< – Nelle puntate precedenti:
Abbiamo incontrato nella scorsa serie i Greci un po’ più da vicino, ma sempre all’interno di un quadro generale. Ora cominciamo a fare sul serio e cominciamo a conoscere la storia dei primi popoli ellenici e, primo fra tutti, il misterioso popolo minoico, con il suo mitico re, Minosse, il terribile Minotauro, il Labirinto, i magnifici affreschi e palazzi di Cnosso e molto altro ancora…
“Porta Portese
Porta Portese
Cosa avrai di piùVado avanti a gomitate
Tra la gente che si affolla
Le patacche che ti ammolla quello là
C’ha di tutto pezzi d’auto
Spade antiche, quadri falsi
E la foto nuda di Brigitte BardotPorta Portese
Porta Portese
Cosa avrai di più”
Così cantava Claudio Baglioni in un suo celebre brano del 1972.
Porta Portese è il famosissimo e storico “mercato delle pulci” di Roma, che forse oggi ha perso un bel po’ del fascino di una volta (già all’epoca della canzone di Baglioni non era più tanto nel suo “periodo d’oro”), ma rimane tuttavia un posto molto frequentato da chi è in cerca di oggetti rari o d’occasione a prezzi accessibili.
In questi mercati dell’usato e dell’antiquariato (o meglio, degli oggetti da soffitta) ci si trova un po’ di tutto: vecchi dischi, macchine fotografiche vintage, poster e stampe d’antan, vecchi mobili, ninnoli, oggetti d’epoca, rarità, curiosità e magari anche…reperti di una civiltà antica ancora sconosciuta.
Come prego?
Sì, avete capito bene, perché questo fu il colpo di fortuna (che poi lui trasformò in colpo di genio) che capitò ad un archeologo britannico, a cavallo tra Ottocento e Novecento, che bazzicava qualche Porta Portese di Atene o di Creta, o della Grecia in generale; fino a portalo a fargli scoprire le vere origini della civiltà ellenica più antica, e dunque di quella occidentale.
Ecco a voi la sua incredibile storia.
Sir Arthur: più un Maigret che un Indiana Jones
A vederlo in una foto scattata forse alla fine degli anni ’30, Arthur Evans, con indosso un impermeabile un po’ gualcito e il cappello stile classico in testa, sembra più una specie di Commissario Maigret (il famoso personaggio uscito dalla penna dello scrittore belga George Simenon e interpretato sul grande e il piccolo schermo da Jean Gabin e da Gino Cervi) piuttosto che il prototipo dell’archeologo stile Indiana Jones, cioè una sorta di James Bond con la cattedra universitaria, un po’ sciupafemmine e un po’ ricercatore.
Il paragone con il commissario del Quai des Orfèvres è più calzante di quanto possa sembrare a prima vista, perché un archeologo alla fine è un po’ anche un detective.
Quando infatti si studiano fatti storici risalenti alla preistoria o a periodi in cui la scrittura era poco diffusa o utilizzata quasi solo per iscrizioni di carattere religioso o per i registri delle merci o quando addirittura si tratti di una civiltà la cui lingua non sia stata ancora decifrata; o ancora quando si consideri un periodo storico dove non si sia ancora sviluppata neppure una forma primitiva di storiografia, in tutti questi casi, l’unica cosa che possiamo fare è affidarci all’archeologia.
In mancanza di documenti scritti veri e propri, di una cronaca degli eventi, di una narrazione dei fatti redatta con lo spirito dello storico, resta solo l’indagine sui reperti, gli scavi, il reperimento di tracce, prove, indizi e il loro confronto sulla base di tutte queste ricerche; segue quindi il raffronto dei dati così raccolti, la formulazione di ipotesi che poi debbono sempre resistere alla prova dei fatti e alle scoperte successive, l’eventuale abbandono di quelle teorie che non reggano e l’elaborazione di nuove, come in un’indagine investigativa di tipo poliziesco o comunque in una qualsiasi ricerca di tipo scientifico.
