- Sacrifici nelle feste dell'antica Grecia
- L'intrattenimento dei festival nell'antica Grecia
- Festa di Dioniso selvaggio
- I festival delle donne dell'antica Grecia
- Erodoto sulle feste dell'antica Grecia
- Plutarco sulle strane feste degli antichi greci
- Processione di Demetra a Ermione
- Processione a Delo
- Festa di Ercole a Sicione
- I Grandi Misteri
- Misteri eleusini
Oggi, i culti religiosi non catturano molto l’attenzione, sono visti come qualcosa di iniziatico o che comunque riguarda una cerchia di fedeli, grande o piccola che sia; e addirittura, in certi casi, come una manifestazione di fanatismo di sette i cui seguaci sembrano vivere fuori dal mondo. Nell’antica Grecia, invece, l’idea del culto religioso era qualcosa di estremamente coinvolgente. Erano eventi che interessavano l’intera comunità, oppure erano rituali iniziatici che richiedevano il possesso di particolari virtù da parte di chi aspirava ad esservi introdotto.
Tutte le altre feste e cerimonie erano eventi pubblici alle quale chiunque era libero di partecipare. La gente si riuniva nelle agorà delle città. I culti erano molto diversi: pur coinvolgendo un gran numero di persone, richiedevano una partecipazione personale. Questa poteva essere vista come un’esperienza spirituale.
Feste e celebrazioni si tenevano durante tutto l’anno. Solo ad Atene c’erano 120 giorni festivi all’anno. La maggior parte delle feste erano legate al raccolto o erano celebrazioni religiose. Man mano che la Grecia si urbanizzava, un numero sempre maggiore di persone partecipava a queste feste e le funzioni diventavano sempre più elaborate. Le feste erano spesso finanziati dallo Stato ed erano considerati importanti per l’immagine della città.
Ecco alcune delle festività più significative nell’antica Grecia:
- Festi Panelleniche : Queste festività erano celebrazioni che coinvolgevano tutte le città-stato greche. Tra le più famose c’erano le Olimpiadi, le Pitiche e i Giochi Istmici.
- Antesterie: Una festa a Atene che celebrava il vino e l’apertura delle botti nuove. Includeva un giorno di celebrazione, uno di lutto e uno di festa.
- Eleusinie: Un ciclo di festività in onore di Demetra ed Eleusi nella città di Eleusi. Includeva riti segreti legati al mistero dell’aldilà.
Altre festività più importanti dell’antica Grecia erano:
- I Giochi Olimpici
- I Giochi Pitici
- I Giochi Nemei
- Le Dionisie
- Le Lenee
- Le Targelie
Il calendario religioso
Il calendario religioso greco era davvero fitto di eventi. Gli Ateniesi dedicavano centotrenta giorni all’anno a feste specifiche, il che non impediva in alcun modo celebrazioni minori. In pratica, quasi ogni giorno succedeva qualcosa.
Gli Ateniesi avevano non meno di trenta feste principali durante l’anno religioso. Nei soli mesi di settembre e ottobre, Pianopsione, c’erano già sei feste in onore di Apollo, Teseo, Demetra (due volte) e Atena (sempre due volte).
Alcune di queste feste erano su larga scala: le feste dionisiache (di campagna e di città) si tenevano per diversi giorni di seguito. I visitatori venivano da lontano per parteciparvi.
I festeggiamenti comprendevano ogni tipo di attività: spettacoli teatrali, giochi sportivi, gare di danza e, soprattutto, festeggiamenti e bevute. Le casse pubbliche e i benevoli donatori fornivano le sovvenzioni necessarie per questi eventi.
Anche se la celebrazione religiosa doveva essere il momento chiave di queste celebrazioni, la sobrietà e la moderazione non erano certo all’ordine del giorno. Si svolgevano festeggiamenti di ogni tipo. Se volete un equivalente, pensate alle nostre attuali feste con l’aggiunta della dimensione religiosa, cioè ad un Oktoberfest, o a un Capodanno in cui si fa davvero bisboccia.
Secondo il Metropolitan Museum of Art:
“Le quattro feste più famose, ciascuna con la sua processione, le gare atletiche e i sacrifici, si tenevano ogni quattro anni a Olimpia, Delfi, Nemea e Istmia. A queste feste panelleniche partecipavano persone provenienti da tutto il mondo di lingua greca. Molte altre feste erano celebrate a livello locale e nel caso dei culti misterici, come quello di Eleusi vicino ad Atene, potevano partecipare solo gli iniziati. [Fonte: Collete Hemingway, Independent Scholar, Seán Hemingway, Department of Greek and Roman Art, Metropolitan Museum of Art, ottobre 2003, metmuseum.org
I cittadini di Atene si riunivano una volta all’anno per la processione panatenaica, durante la quale si vestivano con abiti intrecciati come quello che si credeva venisse indossato da Atena e marciavano attraverso la città fino all’Acropoli. La processione era guidata dalla cavalleria ateniese e comprendeva sacerdoti, animali sacrificali, carri, atleti e fanciulle. Uno degli eventi marziali era l’apobates, in cui i concorrenti in armatura completa saltavano su e giù dai carri in movimento.
I Greci avevano alcune strane feste associate alla distruzione di cose e idee ritenute impure. Durante la Bouphonia ad Atene si teneva un sacrificio, poi l’ascia usata nel sacrificio veniva processata e condannata a morte e gettata in mare. Dopo un’impiccagione a Cos, la corda e l’albero furono banditi. Durante la festa ionica in onore di Apollo, i peccati venivano caricati su un carro e portati fuori città. [“World Religions” a cura di Geoffrey Parrinder, Facts on File Publications, New York].
