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EROS E PSICHE

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Indice dei contenuti

Amor e Psiche, Antonio Canova, particolare

Secondo la Teogonia di Esiodo, Eros, lo spirito divino dell’Amore, scaturì dal Caos, mentre tutto era ancora confuso, e con il suo potere benefico ridusse all’ordine e all’armonia gli elementi informi e contrastanti, che, sotto la sua influenza, cominciarono ad assumere aspetti distinti. Questo antico Eros è rappresentato come un giovane adulto e molto bello, coronato di fiori e appoggiato a un bastone da pastore.

Nel corso del tempo, questa bella concezione è gradualmente svanita e, sebbene si continui ancora a menzionare occasionalmente l’Eros del Caos, viene sostituito dal figlio di Afrodite, il piccolo dio dell’Amore, assai popolare e così familiare a tutti noi.

In uno dei miti riguardanti Eros, Afrodite è descritta mentre si lamentava con Temi che suo figlio, sebbene così bello, non sembrasse crescere di statura; al che Themis suggerì che le sue piccole proporzioni fossero probabilmente attribuibili al fatto che egli era sempre solo, e consigliò a sua madre di dargli un compagno. Afrodite di conseguenza gli diede, come compagno di giochi, suo fratello minore Anteros (amore corrisposto), e presto ebbe la gratificazione di vedere il piccolo Eros iniziare a crescere e prosperare; ma, curiosamente, questo risultato positivo continuò solo finché i fratelli rimasero insieme, poiché nel momento in cui essi furono separati, Eros si ridusse ancora una volta alle sue dimensioni originali.

A poco a poco il concepimento di Eros si moltiplicò e si sente parlare di piccoli dèi dell’amore (Amors), che appaiono sotto le forme più affascinanti e diversificate. Questi dèi dell’amore, che hanno offerto agli artisti soggetti inesauribili per l’esercizio della loro immaginazione, sono rappresentati come impegnati in varie occupazioni, come cacciare, pescare, remare, guidare carri e persino occuparsi di lavori meccanici.

Amore piange sul ritratto di Psyche, Charles Meynier,_1792

Eros e Psyche

Forse nessun mito è più affascinante e interessante di quello di Eros e Psiche: — Psiche, la più giovane di tre principesse, era così straordinariamente bella che la stessa Afrodite divenne gelosa di lei, e nessun mortale osò aspirare all’onore della sua mano. Siccome le sue sorelle, che non erano affatto attraenti come lei, erano sposate e Psiche ancora no, suo padre consultò l’oracolo di Delfi e, in obbedienza alla risposta divina, la fece vestire in abiti funebri e la condusse sull’orlo di un altissimo precipizio. Non appena fu sola, si sentì sollevata e sospinta dal dolce vento di ponente Zefiro, che la trasportò in un prato verdeggiante, in mezzo al quale si ergeva un maestoso palazzo, circondato da boschetti e fontane.

Qui dimorava Eros, il dio dell’Amore, nelle cui braccia Zefiro depose l’adorabile fanciulla. Eros, egli stesso invisibile, la corteggiava con le più dolci prove d’amore; ma l’avvertì, poiché ella ricambiava il suo sentimento, di non cercare mai di vedere il suo vero aspetto. Per qualche tempo Psiche obbdì all’ordine del suo sposo immortale, e non fece alcuno sforzo per soddisfare la sua naturale curiosità; ma, sfortunatamente, all’apice della sua felicità fu colta dal desiderio di rivedere le sue sorelle. Come da lei desiderato, esse furono condotte da Zefiro fin alla sua dimora fatata. Ma queste, piene d’invidia alla vista della sua felicità, avvelenarono la sua mente mettendo la fanciulla contro suo marito, e dicendole che il suo amante invisibile doveva essere un mostro spaventoso, proprio perché non si rivelava mai, e le diedero un pugnale affilato, persuadendola ad usarlo allo scopo di liberarsi dal potere di quella creatura.

Dopo la partenza delle sue sorelle, Psiche decise di cogliere la prima occasione per seguire il loro consiglio. Di conseguenza si alzò nel cuore della notte e, presa una lampada in una mano e un pugnale nell’altra, si avvicinò furtivamente al giaciglio dove riposava Eros, quando, al posto del terribile mostro che si aspettava di vedere, la bella figura del Dio dell’Amore, ignaro di tutto poiché ancora dormiva si mostrò finalmente al suo sguardo. Sopraffatta dalla sorpresa e dall’ammirazione, Psiche si chinò a guardare più da vicino i suoi bei lineamenti, quando, dalla lampada che teneva nella mano tremante, cadde una goccia di olio ardente sulla spalla del dio dormiente, che all’istante si svegliò, e vedendo Psiche in piedi sopra di lui con il pugnale in mano, le urlò contro parole piene di rabbia e delusione per il male che lei stava per fargli, quindi, spiegando le sue ali, volò via.

