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IL DIO SATURNO

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Il più giovane dei Titani

Saturno, Cardiff Castle, Wales

Statua di Saturno dal Cardiff Castle, Wales, Inghilterra.

Figlio di Urano e della Terra (Gea), conosciuto tra i Greci come Kronos e tra i latini come Saturnus appunto, era il più giovane dei Titani; una volta aver mutilato e cacciato suo padre, assieme agli altri suoi fratelli, si fece signore del mondo.
Ma chi era Urano? II primo dominatore dell’Universo, il quale aveva innumerevoli figli (veri e propri mostri), alcuni dei quali erano forniti di cento mani ed erano chiamati Hecatonchiri o Centimani; altri erano dei giganti, detti Ciclopi, forniti di un occhio solo sulla fronte (furono coloro che fornirono a Giove il tuono e fabbricarono per lui le saette); ed altri ancora, infine, chiamati Titani, che erano delle creature violente e selvagge.

Per odio, dunque e per timore forse di essere sopraffatto nel suo dominio, Urano gettò negli abissi del Tartaro i Centimani e i Ciclopi, suoi figli. La Madre Gea ne fu talmente addolorata da piangerli a lungo. Poi, adirata per questa loro segregazione, persuase i Titani a rovesciare dal trono il loro padre.

Il capo dei vendicatori

Saturno che fu a capo di questi vendicatori della prigionia dei propri fratelli, evirò Urano in modo che non potesse più generare figli. Le gocce del suo sangue cadendo sul mare, fecero che sì che dalle onde ne sorgesse Venere (Afrodite); da altre gocce che caddero invece sulla terra, ne venne fuori il popolo dei Giganti, delle Ninfe e delle Erinni.

I Titani intanto, liberarono dunque i Centimani e i Ciclopi, innalzando Saturno sul trono come Signore del Mondo. Una graziosa fanciulla di nome Cibele (Rhea), che era sorella di Saturno, venne da lui presa in sposa, divenendo così la madre della stirpe degli Dei Olimpici.

La sposa tradita

La giovane sognava un futuro radioso a seguito di quel matrimonio, ma divenne invece la regina più sventurata che si possa immaginare.
La madre Gea aveva predetto a Saturno che uno dei suoi figli lo avrebbe scacciato dal trono, come egli stesso aveva fatto col padre Urano. La povera Cibele venuta a sapere di questo tremendo segreto, versò innumerevoli lagrime e più e più volte maledì l’ora e il momento in cui divenne la sposa del tiranno.

Bassorilievo romano del II secolo d.C. rappresentante Saturno che regge una falce

Bassorilievo romano del II secolo d.C. rappresentante Saturno che regge una falce

Intanto, si avvicinava il tempo che ella sarebbe divenuta di nuovo gravida e Saturno la sorvegliava costantemente, sospettoso che la moglie potesse tramare qualche inganno contro di lui. L’amore di una madre per i propri figli cercò invano la via per eludere la gelosa sorveglianza di Saturno, che, orribile a dirsi, inghiottiva i piccoli non appena erano nati. Tuttavia, esasperata, la povera Cibele, trovandosi un’altra volta incinta, corse sul monte Ida, sull’isola di Creta, ove felicemente diede alla luce un bimbo che venne allevato dalle due ninfe: Adrastea e Ida, figlie di Melisseo, le quali nutrirono il bambino con il latte della capra Amaltea e col miele che le api portavano dalla montagna.

Quel bimbo crebbe pieno di grandissima forza e coraggio e gli fu imposto il nome di Giove (Zeus). Sua madre, Cibele, per riavere i figli perduti, incitò il figlio Giove a spodestare il padre dal suo regno, e infatti il giovane – dopo che Cibele, per mezzo di una bevanda somministratagli con l’inganno, costrinse Saturno a rigettare i figli che questi aveva inghiottito – si unì ai propri fratelli ritrovati per combattere Saturno stesso e i suoi Titani.

Ed è di nuovo guerra!

