- Un figlio debosciato
- Invidioso del fratello e forse suo assassino
- Domiziano diventa Cesare
- Da saggio imperatore a tiranno il passo può essere breve
- La spedizione mezza farsa contro i Catti
- Ti condanno a morte…ma con gentilezza!
- La tortura psicologica contro i senatori
- Niente filosofi, siamo Romani!
- Vuoi far ammazzare pure me? Ma io sono tua moglie!
- La congiura e la morte
- Bilancio del regno di un tiranno
Pompei (in latino Pompeji) era una delle tre città dell'antica Roma nel Golfo di Napoli nella provincia imperiale d'Italia (oggi la regione Campania), che fu distrutta il 24 agosto 79 da un'eruzione del vulcano Vesuvio. Insieme a Pompei furono distrutte anche le città di Ercolano e Stabia. La cenere vulcanica che ricopriva le città ha conservato perfettamente gli edifici e gli oggetti e ha permesso così di conoscere l'aspetto di una città di medie dimensioni dell'Antica Roma e la vita dei suoi abitanti. Pompei, la cui storia risale al IX secolo aC, terminò quindi la sua esistenza nell'anno 79 dC. quando a causa dell'eruzione fu ricoperta da uno strato alto 6 metri di cenere e ciottoli lavici. La sua riscoperta e gli scavi archeologici di Pompei, iniziati nel 1748, hanno dato origine a un sito archeologico che nel 1997 è entrato a far parte dell'elenco del Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO, e che è il secondo monumento italiano più visitato dopo il sistema il Colosseo, il Foro Romano e il Palatino.
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Domiziano o con il nome completo T. Flavio Domiziano Augusto, era il più giovane dei figli di Vespasiano dalla prima moglie Domitilla. Succedette al fratello maggiore Tito come imperatore e regnò dall’81 al 96 d.C. e fu il rovescio della medaglia dei Flavi.
Nacque a Roma il 24 ottobre del 52 d.C., anno in cui il padre era il console designato. Svetonio racconta che Domiziano in gioventù condusse una vita così miserabile, da non possedere mai i soldi neppure per comprarsi un semplice oggetto insignificante e che arrivò persino a prostituirsi per denaro.
Un figlio debosciato
La posizione che il padre occupava allora, tuttavia, ci consente di esclude con certezza la possibilità di poter attribuire questo stile di vita ad una condizione di povertà vera e propria e, se il racconto è vero, dobbiamo attribuire questo suo stato di eterno squattrinato, piuttosto alla sua cattiva disposizione naturale; insomma, il ragazzo era probabilmente un vero e proprio scialacquatore.
Quando Vespasiano fu proclamato imperatore, Domiziano, che aveva allora diciotto anni, si trovava a Roma, dove lui e i suoi amici erano perseguitati da Vitellio; Sabino, fratello di Vespasiano, fu assassinato e solo con grande difficoltà Domiziano riuscì a fuggire dal tempio del Campidoglio in fiamme,travestito da sacerdote, e a nascondersi fino a quando il partito di suo padre non raggiunse la vittoria.
Dopo la caduta di Vitellio, Domiziano fu proclamato Cesare e ottenne il pretorio cittadino con potere consolare. Poiché il padre era ancora assente in Oriente, Domiziano e Muciano si occuparono dell’amministrazione dell‘Italia fino al ritorno di Vespasiano. Ma il potere che era stato messo nelle sue mani fu abusato da questo giovane dissoluto in un modo che mostrò al mondo, e assai chiaramente, cosa c’era da aspettarsi da lui in futuro, se mai fosse succeduto al trono imperiale: mise a morte diverse persone, solo per appagare il desiderio di vendicarsi dei suoi nemici personali; sedusse molte mogli altrui, visse circondato da una sorta di harem, depose e nominò arbitrariamente così tanti magistrati, sia in città che in Italia, che suo padre con un amaro sarcasmo, una volta gli scrisse: “Mi meraviglio che tu non mandi qualcuno a succedermi”. Geloso della gloria militare del padre e del fratello, decise di marciare contro Civilis in Gallia, nonostante il consiglio di tutti i suoi amici di rimanere a Roma; ma non andò oltre Lugdunum, perché al suo arrivo ricevette la notizia che Cereale aveva già sconfitto il ribelle.
Quando il padre arrivò a Roma, si racconta che Domiziano, consapevole della sua cattiva condotta, non osasse incontrarlo e fingesse di non essere perfettamente in possesso della sue facoltà mentali.
