- Poseidone prova a fare come gli pare
- Hera dice a Zeus “Amore, perché non schiacci un pisolino?"
- Quando un uomo con la lancia incontra un uomo con un grande masso, quello con la lancia...
- Zeus si sveglia: “Che mi sono perso?"
- Apollo ed Iris a rapporto
- Poseidone minaccia l'ammutinamento
- Iris gli dà un buon consiglio “meglio che non lo fai arrabbiare"
- Il recupero di Ettore
- Lotta disperata
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Ettore riuscì a mandare Dolone, un buon corridore a spiare il campo Acheo. Sulla strada per l'accampamento di Troia, Diomede e Ulisse scoprirono che Dolone si avvicinava e Diomede gettò la sua lancia contro di lui gli ordinando di fermarsi. Dolone fornì loro diverse informazioni preziose. Dopo ulteriori interrogatori, Diomede e Ulisse appresero che tra i vari alleati, i Traci erano i più vulnerabili perché erano arrivati per ultimi e dormivano separati dagli altri all'estremità del campo. Avendo rivelato informazioni di valore, Dolone si aspettava di essere condotto prigioniero sulle navi. Invece Diomede gli tagliò la testa con la sua spada, senza dargli il tempo di supplicare per la sua vita.
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Poseidone prova a fare come gli pare
Il dio dell’oceano, tuttavia, decise di fare un tentativo. Dall’altura boscosa di Samotracia aveva assistito al combattimento e aveva visto che l’esercito e la flotta achei erano minacciati di distruzione. Velocemente dunque, disceso al mare, si tuffò nella sua dimora d’oro sotto le onde, e là indossò la sua armatura e montò sul suo carro.
Giunto alla flotta, Poseidone assunse la forma e la voce dell’indovino Calcante e, recandosi tra i capi greci, li esortò alla battaglia. Con il suo scettro toccò i due Aiaci, dando così più che forza mortale alle loro membra, e riempiendo i loro petti di valore. Così incoraggiati gli eroi greci si rivoltarono ferocemente contro i Troiani, e ancora una volta grandi imprese di guerra furono compiute dai capi di entrambe le parti. Ettore, Paride, Eleno, Deifobo ed Enea combatterono davanti alle linee di Troia, mentre Menelao, Idomeneo, Teucro, i due Aiace e Antilóco, figlio di Nestore, guidarono coraggiosamente il conflitto alla testa dei Greci.
Hera dice a Zeus “Amore, perché non schiacci un pisolino?”
Hera si rallegrò enormemente nel vedere il monarca dell’oceano aiutare i Greci, ma temeva molto che Zeus lo notasse e gli ordinasse di uscire dal campo. “Lo farà sicuramente” pensó “se dovesse volgere di nuovo gli occhi sulla battaglia.” Hera dunque si recò nell’isola di Lesbo, dove risiedeva Somo, il dio del sonno, e pregò quella divinità di affrettarsi sul monte Ida e di far cadere in un profondo letargo il suo sposo reale. Somno acconsentì e, fatto come Hera desiderava, si affrettò a scendere dalla flotta greca con un messaggio per Poseidone.
Sentendo queste parole, Poseidone si precipitò al fronte delle linee greche e di nuovo esortò i capi a opporsi coraggiosamente al nemico. Poi, stringendo in mano una spada “di spaventosa lunghezza e con la lama scintillante come un fulmine”, li condusse alla battaglia.
Quando un uomo con la lancia incontra un uomo con un grande masso, quello con la lancia…
E ora i guerrieri di entrambe le parti erano di nuovo in conflitto mortale. Ettore scagliò una lancia contro Aiace, ma l’arma colpì dove due cinture si incrociarono sul petto dell’eroe, sovrapposte l’una all’altra, e lui ne uscì illeso. Allora il figlio di Telamone colpì il capo troiano. La sua arma era una pietra pesante, una delle tante che giacciono intorno, usata come puntello per le navi. Il missile, scagliato con forza gigantesca e una mira precisa, colpì il troiano sul petto e lo abbatté come un albero colpito da un fulmine.
Con grida di trionfo i Greci si precipitarono avanti, sperando di uccidere il guerriero caduto e spogliarlo della sua armatura. Ma i suoi compagni, Enea e Agenore, Sarpedonte e molti altri, gli si accalcarono intorno e lo proteggevano con i loro scudi. Fu quindi portato sulla riva dello Xanto e immerso nelle sue acque, cosa che lo ravvivò un po’.
Quando i Greci videro Ettore portato via come fosse morto, combatterono con accresciuto valore e presto respinsero i Troiani attraverso la trincea, uccidendo molti dei loro capi.
Zeus si sveglia: “Che mi sono perso?”
Intanto Zeus, svegliatosi dal suo torpore, e guardando il campo di battaglia, vide gli uomini di Troia fuggiti, e Poseidone alla testa dei Greci inseguitori. Rivolgendosi rabbiosamente a Hera, che era al suo fianco, la rimproverò con parole aspre e severe, poiché ora vedeva lo scherzo che gli era stato giocato. Le ricordò come l’aveva già punita in una precedente occasione per il maltrattamento di suo figlio Eracle.
Hera ribatté che non era su sua richiesta che Poseidone era andato in aiuto dei Greci. L’aveva fatto senza consultarla. Ella infatti, disse, avrebbe preferito consigliare a Poseidone di obbedire al comando del re dei cieli e di sottomettersi alla sua volontà.