La lotta fra i Titani e gli Olimpici durò a lungo, poiché i primi i combattevano dal monte Othrys, i secondi dall’Olimpo, fino a che Giove non chiamò in soccorso i Centimani e i Ciclopi, che Saturno aveva di nuovo ricacciati nel Tartaro, e aiutato da questi e dai propri fratelli, atterrò i Titani col fulmine che gli fornirono i Ciclopi.

Gli sconfitti furono tutti incatenati nel Tartaro sotto la custodia dei Centimani e non vennero liberati se non dopo molto tempo, quando ormai l ‘ordine del dominio stabilito da Giove aveva già messo salde radici.

Dopo tale riconciliazione, Saturno regnò con Radamante nelle isole dei beati; ma l’ambizione continuava a dominarlo sempre, sicché, non appena gli si presentò I’occasione, attentò alla vita di Giove.

Questi allora lo scacciò definitivamente dall’Olimpo e lo scaraventò quaggiù sulla terra, dove divenne un esule.

Esule e ramingo sulla terra

Re potentissimo un tempo, Saturno aveva dominato nella sublime altezza dei Cieli, ed ora, sfinito dagli anni e dalla sventura, era ridotto a mendicare per la propria vita e a impetrare aiuto dagli altri.

Avvilito ed oppresso, se ne andò ramingo a nascondere la sua vergogna ed il suo dolore in Italia, nel Lazio.

Qui regnava Giano, sovrano buono e caritatevole, che avendo scoperto che quel vecchio che se ne stava nascosto doveva esser proprio Saturno, mostrò pietà per lui e consolatolo, lo chiamò alla sua corte.

Il vecchio rimase commosso fino alle lagrime per tanta gentilezza e volle subito dimostrare all’ottimo re la propria gratitudine, concedendogli in riconoscenza, il dono di aver sempre presente davanti agli occhi della mente, come in uno specchio, tutto il passato e tutto il futuro; sicché di qualunque cosa, per lontana che essa fosse stata nel tempo, egli avrebbe potuto dir subito come essa potesse esser accaduta; e così poteva spiegare perfettamente in quale modo sarebbero potuti andare gli eventi del domani, del mese prossimo, dell’anno successivo e perfino del secolo futuro.

L’età dell’Oro

E parendo a Saturno che questo inestimabile dono fosse ancor poca cosa, gli offrì anche i propri servigi come consigliere nel regno che, poco dopo, il re Giano affidò interamente nelle sue mani.

E da allora questa parte d’ltalia si chiamò, dal suo nome Saturnia; egualmente, così furono dette anche le popolazioni che vi abitavano.

Sotto il regno di Saturno si ebbe la tanto decantata e sospirala Età dell’Oro: “Redeunt Saturnia regna  era un grido di speranza e di augurio che per tanti secoli venne ripetuto da tutte le generazioni che passavano e che non si avverò mai.

Quella felice Età dell’Oro in cui Saturno, durante il suo dominio, distribuiva ricchezza e benessere a tutti i suoi sudditi, resi pacifici e governati con gentilezza ed equità, fu innumerevoli volte celebrata dai poeti. I Saturnali aiutavano a celebrare il ricordo di questa età felice dell’esercizio del potere.

Esiste una stupenda e inarrivabile descrizione fatta di quest’età, scritta dal poeta latino Ovidio nelle sue Metamorfosi ed elegantemente resa in traduzione in versi dall’Anguillara. Ascoltiamo il poeta:

“Questo un secolo fu purgato, e netto,
D’ogni malvagio, e perfido pensiero,
Un proceder leal, libero, e schietto,
Servando ognun la fe’, dicendo il vero.
Non v’era chi temesse il fiero aspetto
Del giudice implacabile, e severo;
Ma giusti essendo allor, semplici, e puri,
Vivean senz’altro giudice securi.

Sceso dal monte ancor non era il pino
Per trovar nove genti à solcar l’onde;
Ne sapeano i mortali altro confino,
Che i propri lidi lor, le proprie sponde;
Ne curavan cercare altro camino
Per riportarvi ricche merci altronde.
Non si trovava allor città, che fosse
D’argini cinta, e di profonde fosse.

