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GLI SCHIAVI
Reading Time: 8 minutesLa schiavitù nell'antica Roma implicava una riduzione quasi assoluta dei diritti di coloro che detenevano questa condizione, convertiti in semplice proprietà dei loro proprietari. Col passare del tempo, i diritti degli schiavi aumentarono. Tuttavia, anche dopo la manomissione (manumissio), uno schiavo liberato non godeva di molti dei diritti e privilegi dei cittadini romani. Si stima che più del 30% della popolazione dell'Antica Roma fosse costituita da schiavi.
Le donne erano totalmente soggette agli uomini, avevano lo status di cittadine, al contrario che in Grecia, ma non potevano votare.
Diritti
Le donne di Roma non avevano diritti civili, cioè rimanevano sotto la patria potestas, del padre prima e del marito poi, per tutta la vita. Non potevano partecipare alla vita della città. Tuttavia mentre la donna nella città di Atene doveva uscire di casa accompagnata da uno schiavo e non poteva assistere a giochi e agli spettacoli teatrali, le donne romane avevano invece il diritto di recarsi da sole nei luoghi pubblici. Un segno del disinteresse per la condizione delle donne, sta nel fatto che esse non veninvano neppure recensite. Fu solo nel III secolo che l’imperatore Diocleziano tentò di inserirle nel censimento. La donna romana non aveva un suo tempo libero, si occupava tutto il tempo di allevare solo i bambini e si prendeva cura della casa.
Le donne non potevano ricoprire nessun incarico, ad esempio magistrato, senatore, tribuno ecc. e non potevano servire nell’esercito. Anche le imperatrici erano tali solo come consorti, non a pieno titolo. I matrimoni comunque servivano a cementare alleanze e successioni, come quando Augusto diede in moglie sua figlia Giulia a Marcello, poi ad Agrippa e infine a Tiberio nel tentativo di stabilire una dinastia attraverso il suo unico discendente. Se un imperatore lasciava solo una figlia, la successione passava a un parente maschio o a un altro uomo.
Le donne non avevano quasi nessuna personalità giuridica se non quella di figlia, sorella, moglie o madre di un uomo. Vespasiano (69-79 d.C.) promulgò una legge che stabiliva che qualsiasi donna che avesse avuto una relazione con uno schiavo avrebbe dovuto essere trattata come una schiava a sua volta.
Le donne romane non alcun diritto legale sui loro figli. I figli indesiderati potevano essere esposti, il che significava per loro la morte o la riduzione in schiavitù. Se il marito moriva, il patrimonio passava al figlio maschio e la donna poteva ritrovarsi nullatenente
La mortalità infantile era molto alta e infinite erano le preoccupazioni per far nascere e crescere un figlio sano che vivesse fino all’età adulta e potesse ereditare il patrimonio del padre.
L’istruzione
Le donne erano generalmente escluse dall’istruzione, riservata solo ai maschi. Tuttavia ad alcune ragazze di famiglia benestante veniva insegnato a leggere e scrivere ed erano conosciute come doctae puellae, “ragazze istruite”.
Dopo l’assassinio di Cesare nel 44 a.C., il Secondo Triumvirato impose pesanti tasse a chiunque fosse implicato con i cospiratori. Una donna di nome Ortensia (figlia dell’oratore Quinto Ortensio) pronunciò un discorso ai Triumviri nel 42 a.C. a nome delle mogli degli uomini colpiti dal provvedimento. Questo discorso venne trascritto e studiato negli anni successivi come esempio di retorica eccezionale e non solo perché pronunciato da una donna.
Età della vita
Le ragazze e le donne anziane avevano varie tappe nella loro vita:
L’età della vita di una donna romana
- Da 0 a 7 anni, si chiamava “infans” (= bambino o bambina).
- Dai 7 anni alla prima mestruazione (cioé 10 anni) si chiamava “puella” (= fanciulla).
- Dalla prima mestruazione al matrimonio si chiamava “virgo” (= giovane nubile)
- Dal matrimonio al primo figlio si diceva “uxor” (= moglie)
- Dal primo figlio alla menopausa si diceva “matrona” (= madre di una famiglia)
- Dalla menopausa alla morte, si chiamava “anus decrepita” (= vecchia)
La donna romana è soprattutto una matrona che dà un erede alla famiglia. Passa dall’autorità del padre a quella del marito molto presto: a 15 anni in media, poteva succedere anche a 12. Il matrimonio presentava due forme che mostrano ancora lo stato di minorità della donna: o è sotto l’autorità della propria famiglia “sine manu”; oppure è sotto l’autorità esclusiva del marito “cum manu”.