Il metodo archeologico-investigativo serve anche quando noi siamo in possesso di fonti storiografiche antiche scritte, perché in questo caso si pone l’esigenza di confrontare l’attendibilità delle testimonianze con gli indizi e le tracce concrete, esattamente come fa un detective quando raccoglie le dichiarazioni dei testimoni per poi confrontarle con i rapporti d’indagine, i rilevamenti, le foto, le analisi della scientifica ecc.
Come infatti un testimone di un delitto potrebbe sbagliarsi, ricordare male o mentire intenzionalmente, così una testimonianza storica scritta, pur magari contemporanea agli eventi, potrebbe essere di parte, approssimativa nella sua ricostruzione, potrebbe essere menzognera (magari per un qualche motivo politico o religioso che all’epoca dei fatti era importante), potrebbe aver taciuto delle informazioni rilevanti (sempre per interesse o perché esse non erano ritenute degne di nota), potrebbe essere basata su ricordi confusi, ecc. ecc.
Ecco perché un ricercatore o archeologo, deve essere anche un po’ uno Sherlock Holmes o un Poirot dell’antichità e utilizzare tutti gli strumenti più all’avanguardia che ci siano a sua disposizione, anche quelli delle discipline scientifiche più disparate ( si pensi all’analisi del Carbonio 14 per stabilire la data dei reperti), al fine di ricostruire i fatti storici nella maggior accuratezza possibile.
La Civiltà minoica
Verso la fine dell’Ottocento, dicevamo, l’archeologo inglese Arthur Evans (che in seguito sarà chiamato anche Sir), era diventato nel frattempo direttore dell’Ashmolean Museum di Oxford; girando egli per i mercatini e le botteghe di antiquariato disseminate appunto nel centro storico di Atene e dintorni, come in altre parti della Grecia, riuscì a trovare alcuni gioielli, monete e sigilli sui quali erano incisi dei geroglifici che sembravano appartenere ad una lingua sconosciuta.
Indagando più a fondo, riuscì a scoprire che questi pregevoli manufatti dovevano provenire da Creta.
Diversi anni dopo, partì dunque in direzione dell’isola per una spedizione archeologica preparata da lungo tempo, appena Creta divenne indipendente dalla Turchia, nel 1898; arrivato a destinazione riuscì ad acquistare un terreno sul quale aveva messo gli occhi in realtà già in precedenza (Evans era di famiglia benestante e il padre era stato anche lui archeologo).
Egli ne era infatti sicurissimo: la città di Cnosso si trovava sepolta proprio lì sotto.
Dopo aver ingaggiato degli scavatori, cominciò i lavori archeologici di dissotterramento veri e propri e poco dopo i fatti gli diedero ragione: le rovine che vennero alla luce erano quelle palazzo di Minosse, il leggendario Labirinto.
Per la seconda volta, dopo gli scavi a Troia di Schliemann, un archeologo aveva dimostrato che Omero aveva di nuovo ragione, mentre la comunità scientifica dell’epoca riteneva ancora che quelle del più grande poeta epico dell’antichità fossero soltanto invenzioni letterarie: la più antica civiltà greca ed europea non era stata quella di Micene, né quella di nessun altra città della Grecia peninsulare.
Tutto quanto era iniziato lì invece, proprio dove lui ora stava scavando.
La civiltà minoica si sviluppò infatti a Creta dal 2700 al 1200 aC.
Deve il suo nome (e fu battezzata così proprio da Evans) ad uno dei più leggendari re di Creta, Minosse; ma questo epiteto potrebbe in realtà esser stato più un appellativo per designare una dinastia o anche solo una carica monarchica o comunque di potere, come ad esempio molto più tardi, durante l’Impero romano, sarà per il termine onorifico “Cesare”, che da nome del grande condottiero diverrà un titolo assegnato poi a tutti gli imperatori.
I Minoici potrebbero aver avuto un’origine anatolica e quindi provenire, come molti altri popoli antichi, dall’Asia Minore.
Il poeta Omero cita Creta chiamandola l’isola delle 90 città e in effetti gli scavi archeologici hanno confermato che questa civiltà, denominata anche egeo-cretese, si espanse in numerose isole del Mar Egeo.
