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DIECI GRANDI MASSIME GRECHE

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I sette saggi della Grecia
I sette saggi della Grecia

Dieci massime per vivere da veri greci antichi

La saggezza della Grecia antica ha attraversato i secoli, giungendo fino a noi sotto forma di massime e aforismi. In questo articolo, viaggeremo indietro nel tempo per esplorare dieci di queste perle di saggezza, traendo insegnamenti preziosi per la nostra vita quotidiana.

Dalla celebre “Conosci te stesso” all’enigmatica “Il nulla di troppo”, queste massime ci offrono spunti di riflessione su diversi aspetti della vita, dalla conoscenza di sé all’etica, dalla politica alla felicità.

Preparatevi a immergervi nella cultura e nella filosofia greca, scoprendo come queste dieci massime possono arricchire la vostra vita e ispirarvi a vivere con saggezza e consapevolezza.

“Gnôthi seauton”, “Conosci te stesso”: Socrate e il viaggio introspettivo alla scoperta di sé

Busto di Socrate di Victor Wager, University of Western Australia
Busto di Socrate di Victor Wager, University of Western Australia

Γνῶθι σεαυτόν (Gnôthi seauton), conosci te stesso: una frase semplice, incisa sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, che racchiude in sé un’esortazione all’introspezione e alla scoperta di sé. Attribuita a Talete, uno dei Sette Saggi della Grecia, questa massima assume un significato profondo nella filosofia di Socrate, che la fa propria e la eleva a principio cardine del suo pensiero.

L’importanza del “conosci te stesso” nella vita e nel pensiero di Socrate

Nell’Apologia di Socrate, scritta da Platone, il filosofo afferma: “La vita non esaminata non vale la pena di essere vissuta“. Per Socrate, l’esame di sé è un esercizio fondamentale per vivere una vita autentica e virtuosa. Conoscere se stessi significa essere consapevoli dei propri limiti, dei propri pregi e difetti, delle proprie passioni e aspirazioni. Solo attraverso questa conoscenza è possibile raggiungere la saggezza e la vera felicità.

Esempi di utilizzo della massima “conosci te stesso” nella storia del pensiero occidentale

L’invito socratico a conoscere se stessi ha avuto un’influenza enorme sulla storia del pensiero occidentale. Innumerevoli filosofi, da Platone a Montaigne, da Kant a Nietzsche, si sono confrontati con questa massima, reinterpretandola e arricchendola di nuove sfumature.

L’interpretazione della massima come riconoscimento dei propri limiti umani ed esistenziali

Nell’epoca moderna, la massima “conosci te stesso” assume un significato ancora più profondo. In un mondo dominato dall’individualismo e dalla ricerca del successo, l’invito a conoscere i propri limiti diventa un antidoto all’egocentrismo e alla superficialità. È un invito a confrontarsi con la propria fragilità e con la propria finitezza, per imparare ad accettare se stessi e a vivere con maggiore consapevolezza.

Conclusione

Il “conosci te stesso” rimane un monito attuale e prezioso per tutti coloro che desiderano vivere una vita autentica e ricca di significato. È un invito a non accontentarsi delle apparenze, ma a scavare in profondità nell’animo umano, per scoprire la complessità e la bellezza che ci rendono unici.

Esempio di come la massima “conosci te stesso” può essere applicata nella vita quotidiana:

  • Prendere del tempo per riflettere su di sé, sui propri valori e sulle proprie priorità.
  • Ascoltare le proprie emozioni e imparare a comprenderle.
  • Accettare i propri limiti e non pretendere di essere perfetti.
  • Essere aperti al confronto con gli altri e al feedback costruttivo.
  • Essere consapevoli dei propri pregi e difetti e cercare di migliorarsi continuamente.

Conoscere se stessi è un viaggio che dura tutta la vita, un viaggio che richiede impegno e dedizione. Ma è un viaggio che vale la pena di fare, perché ci permette di vivere con maggiore pienezza e consapevolezza.