Vespasiano, tuttavia, conosceva la sua indole e per tutto il suo regno lo tenne il più possibile lontano dagli affari pubblici; ma per mostrare il suo rango e la sua posizione, Domiziano accompagnava sempre il padre e il fratello quando apparivano in pubblico e, quando celebrarono il loro trionfo dopo la guerra giudaica, li seguì nel corteo a cavallo di un destriero bianco.
Visse in parte nella stessa casa del padre e in parte in una tenuta vicino al Mons Albanus, dove era circondato da numerosi cortigiani. Mentre trascorreva la sua vita privata, dedicava gran parte del suo tempo alla composizione di poesie e alla recitazione delle sue opere.
Invidioso del fratello e forse suo assassino
A Vespasiano, morto nel 79 d.C., successe il figlio maggiore Tito, e Domiziano era solito dire pubblicamente di essere stato privato della sua parte di governo da un falso presente nel testamento del padre, poiché era stato desiderio di quest’ultimo che i due fratelli regnassero in comune.
Ma si trattava di una mera calunnia: Domiziano odiava il fratello e attentò più volte alla sua vita. Tito si comportò con la massima tolleranza nei suoi confronti, proprio come si fa con un fratello scemo, ma seguì l’esempio del padre non permettendo a Domiziano di prendere parte all’amministrazione degli affari pubblici, sebbene fosse stato investito del consolato per sette volte durante i regni sia del padre e del fratello.
La morte prematura di Tito, nell’81 d.C., fu con ogni probabilità opera di Domiziano. Svetonio afferma che Domiziano ordinò di lasciare Tito, ormai malato, completamente solo, in attesa che egli fosse effettivamente morto; Dione Cassio dice che egli accelerò il suo decesso ordinando di metterlo in una vasca piena di neve mentre era in preda alla febbre; e altri scrittori affermano chiaramente che Tito fu invece proprio avvelenato o ucciso da Domiziano. In realtà egli fu sospettato di avere accelerata col veleno la morte d’entrambi: Vespasiano e Tito.
Domiziano diventa Cesare
Alle idi di settembre dell’81 d.C., giorno della morte di Tito, Domiziano fu proclamato imperatore dai soldati. Durante i primi anni del suo regno continuò ad assecondare strane passioni, ma Svetonio osserva che manifestò una miscela abbastanza equa di vizi e virtù.
Tra queste ultime dobbiamo ricordare che mantenne una severa supervisione sui governatori delle province, tanto che si dice che durante il suo regno fossero più giusti di quanto non lo siano mai stati in seguito.
Emanò anche diverse leggi utili: proibì, ad esempio, la castrazione dei figli maschi e limitò la crescente coltivazione della vite, trascurando la crescita del grano.
Si sforzò di correggere la condotta frivola e licenziosa delle classi più elevate e diede prova di grande liberalità e moderazione in molte occasioni.
Inoltre, prese parte attiva all’amministrazione della giustizia; questa condotta, per quanto lodevole, divenne in seguito disgustosa, quando, assistito da una vasta classe di delatores, rese apertamente la giustizia schiava della sua crudeltà e della sua tirannia; infatti, negli ultimi anni del suo regno agì come uno dei tiranni più crudeli che abbiano mai disonorato un trono e, come osserva Svetonio, le sue stesse virtù si trasformarono in vizi.
Da saggio imperatore a tiranno il passo può essere breve
La causa di questo cambiamento nella sua condotta sembra essere, indipendentemente dalla sua naturale inclinazione per il male, l’ambizione smisurata, la vanità ferita, la gelosia nei confronti degli altri e la viltà, che furono risvegliate e alimentate dal fallimento delle sue imprese e da altri avvenimenti del tempo.
La clemenza, la liberalità e la giustizia, fra le benedizioni del popolo, dell’inizio del suo regno, ben presto cedettero a una vanità incredibile e non tardando a scoprire la perversità del suo carattere. I giochi, gli sport, e in particolare il tiro con l’arco, erano le sue principali occupazioni. Egli era così abile nel colpire con la freccia un bersaglio, che spesso metteva uno schiavo ad una certa distanza, ordinandogli di tenere la mano aperta, e poi scoccava il dardo facendolo passare attraverso l’apertura delle dita del servo, senza minimamente ferirlo.
Il festival delle arti e dello sport
Ogni cinque anni organizzava tornei di abilità fra musici, cavallerizzi e lottatori, offrendo ricchi premi ai vincitori; ma d’altra parte cacciò di Roma i filosofi, i matematici e superò tutti gli imperatori del passato, nell’offrire al popolo spettacoli di gran varietà e molto dispendiosi. Il carattere ignobile delle sue private occupazioni, faceva singolare contrasto con la sua pomposa ostentazione in pubblico.
