Severo fu ucciso da un ammutinamento guidato da Massimino, che rimase imperatore per tre anni (235-238) e fu poi ucciso dai suoi soldati ammutinati. Anche Gordiano, suo successore (238-244), fu ucciso dai suoi stessi soldati nel suo accampamento sull'Eufrate.
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Filippo l’Arabo (244-249)
Costui era un arabo figlio d’un capo di briganti. Si dice che fosse anche cristiano, tuttavia non si hanno prove sicure di ciò. Egli s’affrettò, dopo averli sconfitti a stipulò una pace con i Persiani, e combattè vittoriosamente i Carpi della Dacia. Venuto a Roma, celebrò con feste solenni e giochi il giubileo del millennio dell’Urbe, e intanto i Goti attraversavano il Danubio, mentre Giotapiano nella Siria, Marino nella Mesia venivano innalzati a imperatori. Sconfitti costoro, i soldati acclamarono Decio, che da Filippo era stato mandato in Pannonia. Filippo fu vinto a Verona da Decio e morì, assieme al figlio, combattendo (249).
Traiano Decio (249-251)
Decio si sforzò di restaurare la decadenza dell’impero col ristabilimento dell’antica disciplina e degli antichi costumi. Per ciò ripristinò la censura, e persuaso che la decadenza del culto fosse una delle cause della decadenza politica, perseguitò i Cristiani che da quaranta anni godevano la pace, salvo un breve periodo di persecuzione sotto Massimino. Ma anche la persecuzione di Decio venne troncata dalla guerra con i Goti. Divisi già in due gruppi, gli Ostrogoti ad oriente tra il Don e il Dnieper e i Visigoti ad occidente fra il Dnieper e i Carpazi, avevano invaso la Mesia e di qui spingendosi a sud erano giunti a Fìlippopoli. Presso Abrittus, nella Dobrugia, (oggi Nicopoli in Bulgaria) li raggiunse Decio, ma nella battaglia perdette il trono e la vita (251).
Treboniano Gallo (251-254)
Le legioni in tale frangente
nominarono Treboniano Gallo come suo successore, che governò insieme al figlio di Decio, Ostiliano e concesse ai Goti di ritornare in patria col bottino e coi prigionieri, concludendo una pace umiliante per Roma, anche se gestire le varie minacce di confine era diventato oggettivamente difficile. Perseguitò anche lui i Cristiani a cui attribuì la comparsa di una peste micidiale che devastò tutto l’impero e della quale si ammalò anche Ostiliano, che vi morì.
Gallo fu ucciso nel 253 dai suoi stessi soldati, che preferivano l’idea di essere governati da un governatore chiamato Emiliano, che era riuscito a sconfiggere i Goti.
Emiliano (254)
Un generale di Treboniano di nome Emiliano, approfittando della crisi osò aspirare alla corona. Vendicata la disfatta di Abrittus venne in Italia; a Terni sollevò le milizie di Gallo, le quali, messo a morte Treboniano, passarono tutte dalla sua parte. Nè il senato tardò a riconoscerlo come imperatore.
Valeriano (254-260) e Gallieno (254-268)
Tuttavia nello
stesso anno Emiliano incontrò l’identico destino di fronte ai soldati di Valeriano che venivano a spogliarlo del trono. Il governo di Emiliano era durato solo tre mesi.
Valeriano era uomo di molto saggio e di esperienza ed è presumibile che avrebbe fatto un gran bene all’impero se il suo regno non fosse stato molto travagliato. Governò insieme al figlio Gallieno; due imperatori is megl che uan, come diceva una vecchia pubblicità, e quello era ormai l’unico modo per cercare di gestire i problemi di frontiera e tenere in piedi l’Impero. Nel 256, Valeriano partì per combattere il re persiano sassanide Shapur.
