Gli antichi popoli d’Italia , detti genericamente Italici, erano tutte le diverse popolazioni, tribù ed etnie che abitarono la penisola italica nella preistoria. Questi popoli erano principalmente di origine indoeuropea , e arrivarono in Italia nel XIII secolo aC , nell’ambito della cosiddetta cultura dei campi di urne (il nome deriva dall’introduzione del rito funerario della cremazione, quindi delle urne funerarie), ovvero la cultura della tarda età del bronzo (XIII – metà dell’VIII secolo a.C.), sebbene vi fossero anche nativi non indoeuropei prima di queste invasioni. I primi italici avevano lingua, costumi, strutture socioeconomiche ed espressioni religiose ed artistiche molto differenti tra di loro. Tale differenziazione non mutò fino al I secolo a.C. circa, quando, dopo l’unificazione politica da parte di Roma , iniziò il processo di romanizzazione, che portò all’uniformità linguistica e culturale della penisola.
Gli Etruschi
A formare la nazionalità romana, insieme coi Latini e coi Sabini, che ne sono gli elementi fondamentali, concorsero anche gli Etruschi. Quel vasto tratto di paese italico, che si stende sul litorale mediterraneo dalla Macra fin presso alle foci del Tevere, e si addentra fino trovare nei suoi confini prima la catena dell’Appennino e poi il corso del Tevere, era nei tempi più antichi della storia una popolosa e prospera regione.
Vi sorgevano forti e ricche città, le quali, insieme con altre fondate nell’interno sulle pendici dell’Appennino, formavano la grande confederazione del popolo etrusco, e tutta la regione prendeva il nome di Etruria. Chi fossero gli Etruschi, da dove, per qual via e quando fossero giunti in Italia fu per gli antichi ed è ancora per i moderni argomento di controversia.
La tradizione più antica è quella che troviamo narrata nelle storie di Erodoto (1. I. c. 94. Anche Strabone, v. 220 e Tacito, Ann. IV 55), che fa gli Etruschi d’origine orientale, narrando su di loro questa storia: In Lidia, regione dell’Asia minore, al tempo di re Ati figlio di Mane, avvenne una grande carestia, che flagellò il popolo per anni ed anni, tanto che, non potendosi più sostenere la vita nel loro paese, il re deliberò di ridurre la popolazione; divisa questa dunque in due parti, trasse a sorte chi doveva restare a casa e chi doveva emigrare. Al governo di quelli che rimanevano in patria designò sé stesso, e a capo degli esuli mise suo figlio Tirreno.
Allora quei Lidi che furono obbligati dalla sorte ad espatriare approdarono per prima a Smirne; ed da qui, costruita una flotta di navi e ben approvvigionatele, si volsero in cerca di nuove sedi. Dopo lungo viaggio arrivarono finalmente alle coste dell’Umbria, ove fondarono molte città, deposero l’antico nome di Lidi e da quello del loro condottiero si dissero Tirreni. Secondo sempre Erodoto, dunque i Tirreni sarebbero Lidi, emigrati dall’Asia. (Tucidide. IV. 109; Erodoto. I. 57)
A questa tradizione sembrano aggiungere suffragio le non poche somiglianze che il popolo etrusco mostrava con i popoli orientali, negli usi religiosi, negli abiti, nelle costruzioni sepolcrali, nelle arti figurative. Ma la testimonianza di Erodoto fu messa in dubbio già dagli antichi ; Dionigi d’Alicarnasso, scrittore greco vissuto nel I sec. d.C, nega questa origine asiatica dei Tirreni o Etruschi, e afferma che non furono popoli venuti da fuori, ma Autoctoni, cioè popoli originari d’Italia, detti Tirseni o Tirreni perchè abitavano in turseis, cioè in torri; detti poi anche Tusci ed Etrusci e infine con altro nome Raseni.
Ma dei Raseni gli scrittori antichi trovavano tracce e memorie anche nelle regioni alpine, nel paese della Rezia. Ed anche oggi in questa regione, cioè nel Trentino, in Valtellina, nei Grigioni, si sono trovate tombe etrusche, con inscrizioni, e oggetti in bronzo di fattura etrusca. Per cui si è ipotizzato che i Raseni scesi dalle Alpi abbiano vinto i Tirreni in Italia e si siano fusi con questi; oppure che i Tirreni o Etruschi siano un popolo venuto in Italia via di terra dal settentrione, e che probabilmente, come le altre popolazioni dell’Italia centrale, appartenevano alla famiglia Aria o Indoeuropea e che abbiano portato i primi elementi di loro civiltà dall’Asia.
Ma sono tutte ipotesi; circa l’origine del popolo etrusco tutto è ancora dubbio; la sua scrittura non è ancora stata decifrata, i suoi monumenti sono interamente perduti, salvo le tombe sotterranee, dove pare che l’ultimo ricordo di quelle genti si sia rifugiato, per conservarsi a noi come enigma. Lo studio comparativo linguistico, fondamento nell’etnografia dell’antichità, qui non può essere di aiuto, perché le tracce della lingua etrusca, presenti da numerose iscrizioni, non sono ancora state decifrate, come abbiamo detto.