L’ira del padre degli dèi si placò dalle dolci parole di Hera. Quindi le disse di affrettarsi sull’Olimpo e di inviare la messaggera Iris per ordinare a Poseidone di lasciare la battaglia. Le ordinò anche di dirigere Apollo a ripristinare le forze di Ettore e di prepararlo al combattimento. Ma spiegò a Hera che per ora desiderava che i Troiani fossero vittoriosi. Aveva infatti promesso a Teti che i Greci sarebbero stati puniti per il torto che Agamennone aveva fatto a suo figlio. Eppure sarebbe giunto il tempo, disse, in cui il grande Ettore sarebbe stato ucciso per mano di Achille, e in cui con l’aiuto di Atena sarebbero state abbattute le alte torri di Troia. Hera fu quindi lieta di obbedire al comando della sua sposa reale.
Apollo ed Iris a rapporto
La dea informò dunque Iris e Apollo della volontà del padre Zeus. Immediatamente i due dèi si affrettarono sul monte Ida per ricevere i loro ordini da Zeus stesso che furono loro impartiti rapidamente. Allora con la velocità dei venti il messaggero del cielo e il dio dall’arco d’argento sfrecciarono giù dalla cima di Ida alla pianura di Troia.
Poseidone minaccia l’ammutinamento
Poseidone, udito il comando di Zeus, dapprima non volle obbedire. Zeus, disse, non aveva autorità su di lui.
“Siamo tre fratelli,
I figli di Saturno, Giove ed io,
E Plutone, reggente del regno sotterraneo.
Tre parti furono divise di tutte le cose esistenti,
E ognuno di noi ricevette la sua eredità.
Le sorti furono tratte; e a me è toccato
Dimorare per sempre nell’oscuro abisso,
E Plutone prese il cupo regno della notte,
E infine Giove l’ampio cielo
E l’aria e le nuvole.
Eppure la terra resta,
Con l’Olimpo alto, comune a tutti noi.
Perciò io non mi cedo a fare la sua volontà,
Grande com’è; e che se ne stia contento
Con la sua terza parte”.Omero, Iliade , Libro XV.
Iris gli dà un buon consiglio “meglio che non lo fai arrabbiare”
Ma Iris consigliò a Poseidone di obbedire, ricordandogli che Zeus stesso aveva il potere di punire coloro che lo offendevano. Alla fine Poseidone si arrese e, lasciato l’esercito greco, si diresse al mare e si tuffò sotto le onde fino al suo palazzo nelle profondità dell’oceano.
Il recupero di Ettore
Intanto Apollo si affrettò al fianco del principe troiano, che era ancora debole per il colpo di Aiace. Il dio ripristinò rapidamente la forza dell’eroe e gli infuse nuovo coraggio nel petto. Quindi ordinò a Ettore di affrettarsi in avanti e guidare i suoi guerrieri contro il nemico. In un istante il principe troiano si alzò in piedi, dirigendosi al fronte. Quando i capi greci lo videro, rimasero sbalorditi oltre che terrorizzati, poiché credevano che fosse caduto nello scontro e ora invece pensavano che fosse stato salvato dalla morte da qualche dio. Decisero, tuttavia, di combattere coraggiosamente, e così rimasero saldamente uniti. Ettore intanto avanzava, Apollo lo precedeva mostrando lo scudo di Zeus, la terribile egida, che il padre degli dèi stesso gli aveva dato per scuoterlo davanti ai Greci e riempire i loro cuori di paura.
Lotta disperata
Contro un attacco così condotto, il coraggio dei Greci fu di scarso vantaggio. Numerosi dei loro guerrieri furono uccisi, e il resto fuggì di nuovo al loro accampamento, inseguito da Ettore e dai suoi eserciti trionfanti. Questa volta i Troiani non furono ostacolati né dalla trincea né dalle mura, perché Apollo con i suoi piedi possenti calpestò gli argini di terra e rovesciò la grande muraglia con la stessa facilità con cui un bambino che gioca sulla spiaggia, rovescia un minuscolo cumulo di sabbia.
Poi ebbe luogo una feroce lotta: i Greci combatterono con furia disperata per difendere le loro navi, alle quali i Troiani, con le torce accese in mano, tentarono di appiccare il fuoco. In una delle galee ci fu un terribile conflitto. Ettore, afferrata la nave per la poppa, chiamò i suoi uomini a portare i loro marchi fiammeggianti, mentre il potente Aiace stava sul banco dei rematori, pronto con la sua lunga lancia a respingere gli assalitori.
Ma alla fine il valoroso figlio di Telamone fu costretto a cedere, poiché Ettore aveva tagliato in due l’asta della sua lancia con un colpo della sua enorme spada. Allora i Troiani lanciarono in avanti le loro torce ardenti, e la nave fu presto avvolta dalle fiamme. I Greci erano ora in grande pericolo. Nessuna speranza sembrava loro rimasta di poter salvare la loro flotta dalla distruzione. Ma l’aiuto sarebbe presto arrivato e da parte inaspettata.
Patroclo, amico e compagno di Achille, aveva assistito al terribile conflitto alle navi. Appena vide la nave in fiamme, corse alla tenda del capo mirmidonio, e con le lacrime agli occhi lo implorò di avere pietà dei suoi concittadini che stavano per morire.
(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)