Tutte le qualità più nobili che elevano ed esaltano l’esistenza umana, furono personificate dai Greci sotto forma di tre adorabili sorelle, Eufrosina, Aglaia e Talia, figlie di Zeus ed Eurinome (o secondo scrittori successivi, di Dioniso e Afrodite).
Sono rappresentate come fanciulle belle e snelle nel pieno fiore della giovinezza, con mani e braccia intrecciate amorevolmente, completamente nude oppure con indosso solo un velo soffice e trasparente fatto di un tessuto etereo.
Rappresentano ogni dolce emozione del cuore, che si rivela nell’amicizia e nella benevolenza e si credeva che esse presiedessero a quelle qualità che costituiscono la grazia, la modestia, la bellezza inconsapevole, la gentilezza, la gioia innocente, la purezza della mente e del corpo e l’eterna giovinezza.
Non solo possedevano loro stesse la bellezza più perfetta, ma conferivano questo dono anche ad altri. Tutti i godimenti della vita erano accresciuti dalla loro presenza e senza di essa erano ritenuti incompleti; dovunque regnassero gioia o piacere, grazia e allegria, lì esse dovevano certamente essere presenti.
Senza di esse, neppur gli Dei potevano godere una piena beatitudine.
Dappertutto furono eretti templi e altari in loro onore e la gente di tutte le età e di ogni rango, richiedeva il loro favore. Ogni giorno si bruciava incenso sui loro altari e ad ogni banchetto venivano invocate; una libagione veniva sempre versata per loro, poiché non solo accrescevano ogni godimento, ma con la loro influenza, mitigavano anche gli effetti eccitanti del vino.
La musica, l’eloquenza, la poesia e l’arte, sebbene opera diretta delle Muse, ricevettero dalle mani delle Grazie un ulteriore tocco di raffinatezza e di bellezza; per questo motivo sono sempre considerati appunto le amiche delle Muse, con le quali vissero sul monte Olimpo.
La loro funzione speciale era di agire, in congiunzione con le Stagioni, come assistenti di Afrodite, che adornavano con ghirlande di fiori. Ella si mostrava, sotto le loro cure, come la Regina della Primavera, profumata dell’odore delle rose, delle viole e di altri fiori.
Le Grazie sono spesso presenti al seguito di altre divinità; così portano gli strumenti musicali per Apollo, i mirti per Afrodite, ecc. e spesso accompagnano le Muse, Eros o Dioniso.
Le Cariti erano oggetto di culto fin da tempi più antichi, ad Orcomeno in Beozia, dove un santuario era loro dedicato; ma anche a Sparta, ad Atene, nell’isola di Paro e altrove. Le feste in loro onore, le Caritesie , erano accompagnate da gare musicali e poetiche. Spesso erano messe in relazione con Apollo e le Muse, in compagnia delle quali solevano cantare e danzare; ma per lo più eran dette formare il corteo di Afrodite. Presso i Romani si veneravano le Grazie, del tutto identiche alle Cariti.
Pindaro nella quattordicesima Olimpica, fa di loro un bell’elogio:
«O Cariti udite la mia preghiera; giacché tutto quanto v’è di piacevole e di dolce fra gli uomini dal vostro intervento dipende, e se v’è alcun savio, alcuno bello, alcuno illustre, è grazie a voi ; e neanche gli Dei senza le sante Cariti non possono attendere alle danze o ai conviti; che son esse in cielo d’ogni opra dispensiere, e «posta lor sede presso il Pizio Apollo dall’arco d’oro, eterne lodi cantano del padre dell’Olimpo».
Ricordiamo anche le Gratiae decentes di Orazio, che in primavera facendo corteo con le ninfe insieme a Venere, alterno terram quatiunt pede («scuotono la terra ora con un piede ora con l’altro» Orazio, Odi, I, 4) L’arte rappresentò le Cariti e le Grazie come fanciulle piene d’ogni bellezza, con fiori in mano, di solito rose e mirti; talvolta anche con strumenti musicali o con dadi da giuoco; per lo più si figuravano con mani e braccia a vicenda graziosamente intrecciate.
Anticamente le Grazie venivano rappresentavano vestite; tali le si vede ancora nell’antico rilievo del Museo Chiaramonti, parte dei Musei Vaticani; in seguito i loro abiti divennero dei leggeri veli, e infine verso l’età di Scopa e Prassitele, si diffuse l’uso di rappresentarle nude.
Il gruppo delle tre Grazie unite in abbraccio, fu riprodotto più volte e in più atteggiamenti diversi; ne è un esempio quello che si conserva nella Cattedrale di Siena, dal quale Raffaello trasse l’ispirazione per il suo celebre quadro
(Libera rielaborazione e adattamento da E. M. Berens. “The Myths and Legends of Ancient Greece and Rome”, 1880 e da Mitologia classica illustrata, Felice Ramorino, 1897)