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CORIOLANO E CINCINNATO

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Dopo gli Etruschi, Roma dovette vedersela con i Sabini, contro i quali si impegnarono in una guerra durata quattro anni. Il governo viene dato temporaneamente in mano ad un solo magistrato, il dittatore. Presso il lago Regillo si combatte un’eroica battaglia. Silla prima e Cesare poi si avvaleranno della dittatura per legittimare il loro potere, e ne faranno il mezzo per trasformare la repubblica nell’impero…

Cneo Marcio Coriolano (a. 491-488)

Nello stesso anno dell’istituzione del tribunato (493 av. C.), essendo consoli Spurio Cassio e Postumio Cominio, Roma aveva coronato la pace conclusa coi Latini dopo la battaglia al lago Regillo con un trattato d’alleanza , per cui i due popoli vicendevolmente si promettevano soccorso se fossero stati aggrediti da nemici, e si regolavano mutue relazioni giuridiche sulla base di una piena parità.
Ma la guerra contro i Volsci continuava: le loro truppe apparvero fin sotto le mura di Roma, condotti da un ribelle romano, Cneo Marcio, detto Coriolano per aver espugnato con una schiera di soldati Corioli, città tenuta dai Volsci.

Era egli un fiero patrizio e mal sopportava, assieme a molti suoi pari, che si fosse data in mano alla plebe un’arma troppo potente con la concessione del tribunato. Nell’anno 491 av. C. Roma soffrì una grande carestia, per cui fu necessario provvedere a forniture di grano da altri paesi. Molto ne venne importato dalla fertilissima Sicilia, parte acquistato, parte mandato in dono da Gelone, signore di Siracusa.

Ambizione di Coriolano
Ambizione di Coriolano

Il Senato romano stava deliberando su come distribuire quel grano al popolo; una delle proposte fu che parte di esso fosse venduta a prezzo calmierato, parte lo si donasse gratuitamente, secondo i bisogni. Coriolano invece, messosi a capo dei patrizi, vedeva l’occasione favorevole per strappare il tribunato alla plebe, mettendo a condizione della distribuzione gratuita del grano l’abolizione della nuova magistratura. Ma i tribuni, per tale offesa alle leggi sacre, citarono Coriolano davanti al popolo; egli timoroso d’una condanna, s’allontano dalla città e non rispose alla citazione. I tribuni allora fecero decretare dall’assemblea delle tribù l’esilio di Coriolano.

Questi, meditando vendetta, riparò tra i Volsci, e d’intesa col loro comandante Azzio Tullio (non ridete anche del suo nome, per cortesia), li incitò a muovere contro Roma. L’esercito condotto dal cittadino ribelle, avanzò fino a poche miglia dalla città. Roma si trovava in uno stato di grande anarchia: mentre il nemico la minacciava, le fazioni cittadine la dilaniavano dall’interno con le loro discordie. Data la gravità della situazione, il senato mandò una legazione di uomini autorevoli  a pregare Coriolano di risparmiare la propria patria. Egli rifiutò, e si mantenne ostinato nel suo rifiuto, anche quando vennero supplichevoli al suo cospetto,  i sacerdoti.

Fu allora che Veturia, vecchia e veneranda madre di Coriolano, e Volumnia, sua moglie, insieme ad uno stuolo di altre matrone andarono al campo. Il sentimento di figlio e di marito, non potè resistere alla severa voce della madre, che lo rimproverava per la sua ribellione, e alle lacrime della sua sposa, che lo pregava di risparmiare la patria. Alla fine, la pietà filiale vinse l’odio di parte. Coriolano levò il campo e si stabilì fra i Volsci, rimanendo con loro fino alla morte. In memoria del felice intervento delle matrone romane, fu edificato il tempio alla Fortuna Muliebre.

Coriolano tra i Volsci viene raggiunto dalla madre
Coriolano tra i Volsci viene raggiunto dalla madre

La legge agraria di Spurio Cassio (a. 486)

La tradizione diceva che Romolo divise il territorio romano in tre parti, delle quali, una fu a sua volta suddivisa in diverse altre parti più piccole, di due iugeri ciascuna, da assegnarsi una per ciascun capo di famiglia, come proprietà ereditaria.  Un’altra fu destinata come reddito per il culto e per l’appannaggio reale. La terza infine venne lasciata, come terreno pubblico, per il pascolo.