I commediografi si divertivano di più nel Giorno del Misfatto, una festa in cui nulla era sacro. I filosofi arcani venivano satireggiati, la morale sessuale veniva derisa e persino gli dei erano oggetto di scherno.
Sacrifici nelle feste dell’antica Grecia
Secondo il Metropolitan Museum of Art:
“L’atto rituale centrale nell’antica Grecia era il sacrificio di animali, soprattutto di buoi, capre e pecore. I sacrifici si svolgevano all’interno del santuario, di solito su un altare di fronte al tempio, e i partecipanti consumavano le interiora e la carne della vittima. Venivano inoltre comunemente fatte offerte di vino o libagioni. [Fonte: Collete Hemingway, Independent Scholar, Seán Hemingway, Department of Greek and Roman Art, Metropolitan Museum of Art, ottobre 2003, metmuseum.org
Pausania scrisse nella “Descrizione dell’Ellade” (175 d.C. circa):
“Anche gli abitanti di Patrai celebrano ogni anno la festa di Laphria in onore della loro Artemide, e in questa occasione utilizzano un metodo di sacrificio peculiare del luogo. Intorno all’altare, in cerchio, vengono posti dei tronchi di legno ancora verdi, lunghi sedici cubiti ciascuno. Sull’altare all’interno del cerchio viene posto il legno più secco. Poco prima della festa costruiscono una salita agevole all’altare, ammucchiando terra sui gradini di esso. La festa inizia con una splendida processione in onore di Artemide, e la fanciulla che funge da sacerdotessa cavalca per ultima in processione su un carro aggiogato a un cervo. Tuttavia, il sacrificio viene offerto solo il giorno successivo e la festa non è solo una funzione di Stato, ma anche una festa popolare. Il popolo getta vivi sull’altare uccelli commestibili e ogni tipo di vittima; ci sono cinghiali, cervi e gazzelle; alcuni portano cuccioli di lupo o di orso, altri bestie adulte. Mettono sull’altare anche frutti di alberi coltivati. Poi danno fuoco alla legna. A questo punto ho visto alcune bestie, tra cui un orso, farsi strada all’esterno al primo impeto delle fiamme, alcune delle quali sono riuscite a fuggire grazie alla loro forza. Ma coloro che li hanno gettati dentro li trascinano di nuovo sulla pira. Non si ricorda che qualcuno sia mai stato ferito dalle bestie. [Fonte: Pausania, Pausanias’ Description of Greece, tradotto da A. R. Shilleto, (Londra: G. Bell, 1900)].
Sul sacrificio di un toro durante le cerimonie funebri, Plutarco scrive nella “Vita di Aristide” (110 d.C. circa):
“I Platesi si impegnarono a fare ogni anno offerte funebri per gli Elleni caduti in battaglia e che giacevano lì sepolti. E questo lo fanno ancora oggi, nel modo seguente. Il sedici del mese di Maimacterion (che corrisponde all’Alakomenius dei Beoti), celebrano una processione. Questa è guidata allo spuntar del giorno da un trombettiere che suona il segnale di battaglia; seguono carri pieni di corone di mirto, poi arriva un toro nero, poi giovani nati liberi che portano libagioni di vino e latte in giare, e brocche di olio e mirra (nessuno schiavo può mettere mano ad alcuna parte di questa cerimonia, perché gli uomini così onorati sono morti per la libertà); e poi il magistrato capo di Plataea, che altre volte non può toccare il ferro o indossare abiti diversi dal bianco, in questo momento è vestito con una tunica di porpora, porta in alto un vaso d’acqua dalla camera dell’archivio della città e procede, spada alla mano, attraverso il centro della città fino alle tombe; Lì prende l’acqua dalla fonte sacra, lava con le sue mani le lapidi e le unge con la mirra; poi sgozza il toro sulla pira funeraria e, con preghiere a Zeus e a Ermete Terrestre, chiama i valorosi che sono morti per l’Ellade a partecipare al banchetto e ai suoi abbondanti sorsi di sangue; poi mescola una mescita di vino, beve e poi ne versa una libagione, pronunciando queste parole: “Bevo agli uomini che sono morti per la libertà degli Elleni””. [Fonte: Plutarco, “Vite di Plutarco”, traduzione di John Dryden, (Londra: J.M. Dent & Sons, Ltd., 1910)
Due famose feste: la Panatenee e la Tesmoforie
Una delle più grandi feste dell’antica Grecia erano le Panatenee, in onore della dea e patrona della città, Atena. Si svolgeva ogni anno nei mesi di giugno e luglio e assomigliavano ad una sorta di festa di Capodanno. Gli ateniesi facevano grandi celebrazioni e indossavano il peplo alla dea Atena. Il fregio del Partenone esposto al British Museum di Londra ne è una rappresentazione quasi in carne ed ossa.
Le Panatenee, come suggerisce il nome, erano una festa nazionale che celebrava la supremazia di Atene su tutti i greci. Ogni quattro anni si svolgevano anche delle celebrazioni più grandi, note come Grande Panatenee.
C’era anche un altra festival, di grandi dimensioni ma anche uniche nel loro genere, riservate esclusivamente alle donne. Si svolgevano in tutta la Grecia in autunno. Gli uomini erano esclusi da questa celebrazione in onore della dea della fertilità, Demetra. Solo le donne sposate potevano parteciparvi. Esse disertavano le città e si dedicavano a pratiche rituali segrete nelle campagne. Nella sua commedia Le Tesmoforie (così si chiamavano anche queste feste esclusivamente femminili), il comico Aristofane si prende gioco di loro e delle loro gioiose libagioni.
Ogni dio dell’Olimpo aveva un giorno di festa ogni mese, con cerimonie specifiche per ogni regione. Per le feste laiche più che religiose, la semplicità era all’ordine del giorno, con solo un piccolo sacrificio qua e là a un dio minore.