“Kalòs kai agathòs”: la bellezza come bontà nella cultura greca

Testa di amazzone ferita del tipo Capitol-Sosikles. Marmo greco, copia romana
Testa di amazzone ferita del tipo Capitol-Sosikles. Marmo greco, copia romana

Kalòs kai agathòs (καλὸς καὶ ἀγαθός)

Spesso tradotto come “bello e buono”, è un’antica massima greca che esprime un ideale di perfezione umana che permeava la cultura e la civiltà greca. L’idea era che la bellezza esteriore fosse un riflesso della bontà interiore, e che una persona virtuosa dovesse essere anche bella esteticamente. Viene talvolta reso anche con la coppia d’aggettivi: καλός κἀγαθός (kalòs kagathòs) o sostantivizzato in kalokagathìa (καλοκαγαθία)

Significato e importanza

Nella Grecia antica, la bellezza era vista come qualcosa di più di una semplice apparenza fisica. Era considerata una manifestazione dell’ordine e dell’armonia del cosmo, e quindi era associata alla bontà e alla moralità. Un uomo o una donna belli erano quindi considerati anche come persone buone e virtuose.

Esempi

L’ideale del kalòs kai agathòs è presente in molte opere letterarie e artistiche greche. Ad esempio, Omero descrive i suoi eroi come belli e coraggiosi, e le statue greche raffigurano spesso dei e dee con corpi perfetti. Il poeta Teognide fa dire in sostanza alle Muse e alle Grazie, riunite alle nozze di Cadmo, re di Tebe: “Tutto ciò che è bello è amabile. » e successivamente il poeta britannico John Keats scriverà “Una bella cosa è una gioia per sempre” (“A thing of beauty is a joy forever”)

Critiche

L’ideale del kalòs kai agathòs non è stato però privo di critiche. Già all’epoca, alcuni filosofi come Socrate e Platone contestavano l’idea che la bellezza esteriore fosse necessariamente un riflesso della bontà interiore. Socrate, in particolare, sosteneva che la vera bellezza derivava dalla conoscenza e dalla virtù.

Un esempio significativo

Un esempio significativo di questa critica si trova nel dialogo di Platone “Teeteto”. In questo dialogo, Socrate si rivolge al giovane Teeteto, che è considerato bello da tutti, e gli dice: “Sei bello, Teeteto, e non brutto, come sosteneva Teodoro. Infatti, chi parla bene è bello e buono.

Con questa affermazione, Socrate ribalta l’idea comune che la bellezza sia solo esteriore. Secondo lui, la vera bellezza è quella interiore, che si manifesta attraverso la parola saggia e virtuosa.

Conclusione

L’ideale del kalòs kai agathòs ha avuto un’influenza enorme sulla cultura e la civiltà greca. Ha contribuito a plasmare la concezione di bellezza e di perfezione umana, e ha ispirato innumerevoli opere d’arte e di letteratura. Tuttavia, questo ideale è stato anche criticato da alcuni filosofi che hanno sottolineato l’importanza della bellezza interiore e della virtù.

Riflessioni

L’ideale del kalòs kai agathòs ci invita a riflettere sul rapporto tra bellezza e bontà. È davvero possibile essere belli e buoni allo stesso tempo? Oppure la bellezza esteriore e la bontà interiore sono due cose separate?

Questa domanda non ha una risposta facile. Tuttavia, l’ideale del kalòs kai agathòs ci ricorda che la bellezza non è solo una questione di apparenza fisica, ma ha anche una dimensione interiore che è importante coltivare.

Salvator Rosa - Democrito e Protagora
Salvator Rosa – Democrito e Protagora

“Pánton chremáton métron estín ánthropos” ,“L’uomo è la misura di tutte le cose”, Protagora

L’uomo è misura di tutte le cose: questa celebre frase, attribuita al sofista greco Protagora, racchiude in sé una rivoluzionaria concezione della conoscenza e della realtà. Nell’Atene del V secolo a.C., Protagora si ergeva come figura di spicco all’interno del movimento sofistico, una corrente di pensiero che poneva l’uomo al centro del proprio universo filosofico.