Storia
Quando venne fondata Roma, il fiume Tevere naturalmente poteva essere usato come un fossato attorno a un castello come mezzo di difesa, ma ciò è molto diverso dal suo essere considerato un ostacolo permanente alla diffusione di una determinata cultura. Il fatto che gli alfabeti usati in altre parti d’Italia oltre all’Etruria derivino da fonti etrusche o simil-greche, che Roma fosse stata governata da re etruschi, che il tempio di Giove sul Campidoglio fosse decorato da artisti etruschi (Livio X. 23 ; Plinio, HN XXXV 157), che le decorazioni del tempio trovato da Mazzoleni presso Conca (1896) sono dello stesso tipo di altre trovate in Etruria, mostrano che le influenze che crebbero fino al loro più chiaro sviluppo nella regione a ovest del Tevere ebbero un effetto marcato su una regione più ampia di quella normalmente ammessa.
Questa era anche la convinzione degli storici greci, molti dei quali consideravano Roma una città “tirrenica”.
Espansione in Italia
Qualunque sia l’origine e la provenienza degli Etruschi, sappiamo che questo popolo in Italia crebbe come una grande e prospera potenza; vinsero gli Umbri già dominanti sui due versanti dell’Appennino e li ridussero in confini più ristretti, fra il corso del Tevere e la riviera adriatica. Con la religione, gli ordinamenti civili, le industrie, l’agricoltura, tutti elementi di una civiltà avanzata, gli Etruschi diedero una prima civiltà italica, la quale, congiuntasi con la civiltà ellenica, prosperò fiorentemente. Secondo la tradizione etrusca, il loro primo legislatore fu Tarchon, fondatore ed eroe eponimo della città di Tarquini, che al suo popolo diede una religione e leggi giuste e i precetti rivelatigli da Tages, divinità apparsagli quando egli arava il campo. Tarquinia sul corso inferiore della Marta, poco lontano dal mare (Corneto-Tarquinia), era dunque creduta la più antica città, da dove a poco a poco si estese la potenza etrusca, forse a partire dal 1200 a.C.
Confederazioni Etrusche
Gli Etruschi non erano uniti in un unico governo, ma formarono una confederazione di dodici città ognuna delle quali era uno stato indipendente, alleato con gli altri solo in momenti e in cose di comune interesse. Di nove città della confederazione etrusca noi conosciamo il nome, e sono: Tarquinia, Veio, Vulsinio, Chiusi, Volterra, Vetulonia, Perugia, Cortona, Arezzo, a cui si aggiungono con probabilità Cere (o Agilla), Faleri e Vulci. I membri o i rappresentanti delle città confederate tenevano loro assemblee a Voltumna, presso Volsini.
Questa confederazione si disse centrale o dell’Etruria propriamente detta, a distinzione di altre due confederazioni, una settentrionale, l’altra meridionale, formatesi coll’estendersi della potenza etrusca. Gli Etruschi (sia che, secondo la tradizione, fossero stati condotti da Tarchon varcando l’Appennino per discendere nella valle del Po, sia che invece stanziassero prima in questa, venuti giù dalle Alpi) posero loro dominio nella regione padana, vincendo qui gli Umbri e fondando città, che poi si raccolsero sotto una federazione, fra le quali Felsina (Bologna) fu la maggiore.
Oltre a Felsina troviamo menzionate Mantova e Melpo (forse prossima alla regione dove poi sorse Milano), Atria o Adria, prossima al mare fra le foci dell’Adige e del Po, e Spina, sulla foce meridionale del Po. Non sappiamo i nomi delle altre città che formavano la confederazione dell’Etruria circumpadana, la quale probabilmente si estendeva dall’Appennino alle Alpi e dal Ticino alle bocche del Po, fatta eccezione per il paese occupato dai Veneti; il limite meridionale, fra l’Appennino e il mare, forse presso al corso del Lamone, era confine dell’Umbria.
La terza confederazione etrusca sorse nella fertile pianura della Campania. La sua formazione ci è ignoto. Certamente in tempo antichissimo gli Etruschi avevano oltrepassato il Tevere ponendo loro colonie a Fidene, Crustumeria, Tusculo e di qui tentando di spingersi verso il meridione. Ma, molto probabilmente, questa espansione non avvenne tanto attraverso queste colonie, ma assai più assai attraverso spedizioni via mare, con presidi lungo la costa tirrenica, e giungendo fino alle foci del Volturno, da dove penetrarono nell’interno e fondarono la città di Volturno (detta poi Capua), centro dell’Etruria Campana, alla quale sembra siano da annoverare anche le città di Nocera, Calatia, Teano, Suessa, Esernia, Atella, Nola.
