La dea erede di Gea
Demetra (da Ge-meter , madre terra) era figlia di Crono e Rea. Ella rappresentò quella parte di Gea (l’intera, solida terra ) che chiamiamo crosta terrestre e che produce tutta la vegetazione. Come dea dell’agricoltura, dei frutti dei campi, dell’abbondanza e della produttività, era la sostenitrice della vita materiale, ed era quindi una divinità di grande importanza. Quando l’antica Gea perse, con Urano, la sua posizione di divinità dominante, abdicò al suo potere in favore di sua figlia Rea, che d’ora in poi ereditò i poteri che sua madre aveva precedentemente posseduto, ricevendo al suo posto l’onore e il culto dell’umanità. In un poema molto antico Gea è di conseguenza descritta come ritirata in una caverna nelle viscere della terra, dove siede in grembo a sua figlia, dormendo, gemendo e annuendo per sempre.
È necessario tenere ben presente la differenza distintiva tra le tre grandi divinità della terra Gea, Rea e Demetra. Gea rappresenta la terra nel suo insieme, con le sue potenti forze sotterranee; Rea è quella forza produttiva che fa germogliare la vegetazione, sostenendo così uomini e animali; Demetra, presiedendo l’agricoltura, dirige e utilizza le forze produttive di Rea. Ma in tempi successivi, quando Rea, come altre divinità antiche, perde la sua importanza come divinità dominante, Demetra assume tutte le sue funzioni e attributi, e quindi diventa la dea della crosta terrestre che produce e mantiene la vita.
Dobbiamo tener presente il fatto che l’uomo nel suo stato primitivo non sapeva né seminare né dissodare; quando, quindi, aveva esaurito i pascoli che lo circondavano, fu costretto a cercarne altri non ancora mietuti; quindi, vagando costantemente da un luogo all’altro, le abitazioni stabili e di conseguenza le influenze civilizzatrici erano impossibili. Demetra, tuttavia, introducendo una conoscenza dell’agricoltura, pose fine, una volta e per sempre, a quella vita nomade che ora non era più necessaria.
La Sicilia prediletta
Si credeva che il favore di Demetra portasse all’umanità ricchi raccolti e raccolti fruttuosi, mentre il suo dispiacere causava la peronospora, la siccità e la carestia. Si supponeva che l’isola di Sicilia fosse sotto la sua speciale protezione, e ivi era guardata con particolare venerazione, poiché i Siciliani naturalmente attribuivano la meravigliosa fertilità del loro paese al favore della dea.
L’aspetto della dea
Demetra è solitamente rappresentata come una donna dal portamento nobile e dall’aspetto maestoso; alta, matronale e dignitosa, con bei capelli dorati, che cadono in riccioli increspati sulle sue spalle imponenti, i riccioli biondi sono emblematici delle spighe mature. A volte appare seduta su un carro trainato da draghi alati, altre volte sta eretta, la sua figura tesa per tutta la sua altezza, e sempre completamente drappeggiata; porta un covone di spighe in una mano e una torcia accesa nell’altra. Le spighe di grano non di rado sono sostituite da un mazzo di papaveri, con cui anche le sue sopracciglia sono inghirlandate, sebbene a volte porti semplicemente un semplice nastro tra i capelli.
Persefone
Demetra, secondo alcuni miti moglie e sorella di Zeus, divenne madre di Persefone (Proserpina), alla quale era così teneramente affezionata che tutta la sua vita era legata a lei, e non conosceva felicità se non quando stava con sua figlia. Un giorno, però, mentre Persefone raccoglieva fiori in un prato, assistita dalle ninfe oceaniche, vide con sua sorpresa un bellissimo narciso, dal cui stelo spuntarono cento boccioli. Avvicinandosi per ammirare questo bel fiore, il cui squisito profumo profumava l’aria, si chinò a raccoglierlo, senza sospettare alcun male, quando un abisso enorme si aprì ai suoi piedi e Ade, il cupo sovrano del mondo degli inferi, apparve dalle sue profondità, seduto sul suo abbagliante carro trainato da quattro cavalli neri. Nonostante le lacrime della giovane e le urla delle sue compagne, Ade afferrò la fanciulla terrorizzata, e la portò via nei cupi regni sui quali regnava con malinconica grandezza.