Disperata per aver perso il suo amato, l’infelice Psiche tentò di porre fine alla sua esistenza gettandosi nel fiume più vicino; ma invece inghiottirla, le acque la portarono dolcemente sulla sponda opposta, dove Pan (il dio dei pastori) la ricevette e la consolò alimentando in lei la speranza di potersi riconciliare alla fine con suo marito.

Nel frattempo le sue sorelle malvagie, nell’attesa di speranza la stessa fortuna che era capitata a Psiche, si recarono anche loro fino al bordo estremo della stessa roccia dove Psiche era stata presa da Zefiro, ma esse, abbandonatesi anche loro alla presa del vento, non trovarono nessun dio o spirito a prenderle, e precipitarono entrambe giù nell’abisso sottostante.

Psiche, piena di nostalgia e rimorso per il suo amore perduto, vagò in giro per il mondo in cerca di lui. Alla fine fece appello ad Afrodite perché ne avesse compassione; ma la dea della Bellezza, ancora gelosa del suo fascino, le impose i compiti più difficili, il cui adempimento spesso sembrava impossibile. In questi la fanciulla fu sempre assistita da esseri invisibili e benevoli, mandati da Eros, che ancora l’amava, e continuava a vegliare sul suo benessere.

Psiche dovette subire una lunga e severa penitenza prima di diventare degna di riguadagnare la felicità, che aveva così stupidamente sciupato. Alla fine Afrodite le ordinò di discendere negli inferi per ottenere da Persefone uno scrigno contenente tutti gli incantesimi della bellezza. Il coraggio di Psiche ora le venne meno, poiché concluse che la morte doveva necessariamente precedere il suo ingresso nel regno delle ombre. 

In procinto di abbandonarsi alla disperazione, udì una voce che la avvertì su come evitare ogni pericolo nel suo viaggio pericoloso, e la istruì circa alcune precauzioni da osservare: – non tralasciare di provvedere al pedaggio del traghettatore per Caronte, e il cibo per ammansire Cerbero; astenersi dal prendere parte ai banchetti di Ade e la stessa Persefone, e, soprattutto, riportare lo scrigno degli incantesimi della bellezza non aperta ad Afrodite. In conclusione, la voce le assicurò che il rispetto delle condizioni di cui sopra le avrebbe garantito un sicuro ritorno nei regni della luce. 

Amore e Psyche, Jacques Louis David

Ma, ahimè, Psiche, che aveva rigidamente seguito tutte le indicazioni, si trovò di fronte all’ultima tentazione; e, appena uscita dal mondo degli inferi, non potendo resistere alla curiosità che ormai la divorava, sollevò il coperchio della scatola con ansiosa aspettativa.

 Ma, invece dei meravigliosi incantesimi di bellezza che si aspettava di vedere, dallo scrigno uscì un denso vapore nero, che ebbe l’effetto di gettarla in un sonno simile alla morte, da cui Eros, che a lungo aveva vegliato su di lei invisibile, alla fine la svegliò con la punta di una delle sue frecce d’oro.

La loro riunione fu celebrata tra le esultanze di tutte le divinità olimpiche. Le Grazie sparsero petali profumati lungo il loro cammino, le Ore fecero piovere rose dal cielo, Apollo suonò la musica della sua lira, e le Muse unirono le loro voci in un lieto coro di gioia.

Questo mito sembrerebbe un’allegoria, dell’anima, che prima di poter ricongiungersi alla sua originaria essenza divina, deve essere purificata dai dolori e dalle sofferenze della sua vita terrena.

Eros è rappresentato come un ragazzo adorabile, dall’aspetto aggraziato e con un’espressione allegra e maliziosa. Ha le ali d’oro e una faretra a tracolla, che conteneva le sue frecce magiche e infallibili; in una mano porta il suo arco d’oro e nell’altra una torcia.

Spesso è anche raffigurato a cavallo di un leone, di un delfino o di un’aquila, o seduto su un carro trainato da cervi o cinghiali, indubbiamente emblematico del potere dell’amore come soggiogatore di tutta la natura, anche degli animali selvatici.

A Roma Eros era adorato con il nome di Amor o Cupido.

(Libera rielaborazione  e adattamento da E. M. Berens. “The Myths and Legends of Ancient Greece and Rome”, 1880)

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