È evidente che gli Etruschi nella valle dell’Arno e di Chiana e lungo il litorale toscano, nelle pianure del Volturno, e del Po, con spedizioni navali sull’Adriatico (per eesempio ad Adria Picena) dominarono gran parte dell’Italia con sue le regioni più fertili; e con la loro flotta dominarono i due mari, che ebbero appunto il nome di etrusco, cioè il mar Tirreno e il mar Adriatico (da Adria colonia etrusca). Ma una potenza così estesa, mancava di un legame d’unità e di vera forza di coesione, per cui le interne discordie indebolirono le confederazioni, e queste cedettero agli assalti di popoli nemici.
Per tutto il secolo VI a. C. le invasioni galliche contrastarono, infine vinsero e disciolsero la confederazione dell’Etruria Circumpadana. A cominciare dal secolo V secolo, i Sanniti, scendendo dalle montagne ed invadendo la fertile pianura, conquistarono Volturno, che chiamarono poi Capua, e distrussero la confederazione Campana. La confederazione centrale resistette più saldamente, e ne narreremo più avanti delle sue guerre con Roma, alla quale infine si sottomise.
Città e organizzazione
Le principali città dell’Etruria propriamente detta furono Veio, Tarquinia, Falerii, Caere, Volci, Volsinii, Clusium, Arretium, Cortona, Perusia, Volaterrae (Volterra), Rusellae, Populnium e Faesulae. Che il paese fosse densamente popolato è dimostrato dalle rovine che sono state rinvenute. Era governata da re eletti a vita, ma il cui potere dipendeva in gran parte dai capi (lucumones) degli stati o regioni separati e dall’aristocrazia (Censorino, De die natali, IV. 13). Successivamente l’ufficio di re fu abolito e sostituito da magistrati annuali (Livio V. 1). Al di sotto dell’aristocrazia veniva il popolo libero, diviso in curie (Serv. ad Aen. X. 202), e poi gli schiavi. Non c’è dubbio che la prima organizzazione del popolo a Roma fosse tipica dell’Etruria (Niebuhr, Rom. Gesch. 2a ed. i. 389).
Una lega di dodici città è menzionata dagli antichi (Livio IV. 23), i cui delegati si incontravano al tempio di Voltumna, ma non ci è detto quali città formassero la lega, e non ci può essere dubbio che l’elenco cambiasse di volta in volta volta. Uno sguardo alla mappa rende chiare alcune delle relazioni generali di queste città tra loro e con il mondo esterno. Sono ben diffuse in tutto il paese, e non solo lungo la costa. Nessuno di quelle importanti è tra le montagne. Ciò significa che i primi abitanti del paese non erano commercianti itineranti come i greci micenei, e che le città traevano ricchezza e forza dalle attività agricole, per le quali il paese era ben adatto, con i suoi tre fiumi, Arno, Umbro e Tevere, con i loro affluenti (per non parlare di diversi fiumi minori), fornendo accessi in tutte le direzioni.
Abbiamo un accenno al governo delle città dal fatto che molte delle simbologie del potere usate a Roma derivassero in realtà dagli Etruschi (Dion. Hal. III. 61); ad esempio il diadema indossato da coloro che venivano celebrati un trionfo, lo scettro d’avorio e la toga ricamata (Tertull. De Cor. 13), e così anche la bolla d’oro e la praetexta (Festo, s.v. “Sardi“). Elementi del genere ci danno un’idea della base aristocratica del governo.
Delle loro leggi sappiamo anche qualcosa. Cicerone (Div. II. 23) racconta la miracolosa scoperta da parte di un bimbo contadino che aveva la saggezza paragonabile a quella di un vecchio savio, e di come le sue parole furono trascritte dal popolo, stupefatto, e divennero il loro archivio e la fonte della loro legge. Arrivando al periodo storico troviamo che il loro codice, noto come libri delle disciplinae Etruscae, fosse costituito da varie parti (Festus, s.v. “Ritualis”). C’erano i libri haruspicini (Cic. Div. i. 33, 72), che trattavano dell’interpretazione della volontà degli dèi mediante il sacrificio; i libri fulgurales, che spiegavano i messaggi degli dei nascosti nei tuoni e nei fulmini; e infine i libri rituales, che contenevano le regole per lo svolgimento della vita quotidiana – come fondare le città, dove collocare le porte, come fare il censimento, e l’ordinamento generale del popolo sia in pace che in guerra.
La struttura sociale
A capo d’ogni singola città federata vi era un’aristocrazia sacerdotale; in ciascuna delle quali sembra che nei tempi più antichi vi fosse un re, eletto solo dall’aristocrazia; le insegne della reale dignità etrusca quali la corona, la tunica palmata, lo scettro d’avorio, il seggio d’onore, passarono poi ai re di Roma. Ma la monarchia fu in Etruria abolita per far luogo alle magistrature annue, elettive, sempre con voto riservato solo all’aristocrazia o alla casta sacerdotale.
I magistrati, detti Lucumoni, detenevano i poteri civili, sacerdotali e militari. Intorno al Lucumone, capo della città, si raccoglieva un consiglio o senato della nobiltà. Il popolo era indipendente e libero, ma escluso dai diritti politici. Infine vi erano una gran massa di clienti, forse discendenti dei primitivi abitatori del paese, soggiogati dagli Etruschi (forse gli Umbri).