L’intrattenimento dei festival nell’antica Grecia
In una lettera a Tolomeo, Demofonte scrisse (245 a.C. circa):
“Mandaci al più presto il flautista Petoun con i flauti frigi e gli altri flautisti. Se è necessario pagarlo, fatelo e noi vi rimborseremo. Inoltre, mandateci l’eunuco Zenobius con il tamburo, i cimbali e le nacchere. Le donne ne hanno bisogno per la loro festa. Assicuratevi che indossi i suoi abiti più eleganti. Procuratevi la capra speciale di Aristion e inviatecela. Mandateci anche tutti i formaggi che potete, una brocca nuova, verdure di ogni tipo e pesce, se ne avete. La vostra salute! E contemporaneamente, aggiungete qualche gendarme per accompagnare la barca.
Strabone scrisse nella “Geografia” (20 d.C. circa):
“Ogni anno si celebra una festa ad Acharaca; e in quel periodo in particolare coloro che celebrano la festa possono vedere e sentire tutte queste cose; e alla festa, inoltre, verso mezzogiorno, i ragazzi e i giovani del ginnasio, nudi e unti di olio, tirano fuori un toro e corrono in fretta davanti a lui nella grotta; e, quando arrivano alla grotta, il toro avanza per un breve tratto, cade e spira la sua vita”. [Fonte: Strabone, La Geografia di Strabone: Literally Translated, with Notes, translated by H. C. Hamilton, & W. Falconer, (London: H. G. Bohn, 1854-1857)
L’oratore greco di epoca romana Dione Crisostomo scrisse (110 d.C.):
“Alcuni partecipano alla festa del dio per curiosità, altri per spettacoli e gare, e molti portano merci di ogni genere da vendere, ovvero i mercanti, alcuni dei quali espongono i loro mestieri e le loro manifatture, mentre altri fanno sfoggio di qualche particolare sapere – molti, leggono opere di tragedia o di poesia, molti altri opere in prosa. Alcuni attirano fedeli da regioni lontane solo per motivi religiosi, come la festa di Artemide a Efeso, venerata non solo nella sua città natale, ma anche da elleni e barbari.
Nelle Recognitiones Clemente scriveva (220 d.C. circa):
“La maggior parte degli uomini si abbandona al tempo delle feste e dei giorni sacri, e organizza bevute e feste, e si dà completamente alle zampogne e ai flauti e a diversi tipi di musica e si abbandona in ogni modo all’ubriachezza e all’indulgenza”.
Festa di Dioniso selvaggio
Per rendere omaggio a Dioniso, i cittadini di Atene e di altre città-stato organizzavano una festa invernale in cui veniva eretto ed esposto un grande fallo. Dopo una gara a chi riusciva a svuotare più velocemente la brocca di vino, si svolgeva una processione dal mare alla città con suonatori di flauto, portatori di ghirlande e cittadini onorati vestiti da satiri e menadi (ninfe), spesso in coppia. Alla fine della processione veniva sacrificato un toro che simboleggiava il matrimonio del dio della fertilità con la regina della città. [Fonte: “I creatori” di Daniel Boorstin”.]
La parola “menade” deriva dalla stessa radice che ci ha dato le parole “maniaco” e “follia”. Le menadi erano soggetti di numerose pitture vascolari. Come Dioniso stesso, erano spesso raffigurate con una corona di pelli d’avorio e di cervo drappeggiate su una spalla. Per esprimere la velocità e la selvatichezza dei loro movimenti, le figure nelle immagini vascolari avevano capelli scomposti al vento e la testa arcuata all’indietro. Le loro membra erano spesso in posizioni scomposte, a suggerire l’ubriachezza.
Questi devoti ubriachi di Dioniso”, scrive Boorstin, “pieni del loro dio, non sentivano dolore o fatica, perché possedevano i poteri del dio stesso. E si divertivano l’un l’altro al ritmo di tamburi e pifferi. Al culmine delle loro folli danze le menadi, a mani nude, facevano a pezzi qualche animaletto che avevano nutrito al seno. Poi, come osservò Euripide, si godevano “il banchetto della carne cruda”. In alcune occasioni, si diceva, facessero a pezzi un tenero bambino come se fosse un cerbiatto”.
Una volta le menadi erano così coinvolte in quello che stavano facendo che dovettero essere salvate da una tempesta di neve in cui furono trovate a ballare con i vestiti congelati. In un’altra occasione, un funzionario del governo che proibiva il culto di Dioniso fu stregato e si vestì da menade per partecipare a una delle loro orge. Quando le menadi lo scoprirono, fu fatto a pezzi finché non rimase solo una testa mozzata”.
Non è del tutto chiaro se le danze delle menadi fossero basate solo sulla mitologia e fossero eseguite dai frequentatori delle feste o se si trattasse davvero di episodi di isteria di massa, scatenati forse da malattie e dalla frustrazione repressa delle donne che vivevano in una società maschilista. In almeno un’occasione queste danze furono vietate e si cercò di incanalare l’energia in qualcos’altro, ad esempio in gare di lettura di poesie.
Luciano di Samosata (160 d.C. circa) nel De Saltatione (“la danza”) scrisse:
“La danza bacchica è presa particolarmente sul serio in Ionia e nel Ponto, sebbene appartenga al dramma satiresco, e si è talmente impadronita della gente che, nel periodo della festa, mette da parte tutto il resto e sta seduta tutto il giorno a guardare i coriandoli, i satiri e i pastori; e le persone di miglior lignaggio e le più importanti di ogni città che ballano, senza essere minimamente imbarazzate, ma orgogliose di farlo”. ….Ogni città o regione celebra le feste degli dèi con i propri riti; così, per le divinità egizie in genere con il lamento, per quelle elleniche per la maggior parte con i cori, ma per quelle non elleniche con il clangore dei cembalisti, dei tamburini e dei flautisti….A Delo nemmeno i sacrifici vengono offerti senza danzare. Cori di ragazzi si riunivano e, al suono del piffero e della kithara, alcuni si muovevano cantando, mentre i migliori eseguivano una danza di accompagnamento; e gli inni scritti per questi cori sono chiamati appunto danze di accompagnamento.”