Mentre suo padre Valeriano combatteva in Oriente, Gallieno avrebbe dovuto occuparsi delle province occidentali dell’Impero Romano; in realtà dovette sedare e tamponare le mille rivolte, pestilenze e carestie che dilaniavano il regno. Nel 262, dopo un terremoto catastrofico che aveva distrutto le città dell’Asia e scosso anche Roma, arrivò a Roma una nuova ondata di una pestilenza che, al suo culmine, si diceva uccidesse fino a 5.000 persone in un solo giorno in tutto l‘Impero. In Oriente Gallieno affrontò la crescente potenza di Palmira mentre in Occidente ci fu la secessione dell’Impero Gallico da quello Romano.
La minaccia per lo stato arrivava ormai da tutte parti. Richiamate le legioni dal Reno e dal Danubio, i confini erano ormai aperti a tutti i Barbari. E già i Goti, devastata la penisola Balcanica, passavano il Bosforo e l’Ellesponto, saccheggiando l’Asia Minore; i Persiani si agitavano nell’Oriente ; i Marcomanni in Occidente.
I barbari premevano su tutte le frontiere e si insinuavano in tutte le province. L’impero sembrava sul punto di cadere a pezzi. Valeriano, riunite tutte le milizie della Pannonia, Dalmazia, Dacia, Mesia, Tracia, assicurò sulle prime tutta la frontiera danubiana (256), ma quando si recò a combattere i Persiani venne fatto prigioniero da Shapur, il re persiano, in uno scontro davanti a Edessa, in Mesopotamia (260). Si ritiene che un grande rilievo rupestre, ancora visibile nei pressi della città persiana di Shiraz, commemori il trionfo di Shapur sullo sfortunato imperatore.
Valeriano morì in prigionia. Fu una grande umiliazione e senza precedenti per un imperatore romano. Un ufficiale di nome Macriano dell’esercito di Valeriano colse subito l’occasione e proclamò imperatori i suoi due figli, Macriano il Giovane e Quieto (che evidentemente tanto quieto non era), nel 260. I due Macriani si diressero a ovest con un esercito per sbarazzarsi del figlio di Valeriano, Gallieno.
Intanto Gallieno combatteva gli Alemanni e i Franchi, mentre alcune bande di Barbari, attraversata la Grecia e la Spagna, s’erano persino recate nell’Africa, e gli Alemanni, poco dopo, approfittando dell’assenza dell’imperatore chiamato in Pannonia da una insurrezione, invadevano l’Italia.
Fortunatamente il senato ritrovò
l’energia dei tempi antichi e, armati i plebei della città, accorse
contro gli invasori che ripassarono le Alpi. Ma Gallieno, vinti i ribelli a Mursa (Esseg), accaparrandosi i meriti della vittoria del senato, proibì ai senatori l’esercizio di qualunque ufficio militare avvilendo nel modo più indegno la sua dignità e autonomia.
Intanto a Palmira…
Palmira, un’oasi sulla grande via carovaniera tra la Mesopotamia e l’estremo oriente, era una delle città più ricche e più grandi dell’Impero romano d’Oriente. Gli abitanti erano di origini nomadi, e invano Marco Antonio cercò di conquistare la città nel 41 a.C. per saccheggiala. Gli abitanti, saputo del suo arrivo, riuscirono portare tutti i loro beni oltre le rive dell’Eufrate e Antonio rimase a bocca asciutta.
Palmira ottenne poi vari privilegi da numerosi imperatori romani, come ad esempio la licenza di richiedere il dazio su tutti i traffici che passavano per la città, il che la rese ne accrebbe la ricchezza. Palmira divenne una colonia romana sotto Settimio Severo (193-211).
Publio Settimio Odaenato era un membro della più importante nobiltà del luogo e si proclamò re di Palmira dopo l’uccisione di Valeriano I, nel 260. In realtà, Odenato si era preso la corona per contrastare ad Oriente i Sassanidi e liberarsi dell’usurpatore Quieto. Gallieno nominò Odenato “re d’Oriente” e comandante di tutte le forze romane nella regione.
Odenato attaccò e vinse Quieto a Emesa nel 261 dove quest’ultimo perse la vita. Sotto Odenato, Palmira divenne la principale forza nell’Oriente romano. Egli infatti riconquistò la Mesopotamia per l’Impero romano e ricevette persino il titolo di imperator. Ma il potere a Palmira era instabile come dappertutto ormai. Odaenato fu ucciso nel 267 per una congiura di palazzo. Suo figlio Vaballato ereditò il trono, ma dovette condividere il potere con la bella, molto intelligente e ambiziosissima madre Zenobia.
