- Zeus, "colui che indossa l’Egida": “Zeus aigiochos"
- Achille dai piedi agili: “okus podas Achilleus”
- Gli Achei con bei gambali: “oi Achaioi euknèmides”
- Atena dagli occhi verdi: “glaukôpis Athéna”
- Aurora dalle dita rosee: “Eos rododaktulos”
- Ettore dall'elmo splendente: « koruthaiolos Hectôr »
- Nausicaa dalle braccia bianche: «leukôlènè Nausicaa »
- Poseidone, lo Scuotiterra: « enosichtôn Poseidôn »
- I Troiani, domatori di cavalli: « oi Troes hippodamoi »
- Odisseo, uomo dalle mille astuzie: « polutropos Odusseus »
Il termine “to epos”, si riferisce alla “parola” poetica, ed è alla base del genere letterario dell’epica. Questo genere, noto per i suoi lunghi poemi narrativi che celebrano le gesta di eroi eccezionali, diventa l’emblema di una causa comune o di un intero popolo. L’epica, un genere antico, di solito trae ispirazione da eventi significativi dell’umanità, trasformandoli in mito.
Prendiamo ad esempio i primi due poemi epici della letteratura occidentale, composti all’inizio dell’VIII secolo a.C.: l’Iliade e l’Odissea. L’Iliade è un resoconto della leggendaria guerra di Troia, concentrandosi soprattutto sull’ira di Achille nei confronti di Agamennone, evento che scatena una serie di tragedie per entrambi gli schieramenti in guerra, sia per i Greci che per i Troiani. L’Odissea, invece, narra il viaggio di ritorno in patria dell’eroe Ulisse, noto anche come Odisseo, e fu presumibilmente composta da Omero, il rinomato cantore epico, aedo e rapsodo dell’epoca.
Se osserviamo l’etimologia del verbo greco “adein”, che significa “cantare”, possiamo notare che questa parola è alla base della forma omerica “aède”, che si traduce come “cantore-poeta”. Paragonabile all’epoca medievale, quando i trovatori intrattenevano un pubblico selezionato esibendosi con poesie accompagnate dalla cetra, uno strumento simile a un’arpa che veniva suonato dal cantore tenendolo vicino al petto, anche nell’opera di Omero troviamo diverse figure di “aède” che si alternano nel racconto.
Nell’Iliade, si nota la figura di Tamiri, mentre nell’Odissea troviamo Femio e successivamente Demodoco, che ricordano Omero e condividono la sua condizione di cecità. Essi si alternano nel cantare le gesta degli eroi: Tamiri racconta del ritorno dei Greci alle loro case dopo la guerra di Troia, mentre Femio e Demodoco narrano delle vicende amorose tra Ares, dio della guerra, e Afrodite, dea dell’amore.
L’origine dei loro nomi evoca un’immagine ideale e ispirata: Femio (Phemios) incarna la voce della volontà divina, derivante dalla parola Phemèmè (“fama”), mentre Demodoco (Demodokos, “ben accolto dal paese, dal popolo”) simboleggia la gloria nazionale.
In realtà, i poemi omerici erano frutto del lavoro di una corporazione di poeti chiamati gli Omeridi di Chio, che rivendicavano la discendenza da Omero. Questi discendenti di Omero, noti come “rapsodi”, si dedicavano a unire i canti dell’Iliade e dell’Odissea. Vestiti con abiti vivaci, recitavano o cantavano i versi del poeta al suono della lira.
Gli epiteti omerici, spesso ripetuti e talvolta ripetitivi, scandivano i canti dell’opera di Omero, conferendo loro solennità e rallentando talvolta l’azione. Queste espressioni, diventate di uso comune, fungevano da memoria eterna degli eroi e degli dei, richiamandoli ritualmente ogni volta. Questi epiteti, composti da nomi, verbi o aggettivi, contribuivano a caratterizzare ogni personaggio e situazione nei poemi.
Zeus, “colui che indossa l’Egida”: “Zeus aigiochos”
Nell’Iliade e nell’Odissea, Omero attribuisce agli dei una varietà di epiteti che ci aiutano a comprendere meglio le loro caratteristiche, i loro poteri e il loro ruolo nella mitologia greca.