La ricerca della figlia perduta
Helios, il dio sole onniveggente, ed Ecate, una divinità misteriosa e molto antica, furono i soli ad udire le grida di aiuto di Persefone, ma non riuscirono ad aiutarla. Quando Demetra si rese conto della sua perdita, il suo dolore fu intenso e rifiutò di essere confortata. Non sapeva dove cercare sua figlia, ma rendendosi conto che doveva pur fare qualcosa, iniziò la sua stanca ricerca, portando con sé due torce che accese tra le fiamme dell’Etna, per guidarla nel suo cammino. Per nove lunghi giorni e notti vagò, chiedendo a tutti quelli che incontrava notizie di sua figlia.
Ma fu tutto vano! Né gli dei né gli uomini potevano darle il conforto che la sua anima tanto bramava. Alla fine, il decimo giorno, la madre sconsolata incontrò Ecate, la quale la informò di aver sentito le grida della figlia, ma non sapeva chi fosse colui che l’aveva portata via. Su consiglio della stessa Ecate, Demetra consultò Helios, al cui occhio onniveggente non sfuggeva nulla, e da lui apprese che era stato lo stesso Zeus ad aver permesso ad Ade di impadronirsi di Persefone e di trasportarla nel mondo inferiore affinché potesse diventare sua moglie. Indignata con Zeus per aver dato la sua approvazione al rapimento della figlia, e colma del più amaro dolore, abbandonò la sua casa nell’Olimpo e rifiutò ogni cibo celeste.
Raminga sulla terra
Travestendosi da vecchia, discese sulla terra e iniziò uno stanco pellegrinaggio tra gli uomini. Una sera giunse in un luogo chiamato Eleusi, in Attica, e si sedette per riposarsi presso un pozzo all’ombra di un ulivo. Le giovani figlie di Celeo, re del paese, vennero con i loro secchi di rame ad attingere acqua da questo pozzo, e vedendo che quella stanca viandante appariva debole e avvilita, le rivolsero parole gentili e di conforto, chiedendole chi fosse e da dove venisse. Demetra rispose che era scappata dai pirati, che l’avevano catturata, e aggiunse che si sarebbe sentita grata per l’ospitalità in una casa con una famiglia degna, che sarebbe stata disposta a servire presso di loro in un ruolo umile. Le principesse, udito ciò, pregarono Demetra di avere pazienza e di attenderle, mentre loro tornavano a casa e si consultavano con la madre, Metanira.
Presto le ragazze portarono alla vecchia la gioiosa notizia che la regina desiderava assicurarsi i suoi servizi come nutrice per figlio neonato Demofonte o Trittolemo. Quando Demetra giunse alla casa, una luce radiosa la illuminò all’improvviso, circostanza che sbalordì Metanira a tal punto che trattò la sconosciuto sconosciuta con il massimo rispetto e le offrì ospitalmente cibo e bevande. Ma Demetra, ancora afflitta e abbattuta dal dolore, rifiutò le sue amichevoli offerte e si tenne in disparte.
Una strana bambinaia
Alla fine, però, la serva Iambe riuscì, con i suoi scherzi giocosi e la sua allegria, ad alleviare in qualche modo il dolore della madre addolorata, facendola sorridere a volte suo malgrado e persino inducendola a prendere una miscela di farina d’orzo, menta e acqua, che era stata preparata secondo alle indicazioni della dea stessa. Il tempo passò e il fanciullo prosperò meravigliosamente sotto le cure della sua gentile e giudiziosa nutrice, la quale, tuttavia, non gli dava da mangiare, ma lo ungeva ogni giorno con ambrosia, e ogni notte lo deponeva di nascosto nel fuoco per renderlo immortale ed esente dalla vecchiaia. Ma, sfortunatamente, questo disegno benevolo da parte di Demetra fu vanificato dalla stessa Metaneira, la cui curiosità, una notte, la spinse a spiare quella misteriosa donna che si occupava del suo bambino.
Giù la maschera!
