< – Nelle puntate precedenti:
Nel periodo classico vi fu una rivoluzione nella statuaria greca, solitamente associata all’introduzione della democrazia e alla fine della cultura aristocratica associata ai kouroi. Il periodo classico ha visto cambiamenti nello stile e nella funzione della scultura. Le pose divennero più naturalistiche (vedi l’Auriga di Delfi per un esempio di passaggio a una scultura più naturalistica) e l’abilità tecnica degli scultori greci nel rappresentare la forma umana in una varietà di pose aumentò notevolmente. A partire dal 500 a.C. circa le statue iniziarono a raffigurare persone reali. Si dice che le statue di Armodio e Aristogitone erette ad Atene per celebrare il rovesciamento della tirannia, siano state i primi monumenti pubblici a persone reali.
Un periodo forse sfavorevole alla filosofia, ma che vede sorgere due giganti del pensiero
Se lo spirito energico di questo periodo diede una nuova ispirazione alla letteratura e all’arte, esso non fu così favorevole al pensiero filosofico e scientifico. La mente greca era agitata da sentimenti intensi, che potevano trovare un’espressione appropriata nei versi di Simonide o nei marmi di Egina. Ma i tempi non erano favorevoli alla riflessione serena e alla costruzione di sistemi filosofici. In effetti, la filosofia più influente del tempo era forse incarnata nelle parole tanto esaltate e piene di saggezza sparse nei versi di poeti come Simonide, Pindaro ed Eschilo. Gli unici filosofi veri e propri, che posero i pilastri di tutta la successiva evoluzione del pensiero e della metafisica, i cui nomi appartengono propriamente a questo periodo, sono Eraclito di Efeso e Parmenide di Elea, due uomini che vissero agli estremi opposti del mondo ellenico, l’uno sotto l’ombra oscura del potere persiano, l’altro nella più luminosa e pacifica terra d’Italia.
Eraclito, Johannes Moreelse, 1630
Eraclito di Efeso
L’Asia Minore era stata la patria originaria della filosofia greca. Qui a Mileto erano fioriti Talete, Anassimandro e Anassimene. Ma le guerre persiane avevano distrutto la cultura delle città ioniche. L’ultimo rappresentante della scuola ionica fu Eraclito. Originario di Efeso, aveva visto la sua terra devastata dalla guerra e infine privata della sua libertà. Disperato si rifugiò nelle montagne vicine, e nel suo ritiro eremitico deplorò le miserie del mondo. Fu giustamente chiamato il “filosofo che piange”. Il mondo intero gli sembrava un mondo di conflitto e in perenne cambiamento. A lui tutto sembrava trovarsi in uno stato di agitazione; e quindi stabilì che il principio primo è “la lotta che è il padre di tutte le cose”. Non c’è niente di stabile e duraturo; e così ne dedusse che “tutte le cose sono in uno stato di flusso continuo”. Tutto va e viene continuamente e nulla è fisso. Se c’è un elemento primario nell’universo, deve essere qualcosa come il fuoco, che non mantiene mai una forma definita e permanente. La filosofia di Eraclito incarnava i riflessi naturali di un uomo che viveva in quella parte del mondo greco che un tempo era stata libera e prospera, ma che ora aveva perso la fede e la speranza.
Parmenide di Elea
Se la guerra persiana estingueva lo spirito filosofico in Ionia, dove un tempo esso era fiorito, non ci si poteva aspettare che incoraggiasse la filosofia in Grecia, dove essa non era ancora stata coltivata in alcun modo. Anche la Sicilia aveva subito una guerra tra Siracusa e Cartagine. L’unico luogo del mondo ellenico che sembrava offrire un’opportunità per una serena riflessione e un alto pensiero filosofico era l’Italia meridionale. E qui ad Elea fioriva ancora la scuola fondata da Senofane, il filosofo che credeva che l’universo nel suo fondazmento fosse Uno e che quell’Uno fosse Dio. Il filosofo che ora spicca ad Elea e che fu senza dubbio il più grande pensatore di questo tempo, fu Parmenide. Se Eraclito credeva che tutto fosse in uno stato di cambiamento, era semplicemente perché egli guardava alla superficie delle cose attraverso i sensi. Se con l’aiuto della ragione guardiamo invece sotto la superficie, troveremo un principio ultimo che non cambia mai: l’essere assoluto, sempre lo stesso, ieri, oggi e per sempre. E così Parmenide distinse tra il mondo dei sensi, che è solo apparenza, e il mondo della ragione, che è la realtà. Con tale fede in un principio eterno, visse una vita nobile e divenne proverbiale presso i Greci parlare di una «vita come quella di Parmenide», per indicare un’esistenza sommamente virtuosa.
In conclusione, si può dire che le guerre persiane suscitarono un sentimento di patriottismo e incoraggiarono sentimenti attivi e vigorosi, che si espressero in poesia e nell’arte. Ma scoraggiarono la coltivazione del pensiero riflessivo e così la filosofia declinò in Asia Minore, e fiorì solo in Italia, che fu solo marginalmente colpita dalle guerre di quel periodo. Ma vedremo che le guerre persiane contribuirono indirettamente a la crescita dell’impero ateniese e alla cultura superiore dell’età di Pericle.
(Libera traduzione dall’inglese da Outlines of Greek history: with a survey of ancient oriental nations di William Carey Morey, New York: American Book Company, 1903)
Nel prossimo episodio – > : Il termine pentecontaétie (dal greco antico: πεντηκονταετία / pentēkontaetía, “periodo di cinquant’anni”) designa generalmente il periodo che separa la fine delle guerre greco-persiane (circa 480 a.C.) dall’inizio della guerra del Peloponneso (430 a.C.). Questo periodo, descritto da Tucidide, corrisponde infatti all’età d’oro della città di Atene (periodo la cui figura principale è Pericle) città che segnò poi la sua egemonia sull’intero mondo greco. Questo vede la graduale ascesa dell’imperialismo ateniese: grazie alla potenza della sua flotta allestita da Temistocle, Atene impone la sua presa sui suoi alleati nella lega di Delo, originariamente creata per combattere la minaccia dell’Impero achemenide.