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Quando la notizia dello schieramento acheo giunge al re Priamo, i Troiani rispondono con una sortita nella pianura. In un elenco simile a quello degli Achei, Omero descrive i Troiani e i loro alleati. Gli eserciti si avvicinano l'un l'altro, ma prima di incontrarsi, Paride si offre di porre fine alla guerra combattendo un duello con Menelao, sollecitato dal fratello e capo dell'esercito troiano, Ettore. Entrambe le parti giurano una tregua e promettono di rispettare l'esito del duello. Paride viene battuto, ma Afrodite lo salva e lo porta da Elena prima che Menelao possa ucciderlo.
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L’attentato a Menelao
Scomparso Paride dal campo, i Greci rivendicarono la vittoria per il loro campione, e Agamennone chiese ai Troiani a rinunciare a Elena e ai suo i tesori, secondo le condizioni stabilite. Ma gli dèi non volevano così. Le Parche avevano decretato la distruzione di Troia, e quindi la guerra non poteva avere una conclusione pacifica. Inoltre, i Greci erano destinati a soffrire come Giove aveva promesso a Teti, per il torto che era stato fatto ad Achille. Perciò, dopo che la questione fu discussa in un consiglio degli dèi nel loro palazzo d’oro sull’Olimpo, Atena fu mandata a incitare i Troiani ad attaccare i Greci, affinché la lega fosse spezzata e la guerra rinnovata. Secondo l’usanza dei messaggeri celesti in questi casi, la dea assunse la forma di Laodoco, figlio di Antenore. Poi, avvicinandosi a Pandaro, “Grande onore”, disse, “avrai da tutti i Troiani, se uccidi il figlio di Atreo, e da Paride puoi aspettarti splendidi doni”.
Ma Atena, essendo amica dei Greci, non voleva davvero che Menelao venisse ucciso; perciò, quando Pandaro piegò il suo arco e con mira precisa scoccò la sua freccia, la dea deviò l’arma micidiale. Tuttavia la freccia trafisse la cintura del re spartano e provocò una leggera ferita, ma l’abile chirurgo Macaone, figlio del famoso medico Esculapio, ne tamponò il sangue e applicò i balsami lenitivi che suo padre gli aveva insegnato a usare.
Essendo stato così rotto il patto dal gesto traditore di Pandaro, entrambe le parti si prepararono immediatamente alla battaglia. Agamennone passò in rassegna il suo esercito, pronunciando parole di lode ai capi, che trovò attivi nello schierare e incoraggiare i loro uomini.
La grande battaglia: Diomede
Tutti i capi di entrambi gli eserciti presero parte a questa battaglia, tranne Achille. Gli eroi di questo giorno dalla parte di Troia furono Ettore ed Enea. Dei greci nessuno compì tante gesta di valore come Diomede, detto anche Tidìde, dal nome di suo padre, Tideo. Era il favorito di Atena, che illuminava di una luce brillante dal suo scudo e il suo elmo, il che lo rendeva subito visibile nel campo, e assai terribile per il nemico.
Pallade a Tidide Diomede
Diede forza e coraggio, perché potesse apparire
Tra gli Achei molto eminenti,
E vincere un nome glorioso. Sulla sua testa
E scudo faceva splendere una fiamma costante,
Come la stella autunnale che brilla in cielo
Più luminosamente quando si è appena bagnata nelle maree oceaniche.
Tale fu la luce che fece brillare sulla sua cresta
E sulle spalle, mentre mandava avanti il guerriero
Nel fitto e nel tumulto della lotta.Omero, Iliade , Libro V
Diomede uccise molti valorosi guerrieri, e spesso, sfondando gli stretti ranghi dei Troiani, li respinse verso le loro mura, prima che egli stesso fosse colpito da una freccia lanciatagli addosso dall’arciere Pandaro. L’arma gli trafisse la spalla e il sangue scese lungo la sua armatura. Quindi Pandaro gridò ai suoi compagni di avanzare, vantandosi che ora il più valoroso dei Greci era stato ferito a morte.