Evans, dopo il ritrovamento nell’isola anche di alcuni altri oggetti, stavolta di origine egizia, prese come riferimento appunto la cronologia di successione dei faraoni e basandosi anche sugli stili della ceramica, individuò tre principali periodi della storia del popolo di Creta.
Questi periodi sono legati alla loro rispondenza ad uno schema evolutivo applicato alle società che in generale ne suddivide la storia appunto in tre momenti (nascita, apice e decadenza) e che era moto in voga tra gli ambienti accademici del suo tempo. Questi tre epoche sono :
- Minoico Antico (2 500-2000 a. C.). Coincide con l’età eneolitica, cioè a metà strada fra quella della pietra e quella del rame.
- Minoico medio (2000-1570 a. C.). Siamo nell’età del bronzo e in questo periodo avvenne la costruzione degli splendidi palazzi di Cnosso, di Festo, di Haghìa Triada di cui si ammirano ancora oggi le rovine.
- Minoico Recente (1570-1050 a. C.). Un devastante terremoto, avvenuto nel corso del 1.700 a. C., rase al suolo quasi tutti i palazzi cretesi. All’inizio del Minoico Recente (1570- 1050 a. C.), iniziò la ricostruzione.
Creta raggiunse in questo periodo l’apice del suo splendore, organizzandosi in una monarchia unitaria e imponendosi come potenza marittima (talassocrazia = dominio del mare) nel mediterraneo orientale.
Oggi questa cronologia, col progredire degli studi, è stata considerata insufficiente ed attualmente la suddivisione delle varie epoche della civiltà Egeo-cretese è assai diversa.
Diversi studiosi hanno proceduto ad ulteriori individuazioni di altre ere all’interno di quelle che erano già state evidenziate da Evans, oppure riformando totalmente il suo sistema di datazione con l’utilizzo di criteri totalmente differenti, come il riferimento palaziale, cioè legato all’evoluzione appunto dei palazzi.
I re minoici
I re minoici erano spesso grandi proprietari terrieri che governavano, di dinastia in dinastia, i loro territori dai loro sontuosi e giganteschi palazzi situati a Malia, Zakros, Festo e Cnosso che erano i principali centri della “nazione minoica”.
Paleocastro era una sorta di quartiere riservato alla haute; Gournia un importante polo di scambi commerciale e sede di un grande cimitero; ad Agia Triada, è stato ritrovato anche un importante sarcofago, rinvenuto dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene.
Cnosso, grazie il suo porto, Amniso, assunse un’importanza sempre crescente fino a oscurare definitivamente gli altri regni; la città divenne la grande capitale dei Minoici e un polo d’attrazione di carattere religioso, politico ed economico.
La dinastia del leggendario re Minosse governerà questa civiltà per diversi secoli fino alla sua fine, nel 1200 a.C., con lo spodestamento dei Cretesi da parte degli Achei.
Il re cretese aveva un potere sia politico che religioso: era un sovrano-pontefice che incarnava gli dei sulla terra, assieme ai sacerdoti e alle sacerdotesse, creando un vero e proprio legame vitale tra la divinità e gli uomini.
Il regno minoico subì molte aggressioni da parte di altri popoli e conobbe anche delle rivolte interne, fino all’eruzione minoica del vulcano di Thera (l’attuale isola di Santorini) che investì anche Creta.
Questa civiltà, cadrà definitivamente sotto Idomeneo, un re minoico-miceneo (anche lui, come Minosse, è una figura in cui si intrecciano storia e mito) che fu spodestato e cacciato a seguito di una rivolta avvenuta intorno al 1200 a. C.
I minoici avevano anche il controllo di Thera e Rodi, due isole greche, oltre ad esercitare una certa influenza nelle zone sulla costa della Turchia.
Il popolo minoico
La popolazione era composta principalmente da artigiani e contadini. A quel tempo, Creta aveva un’agricoltura molto varia (olivi , fichi , legumi …) e aveva un’industria artigianale assai sviluppata. La conoscenza della metallurgia era tale che gli archeologi hanno trovato nelle tombe degli enormi calderoni, alcuni dei quali potevano pesare fino a 52 kg.
