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ERA, LA FIRST LADY DELL’OLIMPO

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Il personaggio di Era deve la sua origine alla stessa concezione naturalistica da cui è nato il personaggio di Zeus. È la grande divinità femminile del cielo, di cui Zeus è il grande dio maschile. Ciò è indicato sia dall’etimologia del suo nome che dai suoi vari attributi mitologici.

La parola Ηρα, paragonata all’antico vocabolo eoliano ερα che significava “la terra”; al greco “ήρως” e al latino hera, femminile di herus, deriva, con più probabilità, dalla stessa radice che sanscrito svar, che designa il cielo. La maggior parte degli attributi del dominatore del cielo sono, infatti, posseduti anche da Era, anche se li esercita in misura minore, e compie la sua stessa azione sui fenomeni celesti.

Hera Ludovisi. V c. BC. Museo delle Terme, Roma
Hera Ludovisi. V c. BC. Museo delle Terme, Roma.

Come Zeus, Hera a volte ringhia nelle altezze dell’etere. Con l’aiuto di Borea, sprigiona i soffi impetuosi che scuotono il mare. È anche, in un certo senso, la dea dell’egida, simbolo della tempesta, perché a lei è consacrata la capra, e, a Sparta le fu dato l’epiteto addirittura di αίγοφαγος, infatti Zeus ebbe per primi santuari le cime dei monti. Hera è la dea Ἀκραια che viene onorata sulle acropoli, sulle alture dove si formano le tempeste, dove le nuvole raccolgono le piogge che innaffiano la terra. Regina del cielo, esercita la sua autorità sulle stelle che lo attraversano.

È così che sottopone Eracle, l’eroe solare, a dure prove. Nella leggenda argiva, si narrava che la dea avesse per nutrici le figlie del fiume Asterion, il cui nome porta in sé il suo significato. Un’idea simile si esprimeva nella scelta dell’animale consacrato per eccellenza ad Era: il pavone, il cui piumaggio lucente e costellato, era il simbolo della magnificenza del cielo stellato. Infine, antiche tradizioni narrano che la dea fosse nutrita e ristorata dalle Ore, cioè dalle stagioni il cui regolare ritorno rinnova e sostiene la vita mobile, ma eterna, del cielo. Tutti questi particolari convengono a mostrarci in maniera lineare, una divinità proveniente da una concezione analoga a quella di Zeus di cui essa è, per così dire, la forma femminile; con questa differenza, che forse, la persona di Era è più diretta di quella del dio, verso le meteore notturne della volta celeste.

Questa somiglianza di attributi delle due divinità doveva avere la conseguenza di farle considerare accomunate dai vincoli di un’intima unione. Era, sovrana del cielo, non poteva che essere la moglie di Zeus. Se non lo eguaglia nel potere, poiché il cielo non può avere due padroni e allora era considerato opportuno che la donna fosse inferiore al marito, partecipa almeno alla sua autorità e alla sua regale maestà.

Le nozze tra Zeus ed Hera sul Monte Ida. Pompei, casa del Poeta Tragico (VI 8,3), atrio (3). Museo Archeologico di Napoli
Le nozze tra Zeus ed Hera sul Monte Ida. Pompei, casa del Poeta Tragico (VI 8,3), atrio (3). Museo Archeologico di Napoli

Nata dalla sua stessa origine, figlia maggiore di Cronos, è, di tutte le dee che abitano l’Olimpo, la più alta in dignità, la più rispettabile e la più augusta. Si siede su un sedile d’oro, accanto al re e marito. Quando essa entra nel palazzo divino, tutti gli dei si levano al suo cospetto e salutano in lei il loro sovrano. La sua ira è formidabile come quella di Zeus, e quando è agitata sul suo trono, fa tremare tutto l’Olimpo. La sua dignità e potenza cedono solo alla maestà superiore e alla forza irresistibile del padrone del mondo.

L’unione di Zeus ed Era offriva un tema fecondo all’immaginario mitologico dei Greci, che si divertivano a rappresentare le due grandi divinità celesti, a loro volta, in mezzo alle gioie voluttuose del loro imeneo e nei rumorosi litigi dei loro vita coniugale; Questa doppia concezione corrisponde, come vedremo, alle circostanze presentate dall’aspetto del cielo.

Zeus ed Era, si diceva, si erano conosciuti e si erano amati a lungo prima di diventare governanti dell’Olimpo; dai tempi del regno di Crono, avevano avuto rapporti segreti, senza che i loro genitori ne fossero a conoscenza. Questa tradizione, di origine teogonica, ovviamente tendeva ad assimilare l’unione di Zeus ed Era alle figure di Cronos e Rea, e di Urano e Gea, e ci mostra nelle due divinità, la traccia immortale della mitologia ariana. La loro unione feconda sostiene la vita di tutta la natura.

