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LA GUERRA DI TROIA – 17 – ETTORE, L’ANTI ACHILLE

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Apollo, attaccato da Diomede, lo avverte di non confrontarsi con gli immortali. Quindi Ares scende nel campo di battaglia per aiutare i Troiani. Riconoscendo il dio della guerra, Diomede protegge gli Achei ordinando loro di ritirarsi verso le loro navi. Era e insieme ad Atena, viene in aiuto dei Greci. Quando Atena vede Diomede lo deride per la sua ritirata. Diomede risponde che gli aveva ordinato di non attaccare gli dèi. Atena invita il mortale ad attaccarlo perché avrà la sua protezione. Diomede e Atena salgono sul carro e si dirigono verso Ares. La dea Indossa anche l'elmo di Ade, che la rendendo invisibile anche agli dei. Ares vede solo Diomede sul carro e gli scaglia contro la sua lancia che viene deviata da Atena. Diomede poi getta contro la sua (guidata da Atena) verso Ares, ferendolo. Il dio urla con la voce di diecimila uomini e fugge. Diomede diviene così l'unico essere umano a ferire due dèi olimpici in un solo giorno.
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Arrivato al palazzo reale, Ettore fu accolto dalla madre, che gli offrì del vino per dissetarsi. Ma l’eroe non lo assaggiò neppure. “Non chiedermi di bere vino, cara madre”, disse, “perché mi indebolirebbe e mi priverebbe della mia forza e del mio valore”.

Poi Ettore riferì sempre a sua madre il motivo per cui era venuto da loro dal campo di battaglia. Ella acconsentì volentieri a fare ciò che suo figlio chiedeva, e così la regina Ecuba e le matrone di Troia andarono al tempio di Atena, pregarono e offrirono sacrifici. Ma la dea rifiutò di ascoltare le loro suppliche, perché odiava ancora i Troiani a causa del giudizio mai dimenticato sul monte Ida.

Ettore che rimprovera Elena e Paride, Felix Jan Ferdinand Heyndrickx, 1820
Ettore che rimprovera Elena e Paride, Felix Jan Ferdinand Heyndrickx, 1820

La tiratina d’orecchi a Paride

Nel frattempo l’eroe andò al palazzo di Paride che trovò nella sua camera, mentre si pavoneggiava nella sua armatura; Elena sedeva vicino a lui con le sue serve, dirigendole nei loro vari compiti. A vedere il fratello perdere tempo così, invece di essere in prima fila nella guerra, Ettore lo rimproverò con parole taglienti e amare.

“Il popolo” disse, “sta morendo; il conflitto infuria intorno alle mura, e tutto per causa tua. Alzati, allora, e agisci! Affinché la nostra città non venga presto messa a fuoco”Paride ancora una volta dovette accettare il rimprovero di suo fratello, promettendogli che si sarebbe immediatamente fatto valere sul campo di battaglia.

Ettore poi si recò a casa sua per far visita alla sua cara moglie, Andromaca, e al figlio neonato; “perché non so”, disse, “se tornerò mai più da loro”. Arrivato al palazzo, apprese dalle serve di Andromaca che la loro padrona era appena andata via, verso le mura della città.

“All’alta torre di Troia andò
quando le fu detto che le truppe troiane
si erano perse d’animo e che il valore dei Greci
prevaleva. Ora si affretta verso le mura.
Come una forsennata, con il figlio e la nutrice”.

Omero, Iliade, Libro VI.

 

Ettore e Andromaca

Addio di Ettore ad Andromaca, Gontier Clément
Addio di Ettore ad Andromaca, Gontier Clément

Lasciato il palazzo, Ettore si affrettò per la città e, giunto alla Porta Scee, incontrò Andromaca e la sua nutrice, quest’ultima portava tra le braccia il neonato Scamandro. Suo padre aveva dato al bambino questo nome, dal nome del fiume, ma il popolo lo chiamava Astianatte, che significa “re della città”. I versi in cui Omero descrive il colloquio che qui ebbe luogo tra il nobile Ettore e la sua amorosa moglie, sono tra i più belli di tutta l’IliadeAndromaca era figlia di Eezione, re di Tebe, la città da cui fu portata via la fanciulla CriseideEezione e tutta la sua famiglia erano stati uccisi, ad eccezione di Andromaca, che quindi ora non aveva né genitori né fratelli né sorelle. Di questo parlò con parole toccanti, mentre supplicava Ettore di rimanere nella città e di non rischiare più la vita in battaglia.

Ettore fu profondamente commosso dalle sue parole, ma non poteva pensare di abbandonare i suoi valorosi compagni. Non era tanto l’oscura prospettiva della rovina del suo paese ad addolorare il marito amorevole quanto il pensiero che sua moglie un giorno potesse essere rapita come schiava dai greci conquistatori.

Quindi Ettore tese le mani per abbracciare il figlio, ma l’ometto si ritrasse e gridò spaventato alla cresta che sovrastava l’elmo di suo padre. Entrambi i genitori sorrisero dolcemente, ed Ettore, togliendosi l’elmo e posandolo per terra, baciò il suo ragazzo e lo accarezzò tra le sue braccia, pregando gli dei che potesse diventare un valoroso guerriero e il difensore del suo paese.

La separazione tra l’eroe e la moglie addolorata fu molto toccante. Andromaca ricevette il bambino dalle braccia di suo padre, mescolando le lacrime ai suoi sorrisi mentre guardava il viso di suo figlio.

Allora Ettore tolse l’elmo da terra, e Andromaca partì per la sua casa, “guardando spesso indietro e versando molte lacrime”.