Ma Diomede chiese aiuto ad Atena e la sua preghiera fu ascoltata. Immediatamente la dea apparve e si fermò accanto a lui, e in un istante guarì la sua ferita. Poi lo incoraggiò, dicendo: “D’ora in poi combatti con fiducia, Diomede. Ti ho dato una grande forza. Ho anche rimosso dai tuoi occhi le nebbie mortali che prima erano su di essi, affinché ora tu possa riconoscere gli dèi dagli uomini, tuttavia, non usare le tue armi contro qualsiasi dio, a meno che Afrodite non venga in battaglia, perché voglio che tu colpisca lei!”
Con nuovo coraggio e accresciuto furore Diomede si precipitò di nuovo nel conflitto, abbattendo un troiano ad ogni colpo della sua enorme spada. Enea, notando le sue imprese, cercò in fretta Pandaro e lo pregò di puntare una freccia contro l’uomo che stava così devastando i loro ranghi.
“Quell’uomo”, disse Pandaro, “somiglia molto al guerriero figlio di Tideo, e se è lui, qualche dio è sicuramente al suo fianco per proteggerlo, perché solo poco fa l’ho colpito alla spalla, e ho pensato di averlo mandato nel regno di Ade. Sembra che questo mio arco sia di scarsa utilità. Ho già mirato a due capi, Menelao e Diomede, e li ho feriti entrambi, ma so sono subito rialzati a compiere gesta eroiche sempre più grandi”.
“In un’ora nefasta
Ho preso il mio arco e la faretra al muro appese
E sono venuto qui a guidare i Troiani per amore
Di Ettore. Ma se mai dovessi tornare
a rivedere il mio paese natale e mia moglie
E la mia casa alta e spaziosa, possa qualche nemico
Tagliami la testa se con queste mani non
Faccio subito a pezzi questo mio arco, lanciandolo
Tra le fiamme; un’arma divenuta inutile adesso.”Omero, Iliade , Libro V
Il triello: Pandaro ed Enea contro Diomede
Ma Enea gli fece ancora mettere alla prova la sua abilità al grande arciere. Prendendo Pandaro con sé sul suo stesso carro, si recò rapidamente dove Diomede stava uccidendo i Troiani con la sua terribile spada. Stenelo, compagno e auriga di Diomede, li vide arrivare e consigliò al suo amico di ritirarsi e di non rischiare la vita in una contesa con due eroi come Enea e Pandaro, uno figlio di una dea, e l’altro che eccelleva su tutti nell’uso dell’arco. Ma Diomede rifiutò con decisione di ritirarsi dal conflitto. E nemmeno acconsentì a salire sul suo carro, come Stenelo lo esortava a fare.
«Come sono io», disse, «avanzerò contro di loro, perché Atena mi ha reso impavido. E se sarà mia fortuna ucciderli entrambi, prendi tu, Stenelo, i cavalli di Enea e guidali nelle file di i Greci. Preziosi premi saranno per loro. Sono di quella stirpe celeste che Zeus diede al re Troo come compenso per suo figlio Ganimede».
Ma ora il carro di Enea era a portata di mano. Questa volta Pandaro usò la sua lancia, che scagliò con grande forza. Questa colpì lo scudo di Diomede e, trapassandolo, si conficcò nel suo pettorale. Con un grido di gioia Pandaro esclamò: “Ora, penso di averti inflitto il colpo mortale!”.
Morte di Pandaro
“Non è così”, rispose il figlio di Tideo, “tu hai mancato il tuo bersaglio, ma almeno uno di voi morirà”. Mentre così parlava, scagliò la sua lancia. Diretta da Atena, l’arma volò dritto in faccia allo sfortunato Pandaro. Il suo corpo cadde a terra senza vita.
Così Parlò Diomede e, alzandosi, scagliò il suo potente dardo,
Il quale, spinto da Pallade, trafisse una parte vitale;
In pieno volto penetrò, e tra Il naso
E l’occhio infilzò l’orgoglioso figlio di Licia;
Spaccandogli la mascelle e trafiggendo alla radice la lingua,
Finché la punta scintillante non balzò fuori da sotto il mento.