Le città erano autonome, l’una indipendente dall’altra ; ma dodici principali fra queste, intorno a cui come a capoluoghi di distretti o cantoni si raccoglievano tutte le altre minori, formavano la federazione. I rappresentati di queste città componevano l’assemblea, che per i comuni interessi politici, religiosi, commerciali, si adunava annualmente, forse a primavera.
Risorse naturali e commercio
Il popolo etrusco era di ceppo guerriero ma con una spiccata abilità commerciale. Gran parte della loro ricchezza era dovuta infatti proprio al commercio; non avevano il sangue irrequieto e conquistatore che va alla ricerca di nuovi mercati. Hanno aspettato che i potenziali acquirenti venissero da loro. Che la loro ricchezza e il conseguente potere si siano stati sviluppati contemporaneamente a quello della Grecia è dimostrato da vari fatti. Uno di questi è che Dionisio di Focea si stabilì in Sicilia dopo che la rivolta ionica (a cui prese parte la sua città natale) era stata sedata da Dario, e da lì perseguitò gli Etruschi (Erod. VI. 17).
La loro potenza è anche dimostrata dal fatto che si allearono con i Cartaginesi, col risultato che ottennero il controllo della Corsica (Erode I. 166), e questa alleanza continuò per molte generazioni. Che questo trattato non fosse eccezionale è dimostrato da Aristotele (Pol. III. 96, Op. II. 261), il quale dice che c’erano numerosi trattati, circa le loro alleanze e diritti reciproci, tra i due popoli.
Che i Greci temessero notevolmente gli Etruschi è suggerito dal fatto che Esiodo (Theog. 1011 sgg.) nomina uno dei loro capi Agrio, “l’Uomo Selvaggio”, e dal timore che avevano di passare lo stretto di Messina, dove essi immaginò Scilla e Cariddi, che, a meno che i loro vortici non fossero di carattere molto diverso allora rispetto a quelli attuale, è altrettanto probabile che si trattasse piuttosto di bande di pirati Cartaginesi ed Etruschi a guardia del canale. E questa spiegazione è rafforzata da Euripide (Med. 1 34 2, 1 359), la cui Medea si paragona a « Scilla, che abita sulla sponda tirrenica ». La ricchezza che fu all’origine di questo potere degli Etruschi doveva essere principalmente attinta dall’agricoltura e dalla selvicoltura. La ricca terra con i suoi numerosi ruscelli non poteva essere superata dall’allevamento di raccolti e di bestiame, e le colline erano fittamente boscose. Che fossero piuttosto le materie prime l’oggetto del loro commercio, non si può dubitare, poiché ci sono molte prove che il loro paese fu visitato da commercianti stranieri di molte terre e che ne acquistarono in gran parte, soprattutto di metalli.
Un’altra fonte della loro ricchezza derivava dalla loro attività di intermediari commerciali. Le loro città erano i centri di scambio, dove il nord e l’ovest incontravano il sud e l’est. Non avevano miniere d’oro o di stagno, ma gli importatori di stagno, ferro o ambra del nord incontravano nei mercati dell’Etruria i mercanti fenici e greci che a loro volta importavano oro e avorio e gli altri lussi dell’Oriente.
Le quantità di oro, di argento e bronzo rinvenute nelle tombe etrusche lo dimostrano chiaramente. Di questi metalli l’unico che si trova allo stato grezzo è il bronzo. Questo, sotto forma di aes rude è stato spesso trovato in quantità considerevoli, e i pezzi di questo metallo più grandi e meglio formati, noti come aes signatum non sono rari. Di solito si parla di entrambi come delle prime forme di denaro utilizzate, ma poiché l’aes rude generalmente non porta segni di valutazione o di zecca, e poiché l’aes signatum è troppo grande e pesante per la circolazione ordinaria, è probabile che queste forme di metallo non siano da considerarsi strettamente o da sole come monete, ma come materia per fabbricare la lega di stagno e rame venduta dagli Etruschi agli stranieri per fini a sua volta di fabbricazione.
Questo ovviamente non esclude il loro utilizzo come denaro. Da dove provenisse il rame per questo bronzo non è certo, ma probabilmente gran parte proveniva dalle miniere di Volterra. Un’altra prova ancora di che ciò che vendevano gli Etruschi, i loro metalli grezzi importati dal nord, è il fatto che sebbene nel museo di Cartagine e altrove ci siano alcuni vasi e altri oggetti che probabilmente provengono dall’Etruria, tali gli oggetti sono però ancora estremamente rari. D’altra parte, in Etruria non sono affatto rari invece gli articoli ovviamente importati dall’Oriente. Tali sono le conchiglie di struzzo di Vulci o le coppe fenicie di Palestrina, i vasi smaltati e gli scarabei egizi trovati in più di un sito. Tutto ciò sta a dimostrare che agli Etruschi mancavano nei loro primi tempi, operai abili nelle arti e nei mestieri.
Plinio (H.N. XXXVII. II). Dice che l’ambra fu importata dai germani giù per la valle del Po. Di là la via commerciale attraversava l’Appennino fino a Pisa (Scylax in Geographi minores, ed. Didot, i. p. 25).
