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LA FINE DEL MONDO ANTICO

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L'Impero Bizantino, chiamato all'epoca Impero Romano d'Oriente, era la parte orientale dell'Impero Romano che sopravvisse per tutto il Medioevo. La capitale dell'impero era Costantinopoli, che sarebbe stata poi rinominata Istanbul dopo la conquista ottomana. Il greco era la lingua più importante dell'Impero bizantino. La cultura e l'identità greca furono d'altronde una parte molto importante dell'Impero bizantino. Nell'800, papa Leone III incoronò Carlo Magno imperatore dei Romani, cosa che suscitò l'indignazione dell'imperatore bizantino, che riteneva di essere l'unico legittimo imperatore romano. I rapporti tra il papa di Roma e il patriarca di Costantinopoli divennero così molto tesi. Nel 1054, il Grande Scisma divise la cristianità in due fazioni principali: la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa orientale. I Bizantini promossero l'ortodossia nei Balcani e nelle terre slave orientali, mentre il cattolicesimo guadagnò proseliti nell'Africa nord-occidentale e nell'Europa occidentale.
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Le rovine di Atene

Le rovine di Atene

Scipione, quando vide la città di Cartagine mentre andava completamente distrutta, contemplando gli ultimi crolli della sua completa rovina, si dice che abbia versato lacrime e che abbia pianto apertamente per i suoi nemici. Dopo essere stato a lungo immerso nei pensieri e aver compreso che tutte le città, le nazioni e le potenze devono, come gli uomini, incontrare il loro destino; che questo accadde a Ilio, una volta città prospera, agli imperi di Assiria, Media e Persia, i più grandi del loro tempo, e alla stessa Macedonia – il cui fulgore era ancora così recente – deliberatamente o senza intenzione, gli sfuggirono di bocca dei versi, ed egli dunque disse:

Verrà un giorno in cui la sacra Troia perirà,
E Priamo e il suo popolo saranno uccisi.

E quando Polibio parlando con libertà con lui, poiché era il suo maestro, gli chiese cosa intendesse con queste parole, dicono che senza alcun tentativo di nascondere il proprio pensiero, egli abbia nominato il proprio paese, per il quale temeva quando rifletteva sul destino di tutte cose umane. Polibio ha sentito tutto ciò di persona e lo ricorda nella sua storia.

(Polibio, frammento del libro XXXVIII delle Storie, riportato Da Appiano, Punica, 132)

La caduta della seconda Roma

La caduta di Costantinopoli avvenne quando l’Impero Ottomano conquistò la capitale dell‘Impero bizantino, il 29 maggio 1453.  Gli ottomani erano comandati dal sultano Mehmed II, che, a soli 21 anni, sconfisse l’esercito dell‘imperatore bizantino Costantino XI Paleologo. La conquista di Costantinopoli seguì ad un assedio di 53 giorni, iniziato il 6 aprile 1453.

Fall of Constantinople by Kristian Tsvetanov https://www.artstation.com/artwork/EVORJ2
Fall of Constantinople by Kristian Tsvetanov https://www.artstation.com/artwork/EVORJ2

Questo evento segna la fine dell’Impero Bizantino e anche il definitivo tramonto dell’Impero Romano che durò quasi 1.500 anni. I sultani precedenti avevano già conquistato la maggior parte dell’Impero nei secoli passati. Alcuni ulteriori territori superstiti dell’Impero Romano d’Oriente, come il Despotato di Morea l’Impero di Trebisonda, non furono conquistati dagli Ottomani se non diversi anni dopo.

La caduta di Costantinopoli ebbe delle conseguenze molto importanti, perché i turchi ottomani ebbero finalmente il controllo dei Balcani. Niente poteva impedire loro ulteriori conquiste musulmane in Europa, che andarono avanti fin dopo la battaglia di Vienna nel 1683. Dopo la caduta di Costantinopoli molti profughi provenienti dal defunto impero bizantino, fuggirono nell’Europa occidentale e contribuirono qui a far nascere l’umanesimo. Si dice in particolare, che l’arrivo in Italia degli studiosi greci di Bisanzio abbia stimolato il sorgere appunto del Rinascimento. 

L’ultimo imperatore

Costantino XI Dragases Palaiologos (greco: Κωνσταντῖνος Δραγάσης Παλαιολόγος , Kōnstantînos Dragásēs Palaiológos ; 8 febbraio 1405 – 29 maggio 1453 ) fu l’ultimo imperatore bizantino, a partire dal 1449 fino alla sua scomparsa nella caduta di Costantinopoli. La sua morte segnò la fine dell’Impero Bizantino (Impero Romano d’Oriente) fondato da Augusto quasi 1.500 anni prima.