Nell’antica società romana, la matrona era la madre dignitosa e rispettabile incaricata del buon mantenimento della casa e dell’educazione dei figli. Le matrone avevano le loro feste il 1 marzo Matronalia. Tra le matrone ammirate dai romani si possono citare Aurelia Cotta (madre di Giulio Cesare) e Atia (madre di Augusto).
La prima forma di matrimonio è un matrimonio rituale, ufficiale e sacro mentre la seconda forma è un matrimonio più popolare che consentiva il divorzio, il che però era eccezionale. Tra i ricchi, il matrimonio era solitamente combinato. Le ragazze si sposavano tra i 12 e i 14 anni. Il marito che avrebbe dovuto prendersi cura di sua moglie era spesso più anziano. La moglie non cambiava il suo cognome. Era conosciuta con il nome femminilizzato della gens a cui apparteneva: così molte donne della gens Julia si chiamavano appunto Giulia, la madre dei Gracchi, della gens Cornelii, si chiamava Cornelia. Le donne avevano un solo nome, quello appunto del padre declinato al femminile a differenza degli uomini, che ne avevano tre. L’età massima per la prima gravidanza era tra i 20 anni e 25 anni.
Condizione
La società romana maschilista e patriarcale, esaltava nella donna le virtù morali e domestiche, e doveva avere un comportamento onorevole nella vita pubblica e privata. Nel 215 a.C., durante la seconda guerra punica, la lex Oppia impose limiti al diritto delle donne di possedere oro, indossare abiti elaborati o viaggiare in carrozze di pregio. Fu abrogata nel 195 a.C. nonostante la contrarietà di conservatori radicali come Marco Porcio Catone.
Nel I secolo a.C. le donne conquistarono nuovi diritti. Raggiunta l’età di 25 anni potevano avere una proprietà propria e divorziare dal marito se lo desideravano. Le donne arrivavano in realtà anche a svolgere un ruolo più importante nella società, sebbene non potessero assumere incarichi ufficiali e fossero pur sempre confinate al ruolo di mogli e madri. Augusto penalizzava il celibato e il nubilato, per esempio negando ai non sposati il diritto di ereditare, ma premiava invece coloro che si sposavano e avevano figli.
La punizione corporale della propria moglie non era avversata, anzi, era addirittura considerata pienamente legittima se il marito riteneva che si fosse comportata male. Uno dei casi più estremi fu quello di Egnatius Mecenius, che picchiò a morte la moglie perché aveva bevuto del vino. Naturalmente non ebbe alcuna conseguenza penale per questo suo gesto.
Col il tempo e con il corrompersi dei costumi, anche la fama delle donne romane perse quell’immagine di rispettabilità e divenne invece lo stereotipo della femmina viziosa.
Quando Settimio Severo fece una campagna militare in Britannia tra il 208 e il 211 d.C., stipulò un trattato con i Caledoni, popolazione della Scozia. Durante le trattative, l’imperatrice Giulia Domna prese in giro la moglie di un capo tribù chiamato Argentocoxus, dicendole che le donne britanniche andavano a letto con molti uomini diversi. La moglie di Argentocoxus replicò: “Noi soddisfiamo le esigenze della natura in modo molto migliore di quanto non facciate voi donne romane, perché noi ci uniamo apertamente con gli uomini migliori, mentre voi vi lasciate corrompere dagli uomini più vili in segreto”.
Vestiti
Per sostenere il seno, le donne indossavano sotto la tunica, una fascia pettorale senza spalline (strophium). Era una striscia di stoffa, colorata o meno, che veniva fatta passare il più delle volte sotto il seno (a volte sopra). Una delle estremità della striscia di tessuto veniva trattenuta temporaneamente sotto l’ascella sinistra, quindi la striscia veniva srotolata intorno al torace (come per una fascia da benda) e doveva essere fissata con una spilla di bronzo (o d’argento e d’oro per i ricchi), simili alle spille da balia. Alcune fasce erano mantenute da sottili cinghie che passavano sopra le spalle. Le donne corpulente, per slanciare la loro figura, si avvolgevano di fasce di tessuto attorno al busto (una specie di corsetto).
Al posto delle mutandine o degli slip si usava spesso una sorta di ban-dage (feminalia), anche se sono state trovate mutandine molto simili a quelle moderne. Sopra questi indumenti intimi si indossava una sottoveste (tunica interna).