Abitudini e costumi
La mancanza di fonti letterarie degli Etruschi non limita la nostra conoscenza delle loro abitudini come si potrebbe supporre, grazie ai numerosi dipinti che ci sono rimasti. Questi dipinti sono sulle pareti delle tombe di Veio, Corneto, Chiusi (Clusium) e altrove, danno un quadro vario dell’abito, degli utensili e delle abitudini del popolo. L’evidenza di molti autori antichi non può essere messa in discussione che come popolo, gli Etruschi in epoca storica erano molto dediti alla vita lussuosa. Tanto che Virgilio (Georg. II. 193) parla del pinguis Tyrrhenus e Catullo (XXXIX. 11) dell’obesus Etruscus. Diodoro (v. 40) dà un succinto resoconto in cui dice che “il loro paese era così fertile che da esso traevano non solo abbastanza per i loro bisogni, ma abbastanza per fornire loro lussi. Due volte al giorno partecipavano a pasti elaborati, le cui le mense erano addobbate con stoffe ricamate e vasi d’oro e d’argento. La servitù era numerosa e si notava per la ricchezza del loro abbigliamento. Anche le case erano grandi e spaziose. Infatti, abbandonandosi ai piaceri sensuali, avevano naturalmente perso il glorioso reputazione che i loro antenati avevano conquistato in guerra”.
Quest’ultima osservazione mostra che Diodoro riconobbe l’importante differenza tra i primi Etruschi che costruirono il paese e quelli successivi che semplicemente ne godettero. Naturalmente le cortigiane fiorirono in una tale comunità. Timeo e Teopompo raccontano come le donne vivevano, mangiavano e persino si esercitavano con gli uomini (Ateneo XII. 14; cfr. IV. 38), abitudini che naturalmente diedero agli autori satirici romani molti spunti comici (Plaut. Cist. II. 3.563 ; cfr Erode. i. 98; Strabone XIi. 14). Nell’abbigliamento differivano poco dai romani, entrambi indossavano la toga e la tunica. Anche i cappelli, spesso a punta, erano comuni (Serv. ad Aen. II. 683), come mostrano i dipinti, ma erano erano particolarmente famosi per i loro calzari. Un autore (Lydus, de Magistr. I. 17.36) suggerisce che Romolo abbia preso in prestito dall’Etruria il tipo di sandalo che ha poi dato ai senatori, e questo potrebbe essere vero, sebbene la forma menzionata, il kampagus, sia di origine tarda. Ad ogni modo, vengono spesso citati i Σανδαλια Τυρρηνικα . Dalle immagini e dai reperti sappiamo che avevano suole di legno rinforzate con bronzo e che le tomaie erano di cuoio e legate con cinghie.
Tempo libero
Le loro occupazioni nel commercio e nell’agricoltura sono già state menzionate. Per le ore di svago svolgevano giochi atletici compresi spettacoli di gladiatori (Ateneo IV. 153; cfr. Livio IX. 40. 7; Strabone v. 250), caccia, musica e danze. Tutti questi sono mostrati nelle immagini tombali, e tutti, ad eccezione della caccia, si sono sviluppati prima come parte del servizio religioso, e la loro importanza è dimostrata dal rigore delle regole che li governavano (Cicerone, De harusp. resp. II. 23). Se un danzatore perdeva il passo o un attendente alzava la mano dal carro, i giochi perdevano il loro valore come servizio religioso. Un’idea dello splendore dei trionfi che accompagnarono i generali vittoriosi e delle sfilate ai giochi è data da Appiano (De reb. Punic. VIII. 66) e Dionisio (VII 92). La musica che accompagnava tutte le loro occupazioni, anche venatorie (Eliano, De natur. anim. XII. 46), era principalmente prodotta dal flauto singolo o doppio, la cui maestria da parte degli Etruschi era nota in tutto il mondo antico. Avevano anche piccole arpe e trombe.
Misura del tempo
Per la regolarizzazione di tutti questi doveri e piaceri c’era un calendario e una suddivisione del tempo per la giornata. È interessante notare che l’inizio del giorno fosse per loro il momento in cui il sole era allo zenit (Serv. ad Aen. v. 738). In questo differivano dai Greci, che iniziavano la loro giornata con il tramonto, e dai Romani, che calcolavano la loro da mezzanotte. Le settimane erano di otto giorni, il primo era il giorno di mercato e il giorno in cui il popolo poteva appellarsi al re, e i mesi erano lunari.