Tra gli epiteti più frequenti troviamo “dedios”, che significa “divino”, e “aigiochos” (Zeus Egioco), che significa “colui che porta l’egida”. Quest’ultimo epiteto è spesso associato a Zeus, il padre degli dei, e si riferisce al suo scudo, fatto con la pelle della capra Amaltea che lo nutrì da bambino.
Oltre a “dedios” e “aigiochos”, altri epiteti comuni per Zeus includono:
- Nephelegereta: “raccoglitore di nuvole”, in riferimento al suo controllo del tempo atmosferico.
- Euriopa: “con voce potente,” o “che ha voce di tuono”, che allude al rombo del tuono.
- Kelainephes: “la nuvola nera”, associato ai suoi poteri di tempesta.
- Pater andrôn te teôn te: “padre degli dei e degli uomini”, che sottolinea il suo ruolo di creatore e sovrano di tutte le creature.
Oltre a Zeus, anche altri dei ricevono diversi epiteti. Ad esempio:
- Era: “leykolenos”, dalle bianche braccia.
- Poseidone: “enosíchthon” o “ennosígaios” “scuotitore della terra”.
- Ade: “agesander”, “agesilaos”, entrambi da ágō (ἄγω, “condurre”, “portare” o “prendere”) e anḗr (ἀνήρ, “uomo”) o laos (λαός, “uomini” o “gente”), che descrivono Ade come il dio che porta via tutti.
- Afrodite: “philommeidḗs“, “amante del riso”, “Diòs thugátēr” “Figlia di Zeus.
- Ares: “andreiphóntēs”, “sterminatore di uomini”, “hoûros” “furioso”.
Gli epiteti non sono solo semplici descrizioni, ma ci aiutano a comprendere il ruolo e le funzioni degli dei nella mitologia greca. Essi ci offrono una visione più profonda del loro carattere e dei loro poteri, permettendoci di meglio apprezzare le storie e le leggende che li riguardano.
- Omero non è l’unico autore greco ad utilizzare epiteti per descrivere gli dei. In tutta la letteratura greca, possiamo trovare una grande varietà di epiteti divini.
- Gli epiteti divini sono stati utilizzati anche in altre culture, come quella romana e quella norrena.
- Ancora oggi, gli epiteti divini sono utilizzati in poesia e in letteratura per creare immagini vivide e evocative degli dei.
Achille dai piedi agili: “okus podas Achilleus”
Achille, figlio della dea Teti e del mortale Peleo, è l’eroe per eccellenza dell’Iliade. Omero lo descrive come il più valoroso tra gli Achei, un guerriero senza pari, soprannominato “diokus podas Achilleus”, “Achille rapido [agile] quanto ai piedi” cioé “pie’ veloce” dal “rapido passo”. Oltre a questi gli vengono attribuiti anche i soprannomi di “Pelíde” o “Eacide”,
Il carattere di Achille è impetuoso e focoso. È veloce come il fulmine e la sua furia in battaglia è paragonata a un incendio che divampa nella montagna.
“Come un fuoco prodigioso che infuria per le profonde valli di una montagna arida; […] Tale, in tutte le direzioni, salta Achille, lancia in mano, come un dio, correndo sulle sue vittime” (Iliade).
Un’antica leggenda narra che Teti lo immerse da bambino nelle acque dello Stige, rendendolo invulnerabile ad eccezione del tallone, che non venne toccato dall’acqua.
Achille è combattuto tra il desiderio di gloria e la consapevolezza del suo destino mortale. Sa che morirà giovane, ma preferisce una vita breve e gloriosa a una lunga esistenza nell’oblio.
Un’altra leggenda narra che sua madre lo rivestisse di ambrosia durante il giorno e lo immergesse nel fuoco di notte. Suo padre, per porre fine a questo barbaro trattamento, fece sostituire l’ossicino del suo piede destro già ustionato con quello del gigante Damysos, velocissimo nella corsa. Quel che è certo è che Achille a volte esitava a prendere parte al combattimento, consapevole del difetto della sua invulnerabilità.
La sua ira è uno dei temi centrali dell’Iliade. Quando Agamennone gli sottrae la schiava Briseide, Achille si ritira dalla battaglia, causando gravi perdite ai Greci. Solo la morte del suo amato amico Patroclo lo convince a tornare a combattere per vendicarlo.