Ager publicus

Romolo traccia il solco con l'aratro
Romolo traccia il solco con l’aratro

Questo terreno pubblico andò sempre crescendo perché, per diritto di guerra, il territorio di una popolazione vinta diveniva proprietà dei vincitori o in tutto o in parte. Era consuetudine che il popolo romano togliesse alle genti sottomesse almeno una terza parte del territorio, e questa diventava agro pubblico o andava a costituire l’insieme dei beni demaniali.

La destinazione di questi beni era varia. I terreni coltivati venivano messi in vendita dal questore a profitto del pubblico erario; ovvero, in forza di legge venivano assegnati ad una colonia che si stanziasse nel territorio conquistato, e il terreno così assegnato diventava agro coIonico.

In questi due casi l’agro pubblico diventava proprietà privata. I terreni a pascolo restavano di uso del comune con l’obbligo di pagare un corrispettivo per ogni capo di bestiame che vi pascolasse. La terra incolta, le lande, erano lasciati ai cittadini, a condizione che l’occupante corrispondesse al comune una decima sui raccolti.

L’occupante aveva il possesso e mai la proprietà di questo terreno, che era del comune, e ne conservava il diritto di rivendicazione. Nei primi tempi di Roma solo i patrizi, se non di diritto certamente di fatto, occupavano in tal modo l’agro publico. In seguito anche i plebei più ricchi divennero occupatori. I poveri invece, ne restavano esclusi, cosa che costituiva una grandissima ingiustizia: quel terreno infatti, era stato conquistato a prezzo delle loro fatiche e del loro sangue in guerra.

I ricchi a poco a poco cercarono di liberarsi da qualsiasi obbligo della decima e quindi a tramutare quello che era possesso in proprietà. Ad impedire queste usurpazioni furono promulgate le leggi agrarie, con le quali si sosteneva giustamente il diritto imprescrittibile del comune, impedendo che il possesso del terreno comunale, per quanto antico, potesse mai divenire proprietà.

Come si vede, le leggi agrarie non erano rivolte contro la proprietà privata, esse affermavano il diritto del comune contro l’avido interesse dei ricchi e divennero occasione di aspre lotte per tutto il periodo della repubblica.

Primo autore della legge agraria fu Spurio Cassio Viscellino, patrizio, tre volte console, vincitore dei Sabini, dei Latini e degli Ernici. Egli propose, nell’anno 486 a. C., che l’agro pubblico, formatosi dalle recenti conquiste sugli Ernici, si dividesse fra la plebe povera, e che se l’agro di recente conquistato non fosse bastato, si estendesse la divisione all’agro antico, richiamando in pieno vigore i diritti del comune.

 Morte di Spurio Cassio

Contro tale proposta si sollevò il patriziato. Cassio fu sospettato di voler cercare il favore della plebe per usurpare il dominio della repubblica. I questori Cesone Fabio e L. Valerio lo accusarono di perduellione davanti all’ assemblea delle curie, ed egli, che aveva compito in guerra molte grandi imprese fu condannato a morte. Cassio per amore di giustizia fu vittima del patriziato. Ma la sua proposta non venne abbandonata, diventando motivo di nuove agitazioni, che tennero la città come divisa in due fazioni. 

Guerra dei Fabii contro Veio (a. 479-477)

Fiero accusatore di Cassio era stato Fabio Cesone. Il nome della gens Fabia lo si ritrova per molti anni nelle successioni al consolato. Forse è questo un segno del favore che il patriziato concesse loro  dopo la condanna dell’odiato autore della prima legge agraria.

Tuttavia pare che i Fabii avessero ricoperto più volte il ruolo di conciliatori e mediatori delle lotte cittadine, e quindi divennero ben accetti anche alla plebe. Cresciuti in potenza e popolarità, diedero essi un memorabile esempio di devozione alla patria.