Gli anni erano contati fissando annualmente un chiodo nelle pareti del tempio di Nortia a Volsinii (Livio vii. 3.7), un’usanza poi adottata dai romani, che usarono il tempio capitolino per lo stesso scopo. A Roma questo rito si svolgeva alle idi di settembre, ed è probabile che si svolgesse in Etruria nella stessa data, naturale fine dell’anno presso un popolo di contadini. Una misura di tempo ancora più lunga era il saeculum, che doveva essere la durata della vita più lunga di tutti i nati nell’anno in cui era morto il precedente cittadino più anziano (Censorinus, De die natali, 17. 5; cfr Zosimo II . io). Secondo gli scrittori successivi la stirpe etrusca doveva durare dieci saecula, e l’imperatore Augusto nelle sue memorie (Serv. ad. Bucol. IX. 47) dice che la cometa dell’anno 44 a.C. fu indicata dai sacerdoti per indicare l’inizio del decimo saeculum. I prime saecula erano state, secondo Varrone, troppo lunghi. Gli ultimi variavano dai 105 a 123 anni. Il numero tondo di 100 è ovviamente un’approssimazione ex post facto, e l’accuratezza degli altri è probabilmente più apparente che reale, ma se facciamo i conti indietro di circa 900 anni dalla data fornita da Augusto arriviamo proprio all’epoca in cui l’archeologia evidenza il periodo in cui gli Etruschi in Italia cominciarono a riconoscere la loro identità.
Religione
La frequenza dei sacrifici presso di loro e la loro credenza nella breve durata della vita, mostrano chiaramente la loro credenza in un principio del Bene e uno del Male, e quest’ultimo sembra essere stato predominante nelle loro menti. Tempeste, terremoti, la nascita di deformità, tutto dava prova di poteri maligni, che a volte potevano essere placati solo col sacrificio umano.
Gli dei (aesar) erano divisi in due gruppi principali, i Dii Consentes e un insieme più vago di altre divinità, i Dii Involuti (Seneca, Quaest. Nat. II. 41), ai quali anche Giove si inchinò. Tutti abitavano in varie parti del cielo (Marziano Capella, De nupt. Phil. I. 41 ss.). Deglii Dii Consentes il gruppo più importante era costituito da Giove (Tinia), Giunone (Uni) e Minerva (Menrva). In alcune città, come Veio e Falerii, Giunone era la divinità principale e a Perusia era adorata come la greca Afrodite insieme a Vulcano (il greco Efesto).
Ciò mostra che sebbene nella forma esteriore gli dei etruschi siano stati influenzati dai greci, tuttavia il carattere dei loro dèi e i loro poteri denotano credenze diverse. Un punto interessante da notare su Minerva (Menrva) è che era la dea della musica dei flauti e dei corni. Il mito di Atena e Marsia ebbe probabilmente origine in Asia Minore, e un tirreno pelasgico fondò ad Argo il tempio di Atena Salpinx (Paus. II. 21.3). L’evidente connessione tra l’Asia Minore e l’Etruria in questi fatti non può essere trascurata.
Oltre a queste divinità c’erano Venere (Turan), Bacco (Fufluns), Mercurio (Turms), Vulcano (Sethlans). Di questi, Sethlans è in un certo senso il più importante, poiché mostra una connessione in epoca preistorica tra l’Etruria e l’Oriente. C’erano altre divinità di origine greca: Ares, Apollo, Eracle, i Dioscuri; infatti, con il passare dei secoli, le divinità greche furono adottate quasi senza eccezioni. Oltre a questi c’erano anche molti dei di origine latina o sabina, di cui poco si sa se non i loro nomi; i loro possono spesso essere anche appellativi locali per indicare lo stesso dio. Tra questi c’erano Voltumna a Volsinii e Vertumno a Roma, Giano, Norzia, dea della Fortuna, Feronia, il cui tempio era in una città con lo stesso nome ai piedi di Soratte, Manto, Pale, Vejovis, Eileithyia e Cerere.
Arte
Edificarono gigantesche mura di grandi massi squadrati e sovrapposti senza cemento (che sembrano segnare un passaggio dalle informi costruzioni italiche primitive, dette pelasgiche, a quelle più regolari) con grandi porte ad arco; di queste cinte murarie ancora si ammirano le gigantesche rovine di Populonia, Todi, Cortona, Perugia, Vei, Fiesole.
Agli Etruschi si attribuisce l’invenzione dell’arco a volta; ma non esiste alcuna traccia delle opere di loro architettura, tipo templi, teatri, anfiteatri. Sono rimaste invece, numerose e meravigliose, le loro grandi camere sepolcrali, scavate sottoterra o nel vivo masso del fianco dei monti.
Celebri sono i lavori etruschi di terra cotta, vasi, rilievi e statue; al lavoro dell’argilla seguì l’arte del lavorare il bronzo, e in questa il genio etrusco trovò la sua perfezione, come si può vedere dagli esemplari rimasti, come le statue, le armi, i candelabri, i vasi, che in gran quantità furono trovate nelle tombe e oggi arricchiscono molti musei.
Da segnalare l’arte funeraria e il suo rapporto tra pittura e scultura, evidenziando la sua terracotta e l’intaglio di una pietra locale chiamata “nenfro”. Svilupparono un’importante industria orafa, lavorarono il bronzo, la loro metallurgia si caratterizza per le sue incisioni, grani, filigrane e goffrature, in relazione alla coroplastica crearono lo stile Bucchero in ceramica.
