Efesto, figlio di Zeus ed Hera, era il dio del fuoco nel suo aspetto benefico, e la divinità che presiedeva a tutta la lavorazione compiuta per mezzo di questo utile elemento. Era universalmente onorato, non solo come dio di tutte le arti meccaniche, ma anche come divinità della casa e del focolare, che esercitava un’influenza benefica sulla società civile in generale.
Si dice anche che fosse figlio della sola dea Hera (Esiodo Teog. 927) ma perchè era debole e brutto, la madre alla sua nascita lo gettò giù dall’Olimpo. Teti ed Eurinome dèe marine lo accolsero nel loro grembo e lo allevarono:
Venerevole Diva e d’onor degna
Nella casa mi venne. Ella malconcio
E afflitto mi salvò quando dal cielo
Mi feo gittar l’invereconda madre,
Che il distorto mio piè volea celato;
E mille allor m’avrei doglie sofferto
Se me del mar non raccogliean nel grembo
Del rifluente Océano la figlia
Eurínome e la Dea Teti. Di queste
Quasi due lustri in compagnia mi vissi,
E di molte vi feci opre d’ingegno,
Fibbie ed armille tortuose e vezzi
E bei monili, in cavo antro nascoso
A cui spumante intorno ed infinita
D’Oceán la corrente mormorava;(Iliade XVIII)
La defenestrazione dall’Olimpo
A differenza delle altre divinità greche, era, come abbiamo detto, brutto e deforme, goffo nei movimenti e zoppicava nell’andatura. Quest’ultimo difetto ebbe origine dall’ira di suo padre Zeus, che lo scagliò dal cielo anche lui, una seconda volta, dopo che egli ebbe preso le parti di Hera in uno dei loro litigi domestici, che tanto spesso sorgevano tra questa coppia reale e divina. Efesto precipitò per un giorno intero dall’Olimpo fin sulla terra, dove alla fine sbarcò nell’isola di Lemno. Gli abitanti del paese vedendolo discendere dal cielo, lo soccorsero; ma nonostante le loro cure, la sua gamba si ruppe per la caduta e rimase per sempre zoppo.
Afferrommi d’un piede e mi scagliò
Dalle soglie celesti. Un giorno intero
Rovinai per l’immenso e rifinito
In Lenno caddi col cader del Sole
Dai Sintii raccolto a me pietosi
(Iliade I)
La trappola per Hera
Grato per la gentilezza dei Lemni, da quel momento in poi prese dimora nella loro isola e lì si costruì un superbo palazzo e le fucine per svolgere la sua attività. Insegnò alle genti come lavorare i metalli e anche altre arti preziose e utili. Si dice che la prima opera di Efesto fu un ingegnosissimo trono tutto d’oro, munito di meccanismi segreti a molla che facevano scattare delle catene, che presentò alla madre Hera. Il congegno era disposto in modo tale che, una volta seduta, la dea si ritrovò subito incapace di muoversi, e sebbene tutti gli dei si sforzassero di liberarla, le loro fatiche furono vane.
Così Efesto si vendicò di sua madre e della crudeltà che aveva sempre mostrato verso di lui, della sua mancanza di dolcezza e di grazia nei suoi confronti. Dioniso, il dio del vino, riuscì però a far ubriacare Efesto e poi lo indusse a tornare nell’Olimpo, dove, dopo aver liberato la regina del cielo dalla sua posizione poco dignitosa, si riconciliò con i suoi genitori. Si costruì allora un glorioso palazzo sull’Olimpo, tutto d’oro splendente, e fece per le altre divinità quei magnifici edifici che poi essi abitavano.
“…che fabbricati
A ciascheduno avea con ammirando
Artifizio Vulcan (Efesto) l’inclito zoppo.”
Era assistito nella realizzazione delle sue meravigliose e ingegnose opere, da due statue dalle fattezze femminili, anche esse in oro puro, forgiate dalla sua stesa mano, che erano in realtà dei veri e propri automi che lo accompagnavano sempre dovunque andasse.
forme e figure
che Vulcano (Efesto) avesse congegnate
Di vaghe ancelle tutte d’oro e a vive
Giovinette simili entro il cui seno
Avea messo il gran fabbro e voce e vita
E vigor d intelletto e delle care
Arti insegnate dai Celesti il senno
Queste al fianco del Dio spedite e snelle
Camminavano
(Iliade XVIII)
Il bullismo degli dèi
Con l’aiuto dei Ciclopi, forgiò per Zeus i suoi meravigliosi fulmini, investendo così il suo potente padre di un nuovo terribile e importante potere. Zeus testimoniò il suo apprezzamento per questo prezioso dono, dando in matrimonio a Efesto la bella Afrodite, ma questa si rivelò ben presto una scelta discutibile; perché la bella Afrodite, che era la personificazione di ogni grazia e bellezza, non provava alcuna attrazione per quello sposo rozzo e assai poco attraente e si divertiva invece a ridicolizzare i suoi movimenti goffi e il suo aspetto sgradevole.