Roma era in guerra già da alcuni anni in guerra con la città etrusca di Veio. Nell’anno 479, i Fabii si offrirono di sostenere da soli il peso di quella guerra. Uscirono dalla città in numero di 306, accompagnati da molti clienti, cosicché in totale arrivavano a 4000 unità, cioè tanti quanti bastavano per costituire una legione.

Si accamparono non lontano da Veio, lungo le rive del piccolo fiume di Cremera, affluente del Tevere e felicemente tennero fronte ai nemici per ben due anni.

Il sacrificio della famiglia dei Fabii
Il sacrificio della famiglia dei Fabii

Battaglia sul Cremera (477 a. C.)

Ma un giorno furono presi in agguato dall’esercito Veiente, e combattendo da eroi caddero tutti sul campo. Ne sopravisse uno solo, che era ancora un ragazzino ed era rimasto a Roma: grazie a lui la stirpe si sarebbe rinnovata e più tardi egli avrebbe comandato le truppe romane contro Annibale. La strage dei Fabii avvenne alle idi di febbraio dell’anno 477 av. C. Quel giorno fu sempre considerato come luttuoso.

L. Quinzio Cincinnato (a. 458)

Cincinnato
Cincinnato

Roma era continuamente in guerra contro i Volsci, gli Ernici, gli Equi, ed altri popoli confinanti. La città di Anzio era stata tolta ai Volsci e divenne una colonia romana (468 av. C.). Ciò fu causa di nuove guerre fino alla stipulazione di una pace coi Volsci e con gli Equi nel 459 a.C.

Ma gli Equi presto ruppero i patti e con l’esercito avanzarono fino al monte Algido. Nello stesso momento i Sabini corsero a devastare il territorio romano. La situazione richiedeva l’opera energica d’un dittatore: fu designato Quinzio Cincinnato, virtuoso cittadino già console nel 460.

A lui, abitante della campagna di Trastevere, vennero inviati i legati del senato per comunicargli l’elezione, e lo trovarono coperto da una rozza veste, curvo sull’aratro, lavorando il suo modesto campicello. Cincinnato accettò la dittatura, condusse l’esercito romano sull’Algido, sconfisse gli Equi e fu accolto trionfante in città. Dalla gloria del trionfo ritornò alle cura del suo modesto campo.

Le leggi di Terentilio Arsa (a. 462)

Il Decemvirato (a. 451-449)

Dopo la morte di Spurio Cassio l’agitazione della plebe contro il patriziato non era mai cessata, se non quando, con la minaccia della guerra, le fazioni cittadine si ricomponevano per essere tutti uniti con un’ammirevole spirito di unione contro lo straniero, comune nemico.

I tribuni eletti nei Comizi Tributi

I Comitia
I Comitia

Nella lotta per i suoi diritti  la plebe aveva ottenuto nell’anno 471, una legge di Volerone Publilio, secondo la quale i tribuni e gli edili plebei fossero eletti nell’assemblea delle tribù. Passo dopo passo,  la plebe, guidata con coraggio e con costanza dai tribuni, procedeva ad affrancarsi dalla soggezione in cui giaceva per l’ imperante ineguaglianza di diritti. Il potere consolare non limitato da leggi stabili, si trascinava in eccessi e dava al patriziato un potere quasi assoluto.

Leggi scritte che con chiara certezza regolassero diritto il comune, ancora non esistevano. La giustizia si amministrava secondo la consuetudine antica del magistrato patrizio.

Cresceva l’instabilità e l’incertezza delle relazioni giuridiche pubbliche e private, sempre a danno della plebe e vantaggiosa per il patriziato, che era depositario ed interprete della religione e della tradizione in cui riposava il diritto, e che per via del consolato aveva anche l’amministrazione della giustizia. La plebe non aveva altra difesa che la protezione tribunizia. Si richiedeva un provvedimento che ristabilisse l’uguaglianza civile.

Proposta di Terentilio Arsa

Nel 462, il tribuno Terentilio Arsa propose che si affidasse ad una commissione di cinque cittadini l’incarico di redigere leggi scritte, le quali limitassero e determinassero chiaramente i poteri del magistrato e stessero a sicuro fondamento nell’amministrazione della giustizia.