Alla fine, la freccia di Paride, il figlio del re di Troia, Priamo, ebbe la meglio su di lui.
Achille è un personaggio complesso e contraddittorio. È un eroe valoroso, ma anche impulsivo e vendicativo. È consapevole della sua mortalità eppure desidera ardentemente la gloria.
Dopo aver preferito una vita breve e gloriosa a un’esistenza lunga e anonima, successivamente sembra essersene pentito. Quando Ulisse lo trova negli Inferi, gli confessa:
“Preferirei essere sulla terra del servo di un contadino […] piuttosto che regnare qui tra queste ombre logore” (Odissea).
Troviamo questo giudizio in un altro tratto della sua personalità che lo rende ancora più commovente:
“Odio quanto le porte dell’Ade colui che nasconde il suo pensiero nel profondo di sé e che dice qualcos’altro” (Iliade).
La sua figura tragica ha affascinato generazioni di lettori e continua ad essere fonte di ispirazione per artisti e letterati.
Curiosità:
- Il mito di Achille è stato reinterpretato in numerose opere letterarie e artistiche, tra cui il romanzo “Il canto di Achille” di Madeline Miller e il film “Troy”.
- Il tallone di Achille è diventato un modo di dire per indicare il punto debole di una persona o di una cosa.
- La fama di Achille è ancora viva oggi: il suo nome è usato per descrivere persone coraggiose e valorose.
Gli Achei con bei gambali: “oi
Achaioi euknèmides”
Omero ed Esiodo utilizzano il termine “Achei” per designare i Greci che presero parte alla guerra di Troia. Questi guerrieri provenivano da diverse regioni della Grecia, tra cui la Tessaglia, il Peloponneso e le isole di Creta e Itaca.
Omero li descrive come uomini valorosi e abili in battaglia. Indossavano armature di bronzo e impugnavano lance e spade. Erano noti per la loro forza fisica e per il loro coraggio in combattimento.
Un passo dell’Iliade ci offre un vivido ritratto di un guerriero acheo che si prepara alla battaglia:
Achille indossa i doni del dio, che Efesto ha forgiato per lui. Per prima cosa indossa i gambali, bellissimi gambali con copricapo d’argento.
I gambali erano una parte importante dell’armatura greca. Proteggevano le gambe dai colpi nemici ed erano spesso decorati con incisioni o disegni elaborati.
Il passo dell’Iliade ci mostra anche l’importanza del rituale nella preparazione alla battaglia. Achille indossa i doni del dio Efesto con cura e attenzione, consapevole del pericolo che lo attende.
I guerrieri achei erano uomini complessi e affascinanti. Erano coraggiosi e abili in battaglia, ma anche devoti agli dei e ai loro compagni.
L’attributo omerico “con bei gambali” fornisce un dettaglio visivo dell’abbigliamento da battaglia di questi Greci che si schierarono agli ordini di Agamennone e partirono per affrontare il nemico troiano. Sono conosciuti anche come Khalkokhitones, “con tuniche di bronzo”, o Danai, dal nome del loro antenato Danao, o anche Argivi, poiché provengono dalla città di Argo.
Curiosità:
- Con il termine “Achei” Omero ed Esiodo designano una tribù greca che abitava la Tessaglia, il Peloponneso, le isole di Creta e Itaca.
- I guerrieri achei sono spesso raffigurati in opere d’arte e letteratura greca.
- La guerra di Troia è uno dei più importanti eventi della mitologia greca.
Con il termine Achei, Omero ed Esiodo designano le popolazioni di razza greca, abitanti la Tessaglia, il Peloponneso, le isole di Creta e Itaca. L’attributo omerico “dai bei gambali” apporta un dettaglio visivo all’abito da battaglia di questi greci che si schierarono agli ordini di Agamennone e partirono per affrontare il nemico troiano. Le ripetiamo calcochitoni, “tuniche di bronzo”, o Danae, dal nome del loro antenato Danao o anche Argivi in quanto originari della città di Argo.
Atena dagli occhi verdi: “glaukôpis
Athéna”
Atena, nata da Zeus e Metis, solitamente viene descritta come una dea della guerra con una bellezza severa, indossante elmo, corazza e lancia.
È coinvolta nella guerra di Troia, avversaria della città per il suo rancore verso Paride, che preferì Afrodite durante l’episodio del pomo della discordia. Atena si schierò con i Greci per vendicare tale affronto.