Non era stato ancora il ferro duro
Tirato al foco in forma, ch’offendesse,
Nè bisognava à l’uom metallo, ò muro
Che dall’altrui perfidie il difendesse.
Tromba non era ancor, corno, o tamburo,
Che al fiero Marte gli animi accendesse;
Ma sotto un faggio l’uomo, o sotto un cerro
E da l’uomo securo era, e dal ferro.

Senza esser rotto, e lacerato tutto
Dal vomero, dal rastro, e dal bidente,
Ogni soave, e delicato frutto
Dava il grato terren liberamente.
E quale egli venia da lui produtto,
Tal se ’l godea la fortunata gente,
Che spregiando condir le lor vivande
Mangiavan corne, e more, e fraghe, e ghiande.

Febo sempre più lieto il suo viaggio
Facea, girando la superna sfera,
E con fecondo, e temperato raggio
Recava al mondo eterna primavera.
Zefiro i fior d’Aprile, e i fior di Maggio
Nutria con aura tepida, e leggiera.
Stillava il mel da gli Elci, e da gli Olivi.
Correan nettare, e latte i fiumi, e i rivi.”

Publio Ovidio Nasone – Le Metamorfosi – Traduzione dal latino di Giovanni Andrea dell’Anguillara (1561)

Non è difficile immaginarsi quanto affetto riservassero a Saturno i sudditi di Giano vedendosi per opera sua condotti a tanta felicità.

Ma un giorno Saturno, improvvisamente, scomparve, e con lui tulle le delizie che il suo regno aveva procurato. Inutile dire che i suoi sudditi versarono amare lacrime per la sua dipartita e sospirarono lungamente il suo ritorno: sospirarono invano, perché Saturno non ritorno mai più.

Saturnalia

A perpetuare tuttavia la memoria dei giorni felici goduti sotto il suo regno, furono istituiti in suo onore delle feste solenni che furono chiamate appunto Saturnalia

CARNEVALE I Saturnali, Cromolitografia, Figurina Liebig serie 'Il Carnevale in diverse epoche, 1907

CARNEVALE I Saturnali che nell’antica Roma precedevano le feste di carnevale. Cromolitografia, Figurina Liebig serie ‘Il Carnevale in diverse epoche’,1907

Cominciando dal 16 dicembre, si festeggiavano in suo onore per sette giorni consecutivi, fino a quello più breve, allorché incomincia il rinnovarsi della natura che si compirà poi in Primavera. Queste celebrazioni consistevano principalmente nel rappresentare l’uguaglianza che originariamente regnava tra gli uomini. All’inizio duravano solo un giorno, ma l’imperatore Augusto ordinò che fossero celebrate per tre giorni,  cui poi Caligola ne aggiunse un quarto.

Durante queste feste il potere dei padroni sui loro schiavi era sospeso e questi avevano il diritto di parlare e agire in piena libertà.
Dappertutto allora si respirava un’atmosfera di piacere e di gioia: i tribunali e le scuole erano chiusi; non era permesso intraprendere nessuna guerra, né giustiziare un criminale, né esercitare alcuna arte diversa da quella culinaria.

In queste feste si pretendeva di rappresentare i nuovi giorni del regno di Saturno, mentre si abbandonava ogni lavoro e al grido di Io saturnalia! Io bona saturnalia!” non si pensava ad altro che a divertirsi: si banchettava, ci si scambiavano i doni, gli schiavi potevano rinfacciare le colpe ai loro padroni, sfidarli nel gioco ed esseri serviti a tavola da questi, senza limitazioni nelle portate. Tutta questa libertà ad indicare che sotto il regno di Saturno non c’erano differenze di condizione. Inoltre venivano offerti a tutti pasti sontuosi.

Macrobio riporta varie tradizioni romane sull’origine di questa festa e molte fanno riferimento al già citato soggiorno di Saturno nel Lazio prima della fondazione di Roma, quando si sarebbe rifugiato in Italia, nel Lazio, dove riunì le popolazioni selvagge sparsi sui monti donando a loro delle leggi.