Da tale proposta ne conseguiva che la plebe non avrebbe più a propria tutela il solo patrocinio tribunizio, ma bensì anche lo stabile dettato della legge. I patrizi, che in tale incertezza del diritto avevano la base del loro potere, essendo essi depositari o interpetri della tradizione, si opposero di tutta forza. La lotta duro durissima per un decennio.

Il patriziato, credendo con opportune concessioni di placare la plebe, nell’anno 457, acconsentì che i tribuni fossero raddoppiati al numero di dieci. Questi, rafforzatisi in numero, giurarono fra loro concordia e costanza. All’ultimo, nel conflitto di due diversi principi, modificando l’originaria proposta di Terentilio, si decise che fosse nominata una commissione di dieci cittadini per redigere leggi comuni ed eguali ai due ceti della cittadinanza, cioè patriziato e plebe.

Questo fu convenuto nel 454. Per prima cosa furono mandati tre cittadini in Grecia a studiare quelle antiche costituzioni. Quando furono di ritorno (a. 452), fu deliberato di nominare la commissione dei dieci, ossia i Decemviri, per redigere tali leggi.

La Legge delle XII Tavole
La Legge delle XII Tavole

Primo Decemvirato. Le leggi delle Dodici Tavole

Rivestiti di pieni poteri, essi reggevano la città e durante la loro carica cessavano le altre magistrature, cioè il consolato e il tribunato, e taceva anche il diritto d’appello al popolo.

I Decemviri iniziarono il loro incarico nell’anno 451, e diedero un primo complesso di leggi, che, proposte al popolo nei comizi centuriati, furono votate e poi ordinate in dieci tavole. Ma la legislazione non era compiuta, fu quindi necessario nominare un’altra commissione di dieci, la quale aggiunse alle prime, altre due tavole di leggi. Si ebbe così la Legislazione delle Dodici Tavole, la quale inaugurò l’uguaglianza civile a Roma, e stette come fondamento e fonte del diritto romano. Delle Leggi delle Dodici Tavole non si conservano se non pochi frammenti.

Secondo Decemvirato

Finita l’opera legislativa, i Decemviri dovevano lasciare il potere per rimettere in vigore il precedente governo consolare. Ma, per opera di un membro del collegio decemvirale, l’ambizioso Appio Claudio, questo non avvenne. Restarono illegalmente al potere e lo convertirono in una tirannia, provocando un vivo malcontento nel popolo ed anche in parte del senato.

Intanto Sabini ed Equi tornarono ad invadere il territorio romano, accampandosi ancora sull’Algido. Alcuni dei Decemviri andarono a combattere al fronte; altri, fra cui Appio Claudio, rimasero a Roma.

Virginia

Appio si era innamorato di Virginia, figlia del plebeo L. Virginio, che come centurione si trovava a combattere nella guerra. Per ottenere Virginia, Appio spinse un suo cliente, a formulare una falsa dichiarazione che era in realtà una sua schiava, e venisse rivendicata come sua proprietà, affinché poi, portata la questione davanti al tribunale del decemviro Appio, questi decidesse in favore del cliente.

Morte di Virginia, Taras Shevchenko
Morte di Virginia, Taras Shevchenko

La seduta del tribunale, con Appio Claudio a presiederla, era in corso nel Foro, al cospetto del popolo; il cliente stava riuscendo con false testimonianze e con un giudice compiacente, a farsi assegnare Virginia a nome di Appio, quand’ecco farsi largo tra la folla il centurione Virginio, accorso dal campo a Roma.

Invano tenta di far ascoltare la voce della verità e rivendicare la libera origine di sua figlia: il giudice resta fermo nella sua sentenza. Disgustato da tanta ingiustizia e prepotenza, il padre chiede di parlare in disparte alla figlia. Rimasto solo con lei, la colpisce con un coltello, esclamando: «Solo con questo io ti posso far libera! ». Fu questo il segnale della rivoluzione. Il popolo insorge in città, insorgono le milizie nel campo, i Decemviri vengono deposti e coi dieci tribuni la plebe si ritira nuovamente sul Monte Sacro.