Gli artisti dipingevano affreschi policromi di rara bellezza che immortalavano la vita quotidiana del loro tempo.
L’arte aveva un’estrema importanza nella loro vita ed era arrivata ad un grado estremamente raffinato.
Grandi città, estese coltivazioni agricole, numerose colonie mercantili, testimoniano la ricchezza e la prosperità di questo popolo.
La musica corale spartana è in realtà di origine minoica.
Religione e mitologia
Poiché nessuno è ancora in grado di leggere la loro scrittura, non si sa esattamente in cosa credessero i minoici, tuttavia negli affreschi sui muri dei loro palazzi, si può notare una presenza assai rilevante di personaggi femminili, per cui si ritiene che la loro fosse una società di tipo matriarcale, sebbene al vertice del potere vi fosse un uomo, un monarca supremo (la questione è comunque ancora largamente dibattuta).
È possibile che adorassero un dea principale appunto, perché esistono pochissime statue di divinità maschili nei siti archeologici minoici, mentre sono assai numerose quelle delle divinità femminili.
La loro religione è scarsamente conosciuta; le divinità che ci risultano sono relativamente poche e non abbiamo in generale molte informazioni su di loro.
Gli dei e le dee identificati tuttavia sono:
La dea madre: Grande dea del popolo minoico, è l’erede delle grandi dee orientali come Astarté o Isthar.
Incarna il potere creativo della natura ed è rappresentata in diversi modi: Guerriera, Navigatrice, Madre che nutre, Contadina…
È la dea degli animali, della natura protettiva e selvaggia che ama e aiuta gli uomini.
È identificabile con le Artemide, Demetra ed Atena del Pantheon greco classico.
Era anche signora dell’oltretomba e veniva rappresentata in compagnia di alcuni grifoni, seduta sul suo trono regale, come Osiride.
Sembra che il suo nome fosse Asasara, che deriva dall’ittita išhaššara.
Molto più tardi essa verrà assimilata ad un’antica divinità protogreca: Rea, la Grande Madre, che negli antri dell’isola avrebbe dato alla luce Zeus, il re dell’Olimpo.
Una delle rappresentazioni più comuni di questa dea nella statuaria minoica è quella che la raffigura con indosso gli abiti tradizionali: la tipica gonna e il corpetto che lasciava il seno scoperto.
Oltre a ciò, essa è raffigurata sempre mentre tiene in mano due serpenti e, posto in cima alla corona che porta sulla testa, un un uccello, una colomba.
Alcune di queste statue sono state realizzate in ceramica; altre sono fabbricate in avorio e oro e sono tutte di eccellente fattura. Questi reperti sono stati trovati in moltissimi siti intorno a Creta e in alcune altre isole del Mediterraneo.
Il giovane dio (forse assimilabile a Velchanos, di cui parleremo tra poco): rimasto anonimo, è sia sposo che figlio della Grande Dea secondo gli antichi miti anatolici.
Dio del rinnovamento delle piante, delle stagioni e del ciclo eterno della vita, è di gran lunga più antico del classico Zeus.
Sposò la Dea Madre per morire però di lì a poco.
Ed era allora che il gelido inverno ricopriva la terra. Poi il dio tornava di nuovo in vita per risposare sempre lei, la Grande Dea: e con lui sbocciava sulla terra, ancora una volta, anche la primavera, secondo uno schema ciclico ricorrente legato alle stagioni che si ripeterà in molti altri miti e nelle religioni di molti altri popoli.
Il giovane dio (chiamato Kouros dai Micenei) veniva rappresentato come un giovane cacciatore, con arco e faretra.
Era sempre accompagnato da leoni o da tori (animali questi ultimi, particolarmente sacri a Creta) e tra i suoi simboli vi era la tipica doppia ascia minoica.
Arianna: ipotetica dea del piccolo Pantheon minoico.
Simboleggiava la gioia primaverile della fioritura e dell’abbondanza dei frutti; suo padre era appunto il giovane dio.