Mentre l’eroe usciva dalle Porte Scee, dopo essersi congedato dalla moglie, incontrò Paride, vestito della sua splendente armatura e desideroso di unirsi alla battaglia. Insieme si precipitarono nella pianura e uccisero molti nemici. La dea Atena, osservando che la battaglia era in corso contro i Greci, scese rapidamente dalla cima dell’Olimpo. 

Apollo, vedendola dalla cittadella troiana, si affrettò ad incontrarla, e propose che ora si ponesse fine al conflitto per quella giornata. A questo scopo, avendo Atena acconsentito, entrambi accettarono di indurre Ettore a sfidare uno dei guerrieri greci a impegnarsi con lui in un combattimento unico. Eleno, essendo un indovino, conosceva lo scopo degli dèi e lo disse a suo fratello. «Ma», disse, «non cadrai in battaglia, perché non è ancora tuo destino perire. Così hanno parlato gli dèi immortali e io ho udito la loro voce».

Ettore si rallegrò per le parole del fratello e subito avanzando al fronte dell’esercito ordinò ai Troiani di cessare di combattere.

Francobollo greco del 1983, con il duello fra Ettore e Aiace da un antico vaso greco
Duello fra Ettore e Aiace

La sfida tra Ettore e Aiace Telamonio

Allora il capo troiano, in piedi in mezzo alle due schiere, parlò ad alta voce e sfidò il più valoroso dei Greci a ingaggiare con lui un combattimento mortale. Per qualche istante ci fu silenzio nelle file degli Argivi. Alla fine Menelao, alzandosi dal suo seggio, si dichiarò pronto ad accettare la sfida, e così indossò la sua armatura. Ma Agamennone lo trattenne. Nestore, con parole severe, rimproverò i suoi concittadini per la loro mancanza di coraggio. Fu concordato quindi di tirare a sorte, e l’onore alla fine toccò ad Aiace Telamonio, il più potente e valoroso dei Greci dopo Achille. L’eroe si rallegrò molto, credendo che avrebbe sconfitto Ettore, e così indossò rapidamente la sua armatura e andò sul posto designato per il combattimento.

Avendo anche Ettore preso il suo posto a terra, iniziò il combattimento. Dapprima il capo troiano, brandendo la sua lunga lancia, la scagliò contro il suo nemico. Aiace lo parò col suo scudo, che era fatto di sette pieghe di pelle di bue e un ottavo di bronzo massiccio. lL’arma di Ettore trafisse sei d questi strati di pelli, ma si conficcò saldamente nella settima.

Allora il campione greco lancò il suo giavellotto. Passò proprio attraverso lo scudo e il corsetto di Ettore e avrebbe potuto rivelarsi fatale se l’eroe non si fosse piegato rapidamente da parte. Ancora una volta entrambi i campioni lanciarono lance, una dopo l’altra. 

Questa volta Ettore venne leggermente ferito al collo. Per nulla scoraggiato tuttavia, afferrò una grossa pietra che giaceva ai suoi piedi e la scagliò contro Aiace. Colpì lo scudo dell’eroe e il bronzo risuonò del colpo. Rapidamente il guerriero argivo prese una pietra molto più grande e la scagliò contro il suo antagonista con una forza tremenda. La pietra si schiantò contro lo scudo di Ettore e, colpendolo al ginocchio, lo stese a terra. Ma Apollo subito lo sollevò, rinnovando le sue forze.

I due eroi si gettarono poi, spada alla mano, l’uno sull’altro, combattendo in un serrato corpo a corpo. A questo punto, essendo sopraggiunta la notte, due araldi, uno dell’esercito troiano e l’altro di quello greco, si avvicinarono ai campioni e ordinarono loro di smettere di combattere. Ideo, l’araldo troiano, diede l’ordine a gran voce:

“Cessate di contendere, cari figli, in una lotta mortale;
Entrambi siete amati da Zeus che comanda il cielo,
ed entrambi siete grandi in guerra, come tutti gli uomini sanno.
La notte è giunta; sia allora la notte obbedita”.

Omero, Iliade, Libro VII

Aiace rispose che, poiché era stato Ettore a lanciare la sfida, spettava a lui parlare per primo di tregua. Ettore rispose pronunciando parole di lode e ammirazione per il suo antagonista, e dicendo che ora avrebbero dovuto cessare la battaglia per attendere il giorno.

Ettore diede poi ad Aiace una spada con un fodero tempestato d’argento e Aiace diede ad Ettore una ricca cintura di porpora. Così finì il terribile conflitto che aveva infuriato per tutta la giornata, e i due eroi si ritirarono, ciascuno gioiosamente accolto dai suoi compagni e amici.

(Libera riduzione e traduzione da Michael Clarke, The Story of Troy, 1897)

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Diomede fu tra i nove guerrieri achei che si fecero avanti per combattere Ettore in un unico duello. Quando tirarono a sorte per sceglierne uno tra quei guerrieri, gli Achei pregavano "Padre Zeus, fa' che la sorte ricada su Aiace, o sul figlio di Tideo, o su Agamennone". Aiace venne per combattere Ettore Ideo dei Troiani venne per un negoziato di pace e si offrì di restituire tutti i tesori rubati da Paride e altro ancora, tutto tranne Elena. Nel concilio acheo, Diomede fu il primo a parlare: "Non ci sia intesa, né con un tesoro, né con la restituzione di Elena, perché anche un bambino può vedere che il destino dei Troiani è vicino". Queste parole furono applaudite da tutti e Agamennone disse: "Questa è la risposta degli Achei".

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