In una lettera ad Aurelio Teone, che riferiva sul lato commerciale della festa, Aurelio Asclepiade scrisse (295 d.C. circa):
“Desidero assumere da te Tisaïs, la danzatrice, e un’altra, per danzare per noi alla nostra festa di Bacchias, per quindici giorni a partire dal 13 Phaophi secondo il vecchio calendario. Riceverai come paga 36 dracme al giorno, e per tutto il periodo 3 artabai di grano e 15 pani; inoltre, tre asini per andare a prenderle e riportarle indietro”.
I festival delle donne dell’antica Grecia
Ogni anno si tenevano due grandi feste per le donne ateniesi: La Thesmophoria promuoveva la fertilità e onoravano Persefone con sacrifici di maialini e l’offerta di statue della dea prodotte in serie per ricevere la sua benedizione. L’Adonia onorava l’amante di Afrodite, Adone. Si trattava di una festa tumultuosa in cui gli amanti avevano rapporti apertamente licenziosi e si piantavano semi per segnare l’inizio della stagione della semina.
Durante la Thesmophoria, un evento ateniese annuale in onore di Demetra e Persefone, donne e uomini dovevano astenersi dal sesso e digiunare per tre giorni. Le donne erigevano delle arche fatte di rami e vi si sedevano durante il digiuno. Il terzo giorno portavano immagini a forma di serpente che si pensava avessero poteri magici ed entravano nelle grotte per reclamare i corpi decomposti dei maialini lasciati negli anni precedenti. I maiali erano animali sacri a Demetra. I resti dei maialini venivano deposti su un altare per la Thesmphoria con offerte, dando il via a una festa con banchetti, danze e preghiere. Questo rito prevedeva anche la presenza di bambine vestite da orso.
Pausania scrive nella “Descrizione della Grecia”, Libro I: Attica (160 d.C.):
“Accanto al tempio di Atena c’è il tempio di Pandroso, l’unica delle sorelle ad essere rimasta ferma nella sua fede. Sono rimasto molto stupito da una cosa che non è generalmente nota, e quindi descriverò le circostanze. Non lontano dal tempio di Atena Polias abitano due fanciulle, chiamate dagli Ateniesi Portatrici delle Offerte Sacre. Per un certo periodo di tempo vivono con la dea, ma quando si avvicina la festa eseguono di notte i seguenti riti. Dopo aver posto sul capo ciò che la sacerdotessa di Atena dà loro da portare – né colei che lo dà né coloro che lo portano sanno di cosa si tratti – le fanciulle scendono per il passaggio sotterraneo naturale che attraversa il recinto adiacente, all’interno della città, di Afrodite nei Giardini. Lasciano in basso ciò che portano e ricevono qualcos’altro che riportano coperto. D’ora in poi lasciano libere queste fanciulle e ne portano sull’Acropoli altre al loro posto. Presso il tempio di Atena si trova …. una vecchia alta circa un cubo, la cui iscrizione la definisce ancella di Lisimache, e grandi figure di bronzo di uomini che si affrontano per combattere, uno dei quali si chiama Eretteo, l’altro Eumolpo; ma gli Ateniesi che conoscono l’antichità sapranno sicuramente che questa vittima di Eretteo era Immaradus, figlio di Eumolpo. Sul piedistallo si trovano anche le statue di Teeneto, che fu veggente di Tolmide, e dello stesso Tolmide, che al comando della flotta ateniese inflisse gravi danni al nemico, soprattutto ai Peloponnesiaci”. [Fonte: Pausania, “Descrizione della Grecia”, con traduzione inglese di W.H.S. Jones, Litt.D. in 4 volumi. Volume 1.Attica e Cornovaglia, Cambridge, MA, Harvard University Press; Londra, William Heinemann Ltd., 1918].
Erodoto sulle feste dell’antica Grecia
Nella descrizione dell’incontro tra Solone, il grande saggio ateniese, e il re lidio Creso, considerato all’epoca uno degli uomini più ricchi del mondo, Erodoto scrive nelle “Storie” (430 a.C.):
“C’era una grande festa in onore della dea Giunone ad Argo, alla quale la madre doveva essere portata in un carro. I buoi non erano tornati in tempo dai campi, così i giovani, temendo di arrivare troppo tardi, si misero il giogo al collo e trainarono loro stessi il carro su cui viaggiava la madre. La trascinarono per quarantacinque stadi e si fermarono davanti al tempio. Questo loro gesto fu testimoniate da tutta l’assemblea dei fedeli e la loro vita si chiuse nel migliore dei modi. Anche in questo caso, il Dio mostrò con grande evidenza quanto la morte sia migliore della vita per l’uomo. [Fonte: Erodoto “La storia di Erodoto”, libro VI sulla guerra persiana, 440 a.C., traduzione di George Rawlinson, MIT].
“Gli uomini argivi, che stavano intorno al carro, esaltavano la grande forza dei giovani; e le donne argive esaltavano la madre che era stata benedetta da una tale coppia di figli; e la madre stessa, felicissima per l’azione e per le lodi che aveva ottenuto, stando dritta davanti all’immagine, implorava la dea di concedere a Cleobis e Bito, i figli che l’avevano così potentemente onorata, la più alta benedizione a cui i mortali possono arrivare. Terminata la preghiera, i due offrirono sacrifici e parteciparono al banchetto sacro, dopodiché i due giovani si addormentarono nel tempio. Non si svegliarono più, ma passarono così dalla terra. Gli Argivi, considerandoli tra i migliori uomini, ne fecero fare delle statue che donarono al santuario di Delfi”.