Era una dea mortale, e anche essa moriva e rinasceva assieme al ciclo delle stagioni. (Nel periodo classico verrà assimilata al mito del Minotauro e di Teseo nel famoso Labirinto, divenendo poi sposa del dio Dioniso).
Velchanos: antico dio minoico della vegetazione la cui figura confluì in quella successiva di Zeus .
Arthur Evans, riteneva che religione minoica nell’antica Creta tenesse in gran conto il culto degli alberi, tanto che perfino la Dea Madre doveva in qualche modo rappresentare la vegetazione arborea.
Fra le due divinità quindi c’era una relazione madre-figlio, ma anche un matrimonio sacro o ierogamia (dalle due parole greche Hieros gamos, in greco ἱερὸς γάμος , cioé “nozze sacre” appunto) che veniva rappresentato in un rituale simbolico in cui i partecipanti umani in carne ed ossa rappresentavano i ruoli degli dei.
Forse Velchanos derivava in parte dal mesopotamico Dumuzid, ed era tutto sommato una divinità subalterna alla Grande Madre.
Successivamente quando il popolo miceneo entrerà in contatto con la civiltà cretese, nascerà una fase di sincretismo religioso e il dio miceneo Zeus assumerà alcuni tratti ed attributi mitologici di Velchanos, come il luogo di nascita del re dell’Olimpo, Creta appunto, e la sua iconografia come giovane imberbe.
Tra le tante denominazioni del dio, è documentata infatti anche quella di Zeus Velchanos.
Più tardi, in epoca ellenistica (il periodo che nella storia greca segue alle imprese di Alessandro Magno), la città cretese di Festo assunse il controllo di Hagia Triada e questa tornò ad essere un luogo di culto.
In questo periodo fu installata un’edicola sopra una stoà minoica proprio in onore di Zeus Velcanos.
Alla stessa era risale anche anche una protome di toro (nell’arte antica, la protome è un elemento decorativo costituito dalla testa o dal busto di una figura umana, un animale o una creatura di fantasia) costruita intorno al II secolo a.C. e attribuita al santuario di minoico di Velchanos.
Tracce del suo culto sono state rinvenute anche a Gortina, in particolare alcune monete che lo raffigurano.
La festa principale di Velchanus, la Velchania, veniva celebrata nelle città cretesi di Gortina, Lyttos e Cnosso.
Le monete di Festo raffiguravano Zeus Velchanos che tiene in grembo un gallo o insieme ad una quercia; veniva rappresentato anche accompagnato da un toro e altre volte da un’aquila.
Il Pantheon minoico potrebbe essere stato composto anche da altre divinità di cui tuttavia non abbiamo ancora scoperto nulla.
La lingua cretese è documentata da alcune tavolette d’argilla riportanti un sistema sillabico chiamato “Lineare A”.
Questi testi sono stati fino ad oggi decifrati solo parzialmente.
Certi altri, come le iscrizioni sul disco di Festo – un reperto proveniente dall’omonima città di Festo, sull’isola di Creta, e scoperto da archeologi italiani – sfuggono tuttora a qualsiasi interpretazione.
Tuttavia, alcuni archeologi – con l’aiuto di linguisti – ritengono di aver decifrato le iscrizioni anche di questo manufatto, e affermano che le sue iscrizioni trattino di una preghiera alla dea Astarte; ma queste restano per ora solo delle ipotesi.
Un altro dio che i minoici potrebbero aver adorato era forse una divinità del mare.
I Cretesi, a differenza di altri popoli, non conobbero i templi; essi praticavano il loro culto all’aperto o, più spesso, in grotte.
Molti edifici minoici erano adornati con forme curve di pietra che sembrano ricordare le corna di un toro.
Queste elementi possono essere considerati una semplice decorazione o un generico richiamo al toro, ma alcuni studiosi ritengono che abbiano forse un significato più profondo, magari religioso.
Il toro infatti era una presenza costante nel mondo cretese, probabilmente simbolo sia di fertilità che di potenza regale.