I trenta tiranni
A Massimino dunque erano seguiti rapidamente Gordiano, Filippo e Decio, per poi arrivare a quella che viene chiamata “l’età dei trenta tiranni”. Di li a poco infatti, Essendo lo scettro imperiale detenuto da imperatori deboli, in ogni parte dell’impero sorsero concorrenti per il trono, rivali anche fra di loro, che spesso apparivano in campo contemporaneamente; da qui il periodo fu detto appunto dei 30 tiranni, benché in verità fossero diciannove e non avessero nulla a che vedere coi tiranni dell’età ellenica. Essi erano : Ciriade, Macriano, Balista, Odenato e Zenobia in Oriente: Postumo, Lolliano, Vittorino e sua madre Vittoria, Mario, Tetrico nella Gallia e nell’Occidente; Ingenuo, Regilliano e Aureolo nell’Illirico e presso il Danubio; Saturnino nel Ponto; Trebelliano nell’Isauria; Pisone in Tessaglia; Valente nell’Acaia; Emiliano in Egitto; Celso in Africa.
Morte di Gallieno
L’Italia, Roma e il senato si tennero tuttavia fedeli a Gallieno, il quale, mentre assediava un usurpatore a Milano, cadeva assassinato. Gallieno era un imperatore colto, amante della cultura greca e che fu tollerante nei confronti dei cristiani.
Sceglieva con cura i comandanti delle sue legioni, tra i personaggi più validi e capaci, ed aveva costituito un esercito molto duttile, agile e mobile per arrivare tempestivamente dove c’era più bisogno, cioè dovunque ormai.
Gallieno aveva fermato l’invasione della Grecia da parte della tribù germanica chiamata Eruli, assegnando al generale Acilio Aureolo la guerra contro Postumo. Aureolo tradì la sua fiducia e pensò invece di fare un colpo di mano e si diresse con l’esercito verso Roma.
Gallieno lo raggiunse e lo chiuse d’assedio a Milano, ma qui egli fu assassinato nel 268 da alcuni dei suoi stessi ufficiali, tra cui i futuri imperatori Claudio II e Aureliano.
La secessione dell’Impero gallico
Valeriano aveva nominato Marco Cassiano Latinio Postumo comandante delle guarnigioni sul Reno. Nel 259, Postumo fu dichiarato imperatore a Colonia dalle sue milizie. Postumo controllava la Gallia, la Spagna e la Britannia, gestendole come un Impero romano alternativo, definito dagli storiografi successivi Impero Gallico: aveva un proprio imperatore, un proprio Senato, i consoli e tutte le magistrature come a Roma. Postumo fu un sovrano popolare e capace, che cercò di applicare riforme anche economiche e che pose a capitale del suo effimero impero, la città di Treviri.
Successivamente, una fortunata successione di cinque buoni imperatori – Claudio, Aureliano, Tacito, Probo e Carino (a.d. 268-284) – ristabilì per un certo tempo gli antichi confini e costrinse nuovamente a una sorta di unione lo Stato che era quasi ridotto in frantumi.
Marco Aurelio Claudio il Gotico (268-270)
Claudio II Il Gotico (268-270) fu uno dei cospiratori coinvolti nella morte di Gallieno. Si guadagnò il titolo dopo aver riportato un’enorme vittoria sui Goti, che scorazzavano per la penisola Balcanica, nella battaglia di Naisso (Nissa), costringendoli, dopo una grandissima strage, alla ritirata. Ma i due anni successivi del regno di Claudio furono, si può dire, tutti ancora occupati sempre nella guerra contro i barbari e nella lotta contro una pestilenza scoppiata proprio nelle regioni che lo avevano visto vittorioso, e che tolse la vita anche al valoroso principe. Caso unico di imperatore romano del III secolo che non finì trucidato.
(Libero adattamento da Manuale di Storia Romana di G. Bragagliolo, 1896, con aggiunte e integrazioni)
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