La caccia alle mosche
Chiuso nelle sue stanze private, era solito dare caccia alle mosche, e infilzarle con uno spillone. Un cortigiano, cui una volta fu chiesto se l’imperatore fosse da solo, rispose che Domiziano non era in compagnia neppure di una mosca. I suoi vizi parevano aumentare ogni giorno: incontinenza, invidia, paura, crudeltà ed avarizia, non ne mancava nessuno. Si guadagnò la fedeltà dei soldati aumentatogli la paga, e quella della plebe con gli spettacoli, i doni e le distribuzioni gratuite. Con lui tornarono i delatori, desiderosi di arricchirsi con le confische, ritornando ai tempi spaventosi di Tiberio.
La spedizione mezza farsa contro i Catti
Nell’84 d.C. intraprese una spedizione contro i Catti, un popolo germanico, che non sembra essere stata del tutto infruttuosa, poiché da Frontino (Strategia 1. 3) apprendiamo che costruì il muro di confine tra i Germani liberi e quelli sottomessi a Roma, così che dovette in ogni caso riuscire a confinare i barbari all’interno del loro territorio. Dopo il suo ritorno a Roma celebrò un trionfo e assunse il nome di Germanico.
I detrattori sostengono invece che fu solo per invidia della gloria militare di Agricola, che intraprese questa spedizione contro i Catti, popolo germanico: senza neppure aver visto il nemico, volle entrare a Roma con gli onori del trionfo. Fece travestire parecchi schiavi con vesti germaniche, e li fece sfilare come prigionieri di guerra in una ridicola processione di vittoria, fra le grida di evviva simulate e il disprezzo autentico di tutti i suoi sudditi. Questa stessa commedia la ripeté col trionfo sui Daci e sui Sarmati, che era riuscito ad allontanare dal territorio dell’impero da essi invaso, solo elargendogli grosse somme di danaro.
Nello stesso anno Agricola, i cui successi e meriti suscitavano la sua gelosia, come abbiamo detto, fu richiamato a Roma, apparentemente per celebrare un trionfo; ma poi non fu mai rimandato al suo posto, che fu assegnato invece ad un’altra persona.
L’umiliazione contro Decebalo
Il nemico più pericoloso di Roma in quel periodo era Decebalo, re dei Daci. Domiziano stesso scese in campo contro di lui, ma la vera gestione della guerra fu lasciata ai suoi generali. Contemporaneamente a questa guerra ne fu portata avanti un’altra contro i Marcomanni e i Quadi, che si erano rifiutati di fornire ai Romani l’assistenza contro Decebalo, a cui erano obbligati da un trattato.
I Romani furono da loro sconfitti e di conseguenza Domiziano fu costretto a concludere una pace con Decebalo a condizioni molto umilianti per Roma, nell’87 d.C. Un altro evento pericoloso fu la rivolta di L. Antonio nella Germania superiore; ma questa sollevazione fu fortunatamente scongiurata da un inaspettato straripamento del Reno oltre le sue sponde, che impedì agli ausiliari tedeschi, che Antonio aspettava, di unirsi a lui; così il ribelle fu facilmente sconfitto da L. Appio Norbano, nel 91 d.C. Un’insurrezione dei Nasamoni in Africa fu di minore importanza e fu facilmente repressa da Flacco, governatore della Numidia.
Ti condanno a morte…ma con gentilezza!
Domiziano intanto, sempre più incline alle follie e alla vanità, ordinò che non gli si innalzassero simulacri se non d’oro o d’argento, che gli fossero resi onori divini; e che parlando di lui gli si dessero gli stessi titoli che si davano agli Dei.
Ma sono la crudeltà e la tirannia di Domiziano ad aver dato al suo regno una notorietà poco invidiabile. Le sue tendenze naturali esplosero con nuovo furore dopo la guerra dacica. La sua paura e il suo orgoglio ferito e la sua vanità lo portarono a gioire delle disgrazie e delle sofferenze di coloro che odiava e invidiava; e gli uomini più illustri del tempo, soprattutto tra i senatori, dovettero versare il proprio sangue per scontare la loro eccellenza; mentre, d’altra parte, cercò di conquistare il popolo e i soldati con grandi donazioni, e con giochi pubblici e combattimenti nel circo e nell’anfiteatro, in cui persino le donne apparivano tra i gladiatori, e in cui lui stesso si dilettava molto.
Per lo stesso motivo, come abbiamo detto, aumentò la paga dei soldati, e le somme che spendeva erano ottenute dai ricchi con la violenza e perfino l’omicidio.