Protagora e il pensiero sofistico

Protagora, nato ad Abdera in Tracia, giunse ad Atene intorno al 444 a.C., diventando uno dei più rinomati insegnanti del suo tempo. La sua filosofia si contrapponeva al pensiero idealista di Platone e alla ricerca di verità universali e assolute. Per Protagora, la conoscenza era legata all’esperienza individuale e soggettiva: non esisteva una realtà oggettiva e universale, ma solo una molteplicità di realtà percepite in modo diverso da ciascun individuo.

L’Umanesimo e il relativismo gnoseologico

L’affermazione “l’uomo è misura di tutte le cose” ha avuto un’influenza enorme sul pensiero occidentale, ponendo le basi per l’Umanesimo e il successivo Rinascimento. L’uomo diventava il centro del proprio mondo, capace di interpretare la realtà in base alle proprie esperienze e al proprio punto di vista.

Il relativismo morale e la critica di Platone

Tuttavia, il relativismo gnoseologico di Protagora non era privo di critiche. Platone, in particolare, accusava i sofisti di essere dei manipolatori del linguaggio, capaci di far apparire il “peggiore” discorso come il “migliore”. Il relativismo gnoseologico, secondo Platone, poteva portare ad un pericoloso relativismo morale, in cui non esistevano più valori universali e il bene e il male diventavano concetti relativi all’individuo.

Conclusione

La filosofia di Protagora ha aperto la strada a nuove concezioni del sapere e della realtà, ponendo l’uomo al centro del proprio universo. Il suo relativismo gnoseologico ha avuto un’influenza enorme sul pensiero occidentale, ma ha anche acceso un dibattito acceso sulle implicazioni morali e filosofiche di questa posizione.

Riflessioni

L’affermazione “l’uomo è misura di tutte le cose” ci invita a riflettere sul rapporto tra l’uomo e la realtà. Quale ruolo ha l’uomo nella costruzione della propria conoscenza? Esiste una realtà oggettiva al di là delle nostre percezioni individuali? La filosofia di Protagora ci lascia con queste domande, che continuano ad essere attuali e a stimolare il dibattito filosofico.

Pindaro esalta un vincitore nei giochi olimpici, Giuseppe Sciuti, 1872
Pindaro esalta un vincitore nei giochi olimpici, Giuseppe Sciuti, 1872

“Skiás ónar ánthropos”, “L’uomo è il sogno di un’ombra”, Pindaro

L’uomo è il sogno di un’ombra: questo verso, tratto dalle Pitiche di Pindaro, poeta greco del V secolo a.C., rappresenta una delle immagini più evocative della fragilità dell’esistenza umana.

“Creature di un solo giorno! Cosa siamo? Cosa non siamo? Sogno di un’ombra è l’uomo.” (Pindaro, Pitiche, Pitiche, VIII, IV, 95-96)

Pindaro: il principe dei poeti

Soprannominato “il principe dei poeti”, Pindaro è famoso per le sue odi dedicate ai vincitori dei giochi panellenici, celebrazioni sportive che assumevano un valore religioso e sociale nella Grecia antica. Le sue opere sono caratterizzate da uno stile sublime e complesso, ricco di immagini e metafore che esaltano la forza, la bellezza e la gloria degli atleti.

Il sogno di un’ombra: la precarietà della vita

Nella citazione in esame, Pindaro paragona l’uomo a un sogno, un’immagine effimera e inconsistente come l’ombra di un oggetto. L’utilizzo di questa metafora sottolinea la brevità e la precarietà della vita umana, destinata a svanire come un sogno al risveglio.

La contrapposizione con la gloria eterna

L’immagine del sogno contrasta con la celebrazione della gloria eterna che Pindaro riserva ai vincitori dei giochi. La vittoria, simbolo di eccellenza e perfezione atletica, assume un valore quasi divino, capace di conferire all’uomo una fama immortale.

Un’interpretazione filosofica

La citazione di Pindaro può essere interpretata in chiave filosofica come una riflessione sulla natura umana e sul suo rapporto con il tempo. L’uomo, consapevole della propria fragilità, aspira all’immortalità attraverso la fama e il ricordo delle sue azioni.

Un messaggio universale

Al di là del contesto specifico in cui è stata scritta, la frase di Pindaro conserva un messaggio universale che risuona ancora oggi. La consapevolezza della brevità della vita ci invita a vivere con pienezza e a dare valore a ciò che è realmente importante.

