BUOI, MELE E UN CANE DIFFICILE - VI
Reading Time: 28 minutesDecima fatica: I buoi di Gerione
La decima fatica di Eracle fu la cattura dei magnifici buoi appartenenti al gigante Gerione, che abitava nell’isola di Erizia nella baia di Gadria (Cadice). Questo gigante, che era figlio di Crisaore, aveva tre busti con tre teste, sei mani e sei piedi. Possedeva una mandria di splendidi bovini famosi per la loro taglia, la loro bellezza e per il loro vivido colore rosso.
Erano sorvegliati da un altro gigante di nome Eurizione e da un cane a due teste chiamato Ortro, discendente di Tifone ed Echidna. Scegliendo per lui un compito così pieno di pericoli, Euristeo sperava di potersi liberare per sempre dell’odiato cugino.
Ma l’indomito coraggio dell’eroe si infiammò alla prospettiva di questa difficile e pericolosa impresa. Dopo un lungo e faticoso viaggio giunse infine alla costa occidentale dell’Africa, dove a monumento della sua pericolosa spedizione, eresse le famose “Colonne d’Ercole”, ognuna delle quali collocò su ciascun lato dello Stretto di Gibilterra.
Qui trovò il caldo intenso così insopportabile che alzò rabbiosamente l’arco verso il cielo e minacciò di colpire il dio sole. Ma Helios, lungi dall’essere irritato per la sua audacia, fu invece così colpito dall’ammirazione per il suo coraggio che gli prestò la barca d’oro con cui compiva il suo transito notturno da ovest a est, così Eracle poté attraversare sano e salvo l’isola di Erizia. Non appena atterrato, Eurizione accompagnato dal suo cane selvaggio Ortro, lo attaccò ferocemente; ma Eracle, con uno sforzo sovrumano, uccise il cane e poi anche il suo padrone.
Allora l’eroe raccolse la mandria, e si stava dirigendo verso la riva del mare quando lo stesso Gerione gli andò incontro. Ebbe così luogo una lotta terribile fra i due, in cui il gigante perì. Eracle condusse a questo punto il bestiame in mare e afferrato uno dei buoi per le corna, nuotò insieme a loro fino alla costa opposta dell’Iberia (Spagna). Quindi, guidando davanti a sé il suo magnifico bottino attraverso la Gallia, l’Italia, l’Illiria e la Tracia, giunse finalmente, dopo molte pericolose avventure e fughe rocambolesche, a Micene dove consegnò i buoi ad Euristeo, che li sacrificò ad Era.
Eracle aveva ora eseguito le sue dieci fatiche, che erano stati compiute nello spazio di otto anni; ma Euristeo rifiutò di includere in esse anche l’uccisione dell’Idra e la pulizia delle scuderie di Augia, adducendo come ragione che l’una era stata eseguita con l’assistenza di Iolao e che l’altra era stata eseguita su compenso. Insistette quindi affinché Eracle sostituisse queste con altre due fatiche ulteriori.
Undicesima fatica: Le mele delle Esperidi
L’undicesimo incarico imposto da Euristeo fu quindi di portargli le mele d’oro delle Esperidi, che crescevano su un albero donato da Gea ad Era in occasione del suo matrimonio con Zeus. Questo albero sacro era custodito da quattro fanciulle figlie della Notte, dette Esperidi, che erano assistite nel loro compito da un terribile drago a cento teste.
Questo drago non dormiva mai e dalle sue cento gole usciva un sibilo costante, che di fatto metteva in guardia tutti gli intrusi. Ma ciò che rendeva l’impresa ancora più difficile era la completa ignoranza dell’eroe circa l’esatta ubicazione del giardino, tanto che egli fu costretto di conseguenza, a compiere molti viaggi infruttuosi e a sopportare molte prove prima di poterlo trovare. Attraversò dapprima la Tessaglia e arrivò al fiume Echedoro, dove incontrò il gigante Cicno, figlio di Ares e Pirene, che lo sfidò a duello. In questo incontro Eracle sconfisse completamente il suo avversario che venne ucciso nella contesa; ma ora apparve sulla scena un altro rivale più potente, perché lo stesso dio della guerra venne a vendicare suo figlio.
Ne seguì una terribile lotta che durò molto tempo, fin quando Zeus non intervenne fra i due a porre fine alla contesa scagliando fra loro un fulmine. Eracle proseguì il suo viaggio e raggiunse le rive del fiume Eridano dove abitavano le Ninfe, figlie di Zeus e di Temi. Dopo aver chiesto loro consiglio sulla sua rotta, esse lo indirizzarono al vecchio dio del mare Nereo, il solo che conoscesse la strada per il Giardino delle Esperidi.
Eracle lo trovò addormentato e cogliendo l’occasione, lo tenne così saldamente nella sua potente presa che non egli non poteva scappare, così che, nonostante le sue varie metamorfosi, il dio fu infine costretto a fornire le informazioni richieste. L’eroe passò quindi in Libia, dove si impegnò in un incontro di lotta con il re Anteo, figlio di Poseidone e Gea, che terminò fatalmente a sfavore del suo antagonista.
Di là si recò in Egitto, dove regnava Busiride, un altro figlio di Poseidone, il quale (agendo su consiglio dato da un oracolo in un periodo di grande carestia) sacrificava tutti gli stranieri a Zeus. Quando vi arrivò, Eracle venne catturato e trascinato fino all’altare sacrificale; ma il potente semidio spezzò le sue catene e poi uccise Busiride e suo figlio.