I greci delle età successive, racconteranno poi la leggenda di un re di Creta, chiamato Minosse appunto, che teneva imprigionato in un labirinto, un mostro con la testa di toro, il Minotauro, al quale venivano offerti in pasto sette giovani e sette fanciulle, che gli Ateniesi dovevano inviare ogni nove anni a Creta per espiare l’uccisione di un figlio del re dell’isola.
Per porre fine a questo tributo di sangue, fu inviato l’eroe Teseo che riuscí a introdursi nel Labirinto, con l’aiuto di Arianna, principessa dell’isola, innamorata dell’eroe, e ad uccidere il Minotauro.
Si pensa che il mito alluda all’antica egemonia di Creta sull’area dell’Egeo e di come poi gli Achei o i Minoici (che nella leggenda diventano gli Ateniesi) posero fine a questo dominio, ma anche che vi sia la testimonianza riguardo un antico dio minoico (assimilato appunto al toro) cui si riservavano sacrifici umani.
Minosse veniva reputato dai greci anche un sovrano giusto e onesto, tanto da narrare che alla sua morte, il re degli inferi lo avesse nominato subito giudice delle anime nell’oltretomba.
Solone e Licurgo, i due grandi padri fondatori delle legislazioni rispettivamente di Atene e di Sparta, presero a modello proprio la Costituzione di Creta.
Culto dei morti
Sarcofago di Hagia Triada, c. 1400 a.C., affresco su pietra calcarea, 1.375 x .45 x .985 m, Museo Archeologico di Heraklion, (foto: Carole Raddato)
I minoici inumavano o seppellivano in tombe i loro morti, non ricorrevano alla cremazione.
Accanto ai corpi venivano collocati corredi funerari che includevano oggetti della loro vita quotidiana e speciali vasi funerari cerimoniali.
Quest’usanza ci fa pensare che i minoici vedessero la morte come una continuazione della vita.
I funerali dovevano essere più simili a feste comuni che a veri e propri eventi solenni.
Dai dipinti e dalle opere d’arte dell’epoca, si evince che al defunto venissero offerti doni nel corso di un ricco banchetto tenuto vicino alle tombe o al loro interno.
Era una festa dei morti celebrata assieme ai morti, e dato che le tombe erano in comune, in queste si riunivano idealmente generazioni di famiglie, viventi o trapassate.
Le tecniche di sepoltura e inumazione erano differenti e si diversificheranno ulteriormente nel tempo.
Le tombe più antiche erano scavate direttamente nella roccia, poi vennero erette delle “Tombe circolari”, o Tholoi e infine divenne molto comune l’uso di tombe domestiche, cioè vere e proprie case per i morti con all’interno varie stanze.
La più grande di tutte è di circa 39 metri x 40.
Tra i più celebri rinvenimenti di reperti dell’arte funeraria minoica, c’è il sarcofago di Agía Triáda, riccamente decorato con scene di carattere rituale e sacro.
Sacrifici umani?
“Noi siamo ‘na setta assetata di sangue…e tike, ti tike, fiamo sacrificio umano!”“…E verrai sacrificato al nostro unico dio: Little Tony!”
Nel film commedia “Fico d’India” diretto da Steno nel 1980, con Renato Pozzetto e Gloria Guida, recita in un piccolo ruolo anche un giovane e allora sconosciuto Diego Abatantuono, nella parte del “terrunciello” capo delle “Belve”, un improbabile leader di un’altrettanto scalcinata gang di teppisti e picchiatori della notte, nei quali Pozzetto s’imbatte in alcune scene.
Forse il personaggio interpretato da Abatantuono era un discendente diretto degli antichi minoici.
Il riferimento comico a questo film commedia, mi è servito ad alleggerire un po’ il tono, visto che mi accingo ad introdurre un argomento alquanto scabroso: la questione del presunto costume in uso presso gli egeo-cretesi di ricorrere ai sacrifici umani per placare l’ira degli dei.
Messa così sembra una cosa da fumetto d’altri tempi, tipo L’uomo Mascherato, Tarzan, Zagor oppure un soggetto per un film di Indiana Jones (magari il secondo capitolo, “Il Tempio Maledetto”, forse il più razzista di tutti).