Quando con orrore vide suo figlio gettato tra le fiamme, la regina gridò ad alta voce. Demetra, irritata per questa improvvisa interruzione, ritirò immediatamente il bambino e, gettandolo a terra, rivelò la sua identità. L’aspetto di vecchia ricurva era svanito, e al suo posto c’era ora donna bella e luminosa, le cui ciocche dorate le ricadevano sulle spalle nel più ricco rigoglio: la sua intera figura rivelava dignità e maestà. Ella allora rivelò alla sbalordita Metanira di essere la dea Demetra, e che aveva intenzione di rendere immortale suo figlio; ma che la fatale curiosità della regina aveva reso ciò impossibile, aggiungendo, tuttavia, che il bambino, dopo aver dormito tra le sue braccia, ed essere stato allattato nel suo grembo, avrebbe sempre acquisito il rispetto e la stima dell’umanità. Chiese quindi che le fosse eretto un tempio e un altare su un colle vicino dal popolo di Eleusi, promettendo che lei stessa avrebbe istruito loro su come eseguire i sacri riti e le cerimonie, che dovevano essere osservati in suo onore. Con queste parole poi partì per non tornare mai più.
La grande carestia
Obbedendo ai suoi comandi, Celeo convocò una riunione del suo popolo e costruì il tempio nel luogo indicato dalla dea. La costruzione fu presto completata e Demetra vi prese dimora, ma il suo cuore era ancora triste per la perdita di sua figlia e il mondo intero sentì l’influenza di questo suo dolore e sconforto. Fu davvero un’annata terribile per l’umanità. Demetra non sorrideva più alla terra che soleva benedire, e sebbene il contadino seminasse il grano e i buoi arassero i campi, nessun raccolto ricompensava il loro lavoro. Tutto era arido, desolato. Il mondo era minacciato di carestia, e gli dèi non ricevevano i loro consueti onori e sacrifici; divenne quindi evidente allo stesso Zeus che bisognava adottare alcune misure per placare l’ira della dea. Di conseguenza inviò Iris e molti altri dei e dee per implorare Demetra di tornare sull’Olimpo; ma tutte le loro preghiere furono vane. La dea incensata giurò che fino a quando sua figlia non le fosse stata restituita, non avrebbe permesso al grano di germogliare dalla terra. Alla fine Zeus mandò negli inferi Ermes, suo fedele messaggero, con una richiesta per Ade, con cui lo supplicava con urgenza di restituire Persefone alla madre sconsolata.
Ermes negli inferi
Quando arrivò nei cupi regni dell’Ade, Hermes lo trovò seduto su un trono con la bella Persefone accanto a lui, piangendo tristemente il suo infelice destino. Dopo aver appreso la sua missione, Ade acconsentì a separarsi da Persefone, che si preparò invece con gioia a seguire il messaggero degli dei nella dimora della vita e della luce. Prima di congedarsi dal marito, egli le offrì però alcuni semi di melograno, che nella sua eccitazione ella ingoiò sconsideratamente, e questo semplice atto, come mostrerà il seguito, influenzò materialmente tutta la sua vita futura. L’incontro tra madre e figlia fu pieno di pura estasi e per il momento tutto il passato era stato dimenticato. La felicità della madre amorevole ora sarebbe stata completa se Ade non avesse affermato i suoi diritti.
Il compromesso storico, o meglio, mitologico
E questi stabilivano, che se qualche mortale avesse assaggiato il cibo di Ade nei suoi regni, egli sarebbe rimasto lì per sempre. Naturalmente il sovrano del mondo inferiore doveva provare questa affermazione. Tuttavia, non trovò difficoltà a farlo, poiché Ascalafo, figlio di Acheronte e di Orfne, ne fu testimone. Zeus, compiangendo la delusione di Demetra nel trovare le proprie speranze così vanificate, riuscì a raggiungere un compromesso inducendo suo fratello Ade a permettere a Persefone di trascorrere sei mesi all’anno con gli dei di sopra, mentre durante gli altri sei sarebbe stata la compagna senza gioia del suo cupo signore sotto la terra.
Torna la primavera
Accompagnata dalla figlia, la bella Persefone, Demetra riprese ora la sua dimora da tempo abbandonata nell’Olimpo; la terra comprensiva rispondeva allegramente ai suoi sorrisi luminosi, il grano subito spuntava dal suolo in piena abbondanza, gli alberi, che fino ad allora erano rimasti addormentati e spogli, ora indossavano le loro vesti color smeraldo più luminose, e i fiori, così a lungo imprigionati nella dura terra arida, riempivano ora tutta l’aria del loro fragrante profumo. Si conclude così questa affascinante storia, che fu uno dei temi preferiti da tutti gli autori classici.