Rappresentazione di Costantino XI, prodotta nel XIX secolo
Rappresentazione di Costantino XI, prodotta nel XIX secolo

Costantino era il quarto figlio dell’imperatore Manuele II Paleologo e di Helena Dragaš, figlia del sovrano serbo Konstantin Dejanović. I suoi primi anni di vita sono a noi sconosciuti, ma dal 1420 in poi egli dimostrò di essere un abile generale. Sulla base della sua carriera militare, si può affermare che Costantino sia stato anche solo un soldato semplice. 

Era fidato e godeva della predilezione di suo fratello maggiore, l’imperatore Giovanni VIII PaleologoCostantino e Giovanni respinsero un attacco alla Morea (il Peloponneso ) da parte di Carlo I Tocco, sovrano dell’Epiro. Nel 1428 Costantino divenne Despota della Morea e governò la provincia insieme al fratello maggiore Teodoro e al fratello minore Tommaso. Insieme governarono quasi tutto il Peloponneso per la prima volta dalla Quarta Crociata, più di duecento anni prima, ed egli ricostruì l’antico muro Hexamilion, che difendeva la penisola dagli attacchi esterni. Anche se alla fine non ebbe successo, Costantino guidò personalmente una campagna nella Grecia centrale e in Tessaglia nel 1444-1446, tentando di estendere ancora una volta il dominio bizantino in Grecia.

Nel 1448, Giovanni VIII morì senza figli e, come suo successore favorito, Costantino fu proclamato imperatore il 6 gennaio 1449. Il breve regno di Costantino avrebbe visto l’imperatore alle prese con tre preoccupazioni principali. In primo luogo, c’era la questione di un erede, poiché anche Costantino era senza figli. Nonostante i tentativi dell’amico e confidente di Costantino, George Sphrantzes, di trovargli una moglie, Costantino alla fine morì celibe. 

La seconda preoccupazione era la disunione religiosa all’interno di quel poco che restava del suo impero. Costantino e il suo predecessore Giovanni VIII credevano entrambi che fosse necessaria un’unione tra la Chiesa ortodossa e quella cattolica per garantire l’aiuto militare dall’Europa cattolica, ma gran parte della popolazione bizantina si opponeva all’idea. Infine, la preoccupazione più importante era il crescente impero ottomano, che nel 1449 circondava completamente Costantinopoli. 

Nell’aprile 1453, il sultano ottomano Mehmed II (Maometto II) pose l’assedio a Costantinopoli con un esercito che forse contava fino a 80.000 uomini. Anche se i difensori della città potevano annoverarsi in meno di un decimo dell’esercito del sultano, Costantino considerava impensabile l’idea di abbandonare Costantinopoli. L’imperatore rimase a difendere la capitale e il 29 maggio Costantinopoli cadde. Costantino morì lo stesso giorno. Sebbene non siano giunti fino a noi dei resoconti affidabili di testimoni oculari della sua morte, la maggior parte delle fonti storiche concorda sul fatto che l’imperatore guidò un’ultima carica contro gli ottomani e morì combattendo.

Quando i turchi andarono a compiere il loro ultimo e disperato attacco (perché l’assedio durò più del dovuto), Costantino XI fece un bellissimo discorso a tutti i soldati, specialmente ai romani, ricordando i loro antenati, come Cesare e Augusto, rammentandogli che era il loro sangue quello che scorreva nelle loro vene. Dopodiché iniziò l’attacco e così fu in gioco il destino stesso dell’Impero Romano.

Il discorso del re

Costantino XI Paleologo interpretato da Tommaso Basili nella serie Netflix L'Impero ottomano ( Rise of Empires: Ottoman)
Costantino XI Paleologo interpretato da Tommaso Basili nella serie Netflix L’Impero ottomano ( Rise of Empires: Ottoman)

L’ultimo imperatore romano d’Oriente, pronunciò il discorso da cui traiamo questo passo, mentre Costantinopoli era ormai circondata da un numero di truppe turche di gran lunga superiore a quelle bizantine.