Molti senatori illustri ed altri ragguardevoli cittadini per lievi sue ombre di sospetto furono fatti morire. Un moto delle legioni germaniche, fallito per un caso fortuito, accrebbe la barbarie di Domiziano che, per investigare chi vi avesse avuto parte in alcun modo, trovò nuove forme di tortura.
Alla crudeltà più raffinata, accoppiava l’insulto di fingersi dolente per la sentenza di morte, che pronunciava contro gli infelici da lui condannati. Ad uno dei dignitari del suo palazzo diede grandi segni di benevolenza e d’amicizia, e gli mandò perfino un piatto della sua mensa, il giorno prima di farlo inchiodare sulla croce.
Fece entrare Arretino Clemente al proprio cospetto in lettiga, il giorno stesso in cui lo condannò al supplizio. Il suo odio contro i senatori e la nobiltà cresceva ogni giorno di più, minacciando a più riprese di sterminarli.
La tortura psicologica contro i senatori
Ora faceva circondare il palazzo del senato dai suoi soldati per mettere spavento ai senatori, ora li invitava a pubbliche feste e inventava nuovi modi per sbigottirli. Una notte li condusse in un ampia sala parata a lutto, e illuminata da poche lampade mezzo spente, tanto che si vedesse confusamente il lugubre e ferale paramento. Tutt’intorno, vi erano delle bare con scritto sopra il nome di ciascun senatore, e qua e là sparsi c’erano vari strumenti di morte.
Mentre gli inviati fissavano, ammutoliti e angosciati, tuto quel lugubre apparato, diversi sicari dipinti a nero, entrarono nella sala, tenendo una fiaccola in una mano e una spada brandita nell’altra; poi essi cominciarono a danzare intorno ai senatori. Cosicché costoro, conoscendo la bizzarra crudeltà di Domiziano, aspettavano la loro fine e già sentivano di essere vicini alla morte, quando si aprirono ad un tratto le porte: uno dei servi dell’imperatore annunziò loro che erano liberi di andarsene.
Quando alla fine si trovò nell’impossibilità di ottenere i mezzi per continuare a pagare i suoi soldati, fu costretto a ridurne il numero. Le province erano meno esposte alla sua tirannia, e furono soprattutto la città di Roma e l’Italia a sentire su di sé il peso del suo pugno di ferro.
La libera espressione del pensiero e dei sentimenti era soppressa o atrocemente perseguitata, a meno che gli uomini non si degradassero per adulare il tiranno. La paura e il silenzio spaventoso che prevalsero durante gli ultimi anni del regno di Domiziano a Roma e in Italia sono brevemente ma energicamente descritti da Tacito nell’introduzione alla sua Vita di Agricola, e i suoi vizi e la sua tirannia sono esposti con le tinte più forti dalla satira pungente di Giovenale.
Niente filosofi, siamo Romani!
Tutti i filosofi che vivevano a Roma furono espulsi; da ciò, tuttavia, non possiamo dedurre, come fanno alcuni scrittori, che egli odiasse tutte le attività filosofiche e scientifiche; la causa, con ogni probabilità, non era altro che la sua vanità e la sua ambizione, che non potevano sopportare di essere criticate da altri. Gli scrittori cristiani gli attribuiscono anche una delle persecuzioni contro di loro; ma non ci sono altre prove a riguardo, e l’accusa sembra essere nata dalla severità con cui esigeva il tributo dagli ebrei, che potrebbe aver causato molte sofferenze anche agli stessi cristiani.
Vuoi far ammazzare pure me? Ma io sono tua moglie!
Come in tutti i casi simili, la crudeltà del tiranno portò lui stesso alla rovina. Fra le persone che egli amava di più ed aveva al tempo stesso in sospetto, vi era anche Domizia, sua moglie, che egli aveva tolta ad Elio Lama, suo primo marito; quindi ripudiata e poi di nuovo richiamata a sè.
Scrissero alcuni, che Domiziano fosse solito annotare su tavolette, che sempre portava con sè, i nomi di coloro che voleva vedere morti. Per caso, Domizia riuscì a leggere una di quelle tavolette: fu colpita dall’orrore nel leggere il proprio nome fra quelli dei condannati a morte.
La congiura e la morte
Domizia comunicò quindi la lista fatale a Norbano ed a Petronio, prefetti delle guardie pretoriane, che vi trovarono anche il proprio nome, come quello di Stefano, impiegato nel palazzo.
Tre ufficiali della sua corte dunque, Partenio, Sigerio ed Entello, tutti segnati nella lista di morte di Domiziano, formarono una congiura contro ldi lui. Stefano, il liberto alle dipendenze dei congiurati, riuscì a farsi ammettere nella stanza da letto dell’imperatore e gli consegnò una lettera da leggere.