A proposito di una festa di tipo dionisiaco in Egitto, Erodoto scrive nelle “Storie” (430 a.C. circa):
“Per il resto la festa è celebrata quasi esattamente come le feste dionisiache in Grecia, tranne che per il fatto che gli egiziani non hanno danze corali né rappresentazioni teatrali. Usano anche falli alti quattro cubiti [poco meno di due metri], tirati da corde, che le donne portano in giro e i cui genitali maschili sono azionati da corde per andare su e giù. Un pifferaio va davanti e le donne lo seguono, cantando inni in onore di Dioniso. L’erezione del fallo, tuttavia, che gli Elleni osservano nelle loro statue di Ermes, non è derivata dagli Egizi, ma dai Pelasgi; da loro gli Ateniesi l’hanno adottata, e in seguito è passata agli altri Elleni. Gli Ateniesi, dunque, furono i primi tra gli Elleni ad adorare un fallo eretto…. [Fonte: Erodoto, “Storie”, traduzione di George Rawlinson, (New York: Dutton & Co., 1862)
Plutarco sulle strane feste degli antichi greci
Plutarco scrive nella “Vita di Alcibiade” (110 d.C. circa):
“Dopo che il popolo ebbe adottato questa mozione e tutte le cose furono preparate per la partenza della flotta, si verificarono alcuni segni e presagi poco propizi, soprattutto in relazione alla festa, cioè l’Adonia. In quel periodo cadeva l’Adonia e le donne esponevano in molti luoghi piccole immagini di morti portati alla sepoltura, e poi mimavano riti funebri, si battevano il petto e cantavano lamenti. Inoltre, la mutilazione degli Hermai, la maggior parte dei quali, in una sola notte, aveva il volto e i falli sfigurati, confuse i cuori di molti, anche tra coloro che di solito tenevano in poco conto queste cose. Essi guardarono a questo avvenimento con ira e paura, ritenendolo il segno di una cospirazione audace e pericolosa. Perciò scrutarono attentamente ogni circostanza sospetta, e il consiglio e l’assemblea si riunirono a questo scopo più volte nel giro di pochi giorni.” [Fonte: Plutarco, “Vite di Plutarco”, tradotto da John Dryden, (Londra: J.M. Dent & Sons, Ltd., 1910).
Plutarco scrisse nella “Vita di Teseo” (110 d.C. circa):
“La festa chiamata Oscoforia, o festa dei rami, che ancora oggi gli Ateniesi celebrano, fu istituita per la prima volta da Teseo. Egli, infatti, non prese con sé il numero completo delle vergini che, estratte a sorte, dovevano essere portate via [nel Labirinto], ma scelse due giovani di sua conoscenza, dal viso bello e femminile, ma dallo spirito virile e deciso, che, grazie a bagni frequenti, evitando il calore e l’arsura del sole, con l’uso costante di tutti gli unguenti, i lavaggi e gli abiti che servono ad abbellire il capo o a levigare la pelle o a migliorare la carnagione, e dopo aver insegnato loro a contraffare la voce, il portamento e l’andatura delle vergini, in modo che non si potesse percepire la minima differenza, le inserì, senza che nessuno le scoprisse, nel numero delle vergini ateniesi destinate a Creta. Al suo ritorno, insieme a queste due giovani, si recò in una solenne processione, indossando lo stesso abito che oggi viene indossato da coloro che portano i rami di vite. Questi rami sono portati in onore di Dioniso e Arianna, per la storia che abbiamo raccontato, o piuttosto perché sono tornati in autunno, il tempo della raccolta dell’uva. “Le donne, che chiamano Deipnopherai, o portatrici di cena, partecipano a queste cerimonie e assistono al sacrificio, in ricordo e a imitazione delle madri dei giovani e delle vergini a cui toccò in sorte, perché così correvano a portare pane e la carne ai loro figli; e poiché allora le donne raccontavano ai loro figli e alle loro figlie molte storie e racconti, per confortarli e incoraggiarli nel pericolo che stavano correndo, è rimasta l’usanza di raccontare in questa festa vecchie favole e racconti. Fu poi scelto un luogo e vi fu eretto un tempio a Teseo, e le famiglie da cui si raccoglieva il tributo dei giovani furono incaricate di pagare le tasse al tempio per i sacrifici a lui dedicati. La casa dei Ftalidai aveva la supervisione di questi sacrifici, poiché Teseo rendeva loro questo onore come ricompensa della loro precedente ospitalità.
Processione di Demetra a Ermione
Su una processione di Demetra a Ermione, città costiera dell’Argolide nel Peloponneso, Pausania scrive nella “Descrizione della Grecia”, Libro II: Corinto:
“L’oggetto più degno di menzione è un santuario di Demetra a Pron. Secondo gli Ermioni, questo santuario sarebbe stato fondato da Climeno, figlio di Foroneo, e da Clitonia, sorella di Climeno. Ma il racconto degli Argivi è che quando Demetra giunse in Argolide, mentre Atheras e Mysius diedero ospitalità alla dea, Colontas non la ricevette nella sua casa né le tributò alcun altro segno di rispetto. Sua figlia Chthoia disapprovò questa condotta. Si dice che Colonte fu punito con l’incendio della sua casa, mentre Chthonia fu portata a Hermion da Demetra ed esso divenne il santuario degli Ermioni. [Fonte: Pausania, “Descrizione della Grecia”, con traduzione inglese di W.H.S. Jones, Litt.D. in 4 volumi. Volume 1.Attica e Corinto, Cambridge, MA, Harvard University Press; Londra, William Heinemann Ltd., 1918].