Riprendendo il suo viaggio, continuò a vagare per l’Arabia fino a raggiungere il monte Caucaso, dove Prometeo gemeva in un’agonia incessante. Fu in questo momento che Eracle colpì con una freccia l’aquila che aveva così a lungo torturato il nobile e devoto amico dell’umanità.
Pieno di gratitudine per la sua liberazione, Prometeo lo istruì su come trovare la strada verso quella remota regione dell’estremo Occidente, dove Atlante sosteneva il cielo sulle sue spalle e vicino al quale si trovava il Giardino delle Esperidi. Avvertì anche Eracle di non tentare di assicurarsi lui stesso il prezioso frutto, ma di assumere egli stesso per un certo tempo la fatica di Atlante e di spedire il Titano a cogliere le mele.
Giunto a destinazione, Eracle seguì il consiglio di Prometeo. Atlante, accettò volentieri e riuscì a far addormentare il drago. Poi, dopo aver astutamente superato le Esperidi, portò via tre delle mele d’oro che recò ad Eracle. Ma quando quest’ultimo fu pronto a rimettere sulle spalle del Gigante il peso del mondo, Atlante, avendo ora gustato le delizie della libertà, rifiutò di riprendere il suo fardello e annunciò la sua intenzione di voler essere lui stesso a riportare le mele a Euristeo, lasciando Eracle a occupare quello che era stato finora il suo posto.
A questa proposta l’eroe finse di assentire, semplicemente implorando Atlante di essere così gentile da sostenere i cieli per alcuni minuti, mentre egli si sarebbe fabbricato un cuscino per appoggiarci la testa. Atlante bonariamente gettò le mele e ancora una volta riprese il suo carico sulle spalle, al che Eracle raccolse i pomi, gli disse ciao ciao agitando la manina, anzi la manona, e se ne andò. Quando Eracle consegnò le mele d’oro a Euristeo, questi le ridiede indietro all’eroe, dopodiché Eracle depose i frutti sacri sull’altare di Atena che a sua volta le restituì al giardino delle Esperidi.
Dodicesima fatica: Cerbero
La dodicesima e ultima fatica alla quale Euristeo obbligò Eracle, fu di far uscire Cerbero dal mondo degli inferi, pensando che tutti i suoi poteri eroici sarebbero stati inutili nel Regno delle Ombre e che in questa sua ultima e più pericolosa impresa, l’eroe sarebbe dovuto alla fine soccombere e morire.
Cerbero era un mostruoso cane con tre teste, dalle cui terribili fauci sputava veleno; i peli della sua testa e della sua schiena erano formati da serpenti velenosi e il suo corpo terminava con la coda di un drago. Dopo essere stato iniziato ai Misteri Eleusini e aver ottenuto dai sacerdoti alcune informazioni necessarie per l’adempimento del suo compito, Eracle partì per Tenaro in Laconia, dove c’era uno degli ingressi che portava agli inferi.
Condotto lì da Hermes, Eracle iniziò la sua discesa nell’orribile abisso dal quale presto cominciarono ad apparire miriadi di ombre, le quali fuggirono tutte terrorizzate al suo avvicinarsi, eccettuati Meleagro e Medusa. In procinto di colpire quest’ultima con la sua spada, Hermes intervenne e gli trattenne la mano, ricordandogli che essa era solo un’ombra e che di conseguenza nessuna arma poteva aver effetto contro di lei.
Giunto davanti alle porte dell’Ade, trovò Teseo e Piritoo, che erano stati legati ad una roccia incantata da Ade per il loro tentativo di rapire Persefone. Quando videro Eracle, lo implorarono di liberarli. L’eroe riuscì a liberare Teseo, ma quando tentò di liberare anche Piritoo, la terra sotto di lui tremò così violentemente che fu costretto a rinunciare al suo compito. Procedendo ulteriormente Eracle riconobbe Ascalafo, il quale, aveva rivelato il fatto che Persefone aveva mangiato i semi di una melagrana offertale dal marito, cosa che la legava in questo ad Ade per sempre.
Ascalafo gemeva sotto un’enorme roccia che Demetra nella sua rabbia gli aveva scagliato addosso e che Eracle ora rimosse, liberando il sofferente. Davanti alle porte del suo palazzo stava Ade, il potente sovrano del mondo degli inferi, che gli sbarrava l’ingresso; ma Eracle, mirando a lui con uno dei suoi infallibili dardi, lo colpì alla spalla, così che per la prima volta il dio sperimentò l’agonia della sofferenza mortale.
Eracle quindi gli chiese il permesso di portare Cerbero nel mondo superiore, Ade acconsentì a condizione che lo domasse senza armi. Protetto dalla corazza e dalla pelle di leone, Eracle andò alla ricerca del mostro, che trovò alla foce del fiume Acheronte. Imperterrito dall’orrendo abbaiare che proveniva dalle sue tre teste, egli afferrò la gola della creatura con una mano e le gambe con l’altra, e sebbene il drago che serviva da coda al mostro lo morse ferocemente, l’eroe non lasciò la presa. In questo modo condusse la bestia nel mondo superiore, attraverso un’apertura vicino a Trezene in Argolide. Quando Euristeo vide Cerbero, ne rimase atterrito e disperando di potersi sbarazzare del suo odiato rivale, restituì il segugio infernale all’eroe, il quale lo restituì a sua volta ad Ade. Con quest’ultimo compito terminò la sottomissione di Eracle a Euristeo.
Continua: DELITTI, SCHIAVITÙ DORATA, ERACLE DRAG QUEEN – VII