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POESIA E CULTURA ALLA FINE DELLA REPUBBLICA

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Marco Tullio Cicerone, un politico e avvocato romano, console nell’anno 63 a.C. Provienente da una ricca famiglia municipale dell’ordine equestre romano e considerato uno dei più grandi oratori e prosatori di Roma. La sua influenza sulla lingua latina fu così immensa che la successiva storia della prosa, non solo in latino ma nelle lingue europee fino al XIX secolo, sarebbe stata una reazione o un ritorno al suo stile. Sebbene fosse un abile oratore e un avvocato di successo, Cicerone riteneva che la sua carriera politica fosse il suo risultato più importante. Fu durante il suo consolato che la seconda cospirazione catilinaria tentò di rovesciare il governo attraverso un attacco alla città da parte di forze esterne, che Cicerone represse la rivolta facendo giustiziare i cinque cospiratori.

I poeti

In fatto di poesia l’unica forma originale dei latini è stata la satira condotta a grande perfezione da Lucilio e coltivata da Terenzio Varrone. Il dramma subì un periodo di decadenza, non perché non vi fossero più rappresentazioni, ma perché si continuava a riprodurre le tragedie e le commedie antiche, quando non si preferiva addirittura rappresentare direttamente i drammi greci.

L'atrio della Casa Pompiena, di Gustave Boulanger

Tuttavia ricorderemo L. Azzio, scrittore di tragedie, T. Quinzio Atta e L. Afranio, scrittori di commedie, Nevio e L. Pomponio che alle farse popolari dettero una forma artistica, D. Laberio e P. Siro, che innalzarono i mimi alla dignità di componimento letterario. L’esempio dato da Ennio, il poeta epico nazionale prima di Virgilio, di cantare in versi i fasti di Roma non doveva rimanere senza imitatori, per cui pullularono in questa età vari poemi storici, ma nessuno consegui fama duratura presso gli antichi. Lo stesso dicasi dei poemi mitologici composti sull’esempio dei greci.

Lucrezio

Lucrezio in ritratto di fantasia del XIX secolo, colle Pincio, RomaDurante il periodo che stiamo trattando, la letteratura romana venne resa più illustre da due dei suoi poeti più originali e da due dei suoi migliori storici. Tito Lucrezio Caro, nato a Roma nel 95 a.C. circa e morto suicida nel 53. Pur essendo inferiore a Virgilio in grazia e finezza, lo superò di gran lunga in originalità e carattere sublime. Si crede che abbia seguito le lezioni di Zenone in Grecia, ma divenne poi l’apostolo del materialismo epicureo. Tra i suoi amici c’erano Memmio, Varrone e Cicerone. Nel suo poema dal respiro potente, De Rerum Natura, a volte davvero sublime, con grande forza artistica, rappresenta i fenomeni fisici, politici e morali della vita, nel nobile intento di liberare gli animi dal giogo intollerabile della superstizione.

Se avesse scelto un tema più popolare, si può credere che si sarebbe facilmente classificato come il più grande dei poeti romani; ma egli preferì invece esporre il sistema filosofico epicureo, così che gran parte del suo poema, un’opera in realtà di grande ampiezza di pensiero, può sembrare a prima vista al grande pubblico quasi solo un insieme di discussioni curiose e astruse, dalle quali il carattere poetico sia del tutto assente. Numerose idee che egli espone, si avvicinano molto alla moderna teoria dell’evoluzione. Anche le parti più propriamente filosofiche sono spesso ricche di bellezza e le sue introduzioni e digressioni segnano il punto più alto raggiunto dalla poesia romana.

Catullo

Busto di Catullo, SirminoneQuinto Valerio Catullo, nato a Verona intorno all’anno 87 aC., morto dopo il 47, si distinse per grazia e fantasia poetica come Lucrezio per sublimità.

Alcuni suoi componimenti sono imitazioni degli alessandrini come Le Nozze di Teti e Peleo o La Chioma di Berenice, eleganti ed eruditi; altri sono pezzi d’improvvisazione, elegiaci o satirici, dove il poeta mostra una grazia piena di sentimento e un vivo accento di sincerità nella sua passione per la celebre Lesbia.

Le sue opere, molte delle quali di squisita bellezza, sono molto brevi. Tra queste ci sono anche dei mordaci epigrammi e in alcuni di essi egli attacca Cesare con grande veemenza e scurrilità.

Gli storici

Cornelio Nepote che ci ha lasciato le biografie dei più famosi condottieri; scrittore latino nato nella Gallia Cisalpina intorno al 99 a.C., scrisse il suo De Viribus Illustribus con un intento prevalentemente morale.

Sallustio

Gaio Sallustio CrispoGaio Sallustio Crispo si colloca, per il vigore e la vivezza della narrazione, così come per la potente descrizione dei moventi delle azioni umane, tra i più grandi storici latini. Egli era, come la maggior parte degli altri scrittori e suoi colleghi dell’antichità, completamente privo di obiettività critica e il suo interesse è scarsamente orientato alla cronaca delle campagne militari o alla descrizione delle località. Egli preferisce fornirci piuttosto un affresco della politica di Roma dal valore inestimabile. A lui dobbiamo la nostra conoscenza più completa della guerra con Giugurta e della cospirazione di Catilina. Scrisse anche le Storie, la sua opera principale, che sarebbe stata preziosissima come narrazione degli eventi del suo tempo, ma che è quasi completamente perduta, tranne che per alcuni frammenti.

La retorica

Gli oratori

Tra gli oratori quelli che lasciarono un’influenza più profonda ci furono : i due Gracchi, Fannio e M. Scauro, loro avversari politici; M. Antonio e Licinio Crasso, uno più colto ed elegante, l’altro più vivo ed appassionato; Q. Ortensio che tenne il primato nel Foro romano fino a che non fu superato da M. Tullio Cicerone.

I retori

Il settimo secolo, ricordato come l’epoca in cui fiorì ogni genere di cultura, ha importanza anche per gli studi di grammatica e di critica letteraria.

Cicerone parla in Senato

Retori celebrati furono Plozio Gallo, Valerio Catone, Ateio Pretestato, M. Terenzio Varrone, l’autore più prolifico dell’antichità, scrittore di poemetti, di satire, di storia, di eloquenza, di geografìa, di grammatica, ecc.

(Tratto da a High school Ancient History, Greece and Rome di Philip Van Ness Myers, 1901 e da Storia romana dalla fondazione di Roma alla caduta dell’impero romano d’occidente – 754 a.c.-475 d.c. – di Giovanni Bragagnolo e Antonio Cavagna Sangiuliani, 1896)

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ll Primo Triumvirato fu un’alleanza politica informale stabilita nel 60 a.C., nella Repubblica Romana, tra Giulio Cesare, Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso, che sarebbe durata fino al 53 a.C. A Roma, l’inizio degli anni ’50 prima di Cristo, fu segnato dall’alleanza di questi tre uomini: Giulio Cesare – console appena eletto; Pompeo – estremamente popolare tra i cittadini per le sue conquiste militari, ma disprezzato dalla classe senatoria per la mancanza di sangue blu nella sua famiglia; Crasso – considerato l’uomo più ricco di Roma, ma privo di influenza politica. Poiché Cesare non aveva alleati politici, Pompeo non riusciva a ottenere terreni agricoli per i veterani delle sue legioni e Crasso non veniva preso sul serio nella sua idea di conquistare l’Impero dei Parti, i tre si allearono per unire le loro forze. 

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