La scena del primo incontro di Zeus ed Era era avvenuta nella regione delle Esperidi, dove cresceva una vegetazione meravigliosa e rigogliosa : la camera nuziale degli sposi celesti era impregnata da ondate di ambrosia, sorgente di vita immortale. Un’immagine simile è il fondo della leggenda Argiva, che ha raccontato come Zeus, sotto forma di un cuculo, si era unito con Hera. Il cuculo è, infatti, l’uccello che, sui rami della quercia dove si nasconde, annuncia dal suo canto monotono l’avvicinarsi della bella stagione e le piogge tonificanti della primavera.

La scena della seduzione di Zeus da parte di Era, in cima al monte Ida, offre dei dettagli anche più significativi: Il figlio di Crono prende la sua divina moglie tra le braccia. La terra produce immediatamente nuova vegetazione in abbondanza. Il loto è ricoperto di umida rugiada, lo zafferano, il giacinto morbido e folto, formano uno spesso letto in cui sono distesi i due coniugi, avvolti in una magnifica nuvola d’oro, da stillano cui brillanti gocce di rugiada stillante.

Più volte, è Era a prendere l’iniziativa e sedurre Zeus, come quando si fa prestare da Afrodite il kestós imás, la cintura magica che racchiudeva poteri afrodisiaci irresistibili:

E dal seno (Afrodite) disciolse una fascia trapunta,
Di colore vario e cangiante, ove tutte raccolte
e chiuse vi erano le lusinghe.V’era
D’Amore la voluttà, la cupida Brama, 
E degli amanti le parole segrete,
che anche dei saggi rubano la mente.
Questa a Era porse e disse: «Su’, Diva, prendi, adesso,
e avvolgi al tuo seno questa fascia
versicolore, ove s’accoglie ogni dolcezza; e certo
non tornerai, non avendo ottenuto del cuor tuo le brame».

 (Iliade XIV)

Quella germinazione improvvisa del terreno, generata dall’unione dei due amanti divini, quella nuvola d’oro, quelle gocce di rugiada, che cosa sono se non l’immagine della fertilità della terra nel periodo primavera, di quella “Novitas florida” di cui parla Lucrezio, di quella vegetazione la cui lussureggiante freschezza sembra la causa dell’unione amorosa delle due grandi divinità, l’azione simultanea del cielo caldo e brillante e dei vapori atmosferici che si risolvono in piogge per penetrare la terra dove c’è la vita dormiente che si risveglia durante i lunghi mesi invernali?

 Il Giudizio di Paride. Peter Paul Rubens 1577-1640. Museo Nacional del Prado, Madrid
 Il Giudizio di Paride. Peter Paul Rubens 1577-1640. Museo Nacional del Prado, Madrid

Infatti, all’inizio della primavera, il culto greco celebrava la memoria di questa unione, di questo sacro matrimonio (ιερος γαμος,) come veniva chiamato. Ad Argo e a Samo, l’immagine di Hera, coronata di nuovi fiori, ornata con il magnifico costume delle spose, sfilava in pompa magna ed era accompagnata dal corteo dell’imeneo nuziale, che guidava le vergini alla loro unione col marito. Questa rappresentazione terrena non erano forse le celesti nozze, l’immagine della primavera, espressa nel fulgore della sua bellezza verginale e nella forza della sua fecondità gioiosa?

Se il cielo di primavera risvegliava impressioni di grazia voluttuosa e di unione amorosa, lo spettacolo del cielo autunnale e l’inverno spesso turbato che, in Grecia, rovescia torrenti di pioggia e temporali che scoppiano con improvvisa violenza, deve avere suggerito, al contrario, l’idea dei litigi rumorosi che sembravano dividere i coniugi celesti.

La lotta degli elementi scatenati era diventato, nel linguaggio mitologico, la terribile rabbia, le esplosioni clamorose di Zeus ed Era, la cui unione veniva momentaneamente disturbata da Discordia. Nell’Iliade, il signore degli dei ricorda alla moglie come, un giorno, egli abbia colpito, fino a procuragli dei lividi, e poi abbia gettato, dalle altezze dell’Olimpo, Efesto, che aveva cercato di difenderla: immagine del cielo sconvolto, trasformato in un dio furioso che, dal seno delle nuvole, che egli ha raccolto, castiga l’aria con l’impeto delle tempeste e precipita sulla terra i fuochi scintillanti del fulmine.