Riflessioni

La citazione “L’uomo è il sogno di un’ombra” ci induce a riflettere sul senso della nostra esistenza e sul valore del tempo che ci è dato. Come possiamo dare un significato alla nostra vita effimera? Come possiamo lasciare un segno indelebile nel tempo? Le domande che Pindaro ci lascia in eredità sono ancora attuali e ci invitano a una continua ricerca di senso e di valore.

Esempio di come la citazione di Pindaro può essere applicata alla vita quotidiana:

  • Apprezzare i piccoli momenti di gioia e di bellezza che la vita ci offre.
  • Vivere con coraggio e autenticità, inseguendo i propri sogni e aspirazioni.
  • Lasciare un segno positivo nel mondo attraverso le proprie azioni e il proprio impegno.

“O ánthropos fýsei politikón zóon “, “L’uomo è per natura un animale politico”, Aristotele

Busto di Aristotele presso la Old Library, Long Room, Trinity College di Dublino
Busto di Aristotele presso la Old Library, Long Room, Trinity College di Dublino

L’animale politico, (in greco antico: ζῷον πoλιτικόν) concetto cardine della filosofia politica di Aristotele, definisce l’uomo come un essere intrinsecamente incline alla vita in società. Non si tratta di una semplice aggregazione, ma di una vera e propria simbiosi che permette all’uomo di realizzare appieno la sua natura e raggiungere la felicità.

Perché “politico”?

Aristotele non usa questo termine in senso moderno, riferendosi alla partecipazione attiva alla vita politica. Piuttosto, allude alla natura socievole dell’uomo, alla sua propensione a vivere in una comunità organizzata, la polis, culla della civiltà e del progresso.

L’uomo solo: un essere incompleto

Per Aristotele, l’uomo che vive al di fuori della società è come un animale o un dio, distorto dalla sua natura più profonda. La solitudine lo priva della possibilità di sviluppare le sue capacità e di condividere i valori comuni che fondano la vita in comune.

Non solo gregge, ma comunità

Essere un animale politico non significa semplicemente vivere in gruppo, come fanno le api. Si tratta di partecipare attivamente alla vita della comunità, di condividere valori e obiettivi comuni, di costruire una società basata sulla cooperazione e sul reciproco rispetto.

La città: un prodotto naturale

La teoria dell’uomo come animale politico si collega all’idea di Aristotele della città come un prodotto naturale, non di un artificio umano. La città nasce dalla naturale inclinazione dell’uomo alla socialità e rappresenta il luogo ideale per la sua crescita e il suo sviluppo.

Il linguaggio: strumento di coesione sociale

La prova della natura sociale dell’uomo è il linguaggio, strumento che permette di comunicare, di deliberare e di concordare valori comuni. Il linguaggio è il fondamento della vita politica e il cemento che tiene unita la comunità.

Esempio:

Immaginiamo due individui, uno che vive in completa solitudine e l’altro immerso nella vita sociale di una città. Il primo, pur dotato di intelletto e capacità, sarebbe privo di stimoli e di opportunità per svilupparle. Il secondo, invece, grazie all’interazione con i suoi simili, potrebbe coltivare il suo intelletto, partecipare alla vita politica e raggiungere la felicità attraverso il senso di appartenenza e la realizzazione di sé.

È ovvio […] che la città è una delle cose naturali, e che l’uomo è per natura un animale politico, e che chi è fuori dalla città, naturalmente e non per caso di circostanze, è un essere degradato o un essere sovrumano, ed è come colui che è vituperato in questi termini da Omero: “senza stirpe, senza fede, senza casa” […] È evidente e più di tutte le api e di ogni animale vivente in società. Perchè la natura nulla fa invano: ora l’uomo, solo fra gli animali, ha il logos, la ragione. E il linguaggio vale a mostrare l’utile e il dannoso, sicchè anche il giusto e l’ingiusto, perchè questo è proprio degli uomini rispetto agli altri animali: l’aver egli solo il senso del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto.

(Politica, I)

L’espressione è usata ancora oggi, ma è dubbio che ricopra lo stesso significato.