Il suo soprannome, glaukôpis Athéna, Atena Glaucopide è spesso tradotto come “Atena dagli occhi azzurri”, fa riferimento al suo colore degli occhi, paragonato al blu del mare o al verde-azzurro. Questo richiama l’aggettivo italiano “glauco”, che indica un ceruleo intenso o tendente al verde, mentre in greco, glaukos significa “brillante”.
A differenza di Afrodite, i cui occhi sono descritti come “morbidi e umidi”, Atena è spesso associata alla civetta, simbolo di saggezza. Le statue o le rappresentazioni di Atena del V secolo spesso la ritraggono con una civetta sulla spalla, per cui è conosciuta anche come “Atena dagli occhi di civetta”.
La civetta di Atena o di Minerva, dea romana della sapienza, è un simbolo antico e potente che rappresenta la conoscenza, l’intelletto e l’illuminazione. La sua immagine è presente sul retro delle monete greche da un euro che riproducono l’antica tetradracma ateniese del V secolo a.C. sottolineando l’importanza della cultura e del pensiero filosofico della civiltà greca per tutto il mondo occidentale e non solo, ancora oggi.
Aurora dalle dita rosee: “Eos rododaktulos”
“Quando apparve l’Aurora dalle dita di rosa…” Questo verso, che ricorre frequentemente nell’Odissea, ci introduce all’alba e al suo fascino delicato. L’epiteto “dalle dita di rosa” è uno dei primi che gli studenti di greco antico imparano a conoscere, e non a caso: è un’immagine poetica che evoca immediatamente la luce tenue e rosata del mattino.
L’Aurora, dea dell’alba, è chiamata anche Eosrododaktulos, che significa “alba dalle dita di rosa”, e Euthronos, che significa “dal bel trono”. Omero la descrive come una dea personificata, con dita delicate che simboleggiano la rugiada del mattino.
La troviamo anche nella poesia “L’alba” di Arthur Rimbaud, dove il poeta francese la descrive come una “fanciulla dagli occhi azzurri” che “apre le porte del cielo”.
L’Aurora ha un ruolo importante nella mitologia greca. È la dea che apre le porte del cielo al carro del Sole, portando la luce del giorno al mondo. Ogni giorno lascia il marito Titone, che vive nell’Oceano, e sale in cielo con il suo carro splendente trainato da due o quattro cavalli alati.
Alata lei stessa, l’Aurora diffonde la luce sulla terra, guadagnandosi un altro soprannome: Krokopéplos, che significa “vestita di zafferano”. La sua veste color zafferano simboleggia i colori del cielo al sorgere del sole.
L’Aurora è una figura affascinante e poetica che rappresenta il nuovo inizio, la speranza e la rinascita. La sua presenza nell’Odissea e in altre opere letterarie ci ricorda la bellezza e l’importanza del sorgere del sole.
Ettore dall’elmo splendente: « koruthaiolos Hectôr »
Ettore, il guerriero troiano, sta per affrontare Achille a viso aperto. Mentre si prepara a congedarsi dalla moglie e dal figlio, Omero lo ritrae nel canto VI dell’Iliade:
“Dopo aver parlato, lo scintillante Ettore tese le braccia verso il figlio; ma il bambino, piangendo, si gettò indietro verso il seno della nutrice con la sua bella cintura, terrorizzato alla vista del padre, rabbrividendo per l’ottone e il pennacchio d’inchiostro del cavallo, che vedeva agitarsi orribilmente in cima all’elmo”.
Nausicaa dalle braccia bianche: «leukôlènè
Nausicaa »
Nausicaa, la principessa dei Feaci, è un personaggio affascinante e complesso dell’Odissea. Omero la descrive come una giovane donna di grande bellezza, con “braccia bianche” (Nausicaa leukôlènè) e “chiome fluenti”. È anche intelligente, gentile e compassionevole.
Un giorno, Nausicaa viene guidata sulla spiaggia da Atena, dea della saggezza. Qui, accompagnata dalle sue ancelle, “con belle cinture”, euzônoi, o “con bei riccioli”, euplokamoi, incontra Odisseo, naufrago e solo, che si è nascosto tra i cespugli. Nausicaa lo accoglie con gentilezza e gli offre cibo e vestiti.
