< – Nelle puntate precedenti:
Giugurta era il nipote di Micipsa, che, forse sotto pressione romana, lo adottò come figlio. Alla sua morte, nel 118 a.C. dC, Micipsa aveva voluto che il suo regno fosse separato dai suoi due figli e da Giugurta. Uno dei due eredi, Iempsale, venne assassinato dallo stesso Giugurta. Aderbale, l’altro figlio, fuggì quindi a Roma in cerca di aiuto. Nel 116 a. C, si conclude un trattato alla presenza di emissari romani; è molto favorevole a Giugurta, che senza dubbio impiegò la corruzione. Nel 112 a. C., quest’ultimo pose l’assedio a Cirta e attaccò suo fratello nella sua capitale. Una seconda commissione romana gli permette di prendere la città. Lì fece uccidere suo fratello e massacrare molti romani, che in precedenza lo avevano difeso.
La guerra in Africa non era ancora finita prima che giungesse a Roma una terribile notizia da nord. Due potenti nazioni di « orribili barbari », forti di 300.000 combattenti, provenienti da dove nessuno poteva dirlo, avevano invaso e ora stavano devastando le province romane della Gallia e avrebbero potuto in qualsiasi momento attraversare le Alpi per riversarsi in Italia.
I Cimbri e i Teutoni
I misteriosi invasori si rivelarono due tribù germaniche, i Teutoni e i Cimbri, avanguardia di quella grande migrazione germanica destinata a cambiare il volto e la storia dell’Europa. Questi intrusi stavano cercando nuove case e furono spinti, sembrerebbe quasi da un impulso cieco e istintivo. Portavano con sé, in rozzi carri, tutti i loro beni, le loro mogli e i loro figli. Le tribù celtiche della Gallia non potevano competere con i nuovi arrivati e fuggirono davanti a loro mentre avanzavano. Diversi eserciti romani d’oltralpe furono fatti a pezzi. Si dice che in una battaglia furono massacrati più di 100.000 romani. Il terrore di Roma fu eguagliato solo da quello causato dall’invasione dei Galli due secoli prima. I Galli erano già abbastanza terribili; ma ora venivano i conquistatori dei Galli.
Mario, il vincitore di Giugurta, era considerato da tutti come l’unico uomo che avrebbe potuto salvare lo stato in questa crisi. Fu rieletto al consolato e assegnato al comando degli eserciti. Accompagnato da Silla come uno dei suoi luogotenenti più abili, Mario si affrettò a partire per il nord d’Italia. I barbari si erano divisi in due bande. I Cimbri avrebbero attraversato le Alpi Orientali e si sarebbero uniti nella valle del Po ai Teutoni, che avrebbero forzato le gole delle Alpi Occidentali o Marittime. Mario era determinato a impedire l’unione degli eserciti barbari e a schiacciare ciascuna delle due orde separatamente.
Anticipando la marcia dei Teutoni, si precipitò oltre le Alpi in Gallia e si insediò in un accampamento fortificato per osservare i loro movimenti. Incapaci di prendere d’assalto la posizione romana, i barbari decisero di lasciare il nemico nelle retrovie e di spingersi in Italia. Per sei giorni e sei notti il flusso interminabile di uomini e carri passò oltre l’accampamento di Mario. I barbari deridevano i soldati romani e domandavano loro se avessero qualche messaggio da mandare alle loro mogli, dato che loro pensavano di arrivare presto a Roma. Mario permise loro di passare e poi, levando il campo, li seguì da vicino. Piombò sui barbari in un momento particolarmente favorevole, quasi annientandone l’intera schiera, nella battaglia di Aquae Sextiae, combattuta nel 102 a.C.. Si dice che siano stati uccisi circa duecentomila nemici. Mario raccolse e bruciò il bottino del campo di battaglia. Mentre era impegnato in queste operazioni, gli fu portata la notizia della sua rielezione a console per la quinta volta. Era una procedura illegale, ma il popolo sentiva che Mario doveva restare nel campo di battaglia.
Mario quindi riattraversò ora le Alpi e dopo esser rientrato brevemente a Roma, si affrettò ad incontrare i Cimbri, che stavano entrando nell’angolo nord-orientale dell’Italia. Non c’era un minuto da perdere. Già i barbari avevano sconfitto l’esercito romano sotto il patrizio Catulo e stavano devastando le ricche pianure del Po. I Cimbri, inconsapevoli della sorte dei Teutoni, inviarono allora un’ambasciata a Mario, per chiedere che fossero date a loro e ai loro parenti delle terre in Italia. Mario in risposta disse: “I Teutoni hanno tutta la terra che gli serve dall’altra parte delle Alpi“. I Cimbri avrebbero avuto presto anche loro tutta quella necessaria, ma per seppellire i loro cadaveri . Quasi immediatamente seguì una terribile battaglia a Vercellae (101 a.C.). I barbari si erano schierati in una enorme formazione quadrata, gli uomini che formavano le file esterne erano legati insieme da funi, per evitare che i ranghi si spezzassero. Ma tutto ciò fu solo causa della loro rovina. Più di 100.000 uomini furono uccisi e 60.000 fatti prigionieri per essere venduti come schiavi nei mercati romani. Mario fu salutato come il “Salvatore della Patria”.
