che fu trasportato al Tempio dell’Onore e della Virtù, e che Egeria avesse lasciato questi luoghi per Aricia dopo la morte di Numa. Era ancora alla fontana di Egeria o delle Camene che Le vestali attingevano l’acqua richiesta dalla loro liturgia.
Bisogna qui notare che i poeti romani, già al tempo di Livio Andronico, danno alle Muse il nome di Camene.
Camene e Muse
Le Camene furono successivamente identificate con le Muse greche; nella sua traduzione dell’Odissea di Omero, Livio Andronico ha reso la parola greca Mousa come Camena e Orazio si riferisce all’ispirazione poetica come al “soffio della greca Camena” (spiritum Graiae tenuem Camenae) nelle Odi II.16.
Il nome e il ruolo multiplo delle Camene nella leggenda sono spiegati dal loro carattere di ninfe, ma per cogliere le associazioni di idee create dall’immaginario popolare, è necessario richiamare una credenza comune nelle religioni della Grecia e della Magna Grecia. Questa convinzione, ampiamente accertata dalla storia della divinazione, è che l’acqua possieda un potere magico, la proprietà di risvegliare negli esseri intelligenti il potere profetico. Per cui le ninfe passarono per essere dotate della facoltà divinatoria, facoltà che potevano anche comunicare agli uomini, sospendendo in essi il normale esercizio dell’intelligenza.
Ninfe profetiche
I greci le chiamavano “ninfe possedute” (νυμφόληπτοι), e i latini “linfatici” (lymphatici) quelli la cui ragione fuorviata aveva ceduto il posto alla facoltà profetica.
È attraverso questa idea che devono essere spiegate le attribuzioni mitologiche delle Camene. E innanzitutto il loro nome, Camenae significa “dee degli incantesimi” (carmina), “oracoli” o “formule magiche“. Lo spirito utilitaristico dei Romani separava appena la divinazione dalla magia; i latini pensavano che la scienza soprannaturale dovesse condurre all’azione soprannaturale, tutto ciò applicando i mezzi da essa scoperti.
Profezia e magia sono gli attributi speciali di tutte queste divinità che, impegnate nello stesso fondo di leggende, non possono avere una fisionomia ben distinta; Camesene o Camasene, sorella o moglie di Giano e madre del Tevere; Canens, figlia di Giano e moglie di Picus; infine Carmenta o Carmentis.
L’influsso che l’istinto popolare assegna più volentieri al potere soprannaturale è la guarigione delle malattie. La fonte delle Camene ha condiviso per lungo tempo con quelle di Egeria e Giuturna, la fama di ridare salute ai malati.
In quanto profetesse e streghe, le ninfe potrebbero essere doppiamente utili durante il parto. Veniva loro chiesto di affrettare la liberazione con i loro incantesimi e di fissare con la loro scienza divinatoria il destino del bambino. Le Camene lasciavano questo ruolo a Carmenta o Carmentis e alla loro compagna Egeria.
La poesia
La dea Camena interveniva, secondo Agostino d’Ippona, per insegnare ai bambini a cantare.
L’ispirazione poetica è così strettamente legata alla divinazione che le ninfe “cantanti” divennero naturalmente le dee della poesia il giorno in cui i romani impararono a distinguere tra ritmi poetici e formule di incantesimo (carmina). Le Muse greche, che ora occupavano il loro posto nella mitologia latina, erano, come loro, ninfe delle fontane, legate alle sorgenti dell’Olimpo, dell’Elicona e del Parnaso.
Le Camene devono la loro nuova dignità letteraria al primo diffusore dell’arte greca, Livio Andronico di Taranto. Meno di un secolo dopo, le Camene avevano già forse un Collegio dei Poeti, con un tempio nel quale si ergevano delle statue. Almeno si dice che il poeta Lucius Accius vi fosse raffigurato in proporzioni che contrastavano singolarmente con la sua piccola statura . Successivamente, i poeti latini abbandonarono le loro ninfe native e tornarono alle Muse Greche. Il nome delle Camene ricompare ancora di tanto in tanto tra di loro, ma come sinonimo. La differenza originaria svanisce talmente, che a volte chiamano Camene le Muse di Ippocrate o Libetra.
Muse mancate
L’identificazione delle Camene con le Muse deve aver alterato significativamente la forma primitiva della religione nazionale. Difficilmente era possibile associarle, come in passato, alle divinità sotterranee Tacita-Muta (la muta) o Lala-Larunda (la ciarliera), che un’antica tradizione identificava con le Camene.
Quando si diceva che le Camene fossero figlie di Giove o che Imeneo fosse figlio di una di loro, non si poteva pensare alle compagne di Egeria. Da qui un adattamento incompleto che lascia alle Camene una fisionomia imprecisa, copia mancata della graziosa e nobile figura delle Muse greche.
(Libera rielaborazione e adattamento da William Smith. A Dictionary of Greek and Roman biography and mythology, 1873 e dalla versione multilingue di Wikipedia)