I due personaggi trascorrono del tempo insieme e Nausicaa rimane colpita dalla forza e dal coraggio di Odisseo. Le sue parole risvegliano in lei un sentimento di amore e ammirazione. Tuttavia, consapevole del suo ruolo di principessa, Nausicaa non può confessare i suoi sentimenti.
Al momento di salutarsi, Nausicaa indica a Odisseo la strada per la città dei Feaci e gli augura di tornare a casa sano e salvo. Odisseo, commosso dalla sua gentilezza, le promette che non dimenticherà mai il suo aiuto.
L’incontro tra Nausicaa e Odisseo è uno dei momenti più toccanti dell’Odissea. È una storia di amore e di speranza, di incontro tra due anime diverse che si comprendono e si apprezzano.
Poseidone, lo Scuotiterra: « enosichtôn Poseidôn »
Poseidone, il dio del mare, è una figura complessa e affascinante della mitologia greca. È conosciuto principalmente come il “signore delle acque”, ma il suo potere si estende anche alla terra.
L’epiteto “enosichtôn/ennosigaios”, che significa “scuotitore della terra”, ci ricorda il suo legame con il suolo. Poseidone può scatenare terremoti, tempeste e maremoti, personificando le forze elementari della natura. Non è solo un dio del mare, ma anche un dio della terra.
Un altro epiteto di Poseidone è “hippios anax”, che significa “padrone dei cavalli”. Questo epiteto sottolinea la sua forza e la sua potenza. Poseidone è un dio possente e irascibile, capace di scatenare la sua furia contro chi lo offende.
Un esempio della sua ira è la sua persecuzione di Odisseo. Odisseo aveva accecato il figlio di Poseidone, il ciclope Polifemo, e il dio del mare non glielo perdonò mai. Per dieci anni, Poseidone tormentò Odisseo con tempeste e naufragi, impedendogli di tornare a casa.
Nonostante la sua natura irascibile, Poseidone era anche considerato un dio protettore. I Greci lo veneravano come il “custode delle fondamenta” e lo pregavano per proteggere le loro città dai terremoti e dalle inondazioni.
In conclusione, Poseidone è un dio dalle mille sfaccettature. È un dio potente e temibile, ma anche un dio protettore e benefico. La sua figura rappresenta le forze elementari della natura, che possono essere sia distruttive che creative.
I Troiani, domatori di cavalli: « oi Troes hippodamoi »
Nell’Iliade, Omero ci presenta due popoli in guerra: gli Achei, “con bei gambali”, e i Troiani, “domatori di cavalli”. Questa distinzione non è casuale: essa rappresenta due culture diverse, due modi di vivere e di combattere.
Gli Achei sono guerrieri valorosi che combattono per la gloria e per l’onore. I Troiani, invece, difendono la loro patria e le loro famiglie.
La guerra tra Achei e Troiani dura dieci lunghi anni. Entrambe le parti subiscono perdite ingenti e nessuno dei due schieramenti riesce a prevalere.
Alla fine, i Greci escogitano un inganno: costruiscono un enorme cavallo di legno e lo lasciano sulla spiaggia di Troia. I Troiani, credendolo un dono degli dei, lo portano all’interno della loro città.
Durante la notte, i guerrieri achei nascosti all’interno del cavallo escono e attaccano i Troiani. La città viene saccheggiata e distrutta.
Il cavallo di Troia è un simbolo potente che rappresenta l’inganno, la distruzione e la caduta di un impero. È un monito a non fidarsi delle apparenze e a non sottovalutare il nemico.
Odisseo, uomo dalle mille astuzie: « polutropos
Odusseus »
Ulisse o meglio Odisseo in greco, figlio del re Laerte e di Anticlea, è il protagonista dell’Odissea di Omero. Il poema narra le sue peripezie dopo la guerra di Troia, mentre cerca di tornare a Itaca, la sua isola natale, dove lo attendono la moglie Penelope e il figlio Telemaco.
Il viaggio di Ulisse è pieno di insidie e pericoli. Deve affrontare mostri marini, tempeste furiose e la maledizione degli dei. Ma Ulisse è un eroe astuto e ingegnoso, capace di trovare una soluzione a ogni problema.
