Ebe era la personificazione dell’eterna giovinezza sotto il suo aspetto più attraente e gioioso.
Era la figlia di Zeus e di Hera, e sebbene di così distinto rango, è tuttavia rappresentata come coppiera degli dèi; esemplificazione forzata dell’antica consuetudine patriarcale, secondo la quale le figlie della casa, anche di altissimo ceppo, assistevano personalmente nel servizio degli ospiti.
Ebe è rappresentata come una fanciulla avvenente e modesta, piccola, dai contorni del viso meravigliosamente aggraziati, con trecce color nocciola e occhi scintillanti. È spesso raffigurata mentre versa il nettare da un vaso sollevato o tiene in mano un piatto poco profondo, che si suppone contenga ambrosia, il cibo sempre rinnovatore della giovinezza degli immortali.
In conseguenza di un atto di goffaggine, che la fece scivolare mentre serviva gli dèi, Ebe fu privata del suo ufficio, che da allora in poi fu delegato a Ganimede, figlio di Tros.
Ebe poi divenne la sposa di Eracle, quando, dopo la sua apoteosi, egli fu ricevuto tra gli immortali.
Juventas
Juventas era la divinità romana identificata con Ebe, i cui attributi, tuttavia, erano considerati dai romani come applicabili più in particolare al vigore imperituro e alla gloria immortale dello stato.
A Roma furono eretti diversi templi in onore di questa dea.
(Libera rielaborazione e adattamento da E. M. Berens. “The Myths and Legends of Ancient Greece and Rome”, 1880)