L’abbigliamento femminile era costituito da tuniche più rispetto a quelle maschili. Su queste indossavano una veste larga di lana, chiamata stola, stretta in vita e che ricadeva ai piedi. Per uscire indossano un mantello, detto pallium, il cui drappo copriva anche il capo e uno scialle (palla). Le tuniche tinte viola divennero sempre più di moda, ma erano anche molto costose.
Le donne dell’alta società potevano permettersi la seta e una donna greca di nome Pamfila inventò un modo per tessere la seta in modo così fine che gli abiti facevano sembrare le donne praticamente nude.
Le scarpe erano come gli odierni sandali aperti in pelle, a volte decorati in modo elaborato con motivi intagliati.
Gioielli
Le ricche donne romane indossavano sempre gioielli. Amavano le pietre preziose, apprezzavano le perle e richiedevano gioielli sempre più preziosi come diademi, orecchini, collane, pendenti e bracciali.
Acconciatura e trucco
Le acconciature delle donne romane erano molto spesso complicate. A volte, quando i capelli non erano abbastanza lunghi,parrucche. Per il trucco, usavano la cerussa o biacca, come una sorta fondotinta per rendere la pelle molto bianca, Un fard carminio veniva usato per esaltare notevolmente gli zigomi e gli occhi erano truccati in stile arabo con una matita di piombo. Si depilavano abbondantemente con la resina.
I trattamenti cosmetici prevedevano l’uso di latte d’asina sulla pelle o addirittura di una gelatina ottenuta facendo bollire per 40 giorni un osso di vitello, e si usava per il trattamento delle rughe. L’antimonio era utilizzato come trucco per le sopracciglia e il caolino come polvere per il viso.
Donne emancipate
Nonostante la loro perenne condizione di minorità sociale (ma comunque sempre migliore che in Grecia) alcune donne romane riuscirono ad esercitare un’enorme influenza sugli uomini dell’epoca, specie quelli di potere. Agrippina la Giovane, sorella di Caligola e madre di Nerone, era praticamente l’imperatrice effettiva, fino a quando il figlio Nerone, l’erede al trono del soglio imperiale, non divenne adulto, e poi fino a quando non la fece uccidere non sopportando più i suoi intrighi e le sue ingerenze.
Alcune donne della dinastia dei Severi – Giulia Mesa, Giulia Soaemia e Giulia Mamaea – furono i veri sovrani occulti dietro le figure di Eliogabalo e Alessandro Severo. Ma anche donne di origini più modeste riuscirono a ritagliarsi ruoli di spicco:
Donne romane famose
Eumachia fu sacerdotessa pubblica a Pompei nella metà del I secolo, e anche matrona della Concordia Augusta, un culto imperiale istituito da Livia, vedova di Augusto. Membro di una delle famiglie più antiche di Pompei, è nota per aver guadagnato grandi ricchezze grazie ai propri meriti. Eumachia è passata alla storia come una rispettata imprenditrice e come levatrice dei Fullonica, la corporazione dei lavandai di Pompei economicamente significativa che raggruppava attività di tintoria e sartoria. È visto come un esempio rappresentativo del crescente coinvolgimento di molte donne in politica, che hanno utilizzato il potere di un ufficio pubblico, come quello di sacerdotessa, riuscendo ad elevarsi socialmente. Come simbolo del suo potere e della sua condizione sociale, la corporazione Fullonica gli dedicò una statua raffigurante Eumachia con il velo, con la scritta: “EVMACHIAE L F SACERD PVBL FVLLONES” “Ad Eumachia, figlia di Lucio, sacerdotessa pubblica, dei lavandai”
Sempronia nobile romana, Ex prostituta. Sposò il decimo Giunio Bruto, console nel 77 a.C. Era una donna di grande fascino personale, ballerina, musicista, coltivava hobby letterari ed era un’abile scrittrice, ma aveva un carattere licenzioso. Audace come un uomo, non si preoccupava minimamente del pensiero altrui. Era una predatrice di uomini ed era stata complice di omicidio. Costantemente indebitata a causa del suo stile di vita, secondo Sallustio, era spiritosa, affascinante, di ottima compagnia. Prese parte alla cospirazione di Catilina, senza che suo marito ne sapesse nulla.
Citeride o Volumnia era un’attrice liberta e prostituta alla metà del I secolo a.C. Il poeta Cornelio Gallo le dedicò dei versi. Ebbe relazioni amorose con uomini ai vertici della politica di potere romana, compresi Marco Antonio e Bruto. Cicerone, da buon moralista, la disprezzava e detestava, almeno apparentemente, facendone un esempio negativo della dissoluzione degli antichi costumi.