Specialmente in un’occasione, quando Efesto assunse bonariamente l’ufficio di coppiere degli dèi, il suo incedere zoppicante e la sua estrema goffaggine, suscitarono la più grande ilarità tra tutti gli déi celesti. Alla derisione generale, la sua sleale moglie fu la prima ad unirsi, con non celata allegria. Afrodite preferiva di gran lunga Ares al marito, e questa preferenza naturalmente suscitò molta gelosia da parte di Efesto e fu causa per lui di grande infelicità.
Un dio ingegnere
Efesto era una divinità indispensabile nel gruppo dei numi olimpici, nella quale ricopriva i ruoli di fabbro, armiere, costruttore di carri, ecc. Come già accennato, costruì i palazzi dove risiedevano gli dei, foggiò per loro dei calzari d’oro con cui potevano levitare sull’aria o sull’acqua, costruì loro meravigliosi carri, trainati dai cavalli di razza celeste bardati col bronzo, che trasportavano questi scintillanti schiere divine sulla terra e sul mare.
Realizzò anche dei tripodi che si muovevano da soli, all’interno o fuori dalle sale celesti; creò per Zeus la famosa Egida ed eresse il magnifico palazzo del sole.
Avea per mano
Dieci tripodi e dieci, adornamento
Di palagio regal. Sopposte a tutti
D’oro avea le rotelle, onde ne gisse
Da sè ciascuno all’assemblea de’ numi,
E da sè ne tornasse onde si tolse:
Maraviglia a vederli!(Iliade XVIII)
Creò anche i famosi tori della Colchide per il re di Eeta, che avevano corna di bronzo e occhi rubini e che spiravano fiamme dalle loro narici, emettendo nuvole di fumo e riempendo l’aria con il loro ruggito. Fra le sue opere d’arte più rinomate per l’uso dei mortali c furono: l’armatura d’Achille ed Enea, la bella collana d’Armonia, e la corona d’Arianna. Ma il suo capolavoro fu Pandora, la prima donna.
Gli amanti puniti da Efesto: la rete di Ares e Afrodite
“Il bardo, suonava la sua lira, raccontando gli amori di Ares e Afrodite la bella.
Essi si erano incontrati per la prima volta in segreto da Efesto. Ares le recò grandi doni e violò il letto dell’operoso dio celeste. Ma presto il Sole, sorpresi i due amanti, avvertì il feroce marito.
Efesto, alla rivelazione di questo sommo tradimento, corse alle sue fornaci, rimuginando sulla sua vendetta. Su un’enorme incudine realizzò quindi delle reti di ferro, inestricabili, spesse, di grande resistenza: la sua terribile trappola, fabbricata contro Ares.
Tornò frettolosamente nella sua camera nuziale e circondò il suo bel letto con queste maglie audaci, che potevano essere tese dagli angoli, come fili di ragno, e appese al soffitto: nessun occhio, neanche divino, avrebbe sospettato nulla, tanto era bella la trama.
Dopo aver steso questa sua meravigliosa rete intrecciata, finse di partire per l’amabile Lemno, di tutte le città la sua prediletta. Il guerriero Ares, dalla corazza dorata, osservava le sue mosse con attenzione. Non appena vide il fabbro incline a partire, egli, desideroso di assaporare di nuovo i baci di Afrodite, si introdusse di nuovo negli appartamenti di Efesto, e qui trovò la divina Afrodite di ritorno da una visita a suo padre, seduta nella sua camera. All’improvviso Ares si rivelò e le disse galantemente, prendendola per mano: “Presto, andiamo nel nostro letto mia cara. Efesto non è più qui, ma a Lemno, credo, presso i Sinti dalla lingua barbara.”
A queste parole, un caldo desiderio coglie Afrodite ed eccoli sdraiati nell’alcova, in amplesso. Ma improvvisamente, intorno al loro corpo, scatta la rete di Efesto che li abbraccia invisibile. Non riescono a togliersela di dosso, non possono muoversi. La fuga ora sembra loro impossibile.
Ma l’illustre dio storpio tornò all’improvviso, Non aveva neppure completato il viaggio a Lemno. Il Sole, sua sentinella, aveva provveduto ad avvertirlo; Così riapparve, ancora più furibondo di prima. Restò sulla soglia e lì il suo cuore cominciò a sussultare. Poi la sua voce risuonò per richiamare tutti gli dei dell’Olimpo: “O Zeus, e voi eternamente beati! Venite a vedere questo bel quadretto d’infedeltà coniugale. Poiché sono brutto, Afrodite, di Zeus la figlia, mi disprezza e ama invece questo terribile Ares, che avanza agile e bello, mentre io sono zoppo. La colpa è solo dei miei genitori. Non farmi nascere sarebbe stato molto meglio. Guardate come costoro giacciono l’uno accanto all’altra, bocca a bocca, nel mio letto profanato! Sono furioso per questo affronto. Nonostante tutto il loro amore però, il mio talamo non gli sarà più tanto piacevole; entrambi ora sono terrorizzati e pieni di vergogna e io voglio godermeli in questo stato: perché voglio che questa rete li tenga prigionieri, finché Zeus non mi abbia restituito la dote ho dovuto versare al mio matrimonio, per questa sposa, questa cagna di una femmina! È molto bella, ma non sa dominare i suoi sensi! »
Così gridò e alla soglia di bronzo si radunarono tutti gli dèi. Per primo giunse Poseidone, agitatore di rocce, Hermes, ingegno sottile, Febo re degli arcieri. Per pudore le dee rimasero a casa. E gli dei benefattori se ne stavano ad ammirare la trappola indistruttibile di Efesto, mentre lui si lanciava in fragorose risate.