“So che le innumerevoli orde dei malvagi avanzeranno contro di noi, secondo il loro costume, violentemente, con ardimento, furore e forza bruta, per sopraffare e logorare i nostri pochi difensori. Cercano di spaventarci con forti urla e innumerevoli grida di battaglia. Ma ormai conoscete tutti le loro chiacchiere e non ho bisogno di aggiungere altro al riguardo. Per molto tempo continueranno così e ci lanceranno contro innumerevoli sassi, frecce e proiettili di ogni genere, tanti quanti sono i granelli di sabbia del mare.

Ma spero che queste cose non ci danneggino; Vedo, me ne rallegro molto, e ha nutrito di speranze il mio animo, il fatto che anche se siamo pochi, so che voi siete tutti guerrieri esperti e incalliti: coraggiosi, valorosi e ben preparati.

Proteggete le vostre teste con gli scudi in combattimento e in battaglia. Tenete la destra, armata di spada, sempre distesa davanti a voi. I vostri elmi, le vostre corazze e armature sono pienamente efficienti e insieme alle nostre armi, saranno molto efficaci in battaglia. I nostri nemici non hanno e non usano armi pari alle nostre. Noi siamo protetti da queste mura, mentre loro avanzano senza riparo e con fatica.

Per questi motivi, miei commilitoni, preparatevi, siate fermi e continuate ad essere coraggiosi, per la misericordia di Dio. Prendete ad esempio i pochi elefanti dei Cartaginesi e come essi dispersero la numerosa cavalleria dei Romani con il loro rumore e il loro aspetto.

Se una bestia priva del dono della parola ne può mettere in fuga un’altra, noi padroni dei cavalli e delle bestie possiamo fare ancora meglio contro i nostri nemici che avanzano, perché essi sono appunto bestie, peggiori persino dei maiali. Mostrate i vostri scudi, le vostre spade, le vostre frecce e le lance, immaginando di essere in una partita di caccia al cinghiale, in modo che quei malvagi possano rendersi conto finalmente che non hanno a che fare con degli animali muti, ma con i loro signori e padroni, i discendenti dei Greci e dei Romani”.

L’imperatore di marmo

Monumento di Costantino XI nella piazza Mitropoleos ad Atene
Monumento di Costantino XI nella piazza Mitropoleos ad Atene

All’alba del 29 maggio la lenta agonia cessò. Messa sotto attacco su tre fronti, la città di Costantinopoli cadde nelle mani dell’Impero Ottomano. Non ci sono notizie precise al riguardo, tuttavia, come già detto, la più accreditata è che Costantino XI decise di rimanere nella capitale che stava ormai cadendo, anche se gli fu consigliato di fuggire, affermando che egli invece sarebbe morto per difendere l’Impero Romano e gettandosi infine dove la battaglia era più feroce. Andò dunque incontro al suo destino, morendo coraggiosamente per il suo popolo e per il suo regno, e venendo ricordato come un martire e non come un imperatore codardo che avesse abbandonato il suo posto.

Ed allora questo principe, degno dell’immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato cittadino, con la spada in pugno, si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.

Giorgio Sfranze

Poiché il suo corpo non fu mai ritrovato, nacque la leggenda che “quando egli fu circondato da nemici, un angelo lo avrebbe trasformato in una statua di marmo e lo avrebbe nascosto in una grotta”, cioè sotto la Porta Aurea di Costantinopoli in attesa di una chiamata di Dio, e da lì un giorno egli sarebbe risorto per cacciare i Turchi da Costantinopoli e restaurare l’impero. La sua valorosa resistenza fino alla morte come ultimo imperatore romano fu scelta, nei secoli successivi, come simbolo della lotta della Cristianità contro i Turchi, e contro di essi fu utilizzata successivamente come simbolo dell’indipendenza greca nel XIX secolo. La leggenda ha carattere escatologico, in quanto il risveglio dell’imperatore coinciderebbe con il “Compimento del Tempo”. Nonostante ciò, l’Impero Ottomano finì solo molti secoli dopo, dopo la prima guerra mondiale, e anche allora per suo stesso, interno deterioramento e non per l’azione diretta delle nazioni europee. Costantinopoli è invece ancora oggi parte del territorio turco. Il suo nome è stato cambiato in IstanbulCostantino fu quindi anche l’ultimo sovrano cristiano di Costantinopoli.

La grande importanza di Costantino XI dunque, non risiede in nessuna grande impresa da lui compiuta. Entrò nella storia per essere stato il martire della caduta della città di Costantinopoli, fatto che ebbe profonde ripercussioni in tutto l’Occidente.