Il giorno di Saturno oggi si chiama Sabato (Saturni dies )

Il tempio di Saturno a Roma

Tutti si recavano in massa al santuario che, ai piedi del Campidoglio sull’Aventino, racchiudeva  l’immagine di Saturno e il Tesoro dello Stato, qui custodito a significare che durante l’Età del’Oro di Saturno non veniva commesso alcun furto.

L’altare dedicato al Dio esisteva fin dall’epoca regia, nella parte sud-occidentale del foro, la cui istituzione veniva attribuita ai compagni di Ercole. Si raccontava anche che l’ultimo re etrusco,Tarquinio il Superbo, avrebbe deciso di sostituirlo con un tempio. Furono i consoli, Aulo Sempronio Atratino e Marco Minucio Augurino che gli avrebbero poi consacrato l’edificio nel 497 a.C. In quello stesso colle, che si chiamava anch’esso Saturnio sulla vetta del quale Giano condusse il dio facendovi costruire poi un santuario, dove il vecchio dio fu incoronato re – si riunivano gli antichi per celebrare il suo rito. Allo stesso modo si usava ad Atene ed ad Olimpia e ovunque si ergesse un tempio a questa benevola divinità.

La statua del dio veniva avvolte con bende che non venivano tolte fino al mese di dicembre, il tempo dei Saturnali.

Ricostruzione virtuale del Tempio di Saturno nel Foro Romano

Ricostruzione virtuale del Tempio di Saturno nel Foro Romano.

Saturno era comunemente raffigurato come un vecchio piegato sotto il peso degli anni, con in mano una falce, forse per indicare che presiedeva allo scorrere del tempo. Su molti monumenti è rappresentato con un velo, probabilmente perché i tempi sono bui e coperti da un velo impenetrabile sul futuro.

Conclusioni

Saturno affresco dalla Casa dei Dioscuri a Pompei, Museo Archeologico di Napoli

Saturno, il capo protetto da un manto invernale, tiene nella mano destra una falce (affresco dalla Casa dei Dioscuri a Pompei , Museo Archeologico di Napoli)

I sacrifici a Saturno venivano eseguiti secondo il “rito greco” (ritus graecus), con il capo scoperto, a differenza dei riti di altre grandi divinità romane, che venivano eseguiti capite velato, “con il capo coperto” appunto. Saturno stesso, infatti, era raffigurato velato (involutus), come in un murale di Pompei che lo mostra con in mano una falce e coperto da un velo bianco.

Ma squarciando il velo mitologico e considerando questo dio nel suo vero aspetto, risulta che Il suo stesso nome (Kronos) deriva da un verbo greco che significa maturare” (Kraino) ed indica come Saturno originariamente non fosse che un Dio dell’agricoltura, identificato poi col Nume italico tutelare delle seminagioni (Saturno). Secondo alcuni, la somiglianza del suo nome con quella di Chronos (Tempo), avrebbe dato origine ad un equivoco, rendendo Saturno appunto, anche il Dio del Tempo.

La Leggenda mitologica di Saturno, esaminata attentamente, ci conferma come questi si trattasse effettivamente di un Dio agricolo.

Egli è figlio di UranoGea; ma Urano è il cielo e Gea la terra.  Da quali altri elementi può nascere il prodotto dei campi se non dal cielo che con i raggi del sole fa maturare i frutti e le acque abbondanti per inaffiare il suolo ? E da dove altro se non dalla terra che offre tutti i nutrimenti necessari per la crescita della vegetazione? E non dobbiamo dimenticare che Saturno viene rappresentato con una roncola in rnano, cioè uno strumento agricolo.

Saturno viene poi in Italia e sotto il suo regno sorge una felicità che non ha trovato più riscontro nel lungo corso dei secoli. E questa felicità aveva il suo fondamento nell’agricoltura che costituisce la ricchezza di ogni paese e che non nega i suoi frutti a nessuno di coloro che, col proprio lavoro, si prendano cura della terra e delle messi.

La Terra non è sterile per chi ne apra coll’aratro il seno rigoglioso al fine di gettarvi le seminagioni.