Tutti questi prodotti sono stati la base per l’esportazione sia nel nord Europa che in Oriente. Altro punto importante è la pittura dove diverse scuole hanno prodotto mirabili affreschi, ma ha temi spiccatamente narrativi, aneddotici e prevalentemente funerari. Sebbene l’arte etrusca, come altre arti del Mediterraneo occidentale, sia stata fortemente influenzata dall’arte della Grecia classica e dalla magnifica arte ellenistica, essa ha caratteristiche uniche, l’arte etrusca strettamente legata ai riti funebri ha lasciato a Roma uno straordinario naturalismo in termini di rappresentazione di volti: i busti sono praticamente un’invenzione etrusca, il busto stesso, realizzato in fusione di bronzo, differisce dal “busto” greco, in quest’ultimo la persona ritratta è solitamente idealizzata, non così nell’autentico busto etrusco. I colori preferiti nella pittura degli Etruschi erano il rosso, il verde e il blu, apparentemente perché attribuivano ad essi connotazioni religiose. Tra le opere più notevoli ci sono:
- La scultura dell’Apollo di Veio del dio Apollo del VI secolo a.C. rinvenuto nel tempio/santuario in onore della dea Minerva di Portonaccio.
- La Chimera di Arezzo: datata tra il 380 a. C. e 360 a. La chimera, secondo la mitologia, fu uccisa da Bellerofonte in groppa al suo cavallo Pegaso. Dopo la sua scoperta nel 1553 divenne un simbolo della Toscana.
- Lupa Capitolina o Lupa Capitolina: questa famosa scultura è diventata in un certo modo un simbolo di Roma, in realtà tutto indica che si tratta di un’opera etrusca del IV a. C., riguardo ai due fanciulli rappresentanti Romolo e Remo, si noti che furono aggiunti solo nel XVI secolo.
- Il cosiddetto Marte di Todi, scultura di un guerriero armato in modo simile a quello degli opliti greci, sebbene l’armamento (tipo di armatura ecc.) sia in realtà etrusco.
- L’Arringatore (l’oratore): datato tra il II secolo aC. C. e il I secolo a.C. Sembra rappresenti un nobile di nome Aulo Metellio, ma non si sa in realtà chi fosse.
- Il sarcofago degli sposi: datato verso il 520 a. C. Fu rinvenuto in una necropoli a Cerveteri. Costruito in terracotta, il coperchio del sarcofago rappresenta una coppia sdraiata su un triclinio.
- Il Frontone di Talamone, frontone con rilievi in terracotta proveniente da un tempio etrusco del II secolo a.C.
Architettura
I materiali da loro utilizzati nelle costruzioni abitative, erano strutture in legno e rivestimenti in argilla cotta, e la pietra nei templi. Conoscevano l’arco semicircolare, la volta a botte e la cupola, elementi che utilizzavano – tra l’altro – per la costruzione dei ponti. Costruirono inoltre canali per drenare le zone basse, edificarono mura difensive in pietra ma, soprattutto, spiccarono le loro architetture funerarie, sotto forma di imponenti ipogei. I templi erano ispirati al modello greco, anche se presentavano notevoli differenze: erano più piccoli, a pianta quadrangolare, chiusi, senza peristilio, solo con una fila di colonne dell’ordine detto “toscano” alla maniera del pronao greco, e l’altare era su un fossato chiamato in latino mundus —pulire, purificare— (la parola è forse di origine etrusca), cioè un buco che, simbolicamente, servirva a gettare i resti della sacrifici.
Lingua, alfabeto e iscrizioni
L’etrusco è una lingua apparentemente estranea alle lingue indoeuropee. È interessante notare che la fonetica è completamente diversa da quella greca o latina, sebbene l’abbia influenzata in vari aspetti fonetici e lessicali. È caratterizzata dall’avere quattro vocali che rappresentiamo come / a /, / e /, / i / , / o /, riduzione dei dittonghi e trattamento speciale delle semivocali. Nelle consonanti mancava l’opposizione tra muti e sonori, sebbene vi fosse il contrasto tra la consonante occlusiva e quella aspirata.
Alfabeto
Gli etruschi usavano la variante calcidica dell’alfabeto greco, quindi può essere letto senza difficoltà, anche se non compreso. Da questo alfabeto greco di base alcune lettere non sono usate in etrusco (interruzioni vocali) e viene aggiunto un grafema per /f / e il digamma greco è usato per il fonema /v / inesistente in greco.
Iscrizioni
Le principali testimonianze della lingua etrusca sono epigrafiche, risalenti al VII secolo a.C. (Si dice che gli Etruschi iniziarono a scrivere nel VII secolo a.C. ma la loro grammatica e vocabolario differiscono da qualsiasi altro nel mondo antico) fino all’inizio dell’era cristiana. Di queste iscrizioni ne conosciamo circa 10.000, che sono per lo più epitaffi o formule votive brevi e ripetitive o che indicano il nome del proprietario di determinati oggetti. Oltre a questo materiale abbiamo altre testimonianze più preziose:
- Il Liber Linteus o Testo di Agram è il testo etrusco più lungo con 281 righe e circa 1.300 parole. Scritto su un rotolo di lino, fu poi tagliato a strisce e utilizzato in Egitto per avvolgere il corpo mummificato di una giovane donna; Attualmente è conservato nel museo archeologico di Zagabria (probabilmente quando ciò accadde si riteneva che il rotolo di lino avesse più valore del testo stesso, che paradossalmente oggi è la nostra migliore testimonianza della loro lingua; forse se non fosse stato conservato come involucro no sarebbe neppure giunto a noi).