Era aveva subito la condanna da Zeus ad un altro castigo: egli aveva infatti attaccato ai suoi piedi un’incudine; e le aveva stretto le mani con una catena d’oro dalla forza irresistibile, e l’aveva sospesa, così aggiogata, nello spazio etereo, in mezzo alle nuvole. Zeus è, infatti, il dio onnipotente che può, quando vuole, imporre il riposo agli elementi mobili del cielo e al suo umore variabile.

Famosa la sfuriata di Zeus, contro di lei, nell’Iliade:

Di te, della furia che t’arde,
pensiero io non mi do, neppur se agli estremi confini
del mare e della terra tu giunga, ove Crono e Giapeto
seggon, né quivi li allieta del Sol ch’alto valica il raggio,
né lo spirar dei venti, ma il Tartaro fondo li cinge:
neppur se quivi tu, vagando, giungessi, pensiero
non mi darei di te: ché di te non c’è altra piú cagna».
     Disse. Né motto rispose la Dea dalle candide braccia.
E nell’Ocèano cadde la lucida vampa del Sole,
la negra notte sopra le zolle feraci traendo.

(Omero, Iliade, VIII, 471-476, trad. di Ettore Romagnoli -1923)

Ma Era non sopportava il potere di suo marito senza resistenza. Con l’aiuto di Poseidone e Atena, sarebbe riuscita a incatenarlo a sua volta, se Teti non avesse chiesto, per aiutare Zeus, l’aiuto di Egeo, il gigante del mare.

È sempre Omero a ricordarcelo, o meglio è Achille che lo ricorda alla madre Teti, sempre nell’Iliade:

Ora, se tu lo puoi, proteggi il figliuolo tuo prode:
sali all’Olimpo, e a Giove rivolgi la prece, se mai
soccorso alcuno egli ebbe da te, di parole o di fatti.
Però ch’io nella casa paterna t’ho udita sovente
narrare come al figlio di Crono dai nuvoli negri
sola fra tutti gli Dei tu valesti evitar la ruina,
quel dí che gli altri Numi d’Olimpo, Posídone, Atèna,
Pallade ed Era, in combutta, volevano in ceppi legarlo.
Ed ecco, o Diva, tu giungesti a salvarlo dai ceppi,
presto nell’ampio Olimpo chiamando il centímane, il mostro
ch’è Briarèo chiamato dai Numi, dagli uomini tutti
Egèo, ch’era del padre Posídone ancora piú forte.
Questi sedé, glorïoso di forza, vicino al Croníde;
e lo temerono i Numi, né Giove fu stretto nei ceppi.
Récati or presso a lui, ricordagli ciò…

(Omero, Iliade,I, 392-406, trad. di Ettore Romagnoli -1923)

A volte la dèa sembra voler fare causa comune con i Titani vinti, con i poteri oscuri su cui ha trionfato il dio splendente del cielo. In un momento di irritazione nei confronti di Zeus, partorisce da sola Tifone, il mostro dalle cento teste, dalla voce terribile, personificazione del respiro impetuoso dell’uragano.

Questa rabbia e queste rivolte di Era indicano che ha il potere di sconvolgere il cielo. Divinità della tempesta e degli uragani, è, in quanto tale, la madre di Ares. Partecipa ardentemente ai combattimenti intrapresi davanti a Troia: il suo odio violento e intrattabile vorrebbe annientare e divorare i Troiani. I giochi di guerra che si celebravano in suo onore presso l’Heraeon di Argo, il corteo di armati che faceva parte delle sue feste a Samo, l’epiteto di Oplosmia che portava ad Elide, ricordano questo aspetto bellicoso della dea che può sconvolgere la pace del cielo e scatenarvi la guerra.

Scena dell'Iliade: Iris, riferisce un ordine di Zeus, ad Atena e Hera che proibisce loro loro di aiutare gli Achei. Figurina Liebig
Scena dell’Iliade: Iris, riferisce un ordine di Zeus, ad Atena e Hera che proibisce loro loro di aiutare gli Achei. Figurina Liebig

Non sono questi, però, gli elementi essenziali della religione di Era, dove predominava inizialmente una concezione morale. Per i greci, la regina del cielo era soprattutto il modello sacro della donna e il tipo divino della sposa.