In realtà si tratta di una faccenda terribilmente seria.
Nel santuario di Anemospília, a Creta, distrutto da un terremoto nell’antichità, sono stati trovati quattro corpi.
Si suppone che uno di questi, situato sotto un altare con una lancia conficcata tra le ossa (secondo altri un pugnale), sia quello di un essere umano sacrificato.
La posizione di detto corpo risulta essere piuttosto innaturale, il che fa supporre fosse stato preparato proprio per un rituale di questo tipo.
È un caso molto controverso, perché sarebbe quasi l’unico vero indizio dell’impiego di questa pratica sugli esseri umani da parte di questa civiltà (a parte il riferimento contenuto nel mito circa il Minotauro che divorava ragazzi e fanciulle), mentre abbiamo numerose prove certe che i minoici compissero di frequente sacrifici di animali.
Tuttavia, altri studiosi sostengono che questo sito non fosse affatto un santuario e che le prove di tale sacrificio siano tutt’altro che conclusive; inoltre rifiutano l’identificazione della piattaforma su cui si trovava l’uomo con un altare allestito per riti di immolazione.
Dubbi sono stati mossi anche intorno alla lama, che avrebbe potuto essere anche la punta di una lancia e che potrebbe essere caduta da qualche ripiano superiore durante il terremoto e in questo modo conficcatasi nel corpo.
Nella “Casa del Nord” a Cnosso sono stati trovati quattro corpi mutilati, forse di bambini.
Qui la faccenda si fa più grave, perché le amputazioni rilevate su questi resti, sarebbero coerenti con quelle che venivano inflitte a capretti o pecore per poi essere mangiate dopo il sacrificio.
Anche in questo caso, ci sono studiosi riluttanti a credere che queste possano essere considerate prove della pratica di sacrifici umani; suppongono invece che detti resti possano appartenere a delle scimmie, mentre altri ancora sostengono che tali ossa possano essere state depositate in questo sito utilizzandolo come “sepoltura secondaria”, pratica che del resto era in uso presso diverse popolazioni.
Ma tutto ciò non spiega la presenza di dette mutilazioni.
In assenza di prove certe, non possiamo che sospendere il giudizio.
Tuttavia dobbiamo anche astenerci dall’interpretare il passato secondo i moderni canoni del politically correct o dal rifiutare pregiudizialmente l’eventualità che si tratti effettivamente di sacrifici umani, solo perché ci risulta inaccettabile l’idea che la prima civiltà europea comparsa nella storia del mondo possa essere stata di fatto, nascosta sotto una splendida patina di nobiltà, operosità e raffinatezza, un’associazione di assassini invasati dalla religione e di antropofagi infanticidi.
Un po’ come avviene nei romanzi di Stieg Larsson, lo scrittore svedese di genere poliziesco, autore della celeberrima trilogia Millenium, dove viene descritta una società di gente ricca e potente che nasconde, dietro una autorevole facciata di rispettabilità, segreti e delitti infami e inconfessabili.
Le civiltà antiche non possono essere giudicate a priori “inferiori” in nessun modo, tuttavia non vanno neanche inquadrate in uno schema ideale o accettabile dai nostri principi etici e morali (che oltre a non essere gli stessi del mondo antico, non sono, neppure attualmente, uguali a tutte le latitudini).
A partire dalla leggenda di Crono che divora i propri figli, del Minotauro che consuma un pasto sacrificale di carne umana, passando per la vicenda di Medea che uccide la sua medesima progenie, di Ercole che, in preda alla follia, si macchia dello stesso massacro o di Atreo, che per vendetta serve a cena all’inconsapevole fratello, Tieste, i suoi stessi rampolli, trucidati e arrostiti, la mitologia greca è piena di delitti orrendi e di azioni nefaste.
Queste narrazioni possono essere tanto frutto di fantasia, quanto tracce di un passato oscuro, ctonio, mostruoso o barbaro se così vogliamo giudicarlo.