Il suo ingegno è la sua arma più potente. Ricordiamo lo stratagemma con cui Odisseo ingannò il ciclope Polifemo. Alla domanda “Chi sei?”, diede una risposta intelligente: Outis, che significa, parola per parola: “non qualcuno”, “nessuno”. Questo spiega senza dubbio perché si è cercato di mettere in relazione la risposta outis con la mètis attribuita a Ulisse, cioè la sua intelligenza. Si tratta di un gioco di parole per iniziati, sulle due negazioni greche: ou e mè. Avere o non avere intelligenza, non è questo il problema, quando si parla di Ulisse. La leggenda dice che si chiama addirittura polumètis.
Ulisse è anche un uomo di grande valore. È un abile guerriero e un leader capace di ispirare i suoi uomini. La sua forza e la sua tenacia gli permettono di superare ogni ostacolo.
Oltre all’ingegno e al valore, Ulisse è anche un uomo di grande fascino. Le sue avventure con le ninfe Calipso e Nausicaa dimostrano la sua capacità di attirare l’attenzione delle donne.
Il viaggio di Ulisse è un viaggio di scoperta. Non solo esplora il mondo che lo circonda, ma impara anche a conoscere se stesso. Le sue esperienze lo rendono un uomo più saggio e più completo.
Ulisse è un eroe immortale. La sua storia continua ad affascinare e ispirare le persone di tutto il mondo. È un simbolo di speranza e di perseveranza, un esempio di come l’intelligenza e il coraggio possono permettere di superare ogni ostacolo.
Sarebbe impossibile elencare qui tutti i cosiddetti epiteti omerici, perché sono una legione: Ermes, “il messaggero rapido e chiaro”; Artemide, “colei che lancia frecce”; Venereanadyomene, “nata dal mare”, che Botticelli raffigura mentre esce dalla sua conchiglia; Teti, la dea del mare, “dai piedi d’argento”; la divina Era“dalle spalle bianche“, e così via. Questi epiteti, che in origine erano formule pronte che di solito comparivano alla fine di un verso ed erano quindi facili da memorizzare per gli aedi e i loro ascoltatori, sono diventati una sorta di “fermo immagine”, oppure simili al tema musicale ricorrente nell’Opera lirica, il leimotiv wagneriano, che porta poesia e freschezza al cuore dei racconti di avventura o di battaglia.
Con Omero nasce lo stile “epitetico”, di cui Giraudoux, autore francese del novecento, fa una sorta di parodia nel suo dramma teatrale in La guerra di Troia non si farà più (La guerre de Troie n’aura pas lieu):
Abneos: I soldati devono condividere gli odi dei civili. Se i nostri soldati non sono per lo meno alla pari nella lotta degli epiteti, perderanno il gusto per gli insulti e poi per la calunnia e di conseguenza per la guerra.
Demokos: Aggiudicato! Da questa sera stessa organizzeremo un corso di epiteti. […]
Demokos: Mettiti davanti ad Abneos e comincia.
Paride: Perché Abneos?
Demokos: Perché si presta agli epiteti, grasso e barcollante com’è.
Abneos: Ehi, mollusco rachitico! […]
Demokos: Vedrai che epiteto improvvisato! Conta dieci passi… ci sono… inizia…
Paride: Vecchio parassita! Poeta dai piedi sporchi!
Demokos: Un attimo… Se facessi precedere gli epiteti dal nome, per evitare equivoci…
Paride: Infatti, hai ragione… Democo! Occhio di cernia! Albero rinsecchito!
Anche Raymond Queneau, altro autore francese del secolo scorso, nei suoi Exercices de style si prende gioco dello stile omerico:
Nell’ora in cui le dita rosa dell’alba cominciano a irritarsi, salii come un dardo veloce su un autobus dalla statura possente e dagli occhi di mucca sul percorso tortuoso della linea S.
Notai, con la precisione e l’acutezza di un indiano sul sentiero di guerra, la presenza di un giovane il cui colletto era più lungo di quello di una giraffa dai piedi veloci. Notai, con la precisione e l’acutezza di un indiano sul sentiero di guerra, la presenza di un giovane il cui colletto era più lungo di quello di una giraffa dai piedi veloci, e il cui cappello di feltro morbido spaccato era ornato da una treccia, come l’eroe di un esercizio di stile […].