Eos, l’Aurora, come suo fratello Helios, di cui annunciava sempre l’avvento, fu divinizzata anche dai primi greci. Anche lei aveva il suo carro, che guidava attraverso il vasto orizzonte la mattina e la sera, prima e dopo il dio sole. Quindi ella non è solo la personificazione del roseo mattino, ma anche del crepuscolo, per cui il suo palazzo è posto a occidente, sull’isola Eea. La dimora di Eos è una magnifica struttura, circondata da prati fioriti e vellutati, dove ninfe e altri esseri immortali intrecciano dentro e fuori, le labirintiche figure della danza, mentre la musica di una melodia dolcemente intonata accompagna il loro leggiadri e agili movimenti.
Eos è descritta dai poeti come una bella fanciulla con braccia e dita rosee e grandi ali, il cui piumaggio è di un colore cangiante; porta una stella sulla fronte e una torcia in mano. Avvolgendosi intorno alle ricche pieghe del suo manto violaceo, lascia il suo giaciglio prima dell’alba, e lei stessa aggioga i suoi due cavalli, Lampeto e Fetonte, al suo glorioso carro. Allora si affretta con attiva allegria ad aprire le porte del cielo, per annunciare l’avvicinarsi del fratello, il dio del giorno, mentre le tenere piante e i fiori, ravvivati dalla rugiada mattutina, alzano il capo per accoglierla al suo passaggio.
Eos sposò per la prima volta il Titano Astreo, e i loro figli erano Eosforo o Fosforo (Esperus), la stella della sera, e i venti. In seguito si unì a Titone, figlio di Laomedonte, re di Troia, che aveva conquistato il suo affetto per la sua bellezza ineguagliabile; ed Eos, infelice al pensiero che fossero sempre separati dalla morte, ottenne da Zeus per lui il dono dell’immortalità, dimenticando però di aggiungervi quello dell’eterna giovinezza.
La conseguenza fu che quando, nel corso del tempo, Titone divenne vecchio e decrepito, e perse tutta la bellezza che aveva conquistato la sua ammirazione, Eos rimase disgustata dal suo aspetto, e alla fine lo rinchiuse in una cella, dove ben presto non restò di lui poco altro che la voce, che ora era si era ridotta ad un debole, debole tremito.
Secondo alcuni dei poeti successivi, divenne così stanco della sua esistenza triste e miserabile, che pregò di poter morire. Questo era, tuttavia, impossibile; ma Eos, compatendo la sua infelice condizione, esercitò il suo potere divino, e lo trasformò in una cicala, che è, per così dire, un insetto famoso per la sua voce, e il cui monotono, incessante frinire non può che essere paragonato, anche se non con molta gentilezza, al balbettio insignificante di una vecchiaia estrema.
(Libera rielaborazione da E. M. Berens. “The Myths and Legends of Ancient Greece and Rome”, 1880)