Platone (424-348 a.C.). Pittura di Luca Giordano (1634-1705), olio su tela
Platone (424-348 a.C.). Pittura di Luca Giordano (1634-1705), olio su tela

“Koúfon gár chrema poietís estin kaí ptenón kaí ierón”, “Il poeta è una cosa leggera, alata, sacra”, Platone

Nella sua Repubblica ideale, Platone esilia i poeti, considerandoli una minaccia per l’ordine e la ragione. Eppure, dedica poi loro un intero dialogo, lo Ione, dal nome di un poeta appunto. Un paradosso che ci porta a esplorare il complesso rapporto di Platone con la poesia.

Per Platone, il poeta è un essere posseduto da una forza divina che lo trascende. La sua ispirazione non è frutto del suo intelletto, ma di un dio che lo invade e lo rende strumento della sua voce. Il poeta è quindi un “entusiasta” (enthousiastes), nel senso etimologico del termine: un invasato, un ricettacolo divino.

Non c’è spazio per il talento individuale: il poeta è solo un tramite, un medium attraverso cui il dio parla al mondo. Eppure, Platone non può negare la bellezza e la potenza della poesia. In una celebre perifrasi, definisce i poeti “cose leggere, alate, sacre”: creature eteree, simili a piume al vento, che portano con sé la voce degli dei.

Ecco il paradosso: Platone li caccia dalla città ideale, ma li celebra come esseri eccezionali. La poesia, per lui, è una forza ambivalente: da un lato, seduce e inganna, dall’altro, eleva e ispira. Un enigma che Platone non risolve, ma che lascia aperto a interpretazioni e riflessioni.

Immaginiamo dunque il poeta come un oracolo: una voce che pronuncia parole che non sono sue, ma che provengono da un’altra dimensione. Il poeta è in balia di questa forza, che lo rende vulnerabile e allo stesso tempo potente.

 La Fontaine, nel suo 2° Discorso a Madame de La Sablière scrisse a proposito:

Farfalla del Parnaso e simile alle api a cui il buon Platone paragona le nostre meraviglie: io sono una cosa leggera, e volo verso qualsiasi tema; vado di fiore in fiore e di oggetto in oggetto. Unisco un po’ di gloria a molti piaceri.

“Apó toú elíou metástethi” “Allontanati dal mio sole”, Diogene di Sinope il Cinico: la filosofia del cane e la sfida al conformismo

Diogene alla ricerca di un uomo onesto, Jacob Jordaens, 1642
Diogene alla ricerca di un uomo onesto, Jacob Jordaens, 1642

Diogene di Sinope, filosofo greco del IV secolo a.C., noto per il suo stile di vita anticonformista e le sue azioni provocatorie, rappresenta una figura controversa e affascinante nella storia del pensiero occidentale.

Vita da cane:

Egli conduceva un’esistenza ascetica, dimorando in una botte e rifiutando le comodità materiali. Il suo soprannome, “Cinico”, deriva dal greco “kynikos”, che significa “canino”, in riferimento alla sua scelta di vivere come un cane, libero dai vincoli e dalle convenzioni sociali.

Aneddoti emblematici:

La fama di Diogene è legata a numerosi aneddoti che illustrano la sua filosofia di vita radicale. Si narra che, al cospetto di Alessandro Magno, il quale gli chiedeva quale dono desiderasse, egli rispose con sprezzante semplicità: “Togliti dal mio sole!”. In un altro episodio, osservando un bambino bere da una coppa con le mani, Diogene gettò via la sua ciotola, comprendendone la superfluità. Di fronte allo scetticismo di Zenone di Elea, che negava il movimento, Diogene si limitò a camminare, dimostrando con la pratica l’inconsistenza della sua teoria.

Sovvertire le convenzioni:

Egli contestava apertamente le definizioni dogmatiche, come quella di Platone che identificava l’uomo come “un animale a due zampe senza piume”, presentando un gallo spennato come controprova ironica. La sua ricerca incessante di un “uomo” autentico, simboleggiata dalla lanterna che portava in pieno giorno, rappresentava una metafora della sua critica verso una società corrotta e superficiale.

