I Romani non vivevano solo per gli spettacoli della loro città. Avevano molte responsabilità come il lavoro e i rituali religiosi, ma si dilettavano anche a organizzare feste in casa.
Le cene erano l’occasione perfetta per mettere in mostra la propria casa. Era normale organizzare una cena per i visitatori che tornavano dopo una giornata all’anfiteatro. Tuttavia, il vero intento era quello di fare una proclamazione pubblica di se stessi, della propria cerchia di conoscenti e della propria posizione nell’ordine sociale più ampio.
Come una sorta di apprezzamento per la loro devozione, i ricchi a volte invitavano i loro clienti. I clienti venivano trattati come ospiti di seconda categoria e venivano serviti cibo e alcolici più economici. Tuttavia, poiché ci si aspettava che il padrone di casa offrisse un regalo di addio ai suoi visitatori, è possibile che valesse la pena presentarsi.
Il triclinio, che letteralmente significa “divano con tavolo a tre lati”, era un tipo di disposizione dei posti a sedere in cui i partecipanti a una cena potevano reclinarsi su divani disposti intorno ai tre lati della sala da pranzo. Affinché tutti potessero servirsi da soli, gli schiavi portavano il cibo al centro attraverso il lato aperto. Solo le famiglie più ricche potevano permettersi di avere una sala da pranzo estiva e una invernale.
Cena e spettacolo
Gli attori che presentavano una scena di un’opera teatrale o di una pantomima, così come uno spettacolo di danza, intrattenevano gli ospiti per tutta la serata. Ma nelle case più colte, gli uomini recitavano le proprie poesie, scritte alla maniera di un poeta rinomato come Ovidio o Virgilio, e si annoiavano l’un l’altro assieme alle loro consorti fino alle lacrime. Lo scopo era quello di mostrare la loro abilità nel costruire versi variando molto la metrica. Il poeta Marziale una volta promise a un amico che si sarebbe divertito a cena giurandogli che non gli avrebbe recitato nulla, quindi potete immaginare quanto queste esibizioni potessero diventare noiose!
Ci vieni alla mia festa?
Nel nord della Gran Bretagna, nei pressi del sito di un forte romano noto come Vindolanda, gli archeologi hanno portato alla luce uno dei più famosi esempi di invito a una festa dell’antica Roma. Per quanto ne sappiamo, si tratta del più antico documento scritto in latino da una donna e risale alla seconda metà del I secolo d.C. Sulpicia Lepidina, moglie del comandante di Vindolanda, fu invitata da Claudia Severa, moglie del comandante di un’altra fortezza, ad una festa:
Saluti da Claudia Severa a Lepidina. Per la mia festa di compleanno il terzo giorno prima delle Idi di settembre ( cioé il giorno 11 Settembre), sorella, ti invito cordialmente a unirti a noi. La tua presenza renderebbe la mia giornata ancora più bella.
Saluta il tuo Ceriale. Il mio Elio e il suo figliolo lo salutano. Ti aspetto, sorella! Stammi bene, anima mia carissima, così come io mi auguro di star bene. A Sulpicia Lepidina moglie di Ceriale, da parte di Severa.
Questo piccolo eppur notevole documento, scritto con inchiostro su una sottile tavoletta di legno, è stato scoperto negli anni ’70 ed è probabilmente il pezzo più noto delle Tavolette Vindolanda, ci testimonia quanto fosse importante per i romani mantenere gli standard della loro civiltà e dei loro costumi, quindi anche l’intrattenimento e l’ospitalità, anche a centinaia di chilometri dalla capitale, visto che queste due mogli di ufficiali stanziati in provincia (che probabilmente non erano mai state a Roma) ci tengono molto a partecipare e organizzare questo party di compleanno, che comunque non sarà stato certo paragonabile a quelli degli aristocratici dell’Urbe che oziavano su divani in banchetti lussuosi. La prima parte della lettera è stata scritta in stile formale con grafia professionale, evidentemente da uno scriba; le ultime quattro righe sono aggiunte con una grafia diversa, ritenuta quella di Claudia.
Buoni Saturnalia!
I Saturnalia, celebrati intorno al solstizio d’inverno, erano la più grande festa alcolica dell’anno. I festeggiamenti iniziavano il 17 dicembre con una cerimonia nel Tempio di Saturno e si protraevano per quasi una settimana. In questo periodo dell’anno non importava se tu fossi nobile, ricco, povero o schiavo. Come parte dei festeggiamenti, tutti si sedevano insieme a un banchetto gratuito e si salutavano con la semplice frase “Io Saturnalia”, che si traduce in “Felici Saturnalia!”. Anche gli schiavi potevano riposare e godere addirittura del servizio dei loro padroni. Tutti si scambiavano regali e si sforzavano di passare una bella giornata, nonostante la maggior parte dei luoghi di divertimento fossero chiuse per la festività. Se tutto questo vi ricorda Natale, è perché la nostra festività cristiana si basa su quella romana dei Saturnalia, e dato che al giorno d’oggi il Natale ha perso un poco di quell’impronta cristiana che aveva alle sue origini, forse proprio per questo assomiglia molto di più ai Saturnalia dell’Antica Roma.