A testimonianza ulteriore dell’importanza della venerazione di Saturno per i romani,  si può ricordare l’episodio avvenuto l’anno prima dell’infelice battaglia sul Trasimeno contro Annibaleil popolo fu scosso dai prodigi e dalle predizioni dei libri sibillini, dunque, per la cerimonia del culto Saturnio,  fu disposto un sacrificio presso il tempio, fu imbandita una cena sacra un al nume (lettislernio) e fu istituito un pubblico banchetto.

Questa predilezione per Saturno che perdurava ancora cosi ampia e schietta dopo 537 anni dalla fondazione di Roma, rivela chiaramente che la memoria di alcuni grandi fatti del passato doveva aver lasciato delle profonde tracce, tanto da far tenere ancora in alta considerazione questo culto.

Si ricordi che in  origine i Romani erano un popoli di pastori. Quindi non dobbiamo meravigliarci se nei confronti di Saturno, che insegnò loro  i modi di coltivare la terra e di trarne abbondanza di frutti, fossero prodighi di onoranze solenni come a colui che aveva loro dischiuso la più grande ricchezza, che per essi era nascosta sotto il suolo attraversato dalle innumerevoli schiere dei loro armenti.

Il tempio di Saturno nel Foro Romano

Il tempio di Saturno nel Foro Romano con la chiesa dei Santi Luca e Martina sullo sfondo.

Paul Verlaine par Léopold Poiré
Paul Verlaine ritratto da Léopold Poiré, 1896

Les Poèmes Saturniens

Nel 1866 il poeta maledetto Paul Verlaine pubblica una raccolta di 25 poemi divisi in 4 sezioni,  dal titolo  “Poèmes Saturniens” (Poemi saturnini)

Il titolo dello scritto non è scelto a caso. Verlaine stesso ce lo spiega nel prologo, riferendosi all’astrologia e alla negromanzia, ma in realtà rinnovando un antico significato dell’essere sotto l’influenza di Saturno (o di avere “Saturno contro” come recita il titolo di un celebre film).

Il pianeta, che ha preso in prestito il nome dall’antico dio italico, viene detto causa di influenze nefaste: follia, fantasia sfrenata e altre cose.

Ma a ben guardare tutte queste cose erano associate a Saturno molto prima che esso diventasse un nome per designare un corpo celeste: i Saturnalia erano appunto i giorni dell’anno in cui “licet erat insanire”, era lecito essere pazzi.

Considerando poi che durante queste festività scorrevano fiumi di vino, è facile immaginare che dall’allegria si passasse ben presto alla malinconia, alla suscettibilità, alla rabbia e alla violenza…tutte cose che Verlaine conosceva bene, visto che gettò la sua vita alle ortiche (o nel cesso se preferite) insieme al suo matrimonio, per andare dietro alla poesia, all’alcol e a…Rimbaud. Un vero discepolo di Saturno, il dio che divorava i suoi figli e che portò nel Lazio l’età dell’oro.

Ecco l’introduzione dei Poèmes Saturniens di Verlaine:

I saggi di un tempo, che loro erano davvero di valore
Credevano, e questo punto non è stato ancora del tutto chiarito,
Di Leggere nel cielo la felicità, così come le sventure,
E che ogni anima fosse legata ad una delle stelle.
(Si è riso molto –  senza pensare che spesso
Deridere è a sua volta ridicolo oltre che deludente –
di questa spiegazione del mistero notturno).

Ora coloro che sono nati sotto il segno di SATURNO,
Un pianeta fulvo, caro ai negromanti,
Hanno tra tutti, secondo gli antichi grimori,
Una buona parte di sfortuna e una buona parte di bile.

Immaginazione, inquieta e stupida,
Rende nullo in loro lo sforzo della Ragione.
Nelle loro vene, il sangue, sottile come un veleno,
Bruciando come lava, e raro, scorre e circola
Sfrigolando il loro triste e fatiscente Ideale.

Tali i saturnini devono soffrire e tali
Morire, – ammesso che siamo mortali, –
Il loro piano di vita è disegnato linea per linea
Secondo la logica di un’influenza maligna.

(articolo liberamente tratto e rielaborato con successive aggiunte e integrazioni, da La mitologia popolare illustrata di Francesco Sabatini, E. Perino, 1896)

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