Il destino di queste due nazioni che vagavano sulla faccia della terra in cerca di casa è uno dei racconti più tristi e patetici di tutta la storia. La quasi innumerevole schiera di viandanti, uomini, donne e bambini, ora “riposava sotto la zolla o faticava sotto il giogo della schiavitù: la disperata speranza della migrazione germanica aveva fatto il suo corso; gli esuli dei Cimbri e i loro compagni non esistevano più” (Mommsen). I loro parenti ancora al di là del Danubio e del Reno erano destinati a esigere una terribile vendetta per il loro massacro.
Ovviamente l’insigne storico Mommsen, in quanto tedesco, mostra una scontata pietà per la sorte dei poveri esuli suoi antenati. Bisognerebbe ricordare che non solo nel mondo antico nessuno aveva pietà per nessuno (in realtà in guerra succede anche oggi), ma che le popolazioni germaniche vessarono a lungo gli abitanti della Gallia Celtica, tanto che questi chiesero protezione a Roma, che colse l’occasione per espandersi.
Mommsen poi non conobbe non solo gli orrori della prima e della seconda guerra mondiale – e lì di episodi anche più gravi di quello dei Cimbri e Teutoni, certo non mancano – ma non può nemmeno vedere la tragica odierna vicenda dei respingimenti dei migranti sui barconi o quelli al confine ungherese o in Ucraina, che vede coinvolte tutte le nazioni “civili”.
La storia è maestra di vita, ma oltre a non avere scolari, ha invece troppo spesso dei posteri che salgono in cattedra a giudicare i loro antenati, senza vedere la trave che hanno nel loro occhio.
La Battaglia dei Campi Raudii
«I due eserciti si incontrarono presso Vercelli, non lontano dalla confluenza del Sesia con il Po, proprio nello stesso luogo in cui Annibale aveva combattuto la sua prima battaglia sul suolo italiano. I Cimbri erano ansiosi di battersi e, come loro usanza, inviarono una delegazione al campo romano per concordare tempo e luogo. Mario li accontentò, e propose il giorno seguente (era il 30 luglio del 101 a.C.) e la piana di Raudii, un vasto luogo pianeggiante, che avrebbe reso più agevoli le manovre della cavalleria romana, superiore a quella germanica. La cavalleria dei Cimbri, muovendosi nella densa foschia mattutina, fu colta di sorpresa da quella romana, con cui fu costretta ad ingaggiare un combattimento ravvicinato prima che potesse disporsi in formazione di attacco, e fu quindi ricacciata indietro verso la propria stessa fanteria, che stava proprio in quel momento schierandosi a battaglia. Al termine i Romani ottennero una schiacciante vittoria, riportando solo leggere perdite, mentre i Cimbri furono letteralmente annientati. Quelli che trovarono la morte in battaglia, cioè la maggior parte dei Cimbri, compreso il valoroso re Boiorix, poterono chiamarsi fortunati, sicuramente più fortunati di coloro che, venduti a Roma al mercato degli schiavi, trovarono un padrone desideroso di vendicarsi su di loro, uomini del nord, che avevano osato sfidare Roma per conquistare le terre del soleggiato sud prima che i tempi della Storia fossero maturi per questa impresa.
Alla notizia della disfatta i Tigurini, che erano rimasti al di là delle Alpi, col proposito di unirsi successivamente ai Cimbri, rinunciarono immediatamente all’impresa e fecero ritorno alle loro sedi. La valanga umana, che per tredici lunghi anni aveva seminato terrore fra i popoli stanziati fra il Danubio, l’Ebro, la Senna ed il Po, si trovava sepolta sotto l’erba oppure soggiogata in schiavitù.
Il destino del grande miraggio della migrazione germanica si era compiuto, il popolo senza patria dei Cimbri ed i loro compagni di avventura non esistevano più.»
Theodore Mommsen, Storia Romana volume secondo, Milano, Guigoni, 1865
(Libero adattamento e traduzione dall’inglese da High school Ancient History, Greece and Rome di Philip Van Ness Myers, 1901)
Nel prossimo episodio – > : La guerra sociale, guerra alleata o guerra marsica, fu un conflitto armato che ebbe luogo tra il 90 e l’88 a.C. C., in Italia, tra la Repubblica Romana (Roma e le altre città italiche dotate di cittadinanza romana) e gli altri suoi alleati italici (socii) ancora privi di cittadinanza, insoddisfatti di non aver ancora ricevuto la cittadinanza romana, nonostante il loro fondamentale contributo nel conquista delle province repubblicane, essendo tutti loro i soldati che sono membri dell’alae sociorum.