“In ogni caso, la dea stessa si chiama Chthonia, e Chthonia è il nome della festa che si tiene ogni anno in estate. Il modo in cui si svolge è questo. La processione è guidata dai sacerdoti degli dei e da tutti coloro che ricoprono le magistrature annuali; questi sono seguiti da uomini e donne. È ormai consuetudine che alcuni, ancora bambini, rendano onore alla dea durante la processione. Questi sono vestiti di bianco e portano corone di fiori sul capo. Le corone sono intrecciate con il fiore chiamato dagli indigeni cosmosandalon, che, per dimensioni e colore, mi sembra un iris; su di esso sono persino incise le stesse lettere di lutto.
“Quelli che formano la processione sono seguiti da uomini che conducono dalla mandria una mucca adulta, legata con corde e ancora indomita e vivace. Dopo aver condotto la mucca al tempio, alcuni la sciolgono dalle corde per farla entrare di corsa nel santuario, mentre altri, che fino a quel momento tenevano aperte le porte, quando vedono la mucca all’interno del tempio, le chiudono”. Quattro donne anziane, rimaste all’interno, sono quelle che si liberano della mucca. Chi ne ha la possibilità taglia la gola alla mucca con un falcetto. Poi si aprono le porte e coloro che sono stati designati portano su una seconda mucca, e poi una terza, e ancora una quarta. Tutte vengono eliminate allo stesso modo dalle donne anziane, e il sacrificio ha un’altra strana caratteristica. Da qualunque lato cada la prima mucca, tutte le altre devono cadere sullo stesso lato.[2.35.8] Questo è il modo in cui il sacrificio viene eseguito dagli Ermioni. Davanti al tempio si trovano alcune statue delle donne che hanno servito Demetra come sacerdotessa, e passando all’interno si vedono i sedili su cui le donne anziane aspettano che le mucche vengano condotte una ad una, e le immagini, ancora giovani, di Atena e Demetra. Ma la cosa in sé che venerano più di ogni altra non l’ho mai vista, né l’ha vista nessun altro uomo, sia straniero che ermionico. Le vecchie possono tenere per sé la conoscenza della sua natura”.
Processione a Delo
L’isola di Delo era considerata sacra. La leggenda narra che Leto vi abbia dato alla luce Apollo e Artemide. Era quindi vietato nascere o morire lì. Le donne che stavano per partorire e quelle che stavano per morire dovevano essere trasportate sulla vicina isoletta di Rineia.
Per commemorare questa nascita sacra, ogni città inviava ogni anno una delegazione a Delo. In realtà secondo la leggenda, fu Teseo, il mitico re greco fondatore di Atene, dopo aver salvato i bambini di Atene dal re Minosse e dopo aver ucciso il Minotauro a fuggire su una nave diretta a Delo. Ogni anno quindi, gli ateniesi commemoravano questo fatto portando la nave di Teseo in pellegrinaggio a Delo per onorare Apollo. La processione guidata da Nicia da Atene a Delo nella seconda metà del V secolo fu un evento storico. Vi parteciparono magistrati e cittadini ateniesi, oltre a una delegazione di cantori. Vestiti a festa e con il capo incoronato, si diressero verso il santuario del dio, cantando inni in suo onore. Plutarco nella Vita di Nicia, ci racconta questi eventi, mostrandoci quanto questa processione fosse popolare tra gli abitanti della piccola isola:
Mentre la folla si precipitava incontro alla nave e invitava i cori a cantare senza alcuna preparazione, i coreuti indossavano le corone e si cambiavano d’abito in fretta e furia. Quando fu Nicia a guidare la theoria (il corteo sacro), sbarcò a Reneo con il suo coro, le sue vittime sacrificali e tutto il suo equipaggiamento. Aveva fatto costruire ad Atene un ponte su misura, magnificamente decorato con dorature, pitture, ghirlande e drappi che aveva portato con sé; durante la notte lo gettò sullo stretto canale che separa Rineia da Delo, poi, all’alba, guidò la processione in onore del dio e il coro, splendidamente addobbato e cantando, li fece sbarcare sul ponte.
Mentre la nave sacra navigava verso Delo, ad Atene venivano sospese perfino le condanne a morte, come quella di Socrate, per cui si dovette attendere il ritorno della processione per eseguire la sentenza, così come ci racconta Platone nel Fedone:
Questa è la nave, come dicono gli Ateniesi, nella quale Teseo una volta partì verso Creta conducendo quei famosi “due volte sette” e li salvò e lui stesso si salvò. Ad Apollo dunque fecero voto allora, come si dice, che se si fossero salvati, ciascun anno avrebbero inviato una processione a Delo; (spedizione) che appunto sempre anche adesso da quel tempo ogni anno ancora mandano al dio. Quando dunque iniziano la processione è norma per loro in questo tempo mantenere pura la città e non uccidere nessuno per pubblico decreto, prima che la nave sia giunta a Delo e di nuovo qui; e questo talvolta accade in molto tempo, quando capita che i venti li trattengano. E inizio della processione è quando il sacerdote di Apollo incorona la poppa della nave; e questo capitò, come dico, che fosse accaduto nel giorno precedente al processo. Per questi motivi fu anche molto per Socrate il tempo (trascorso) nel carcere tra il processo e la morte
Il termine greco pompé, letteralmente “scorta” o “processione”, si riferisce a questo tipo di corteo. Si usa nell’espressione “pompe funebri” (celebrazioni funebri) per indicare l’impresa incaricata di accompagnare i corpi dei defunti all’ultima dimora. Ancora oggi l’espressione indica un’aria di sfarzo, infatti diciamo che qualcuno è arrivato “in gran pompa” (in pompa magna in latino).