Poi strizzandosi l’un l’altro l’occhio, ognuno degli dèi prese a dire: “Il male a volte fallisce; ora è il tardo che vince sullo svelto. Così Efesto, piede zoppo, oggi ha battuto Ares, il più veloce dei numi. L’arte è vittoriosa; la punizione ricade sul dio traditore.”
Tali erano i discorsi che si scambiavano tra loro, Quando improvvisamente Apollo, figlio di Zeus, disse a Ermes: “Buon nume dal passo svelto, Ti piacerebbe, legato in tale rete, stare pure tu in questo letto, accanto a Afrodite la bionda?” Ed Hermes rispose allo scherno: “Ma sì, principe Apollo! Mi farei irretire pure tre volte per giacere a letto, davanti a tutti gli dèi, con la bionda dea dell’amore” Gli Immortali risero tutti di nuovo sonoramente. Solo Poseidone, scrollò la testa con disapprovazione, “Efesto, libera Ares!” disse “Rompi questa rete, per favore! Il risarcimento che chiedi, ti sarà pagato dagli dèi!” Efesto rispose “Non promettermi questo, Poseidone. Il pegno degli empi è un pegno assai infido.
Come potrò costringere Ares a riparare al suo torto se, una volta liberato, tornerà a rifugiarsi tra gli dèi beati? »
Poseidone ribatté bruscamente: “Efesto, se una volta liberato Ares dovesse mancare ai suoi obblighi, io stesso lo rimetterò nelle tue mani.” Efesto si disse, soddisfatto di tale proposta: “Non è né giusto né bene rifiutare le tue richieste.” E con la sua forza ruppe immediatamente l’atroce trappola.La coppia adulterina, libera così dai suoi lacci, volò via veloce: Ares si precipitò verso la Tracia; Afrodite, si rifugio a Paphos nel suo tempio tra i boschi. Un bagno la rilassò; ciascuna delle grazie del suo corpo fu cosparsa degli unguenti riservati ai grandi dèi, Poi si rivestì con abiti preziosi e stupendi.”
(Riduzione d Omero, Odissea, Canto VIII)
Culto
C’era un tempio sull’Etna eretto in onore di Efesto, nel quale solo i puri e i virtuosi potevano entrare. L’ingresso di questo tempio era sorvegliato da cani, che possedevano la straordinaria facoltà di saper distinguere tra i giusti e gli ingiusti, adulando e facendosi accarezzar dai buoni, mentre si lanciavano contro tutti i malfattori e li scacciavano.
Efesto è di solito rappresentato come un uomo possente, robusto e molto muscoloso, di media statura e di età matura; il suo forte braccio è alzato nell’atto di colpire l’incudine con un martello, che tiene in una mano, mentre con l’altra fa girare un fulmine, che un’aquila al suo fianco aspetta di portare a Zeus. La sede principale del suo culto era l’isola di Lemno, dove era considerato con particolare venerazione.
Ad Atene era venerato insieme con la dea Atena e Prometeo, tra i fondatori e i creatori della civiltà umana e come istitutore della vita di famiglia, riunita intorno al focolare e in un aspetto più mite. In molti passi di Omero campeggia ancor meglio la natura fisica di questo dio il fuoco, che spesso è chiamato soffio e fiamma di Efesto.
Vulcano
Il Dio Vulcano romano non era che un’importazione dalla Grecia, che non mise mai solide radici a Roma, né entrò a far parte della vita reale e delle simpatie della nazione. Il suo culto non era assistito dal sentimento devozionale e dall’entusiasmo che caratterizzavano i riti religiosi di le altre divinità.
Tuttavia, conservava ancora a Roma i suoi attributi greci di dio del fuoco e impareggiabile maestro nell’arte della lavorazione dei metalli, ed era classificato tra i dodici grandi dèi dell’Olimpo, le cui statue dorate erano disposte consecutivamente lungo il Foro. Il suo nome romano, Vulcano, sembrerebbe indicare una connessione con il primo grande artefice della lavorazione dei metalli della storia biblica, Tubal-Cain.
(Libero adattamento da Myths and Legend of Ancient Greece and Rome di E. M. Berens, 1880 con aggiunte e integrazioni)