Eredità e attualità:

Il cinismo di Diogene, pur nella sua radicalità, rimane una fonte di ispirazione per quanti, in epoche diverse, hanno contestato l’ipocrisia e il conformismo sociale. La sua filosofia invita a riflettere sulla natura effimera dei beni materiali e sulla centralità della libertà individuale, valori che, seppur declinati in modi differenti, continuano ad alimentare il dibattito filosofico e sociale odierno. Anche oggi, nell’epoca del “politically correct” egli rappresenta il testardo anticonformismo di chi contesta sempre le regole.

“Meden agan”: niente di troppo”, la via greca alla moderazione e al benessere

Bilancia del Museo etnografico di Oleggio
Bilancia del Museo etnografico di Oleggio

Il “nulla di troppo”, massima incisa sul frontone del tempio di Delfi e tradotta in latino da Terenzio come “Ne quid nimis”, rappresenta un insegnamento di vita fondamentale per la cultura greca. Essa racchiude un invito alla misura e alla moderazione in ogni ambito dell’esistenza, dall’amore all’ambizione, dalla ricerca del piacere al perseguimento del successo.

L’opposto dell’ubris:

Questa filosofia si contrappone diametralmente all’ubris, termine greco che indica la tracotanza, la superbia e l’arroganza di chi osa sfidare i limiti imposti dagli dei. L’ubris, considerata dai Greci un grave peccato, portava inevitabilmente alla punizione divina, come illustrato da numerose tragedie e miti.

La serenità della moderazione:

Al contrario, la moderazione, intesa come equilibrio e armonia tra le diverse passioni, conduce alla serenità e al benessere. L’anima e il volto di chi segue questa filosofia sono improntati a una quiete interiore che si riflette anche nell’aspetto esteriore.

Metron to beltiston:

Il poeta Eschilo nell’Agamennone sintetizza questo concetto con la frase “Metron to beltiston“, che significa “la misura è la migliore”. La cultura greca, dunque, pone la misura al centro della vita, considerandola la chiave per raggiungere la felicità e la saggezza.

L’influenza sul neoclassicismo:

Questa filosofia di vita ha avuto un’influenza enorme sul neoclassicismo europeo dei secoli successivi. I pensatori e gli artisti di questo periodo guardavano alla Grecia antica come a un modello di perfezione e di armonia, traendo ispirazione dai suoi principi di moderazione e di equilibrio.

il Meden agan oggi

In un mondo dominato dall’eccesso e dalla frenesia, il “nulla di troppo” assume un significato ancora più profondo e attuale. La saggezza greca ci invita a ricercare l’equilibrio in tutte le cose, a non superare i nostri limiti e a vivere con consapevolezza e armonia.

Immaginiamo due persone: una che vive in modo frenetico e incontrollato, l’altra che ricerca la moderazione in ogni ambito. La prima sarà probabilmente più stressata e infelice, mentre la seconda avrà una vita più serena e appagante.

Il “nulla di troppo” non è solo un antico insegnamento, ma una filosofia di vita che può guidarci verso la felicità e la saggezza. La moderazione, l’equilibrio e la consapevolezza sono i principi su cui costruire una vita ricca di significato e di armonia.

Frontespizio raffigurante Epitteto da una selezione dei Discorsi di Epitteto con l'Encheiridion. (1890)
Frontespizio raffigurante Epitteto da una selezione dei Discorsi di Epitteto con l’Encheiridion. (1890)

“Anécoù kaí apécoù”, “Sopporta e astieniti”, la filosofia stoica di Epitteto

“Sopporta [i mali] e astieniti [dai beni].” Questa massima, incisa nella pietra della filosofia stoica, ci viene consegnata da Epitteto, un pensatore di origine servile che seppe conquistare la libertà interiore e diventare un maestro di vita.

Nato in Frigia intorno al 40 d.C. e vissuto fino al 125 d.C., Epitteto rappresenta, insieme a Marco Aurelio e Seneca, il fulcro del nuovo stoicismo nell’Impero Romano. La sua filosofia si concentra sulla libertà interiore del saggio e sull’educazione della volontà.

La distinzione fondamentale:

Al centro della sua moralità pratica troviamo una distinzione fondamentale: ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi.