Festa di Ercole a Sicione
Su una festa a Sicione, città-stato situata nel Peloponneso settentrionale tra Corinto e l’Acaia, Pausania scrisse nella “Descrizione della Grecia” Libro II: Corinto (160 d.C.):
“Nel ginnasio non lontano dalla piazza del mercato è dedicato un Eracle di pietra fatto da Scopas.1 C’è anche in un altro luogo un santuario di Eracle. L’intero recinto qui è chiamato Pedize; al centro del recinto c’è il santuario, e in esso c’è un’antica figura di legno scolpita da Laphaes il Fliasiano. Descriverò ora il rituale della festa. La storia narra che, giunto in terra siciana, Festo trovò la gente che faceva offerte a Eracle come a un eroe. Festo allora si rifiutò di fare qualcosa di simile, ma insistette nel sacrificare a lui come a un dio. Ancora oggi i siconiani, dopo aver ucciso un agnello e bruciato le cosce sull’altare, mangiano una parte della carne come se fosse una vittima offerta a un dio, mentre il resto lo offrono a un eroe. Il secondo della festa in onore di Eracle si chiama Eraclea. Da qui si accede a un santuario di Asclepio. Entrando nel recinto si vede sulla sinistra un edificio con due stanze. Nella stanza esterna si trova una figura del Sonno, di cui ora non rimane altro che la testa. La stanza interna è dedicata all’Apollo carnico; in essa non possono entrare che i sacerdoti. Nel portico si trova un enorme osso di un mostro marino, e dopo di esso un’immagine del dio dei sogni e del sonno, chiamato Epidotes (Ricco), che culla un leone. All’interno del santuario, ai lati dell’ingresso, si trova un’immagine, da un lato Pan seduto, dall’altro Artemide in piedi. [Fonte: Pausania, “Descrizione della Grecia”, con traduzione inglese di W.H.S. Jones, Litt.D. in 4 volumi. Volume 1.Attica e Cornovaglia, Cambridge, MA, Harvard University Press; Londra, William Heinemann Ltd., 1918].
“Una volta entrati si può vedere il dio, una figura barbuta d’oro e d’avorio fatta da Calamis.1 Tiene un bastone in una mano e una pigna di pino coltivato nell’altra. I siconiani dicono che il dio fu portato da Epidauro su un carro trainato da due muli, che aveva le sembianze di un serpente e che fu portato da Nicagora di Sicione, madre di Agasicle e moglie di Echemio. Qui ci sono piccole figure appese al tetto. Si dice che colei che sta sul serpente sia Aristodama, la madre di Arato, che essi ritengono essere un figlio di Asclepio. Queste sono le cose degne di nota che questo recinto mi ha presentato, e di fronte c’è un altro recinto, sacro ad Afrodite. La prima cosa che si trova all’interno è una statua di Antiope. Si dice che i suoi figli fossero siconiani e che, a causa loro, i siconiani ritengano che la stessa Antiope sia imparentata con loro. Dopo di essa si trova il santuario di Afrodite, nel quale entrano solo una sagrestana, che dopo la nomina non può avere rapporti con un uomo, e una vergine, chiamata Portatrice del Bagno, che ricopre il suo sacro incarico per un anno. Tutti gli altri sono soliti vedere la dea dall’ingresso e pregare da quel luogo. L’immagine, che è seduta, è stata realizzata dal siriano Canaco, autore anche dell’Apollo di Didyma dei Milesi e dell’Apollo ismailita per i Tebani. È fatto d’oro e d’avorio, ha in testa un polos, e porta in una mano un papavero e nell’altra una mela. Offrono le cosce delle vittime, tranne i maiali; le altre parti le bruciano per la divinità con legno di ginepro, ma mentre alle cosce che bruciano, aggiungono all’offerta una foglia di paideros.
“Questa è una pianta che si trova nelle zone aperte del recinto e non cresce da nessun’altra parte né in Siconia né in nessun’altra terra. Le sue foglie sono più piccole di quelle della quercia esculenta, ma più grandi di quelle del leccio; la forma è simile a quella della foglia di quercia. Un lato è di colore scuro, l’altro è bianco. Si potrebbe paragonare il colore a quello delle foglie di pioppo bianco. Salendo da qui verso il ginnasio si vede sulla destra un santuario di Artemide Ferea. Si dice che l’immagine lignea sia stata portata da Pherae. Questo ginnasio fu costruito per i siconiani da Clinio, e ancora oggi vi si allenano i giovani. Qui si trovano immagini di marmo bianco, un’Artemide lavorata solo fino alla vita e un Eracle le cui parti inferiori sono simili alle Erme quadrate”.
I Grandi Misteri
Kiki Karoglou del Metropolitan Museum of Art scrive:
“Nell’antichità classica, i primi e più celebri misteri erano quelli eleusini. A Eleusi, il culto delle divinità agricole Demetra e sua figlia Persefone, nota anche come Kore, si basava sui cicli di crescita della natura. Gli Ateniesi ritenevano di essere stati i primi a ricevere da Demetra il dono della coltivazione del grano. [Fonte: Kiki Karoglou, Department of Greek and Roman Art, Metropolitan Museum of Art, ottobre 2013, metmuseum.org ]
“Durante la Grande Eleusinia, il cui aspetto pubblico culminava nella grande processione dal centro di Atene a Eleusi lungo la Via Sacra, le azioni e le esperienze degli iniziati rispecchiavano quelle delle due dee nel dramma sacro (drama mystikon). All’inizio del VI secolo a.C. fu introdotta la figura di Kore, “regina degli Inferi”, e fu aggiunto alla festa un rito di iniziazione notturno chiamato katabasis: una discesa simulata nell’Ade e la ricerca rituale di Persefone. Davanti all’ingresso del Telesterion, la sala centrale del santuario dove si svolgevano i riti segreti, personale sacerdotale munito di torce incontrava gli iniziati, che fino a quel momento vagavano al buio. Nei misteri eleusini, la tensione tra pubblico e privato, tra visibile e segreto era insita nella doppia natura del culto. A differenza della religione della città-stato (polis), la partecipazione era limitata agli individui che sceglievano di essere iniziati, di diventare mystai. Allo stesso tempo, era molto più inclusivo, essendo aperto non solo ai cittadini ateniesi maschi, ma anche ai non ateniesi, alle donne e agli schiavi”.