Pandaro cade a capofitto, il suo elmo cade a terra;
La terra geme sotto di lui, e le sue armi risuonano;
I cavalli in corsa tremano di paura;
L’anima indignata cerca i regni della notte.Omero, Iliade , Libro V
Immediatamente Enea balzò giù dal suo carro, con lo scudo e la lancia, per difendere il corpo del suo eroico compagno dall’essere depredato dai Greci. Questa era una delle usanze della guerra a quei tempi. Quando un eroe veniva ucciso in battaglia, il nemico gli portava via armi e armature come trofei di vittoria. Ma Enea fece del suo meglio per proteggere il cadavere del suo amico caduto e impedire che fosse così disonorato.
Vigile ruota intorno, lo protegge in ogni modo,
Come torvo leone che circonda la sua preda.
Ove giace la carcassa, la sua lancia allunga
Il suo ampio scudo mostra,
Nasconde l’eroe con la sua potente ombra,
E minaccia ad alta voce i greci, con occhi ruggenti
“Guarda, ma stai alla larga! Qui niente trofei!”Omero, Iliade , Libro V
Salvataggio in corner di Enea
Ma Diomede, più coraggioso degli altri, prese una grande pietra e la scagliò contro Enea.
Quell’enorme peso non riuscirebbero a sollevarlo due uomini forti,
intendo uomini come quelli di oggigiorno, tutti un branco di smidollati.Omero, Iliade, Libro. V
Essa colpì l’eroe troiano sul fianco, lacerando la carne e schiacciando l’articolazione. Enea cadde sulle ginocchia, una nebbia scura gli coprì gli occhi. Sarebbe morto in quel momento, passato a fil di spada dal furioso Diomede se sua madre, Atena, non fosse venuta subito in suo aiuto. Con la sua veste splendente la dea fece da scudo al suo corpo, e allargando le braccia intorno a lui lo portò via dalla battaglia. Allora Stenelo non dimenticando l’ordine del suo amico, si precipitò in avanti e, afferrando i destrieri del principe dardanide, li spinse verso il campo greco.
Diomede all’inseguimento di Afrodite
Ma Diomede si mise all’inseguimento di Afrodite. L’aveva vista e riconosciuta mentre scendeva sul campo, Atena gli aveva dato il potere della vista di distinguere gli dèi dagli uomini. La dea inoltre, come abbiamo detto, gli aveva ordinato di ferire Afrodite se essa fosse entrata in campo. Quando dunque Diomede ebbe raggiunto Venere, mentre portava via l’eroe troiano, la colpì con la sua lancia e le trafisse la pelle delicata. Dalla ferita sgorgò l’Icore, come veniva chiamato il sangue degli dei.
L’Icore, tale –
Come solo dagli dèi benedetti può sgorgare, perché essi
non mangiano il pane fatto col grano e non bevono vino scuro;
e perciò sono senza sangue e sono chiamati
Immortali.Omero, Iliade, Libro V
Gridando forte di dolore, la dea lasciò cadere il figlio dalle sue braccia, ma Apollo lo avvolse in una fitta nuvola, salvandolo così dall’ira dei Greci furiosi. Nel frattempo l’agile Iris scese a sua volta dal cielo in aiuto di Afrodite, che la condusse là dove sedeva Marte alla sinistra del campo di battaglia, osservando il conflitto.
Lì la dea fu accolta affettuosamente da sua madre, Dione che asciugò l’icore dalla mano di Afrodite, e al suo tocco la ferita guarì e il dolore cessò.
(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)
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Apollo, attaccato da Diomede, lo avverte di non confrontarsi con gli immortali. Quindi Ares scende nel campo di battaglia per aiutare i Troiani. Riconoscendo il dio della guerra, Diomede protegge gli Achei ordinando loro di ritirarsi verso le loro navi. Era e insieme ad Atena, viene in aiuto dei Greci. Quando Atena vede Diomede lo deride per la sua ritirata. Diomede risponde che gli aveva ordinato di non attaccare gli dèi. Atena invita il mortale ad attaccarlo perché avrà la sua protezione. Diomede e Atena salgono sul carro e si dirigono verso Ares. La dea Indossa anche l'elmo di Ade, che la rendendo invisibile anche agli dei. Ares vede solo Diomede sul carro e gli scaglia contro la sua lancia che viene deviata da Atena. Diomede poi getta contro la sua (guidata da Atena) verso Ares, ferendolo. Il dio urla con la voce di diecimila uomini e fugge. Diomede diviene così l'unico essere umano a ferire due dèi olimpici in un solo giorno.
(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)