Le cose che dipendono da noi:

  • Le nostre opinioni e giudizi
  • Le nostre azioni e scelte
  • Il nostro atteggiamento verso le circostanze

Le cose che non dipendono da noi:

  • Eventi esterni e circostanze
  • Opinioni altrui
  • Fattori fisici e materiali

Sopportare e astenersi:

Di fronte a questa dicotomia, l’imperativo stoico diventa chiaro:

  • Sopportare con resilienza e fermezza le avversità e le prove che la vita ci presenta, riconoscendo che non sono sotto il nostro controllo.
  • Astenersi dai piaceri effimeri e dalle passioni che ci allontanano dalla ragione e dalla virtù.

L’esercizio della volontà:

La filosofia di Epitteto non è una passiva rassegnazione al destino, ma un invito all’esercizio costante della volontà per coltivare la saggezza e la virtù.

L’obiettivo:

L’obiettivo ultimo è raggiungere la atarassia, uno stato di serenità interiore indipendente dalle circostanze esterne.

Influenza e attualità:

Il pensiero di Epitteto ha avuto un’influenza profonda sulla filosofia occidentale e continua ad essere una fonte di ispirazione per quanti ricercano una vita libera e autentica. La sua massima “sopporta e astieniti” racchiude un insegnamento di grande valore: la forza interiore e la disciplina sono le armi che ci permettono di affrontare le sfide della vita con coraggio e saggezza.

Immaginiamo di fronteggiare una grave malattia. L’evento in sé è al di fuori del nostro controllo, ma possiamo scegliere come affrontarlo: con rassegnazione passiva o con la forza d’animo di chi sa sopportare la sofferenza e di chi cerca di trarre insegnamento anche dalle esperienze più difficili.

La filosofia di Epitteto ci invita a non essere schiavi delle circostanze, ma a diventare padroni del nostro destino attraverso la libertà interiore e la forza della volontà. Il suo insegnamento è un faro che illumina il sentiero verso una vita autentica e ricca di significato.

«Thálatta, thálatta!», “Il Mare! Il Mare”, Il grido di gioia dei Diecimila e il fascino del mare: Senofonte

Figurina Liebig dedicata alle Anabasi di Senofonte
Figurina Liebig dedicata alle Anabasi di Senofonte

“Thalatta! Thalatta!”, il grido di gioia che echeggiò tra le colline dell’Asia Minore quando i Diecimila mercenari greci di Senofonte scorsero finalmente il mare dopo la loro ardua ritirata. Un grido che racchiude in sé la nostalgia di casa, il sollievo per la fine di un viaggio estenuante e la gioia di aver ritrovato la libertà.

Senofonte e l’Anabasi:

Nella sua opera “Anabasi”, Senofonte narra la spedizione militare guidata da Ciro il Giovane contro il re persiano Artaserse. Una spedizione che si concluse con la disfatta di Ciro e la drammatica ritirata dei Diecimila attraverso un territorio ostile.

Il mare come simbolo di speranza:

Dopo mesi di marce faticose, di battaglie e di privazioni, la vista del mare rappresentava per i Greci la salvezza, la fine delle sofferenze e il ritorno alle loro terre d’origine. Il grido “Thalatta! Thalatta!” diventa così un simbolo universale di speranza e di rinascita.

Un messaggio per tutti:

Il grido dei Diecimila ci insegna che la vita è un dono prezioso da vivere con coraggio e tenacia. Che il mare, simbolo di libertà e di speranza, sia sempre una fonte di ispirazione per tutti noi.

Immaginiamo di essere uno dei Diecimila, stremato dalla fatica e dal dolore. La vista del mare rappresenta un momento di immensa gioia e di sollievo, un’esplosione di emozioni che si traduce nel grido liberatorio “Thalatta! Thalatta!”.

Le parole di Senofonte ci ricordano che la vita è un viaggio meraviglioso da vivere con entusiasmo e con la consapevolezza che tutto ciò che vive è in continuo movimento. Un messaggio che ci accompagna nel nostro percorso di crescita e di scoperta, verso un futuro pieno di speranza e di possibilità.

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