Misteri eleusini
Il culto di gran lunga più noto era quello dei Misteri Eleusini, una città dell’Attica a circa venti chilometri da Atene. Ancora oggi gli storici faticano a capire cosa vi si svolgesse. I segreti erano ben custoditi: chiunque li divulgasse era passibile di pesanti sanzioni. Il culto di Persefone e Demetra era al centro di questo evento: alla fine di un complicato processo, veniva ricreato, per così dire, il viaggio nel regno dell’Ade. La cerimonia finale offriva agli iniziati un assaggio della loro vita dopo la morte. Questo culto, a quanto pare, garantiva agli iniziati, se non l’immortalità, almeno una vita felice nell’aldilà.Il rito si svolgeva alla fine dell’estate, probabilmente durante il Boedromione, nel demanio di Eleusi ad Atene. Il culto era aperto a chiunque parlasse greco, ma prevedeva una quota di partecipazione molto alta. I riti di purificazione e di iniziazione erano molto complessi. Ogni partecipante doveva lavare un giovane maiale prima di sacrificarlo; doveva inoltre indossare abiti speciali e mangiare cibi particolari. La cerimonia, che durava diversi giorni, cambiava per sempre l’esistenza dei partecipanti.
I Misteri era divisi in due celebrazioni separate:
- I Misteri Minori: L’Anthesterion ateniese del “mese dei fiori” (febbraio/marzo) – con il 12° Pithoigia “apertura delle giare”, il 13° Choes “anfore vinarie” e il 14° Chytrai – si svolgeva ad Agrai, ad Atene, sul lato sud-est del torrente Ilissos, appena fuori dalle vecchie mura, dove c’era un santuario di Demetra (Metroon) e di Artemide. Si diceva che la fanciulla Oreithyeia fosse stata rapita qui da Borea (“vento del nord”: morte/freddo) e violentata. Il suo compagno era Pharmakeia (“consumatore di droghe”). [Platone Fedro 229c] [Fonte: John Adams, California State University, Northridge (CSUN), “Classics 315: Mitologia greca e romana ]
- I Misteri maggiori: Boedromione, il mese ateniese della corsa dei tori (settembre-ottobre). Il 13 e il 14 di Boedromione, i giovani efebi aristocratici ateniesi (adolescenti impegnati nell’addestramento militare) scortavano le “cose sacre” da Eleusi ad Atene. Le “cose sacre” venivano portate all’Eleusinion, ai piedi ovest dell’Acropoli. Il loro arrivo veniva poi comunicato alla sacerdotessa di Atena Polias (Città-Atena). I primi quattro giorni della festa si svolgevano ad Atene (dal 15 al 18): il 15 Agrimos (“Raduno”), il 16 “Verso il mare, iniziati”, il 17 “Verso le vittime”, il 18 Epidauria (ad Atene), il 19 marzo verso Eleusi, il 20 l’iniziazione, il 21 le Plemochoiai.
La festa era supervisionata dal magistrato ateniese, il Basileus (“Re”), con due assistenti del corpo cittadino ateniese e un rappresentante del clan Eumolpidai e del clan Kerykes. Gli iniziati dovevano fare il bagno in mare e sacrificare un maiale a Demetra. La processione di 20 chilometri verso Eleusi era guidata dalla statua di Iacchos (Bacco). I partecipanti indossavano corone di mirto sul capo e portavano fasci di foglie legati con bacchoi (anelli). Di notte, all’interno di un piccolo edificio chiamato Anaktoron (“casa del re” wanax) nel Telesterion (“sala dell’iniziazione”) di Eleusi, le cose sacre venivano poste in cesti (kistai) e “mostrate” dallo Ierofante. L’Epopteia (“vedere”) era una festa facoltativa che si teneva l’anno successivo al festival dei Misteri Maggiori. Ai Mystai (iniziati alla cerimonia dell’anno precedente) veniva ‘mostrato’ uno stelo di grano appena tagliato”.
Il seguente estratto dagli Inni omerici, dà conto di questi misteri. Qui l’attenzione si concentra su Demetra, Persefone e i misteri:
A tutti Demetra ha rivelato lo svolgimento dei suoi riti e dei suoi misteri […] misteri terribili che nessuno può in alcun modo trasgredire o divulgare […] beato il mortale che ha potuto vedere queste cose […]
Le persone erano tanto più attente a rispettare le regole del culto in quanto consideravano unica questa esperienza spirituale. L’iscrizione sul sito della Fonte delle Ninfe a Delo dà un’idea abbastanza precisa del grado di venerazione che gli uomini avevano per i luoghi di culto:
Non lavare nulla nella fontana, non fare il bagno nella fontana, non gettare nulla, né letame né altro nella fontana, eccetto due offerte in dracme sacre.
I Culti più importanti potevano essere aperti a tutti, ma c’erano altri riti più esclusivi, riservate a certe categorie di mercanti o artigiani (vasai o ramai). La natura dei riti si rivelava per il loro costo, talvolta proibitivo. Era quindi soprattutto tra i ricchi che si formavano alcuni culti esclusivi e talvolta curiosi, sui quali tuttavia gli storici hanno poche informazioni da offrirci.
(traduzione da https://factsanddetails.com/world/cat56/sub406/entry-6197.html#con aggiunte e integrazioni)