È molto probabile che i poeti che per primi crearono questo grazioso mito lo intendessero semplicemente come un’allegoria per illustrare il cambio delle stagioni; nel corso del tempo; tuttavia, a queste e simili fantasie poetiche si attribuì un significato letterale, e così il popolo greco arrivò a considerare come un articolo di fede religiosa ciò che, in primo luogo, non era altro che una similitudine poetica.
I misteri di Eleusi
Nel tempio eretto a Demetra ad Eleusi, furono istituiti dalla stessa dea i famosi Misteri Eleusini. È estremamente difficile, come nel caso di tutte le società segrete, scoprire qualcosa con certezza riguardo a questi sacri riti. La supposizione più plausibile è che le dottrine insegnate dai sacerdoti ai pochi favoriti da loro iniziati fossero verità religiose ritenute inadatte alla mente non istruita della moltitudine. Per esempio, si suppone che il mito di Demetra e Persefone venisse spiegato dai maestri dei Misteri per significare la perdita temporanea che madre terra subisce ogni anno quando il gelido respiro dell’inverno la priva dei suoi fiori, dei frutti e del grano.
Si ritiene che in tempi successivi un significato ancora più profondo sia stato trasmesso da questo bellissimo mito, vale a dire, la dottrina dell’immortalità dell’anima. Il grano, che, per così dire, rimane morto solo per un certo periodo di tempo nella terra oscura, per risorgere un giorno vestito con un abito più nuovo e più bello. Tutto ciò doveva simboleggiare l’anima, che, dopo la morte, si libera dalla corruzione, per vivere di nuovo sotto una forma superiore e più pura.
Quando Demetra istituì i Misteri Eleusini, Celeo e la sua famiglia furono i primi ad essere iniziati, poiché Celeo stesso era stato nominato sommo sacerdote. Suo figlio Trittolemo e le sue figlie, che agivano come sacerdotesse, lo assistevano nei doveri del suo sacro ufficio. I Misteri furono celebrati dagli Ateniesi ogni cinque anni, e furono, per lungo tempo, loro esclusivo privilegio. Si svolgevano alla luce delle fiaccole che venivano condotte con la massima solennità.
Per diffondere le benedizioni che l’agricoltura conferisce, Demetra presentò a Trittolemo il suo carro trainato da draghi alati, e, dandogli dei chicchi di grano, lo invitò a viaggiare per il mondo, insegnando agli uomini le arti dell’agricoltura e dell’agricoltura.
Stellio ed Erisittone
Demetra trattò con grande severità coloro che incorrevano nella sua disapprovazione. Ne troviamo esempi nei racconti di Stellio ed Erisittone. Stellio era un giovane che derise la dea ridicolizzandola quando la vide mentre stava mangiando una ciotola di una sorta di zuppa di cereali, una sorta di porridge insomma, con grande voracità, quando era stanca ed esausta per via della vana ricerca della figlia. Demetra, decisa a punirlo in modo che non avesse più l’occasione di offendere nessun altro in quel modo, gettò con rabbia in faccia a Stellio il resto del cibo e lo trasformò in una lucertola maculata.
Eresittone, figlio di Triopa, aveva invece attirato su di sé l’ira di Demetra, per aver abbattuto i suoi boschi sacri: ella quindi lo punì condannandolo all fame perpetua e insaziabile. Eresittone dovette vendere dunque tutti i suoi averi per soddisfare i suoi appetiti, e alla fine fu costretto perfino a divorare le sue stesse membra. Sua figlia Metra, che gli era devotamente affezionata, possedeva il potere di trasformarsi in una varietà di animali diversi. In questo modo riuscì a mantenere il padre, che la vendette più e più volte ogni volta che assumeva una forma diversa, e così condusse un’esistenza pietosa.
Cerere
La Cerere romana è in realtà la Demetra greca sotto un altro nome, i suoi attributi, il culto, le feste, ecc., sono esattamente identici. I romani erano debitori alla Sicilia di questa divinità, il cui culto era stato introdotto dai coloni greci che vi si stabilirono. I Cerealia, o feste in onore di Cerere, cominciavano il 12 aprile, e duravano parecchi giorni.
(Libera traduzione e adattamento, da Myths and Legend of Ancient Greece and Rome di E. M. Berens, 1880)