Ma un passato fatto anche di pulsioni oscure e inconsce, che, per quanto ci possiamo ritenere civilizzati e razionali, riaffiora anche di tanto in tanto nella nostra storia moderna o recente.
Si pensi ad esempio agli orrori del nazismo nella seconda guerra mondiale, alle barbarie raggiunte alla fine del XXº durante le dittature in Brasile e Argentina e nel Sud America in generale, alle stragi della ex Jugoslavia, alle sanguinarie e sommarie esecuzioni nei califfati dell’islamismo radicale ai nostri giorni.
Senza dimenticare le vicende personali dei serial killer, di cui leggiamo sulla stampa o le cui vicende diventano spesso oggetto della letteratura o della cinematografia: siano essi personaggi realmente esistiti come Jack lo Squartatore o John Wayne Gacy (l’assassino seriale vestito da clown che ha ispirato il libro IT di Stephen King), oppure di fantasia come Hannibal Lecter, l’indimenticabile “Cannibal” de “Il Silenzio degli innocenti”.
Lo studio della civiltà greca (come anche della storia in generale) e dei suoi miti, è un viaggio nella nostra interiorità, alla scoperta di quello che siamo sia come singoli che come popoli o nazioni.
Ma per essere proficuo, deve essere un viaggio fatto senza sconti.
Dobbiamo cercare di vedere tutto, non solo ciò che ci pare edificante, educativo, pieno di gratificazione.
Questo significa dunque non distogliere mai lo sguardo, neppure dagli orrori più atroci, perché si tratta dell’unico modo per esorcizzare i demoni, che se invece vengono seppelliti, riaffiorano come zombie.
Dobbiamo quindi essere disposti ad accettare anche il fatto che un giorno potrebbero venire alla luce prove inconfutabili che i minoici avessero effettivamente adottato la mostruosa pratica dei sacrifici umani, non risparmiando neppure i bambini forse, probabilmente infliggendo loro orribili mutilazioni e aggiungendovi anche la ripugnante usanza dell’antropofagia.
Certamente tutto ciò stride con l’immagine estremamente amabile di una civiltà così splendida, così amante della bellezza, come della raffinatezza e della vita in genere; una civiltà ideale alla quale ci vorremmo sentire tutti un po’ simili.
Ma attenti a ciò che desiderate: potreste scoprire che questa e altre civiltà sono in realtà già molto simili a voi, a noi, più di quanto possiate immaginare.
E di scoprire di essere uguali a loro, forse proprio nel loro momento di abiezione più profonda.
Un cataclisma finale e una lenta agonia
La civiltà minoica fu distrutta una prima volta dallo tsunami provocato dall’eruzione del vulcano di Santorini , avvenuta intorno al 1628 a. C.
Ma i minoici sopravvissero e ricostruirono i loro palazzi.
Più tardi, un’altra catastrofe fece crollare di nuovo le loro roccaforti.
Verso il 1450 a. C., i Micenei, Greci provenienti dal continente, invasero Creta, depredando e distruggendo senza scrupoli i luoghi della grande civiltà minoica, finendo per insediarsi sull’isola e dominarla; un’ondata di violenza incendiò Creta e la monarchia vacillò per poi crollare definitivamente.
Creta diventa così una semplice provincia dominata dai greci achei.
Intorno al 1200 a.C., i Cretesi, sotto la guida dei greci, partecipano alla guerra di Troia con il loro sovrano Idomeneo. Quest’ultimo verrà poi rovesciato da una rivolta e sarà la vera e propria fine della civiltà minoica.
Fino al 1100 a.C., le ultime tribù rimaste condivisero il magro retaggio dei loro antenati defunti; in seguito, la Grecia farà scomparire definitivamente la civiltà minoica che rimarrà sepolta e poi dimenticata fino al primi anni del secolo XXº quando Arthur Evans riscoprirà questo popolo ormai estinto.
Nel prossimo episodio – > : Cocluderemo il nostro viaggio nella civiltà minoica, illustrandone la società nei suoi vari aspetti: economia, cultura, arte, moda, scrittura. Vedremo anche la misteriosa fine del popolo di Creta.