È la dea dalle braccia bianche (λευκωλενος), dalle forme nobili e attraenti, che tiene fra le mani le Sirene, simboli delle seduzioni dell’imeneo nuziale: ma le sue grazie sono caste; la sua bellezza è una bellezza degna e severa. Unita a Zeus nel suo primo fiore verginale, non conobbe altro amore che il suo e, poiché nei vincoli del matrimonio rispettava la sua santità, non poteva sopportare i tradimenti coniugali del marito.

È l’immagine pura della donna casta, fedele e gelosa. Inoltre, sotto l’epiteto di γαμήλιος, presiede alle unioni legittime e il mese attico di Gamelione è dedicato a lei. La mitologia aveva scomposto, per così dire, questo tipo di Era, rappresentandola nelle diverse fasi della sua esistenza femminile.

Secondo una tradizione arcadica, Temeno, figlio di Pelasgo, aveva dedicato tre templi legati ad Era: il primo, alla dea ancora vergine (παις o παρθενία); il secondo, alla donna adulta (τελεία) che divenne moglie di Zeus; il terzo, alla donna separata dal marito (χηρα).

A volte era la sposa divina (νυμφευομενη) adorna del velo imeneo, a volte la sposa che, gettando indietro il velo, entra nella casa del marito per custodire i cieli del letto nuziale, a volte la donna che consuma l’opera del matrimonio (ζυγια). Per naturale conseguenza, veglia sui frutti della legittima unione dei sessi e aiuta le madri nell’angoscia del parto.

Sua figlia Ilizia, la dea della maternità, in alcuni antichi monumenti è rappresenta come Era stessa, con le forbici in mano e con gli attributi di una levatrice. In poche parole, la sua protezione si estende a tutta la vita della donna, che trova in lei il suo modello celeste. Così i Greci, volendo onorare l’ideale della moglie, come lo aveva concepita la loro istintiva morale, ne avevano trasportato la nobile immagine nel cuore dell’Olimpo.

Françoise Marie de Bourbon (1677-1749) ritratta come Giunone, dipionto di 
François de Troy  (1645–1730)
Françoise Marie de Bourbon (1677-1749) ritratta come Giunone, dipionto di
François de Troy (1645–1730)

In Grecia il culto di Era aveva come centro principale la città di Argo: sul suo territorio sorgeva il più magnifico dei templi dedicati alla dea; la sua immagine, opera di Policleto, fu una delle meraviglie dell’arte ellenica. La particolare venerazione di cui era circondata la dea argiva, le numerose feste che si celebravano in suo onore, le leggende locali di cui era oggetto, sembravano indicare ai greci che proprio lì fosse la culla della sua religione.

Le tre città che gli sono più care, dice il poeta Omero, sono Argo, Micene e Sparta. Ma Samo contestò ad Argo l’onore di aver istituito il culto di Era. I Sami sostenevano che la dea fosse nata sulla loro isola, sulle rive del fiume Imbrasos, ai piedi di un albero di vimini che ancora si mostrava nel recinto del suo santuario al tempo di Pausania. Si diceva che i costruttori del suo tempio fossero stati i Lelegi, popolo primitivo dell’Asia Minore occidentale. Le rappresentazioni artistiche sono concordi con queste tradizioni per indicare Era come divinità ellenica nata a Samo, che può riunire in sé una delle forme della grande Dea Madre dell’Asia, presso ad esempio i Caldei.

Le prime e grossolane immagini di Era, come ad esempio la lunga colonna originaria di Argo, il tronco dell’albero quadrato situato sul Citerone, l’Heraion Samo, hanno confermato questa origine. Le monete arcaiche sempre di Samo possono dare l’idea della presenza di più antiche statue di legno, opere attribuite allo scalpello di Smilide. Vediamo, in queste raffigurazioni, la dea in piedi, le mani appoggiate su due supporti, il capo coperto e tutto il corpo avvolto in un lungo velo. Questa immagine esprime ancora imperfettamente l’iconografia di Era, quale è arrivata fino a Policleto, se non a creare, ad almeno fissare nella bellezza, l’idea di una dea sovrana.

Hera, disegno di Wilhelm Heinrich Roscher, 1884
Hera, disegno di Wilhelm Heinrich Roscher, 1884

Come Zeus e Atena, ricevettero da Fidia una raffigurazione adeguata, così nessuna altra immagine ha superato ciò che aveva concepito e espresso Policleto. Questa è la dea dalle braccia bianche, con le braccia d’avorio per apparire bella, con la splendida veste; essa è la dea reale seduta su un trono d’oro, come scrisse Massimo di Tiro.