Leggi Valerie-Orazie

Il Senato mandò due cittadini delle genti Valeria ed Orazia, nomi cari alla plebe, per cercare un nuovo accordo, con il quale vennero ricostituiti il governo consolare ed il tribunato.

Furono eletti consoli gli stessi, L. Valerio e M. Orazio; essi proposero leggi popolari, che restituirono il diritto d’appello al popolo, riconfermarono la sacra inviolabilità dei tribuni, e,  cosa che fu di grande importanza per il progresso della causa popolare, diedero alle deliberazioni dell’assemblea delle tribù, validità e forza di legge per tutto il popolo. Sono queste le leggi Valerie-Orazie dell’anno 449 a. C., dalle quali si avvia un più efficace sviluppo democratico della costituzione romana.

Si Era conseguita l’eguaglianza civile, ma non l’eguaglianza politica. La plebe ora muove a questa conquista. Rimane degno di nota nella più antica storia della repubblica, questo ordinato progredire del popolo dall’affermazione di un diritto ad un altro, e lottando per il conseguimento di questi stessi diritti lottando con le sole armi delle leggi.

Legge di Canuleio. Tribunato militare (anno 145)

Contro la piena eguaglianza civile restava ancora la proibizione di nozze di plebei coi patrizi, che era stata riconfermata dalla nuova Legislazione delle Dodici Tavole, e costituiva l’ostacolo principale al conseguimento dell’eguaglianza politica, perché, come già abbiamo detto, le magistrature erano connesse con gli auspici e il patriziato affermava di aver esso solo l’idoneità per compierli. Con pretesti religiosi difendeva le proprie prerogative, negando comunione di nozze con la plebe, per non riconoscere con la commistione del sangue, anche la comunione di detti auspici.

Figurina Liebig della serie Roma Antica
Figurina Liebig della serie Roma Antica

Ma nell’anno 445, il tribuno Caio Canuleio propose che fosse concesso il diritto di matrimonio dei plebei coi patrizi. La proposta di Canuleio era necessaria premessa per sgombrare il pregiudizio della divisione e differenza del sangue fondata nella ragione religiosa.

A questa i nove tribuni colleghi di Canuleio aggiunsero un’ulteriore proposta: che al popolo fosse data facoltà di eleggere i consoli così fra i patrizi come fra i plebei. Per la fermezza del collegio tribunizio e per gli imminenti pericoli di guerra coi Volsci, con gli Equi e con i Veienti,il patriziato dovette cedere sulla proposta di Canuleio, la quale, presentata al popolo nell’assemblea delle tribù, fu sancita definitivamente.

I tribuni militari con potestà consolare

Quanto all’altra proposta si venne ad un compromesso o a una transazione, per cui fu sospeso temporaneamente il governo consolare, e venne conferito il potere  a nuovo collegio di magistrati, detti tribuni militari con potestà consolare, annuali ed elettivi nei comizi centuriati, riconoscendosi in pari tempo l’eleggibilità della plebe a questa magistratura (anno 445).

Fu questo uno espediente del patriziato per salvare la dignità consolare dall’accesso ad essi dei plebei. I tribuni militari, sebbene stessero in luogo dei consoli, avevano una dignità a questi inferiore e non ebbero mai l’onore del trionfo.

Quanto al numero dei tribuni militari esso fu vario: dapprima furono tre, poi crebbero a si arrivò fino ad otto. La plebe vi ebbe l’eleggibilità, ma questa per molti anni fu solo un diritto teorico. Infatti il primo plebeo non venne eletto al tribunato consolare se non nell’anno 400.

Tale istituzione aveva un carattere provvisorio e sembra spettasse al senato decidere se nell’anno successivo si dovessero eleggere consoli o tribuni militari. Forse ogni anno il senato doveva dichiarare se riteneva di poter accordare ai plebei l’ammissione al consolato o di restare invece in questo stato provvisorio.