Mentre Domiziano stava leggendo questa missiva, in cui gli veniva rivelato il piano di alcuni cospiratori, Stefano gli conficcò un pugnale nell’addome. Ne seguì una violenta lotta tra i due, fino all’arrivo degli altri congiuranti. Domiziano cadde, dopo aver ricevuto sette ferite, il 18 settembre del 96 d.C.. Si dice che Apollonio di Tiana, che allora si trovava a Efeso, nel momento in cui Domiziano fu assassinato a Roma, corse sulla piazza del mercato ed esclamò: “È giusto, Stefano, uccidi l’assassino!”. Con lui non solo si chiude la dinastia dei Flavi, ma fu anche l’ultimo dei Dodici Cesari, i primi imperatori di Roma di cui Svetonio, che visse sotto Adriano, dedicò la sua serie di biografie.
Bilancio del regno di un tiranno
Sono pochi i sovrani che meglio di Domiziano meriterebbero l’appellativo di tiranno crudele. Gli ultimi tre anni del suo regno furono uno dei periodi più spaventosi che si siano verificati nella storia dell’uomo; egli non può essere definito un mostro brutale o un pazzo come Caligola e Nerone, perché egli possedeva talento e una mente colta; e sebbene Plinio e Quintiliano, che pongono le sue produzioni poetiche accanto a quelle dei più grandi maestri, siano ovviamente colpevoli di adulazione servile, tuttavia le sue opere scritte non possono essere state del tutto prive di merito. La sua predilezione e la sua stima per la letteratura sono testimoniate dal concorso quinquennale, di cui abbiamo già accennato, che istituì in onore di Giove Capitolino, una parte del quale consisteva in una gara musicale.
Sia gli scrittori di prosa che i poeti in greco e in latino recitavano le loro opere e i vincitori venivano premiati con corone d’oro. Inoltre istituì la pensione per i retori illustri, di cui godeva Quintiliano; e se guardiamo alla condizione relativamente fiorente della letteratura romana in quel periodo, non possiamo fare a meno di pensare che fosse, almeno in parte, la conseguenza dell’influenza che egli esercitava e dell’incoraggiamento che offriva.
È estremamente probabile che si possieda ancora una delle produzioni letterarie di Domiziano, la parafrasi latina dei Phaenomena di Arato, solitamente attribuita a Germanico, nipote di Augusto. Gli argomenti a favore di questa opinione sono stati chiaramente esposti da Rutgersius (Var. Lect. iii. p. 276), ed è adottata anche da Niebuhr. (Tac. Hist. iii, 59, &c., 4.2, &c., Agric. 39, 42, 45; Suet. Domiziano; Dio Cass. lib. lxvi. e lxvii; Giovenale, Satir; Quint. Inst. 4.1.2, &c., 10.1.91, &c.; Niebuhr, Lectures on Roman Hist. ii. pp. 234-250).
Lo Stadio di Domiziano
Noto anche come Campus Agonis era uno stadio romano situato nella parte settentrionale di Campo Marzio a Roma, commissionato intorno all’80 d.C. dall’imperatore Domiziano per il popolo di Roma, soprattutto per assistere alle gare atletiche e corse di cavalli. Era lungo 265 metri, largo 106 e poteva ospitare 30.000 spettatori.
L’arena del vecchio stadio corrisponde oggi alla trafficata Piazza Navona, nel rione Parione di Roma. Il nome attuale della Piazza infatti è una successiva storpiatura di Piazza “in Nagoni” cioè “in Agone” (a sua volta derivato dal nome latino Campus Agonis appunto). Il luogo fu utilizzato di nuovo per tenervi giochi ludici già nella seconda metà del XV secolo, durante il regno di Papa Paolo II, nel Carnevale e nel 1476, durante una giostra organizzata dalla famiglia di papa Sisto IV.
Nell’Ottocento nella piazza si tennero anche delle corse di cavalli.
(Libera traduzione da “A Dictionary of Greek and Roman biography and mythology” di John Murray, 1873 con integrazioni da Manuale di storia romana di Luigi Schiaparelli, 1865 con aggiunte e integrazioni)
Nel prossimo episodio – > : Nerva fu nominato dal Senato come successore di Domiziano e fu il primo imperatore che non dovette il suo avanzamento alla forza o all’influenza militare. Associò a sé Marco Ulpio Traiano, allora al comando dell’esercito sul Reno. Nerva regnò solo sedici mesi, ma durante questo periodo ristabilì la tranquillità tra il popolo, conferendo felicità e prosperità a ogni classe sociale.