- Alcuni testi su materiale non deperibile come una tavoletta d’argilla rinvenuta nei pressi di Capua di circa 250 parole, il disco di Magliano, scritto su due lati, il cippo di Perugia scritto su due lati con 46 righe e circa 125 parole o un modello in bronzo di un fegato trovato a Piacenza (circa 45 parole).
- Oltre a queste testimonianze, abbiamo altre due iscrizioni interessanti: la prima è l’iscrizione Pyrgi, ritrovata nel 1964, su lastre d’oro che presenta la particolarità di essere un testo bilingue in etrusco e punico-fenicio e che ha notevolmente ampliato le nostre conoscenze della lingua. La seconda delle iscrizioni è alquanto intrigante, poiché è stata trovata nell’isola di Lemno (Nord del Mar Egeo, Grecia) di circa 34 parole, e sembra scritta in un dialetto diverso da quelli che si trovano in Italia; forse questo è sintomatico della presenza di colonie etrusche in altre parti del Mediterraneo o può trattasi, come sostengono altri autori, di una lingua sorella dell’etrusco, il lemno, anche se si ritiene che la presenza di una sola iscrizione non chiarisca molto.
Armi e armature
Nei primi periodi le armi principali (oltre ad archi e frecce con punte di selce o di bronzo) erano poche e semplici, ed erano di bronzo. Sono stati trovati quelli di ferro e la loro rarità è senza dubbio in parte dovuta al fatto che si sono arrugginiti. Erano comuni le lance di peso molto vario e anche spade e pugnali. Questi ultimi avevano lame dritte a due tagli con il manico o dello stesso o di altro materiale fissato con rivetti.
Le lame dei pugnali sono generalmente incise con linee e zigzag. Gli scudi erano di forma circolare e ovale. Entrambi erano di bronzo, quelli rotondi decorati in modo omerico con cerchi concentrici di ornamenti, i motivi erano motivi geometrici o di tipo animale, ripetuto di continuo.
Non sono rari i pettorali con spallacci e cinture sovrapposti, più larghi davanti che dietro, con decorazioni dello stesso tipo dei vasi in bucchero. Greaves ed elmetti completavano la loro attrezzatura. I primi sembrano essere stati meno decorati di quelli che indossavano i Greci; questi ultimi erano di varie forme, i più comuni erano cappucci rotondi con un pomello in alto, o una forma più profonda con una cresta dalla parte anteriore a quella posteriore. Alcuni sono mostrati con parti laterali sollevate come ali, ma questi forse sono semplicemente guanciali sollevati su cardini.
In tempi successivi avevano trombe e asce, e le loro armi divennero praticamente le stesse dei romani, come si vede dalle rappresentazioni nelle tombe.
5. GUERRE ETRUSCHE CON ROMA, V secolo a.C.
(1) Tribuno romano Aulo Cossus, 437 a.C. Questo ufficiale si basa sulle testimonianze di Livio e sulle placche ossee di Praeneste che mostrano opliti latini. È armato con una lancia e una spada a due tagli xiphos e porta uno scudo rotondo clipeo. Il cimiero e il diadema del suo elmo di tipo attico sono (ipoteticamente) rappresentati qui nello stesso colore. La sua armatura muscolare in cuoio è copiata dal guerriero romano raffigurato nella cosiddetta "Tomba François"; probabilmente è stata modellata e indurita con la tecnica del cuir-bouilli (cuoio bollito) che sarà utilizzata fino al Medioevo. (2) Tolumnius, Lucumo di Veii Livio (IV, 17-19) e Plutarco (Romolo, XVI) ci forniscono importanti testimonianze dell'impiego del linothorax da parte di un re etrusco. Dopo il combattimento singolo tra il re Tolumnius di Veii e Aulus Cornelius Cossus nel 437 a.C., l'armatura di lino del primo fu dedicata al tempio di Giove Feretrio: "... Poi [Aulo] spogliò il corpo senza vita e, tagliata la testa, la infilzò sulla lancia e, portandola in trionfo, sbaragliò il nemico... Dedicò solennemente il bottino a Giove Feretrio e lo appese nel suo tempio... Augusto Cesare... lesse con i suoi occhi l'iscrizione sulla corazza di lino". (3) Arciere di Rasenna L'uso dell'arco ricurvo composito (arcus sinuosus) è attestato su placche dipinte del periodo di Tarquinii; costruito con legno e corno legati, avrebbe richiesto una grande forza per essere tirato. Virgilio cita gli arcieri etruschi che utilizzavano la faretra o leves gorytus (X, 168).