Argenteria
L’oro e l’argento erano riservati alle posate più raffinate. Il cibo veniva servito in tazze, piatti, ciotole e persino in enormi casseruole. I pezzi in argento, i cui stili decorativi distintivi erano immediatamente riconoscibili, avevano i prezzi più alti. Il palazzo dell’imperatore, naturalmente, aveva le stoviglie più raffinate ed elaborate. Uno dei tanti piatti d’argento posseduti dagli schiavi dell’imperatore Claudio (41-54 d.C.) si chiamava Drusillanus e pesava circa 163 chilogrammi (500 libbre). I piatti d’oro e d’argento erano tra i regali preferiti dagli imperatori.
Il peltro, composto da stagno e piombo, era invece un’alternativa all’argento se si aveva un budget limitato. Poi c’era la ceramica. I Romani utilizzavano un’ampia varietà di ceramiche, anche se erano riservate alle classi inferiori durante le cene formali. Anche il miglior vasellame era spesso di un rosso brillante e sgargiante.
Il vetro era ugualmente molto ricercato, soprattutto se si considera che la tecnica della soffiatura era stata inventata da poco in Medio Oriente. Quanto più era trasparente, tanto più alto era il suo valore.
Le voci del menu
Nel IV secolo, un master chef di nome Apicio scrisse un libro di cucina. Miele, aceto e salsa di pesce erano gli esaltatori di sapidità comunemente utilizzati nei piatti, in quanto facilmente accessibili. Tuttavia, i Romani avevano accesso anche a spezie più costose provenienti dall’Oriente, come sale, pepe, senape e altre erbe esotiche. Il garum, una salsa ricavata da pesce fermentato avariato, era un condimento popolare nella cucina romana il cui corrispettivo nella cucina italiana potrebbe essere ad esempio la colatura di alici, in quella francese potrebbe essere la Salsa Nantua, a base di gamberi. Alcuni nel mondo anglosassone sostengono che la salsa Worcestershire (che è a base di alici) sia una diretta discendente di questa salsa dell’antica Roma, ma c’è anche chi sostiene che anche il nuoc-man asiatico sia simile al garum romano.
La cena (il pasto principale dei Romani, consumato alla fine della giornata) comprendeva diverse portate:
- ✓ Gustatio o antipasto
- ✓ Prima mensa: verdure, carne e pesce.
- ✓ Secunda mensa: carni speziate, salumi, dolci.
- ✓ Commisatio, solo per gli uomini: assaggio di vini.
I commensali dell’antica Roma potevano gustare alcuni di questi piatti:
- Tonno sottaceto o in salsa piccante, dolci d’orzo, vino raffreddato con neve portata dalle montagne e insalata con lumache e uova potevano essere serviti come antipasto agli ospiti.
- Pesce, maiale, mammelle di scrofa, coniglio, galline ripiene, ghiri ingrassati in vasi speciali, lumache ingrassate con il latte a tal punto, da non riuscire a rientrare nel guscio, e ricci di mare: tutte queste prelibatezze potevano essere servite come piatti principali. I piatti erano molto speziati e i Romani amavano particolarmente i sapori agrodolci.
- Il vino veniva importato da tutto l’Impero Romano. Il prezzo di una bottiglia di vino sabino era quattro volte superiore a quella del più economico, noto come “vino comune”, che doveva essere una vera schifezza. Le impurità venivano filtrate con colini e il vino poteva essere servito sia caldo che freddo. Durante la cena, si poteva bere il vino mulsum (mescolato con il miele), nivatum (raffreddato con la neve) o diluito con acqua di mare.
Due ricette del famoso gastronomo Apicio
✓ Pollo Vardiano (pullus vardanus)
Cuocere il pollo in una miscela di garum, olio e vino, con un bouquet garni o un mazzetto aromatico di porri, coriandolo e santoreggia. Quando il pollo è cotto, pestare un po’ di pepe e i pinoli nel fondo di cottura e nel latte, dopo aver tolto il mazzetto aromatico. Versare questo composto sul pollo e portare a ebollizione. Unire la salsa con gli albumi d’uovo cotti schiacciati. Disporre il pollo su un piatto e irrorarlo con questa preparazione (chiamata salsa bianca).
✓ Antipasto di albicocche (Gustum de praecoquis)
Mettere in una casseruola olio, garum, vino, cipolla tritata e spalla di maiale cotta tagliata a dadini. Una volta cotta, schiacciare il pepe, il cumino, la menta e l’aneto. Versare il miele, il garum, il vino e un po’ di aceto nel fondo di cottura e mescolare bene. Aggiungere le albicocche snocciolate e farle bollire fino a cottura. Mischiare la salsa con pezzi di pasta sbriciolata, cospargere di pepe e servire.