La breve descrizione di Pausania, ci fa conoscere non qualcosa dal carattere ma del volto di Era, e ci indica i suoi attributi divini come le caratteristiche con cui Policleto aveva arricchito questa rappresentazione. ” La statua della dea seduta su un trono è notevole per la sua dimensione: essa è in oro e avorio. La sua testa è sormontata da una corona, sulla quale sono rappresentate in rilievo l’ immagine della Carità e delle Ore. Una delle sue mani tiene il melograno, l’altra lo scettro, sul quale è collocato un cuculo”

Ognuno di questi dettagli ha un’importanza mitologica. Il trono e lo scettro indicano la dignità della Sovrana del Cielo. Il cuculo, si riferisce all’unione sacra col marito celeste, in quell’unione gioiosa che accelera la Natura a schiudere la sua vegetazione primaverile.

Il melograno è il simbolo dell’amore coniugale della giovane moglie di Zeus e della sua felice fertilità. Quanto allo Stephanos, sorta di diadema o di corona alta nel mezzo, più stretta alle estremità, che ornava la testa della la dea scolpita da Policleto, e che abbiamo osservato nella maggior parte dei busti e le statue di Era, il significato è meno ovvio.

Lo Stephanos sembra essere solo una variante del Polos, un altro ornamento, di forma cilindrica, che spesso corona la testa della dea, e dove lo studioso francese Gerhard, credette di riconoscere un simbolo della volta celeste, analoga alla mezzaluna e alle stelle che accompagnano talvolta le rappresentazioni di Era, in particolare nei monumenti di Samo.

È più probabile che il Polos e lo Stephanos dovessero essere più vicini al Modius che portano le divinità asiatiche, che è un simbolo di abbondanza. È questo che indicano l’ornamento, che decora riccamente la capigliatura, libera al vento, della Dea, così come la rappresentazione della Beneficenza e delle Ore sulla testa della statua scolpita da Policleto. Queste divinità sono, in realtà, allusioni alla lucentezza primaverile e alla maturità dei frutti che caratterizzano la stagione calda.

I monumenti che hanno conservato per noi la rappresentazione artistica di Era, e dai quali gli altri derivano, sono più o meno direttamente derivati dal lavoro di Policleto, il che può portare noi a ipotizzare che l’artista avesse rappresentato la dea nella veste di una donna nella fiorente maturità della sua età e nella la compiuta pienezza delle sue forme.

Essa era, ha detto Otfried Müller, grecista, filologo classico ed etruscologo tedesco, la perfetta immagine della matrona in pieno possesso di una bellezza che il tempo ha compiuto, in cui nulla deve essere aggiunto, ma una bellezza inalterabile che ha cessato di essere ritemprata delle fonti della gioventù. Overbeck ha creduto di scoprire gli elementi del genere creato da Policleto, nella testa raffigurata in alcune monete provenienti da Argo, che effetti, hanno un carattere straordinario. Ma se si cerca di rinnovare in se stessi l’impressione che doveva produrre la fisionomia della la dea di Argo, è più prudente contemplarla nel colossale busto della Villa Ludovisi; questa è l’immagine di Era più compiuta che rimane a noi dell’antichità.

Questo busto un bell’esemplare di arte ellenica, che ci dona l’onore di contemplare la vera dea greca Hera. Quei grandi occhi, un segno tipico, quella bocca seria, quei capelli raccolti sotto un ricco diadema, le ciocche regolari dei capelli che incorniciano il più perfetto ovale del viso, tutto ci impone agli occhi questa casta e sublime bellezza; tutto ci stupisce, ci trasporta e ci obbliga all’ammirazione. In presenza di questo lavoro compiuto, i nomi di Policleto di Alcamene, di Prassitele, cui si è ispirato a sua volta l’anonimo creatore di questa Era, vengono subito pronunciate dall’osservatore.

Tra le statue di Era, una delle più notevoli quella del Vaticano. La dea, facilmente riconoscibile per il polos che corona la sua testa, è rappresentata in piedi, tenendo nella mano destra lo scettro, e nella mano sinistra la patera destinata a ricevere l’offerta dei suoi fedeli. Indossa il lungo chitone, che le cade ai piedi, e l’himation, che copre il chitone, ed è tenuto da un nastro. Il carattere del del volto, meno grave rispetto al busto della della Villa Ludovisi, il torace più scoperto, sono di solito indizi che rivelano che l’artista, volendo rappresentare la Hera Teleia o Juno Pronuba, ha avuto più presente il modello di Afrodite.

(Libera traduzione dal Francese da Mythologie de la Grèce antique, di Paul Decharme, 1886)

Era o Giunone, illustrazione di Walter Crane
Era o Giunone, illustrazione di Walter Crane

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