CONTINUA >> : 21b - I GRECI CI RIPROVANO
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All’alba i capi achei decisero di ritentare le sorti della guerra. Furono incoraggiati dall’impresa di Odisseo e Diomede, e Zeus ne approfittò per mandare giù Eris, la dea della discordia, così da incitarli ancora di più all’ardore della battaglia. La dea si fermò proprio sulla nave di Odisseo, che era al centro della flotta, e gridò così forte che fu udita in tutto l’accampamento greco.
Quindi iniziò la più grande battaglia dell’assedio. Agamennone guidò i guerrieri greci durante la prima parte della giornata. Era vestito con un’armatura brillante, la sua corazza era d’oro, bronzo e stagno.
La sua spada, scintillante di borchie d’oro, gli pendeva dalla spalla in un fodero d’argento, e nelle sue mani portava due grandi lance, con la punta di ottone e affilate. Mentre andava incontro al nemico, Hera e Atena fecero risuonare tutt’intorno un rombo come quello di un tuono nel cielo, “onorando il re di Micene, ricco d’oro”. Così entrò in campo il capo argivo, alla testa dei suoi guerrieri.
I Troiani erano già sul campo; il loro grande condottiero, Ettore, vestito di splendente armatura di bronzo, impartiva i suoi comandi, ora alle prime linee, ora alla retroguardia. Come lupi che si precipitano a combattere, i due eserciti balzarono l’uno contro l’altro, e presto la battaglia infuriò furiosamente, gli eroi di entrambe le parti combatterono con uguale valore.
Ma verso mezzogiorno i Greci prevalsero sui Troiani, e li respinsero fino alle porte della loro città. Agamennone uccise con la sua spada due dei figli del re Priamo, Iso e Antifo, e con la sua lancia colpì molti degli eroi troiani.
Ettore non aveva ancora preso parte alla battaglia; Zeus dopo avergli inviato l’ordine, mediante la messaggera Iris, di non iniziare a combattere fino a quando Agamennone non si fosse ritirato dal campo ferito. Il che accadde presto. Il re fu ferito al braccio dal capo troiano Coone, il cui fratello Ifidamas, era stato ucciso proprio da Agamennone. Questi due capi erano figli del venerabile Antenore. Ma Agamennone, prima di ritirarsi, si precipitò su Coone e trucidò anche lui. Quindi, saltato sul suo carro, ordinò al suo auriga di condurlo rapidamente alle sue navi, perché soffriva molto per il dolore della sua ferita.
Ettore, vedendo la fuga del condottiero greco, chiamò ad alta voce i Troiani perché avanzassero contro i loro nemici, dando loro nel contempo l’esempio.
La fortuna della battaglia ora si volse a favore degli uomini di Troia. Nove principi guerrieri greci furono colpiti, uno dopo l’altro, dalla spada di Ettore. Il valoroso Diomede, ferito da una freccia dell’arco di Paride, fu costretto a ritirarsi nella sua tenda. Una lancia scagliata dal capo troiano Soco trafisse il busto di Odisseo e lo ferì al fianco. Ma il troiano non sopravvisse a lungo a questa impresa, poiché mentre si voltava per fuggire, sempre Odisseo, gli trapassò il corpo con un giavellotto, facendolo cadere a terra senza vita. Una grave disgrazia era per poco non capitò ai Greci, ancora per mano di Paride, il quale scoccò una tripla freccia a punta contro l’eroe e medico Macaone, ferendolo alla spalla. Poiché la vita del grande figlio di Esculapio valeva molti uomini, Idomeneo gridò a Nestore di venire e portarlo via sul suo carro.
Poiché molti dei loro capi ormai erano stati feriti o uccisi, i greci furono cacciati dal campo e costretti a rifugiarsi dietro le loro fortificazioni. Presso la trincea ebbe luogo un terribile conflitto. I guerrieri troiani si sforzavano di superarla con i loro carri, mentre i greci combattevano con furia disperata per costringere gli invasori a tornare indietro. Molti eroi di entrambe le parti di nuovo furono colpiti e molti uccisi.
Alla fine Ettore prese una grossa pietra e la scagliò con tremenda forza contro una delle porte. Strappò i robusti cardini e frantumò le massicce travi, tanto fu potente il colpo. Poi, attraverso l’ampia apertura, il condottiero troiano balzò nell’accampamento dei Greci, brandendo due lance nelle sue mani e invitando i suoi uomini a seguirlo. Questi prontamente obbedirono. Alcuni si precipitarono per la porta, altri oltre le mura, mentre i Greci atterriti fuggirono in disordine e sgomento verso le loro navi.
Finora nessuno degli dei aveva preso parte alla battaglia. Ma ora Poseidone decise di venire in soccorso dei Greci, avendo osservato che Zeus, sebbene ancora seduto nel suo sacro recinto sul monte Ida, non stava più osservando il conflitto.
(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)
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Patroclo non riesce più a restare a guardare e implora Achille di poter difendere le navi. Achille cede e presta a Patroclo la sua armatura, ma lo manda via con il severo monito di non inseguire i Troiani, per non prendere la gloria di Achille. Patroclo guida i Mirmidoni in battaglia e arriva quando i Troiani danno fuoco alle prime navi. I Troiani vengono sconfitti dall'assalto improvviso e Patroclo inizia il suo attacco uccidendo il figlio di Zeus, Sarpedonte, uno dei principali alleati dei Troiani. Patroclo, ignorando il comando di Achille, continua ad avanzare e raggiunge le porte di Troia, dove lo stesso Apollo lo ferma. Viene aggredito da Apollo ed Euforbo e infine ucciso da Ettore.