La Censura

Il patriziato, costretto a cedere delle sue prerogative in un punto, cercò di salvar parte di queste in un altro. Perciò, concessa l’eleggibilità plebea al tribunato militare, si tolse a questa magistratura una delle maggiori attribuzioni consolari, cioè quella di fare il censimento della cittadinanza, costituendo per questo ufficio una propria magistratura di prerogativa patrizia, cioè la censura, la cui istituzione coincide con quella del tribunato militare, o almeno ne differisce di poco (443).

Senato Romano
Senato Romano

Ufficio dei censori era la cura e la conservazione delle forze materiali e morali dello stato, e la loro autorità si fondava in un concetto o principio morale. Essi facevano il censimento  quinquennale dei cittadini secondo loro condizione; formavano la lista dei senatori, avevano la sorveglianza della pubblica moralità, con facoltà di provvedere con editti al buon costume e di infliggere note di biasimo e punizioni. Avevano pure la sorveglianza nell’amministrazione finanziaria sui dazi e sulle imposte, sugli appalti dei lavori pubblici, formando il bilancio quinquennale delle entrate.

I censori, erano due, eletti ogni quinquennio nei comizi  centuriati. Dapprima duravano in carica cinque anni, ma poi la loro potestà fu ridotta a diciotto mesi, entro il quale termine dovevano finirsi le operazioni concernenti il censo.  

Il rinnovo della lista senatoria, passata dai consoli ai censori, si formò col principio che avessero seggio in senato quelli che avevano coperto la magistratura, a cominciare dai questori.

Spurio Melio

Nel 440 a. C. Roma era di nuovo afflitta da carestia, per cui un ricco cittadino plebeo, Spurio Melio, raccolse dall’Etruria una grande quantità di grano, che distribuì ai poveri parte a basso prezzo, parte gratuitamente. Divenne quindi molto popolare, tanto che la plebe voleva conferirgli, anche se plebeo, il consolato.

Il patriziato lo accusò d’aver ordito una congiura per impadronirsi del governo, e come se veramente la repubblica fosse in pericolo, nominò dittatore Quinzio Cincinnato, con Servilio Ahala come Magister equitum. Spurio Melio venne chiamato a comparire al cospetto dell dittatore, e questi si presentò circondato da molti suoi seguaci. Servilio allora, temendo che egli volesse scatenare una sommossa popolare, gli si avventò subito contro e lo pugnalò a morte. Le case di Melio furono rasee al suolo.

L’uccisione del cittadino caro alla plebe fu causa di nuove rivolte contro il patriziato. La lotta si riaccese: oggetto del contendere era  il governo del tribunato militare, che la plebe richiedeva con la speranza di conseguire l’elezione già in diritto riconosciuta, e il governo dei consoli, che il patriziato voleva vedo ristabilito come sua propria prerogativa. In questo travagliato contrasto, la plebe ottenne finalmente l’ammissione ad un primo grado di magistratura, che fu come avergli dato adito a gradi superiori.

Comitia Curiata
Comitia Curiata

Ammissione della plebe alla Questura

Già dall’anno 421 era parso conveniente raddoppiare il numero dei questori. I tribuni chiesero ed ottennero che in questo accresciuto collegio dei questori fosse ammessa la plebe; ne fu riconosciuto il diritto, ma non fu tradotto in atto se non più tardi, nel 409, quando dei quattro questori tre furono eletti tra i membri della plebe. È questa la prima magistratura in cui il popolo venne davvero rappresentato e con questa ottenne anche l’ammissione in senato, che spettava ai questori come a magistrati.

(Adattamento da Iginio Gentile. “Storia romana”, 1885)

 Nel prossimo episodio – > :  

Le guerre tra Roma e Veio scoppiarono all’inizio del V secolo a.C., fino alla caduta di quest’ultima nel 396 aC. Una fase del conflitto è irta di difficoltà, e sfocia nel disastro di Cremera intorno al 477 a.C. Brenno il capo dei Galli Senoni sconfigge i romani nella battaglia dell’Allia, quindi attacca Roma e conquista gran parte della città, tenendola in ostaggio per diversi mesi, intorno al 387 a.C. 

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