Costantino, in virtù di questa leggenda, divenne quindi noto nel folklore greco successivo come l’ imperatore di marmo ( in greco : Μαρμαρωμένος Βασιλεύς, romanizzatoMarmaromenos Vasileus, lett. “Imperatore / re trasformato in marmo).  

Una statua di Costantino XI si trova ora davanti alla Cattedrale di Atene. Fu fatto santo e martire della Chiesa ortodossa.

Dopo la sua morte, la monarchia che riteneva di essere erede degli antichi Cesari in Europa, in realtà non terminò che fino al 1512 e l’ultima personaggio a detenere il titolo di imperatore romano e incoronato dal Papa in qualità appunto di Imperatore del Sacro Romano Impero, fu Francesco I di Lorena. In realtà fino al 1806, data in cui il Sacro Romano Impero fu sciolto da Napoleone Bonaparte, il titolo di Imperatore romano (del Sacro Romano Impero, ricordiamo) venne ancora utilizzato dai sovrani tedeschi anche senza esser stati incoronati dal Pontefice di Roma, quindi, se si considerano questi imperatori come i legittimi eredi della linea che attraverso Carlo Magno arriva a ritroso sino ad Ottaviano Augusto, Francesco II d’Asburgo-Lorena fu il vero, ultimo imperatore romano.

La grande bombarda ottomana
La grande bombarda ottomana

La Grande Bombarda “Basilica”

Per conquistare la Nuova Roma, fu necessario creare un’arma mai esistita prima, una macchina bellica che neppure Alessandro il Grande, Annibale e Giulio Cesare, i grandi condottieri dell’antichità, avrebbero mai potuto immaginare: La Bombarda “Basilica”. Gli ottomani possedevano una potente artiglieria che fu determinante nella distruzione delle mura di Costantinopoli. Maometto II ordinò alle sue fonderie di progettare cannoni abbastanza potenti da abbattere i bastioni della città. Tra questi c’era quello progettato da Urbano di Transilvania: La grande bombarda ottomana detta anche” Basilica “; questo ingegnere ungherese si era inizialmente proposto di assistere Costantino XI ma l’imperatore bizantino non disponeva di finanze sufficienti per soddisfare le sue richieste, Urbano si rivolse quindi agli ottomani, sostenendo che la sua arma avrebbe potuto far saltare “le mura della stessa Babilonia “. Dopo aver progettato uno dei cannoni di Rumeli Hisar, ne fece un altro che uscì dalle fonderie nel gennaio 1453. Questo famosissimo cannone possedeva delle dimensioni impressionanti: il tubo era lungo otto metri, le palle pesavano quasi 600 chili e potevano essere sparate a una distanza di un chilometro e mezzo ogni novanta minuti, ma la velocità di fuoco non superava i sette proiettili al giorno. Ci vollero duecento uomini per trasportare la bombarda, trainata fino a Costantinopoli da 70 coppie di buoi. Il cannone presentava diversi inconvenienti: ci volevano tre ore per ricaricarlo; le palle di cannone scarseggiavano; e si dice che la bombarda sia crollata sotto il suo stesso rinculo dopo sei settimane. La prova di quest’arma micidiale colpì nonostante tutto il sultano, che la incorporò nel suo esercito. Cominciava dunque l’era dei cannoni, dell’artiglieria pesante e della polvere da sparo. Il mondo antico era giunto davvero al suo tramonto.

Se dovessimo scegliere, per assegnare una fine degna all’Impero Romano, tra la vicenda di Romolo Augusto, ultimo imperatore d’Occidente – in realtà un fantoccio nelle mani del padre, in quanto egli era solo un ragazzinodeposto da Odoacre e mandato in pensione anticipata in Campania con un lauto vitalizio, e il gesto disperato, romantico ed eroico di Costantino XI, non c’è dubbio che la bilancia peserebbe a favore di quest’ultimo.

E dunque sia: con Costantino muore anche l’impero nato sulle sponde del Tevere. Il destino, cui non manca mai il senso dell’ironia, ha voluto che l’ultimo Cesare di Roma avesse lo stesso nome del fondatore dell’Urbe e quello del primo imperatore romano (Romolo Augusto); l’ultimo Basileus di Bisanzio, invece, portava lo stesso nome del primo dei Cesari ad essere di dichiarata fede cristiana (Costantino I il Grande), oltre che il fondatore della Seconda Roma:  Costantinopoli.

L’eredità dell’impero

L’Impero romano e le sue nozioni di autocrazia, legge e cittadinanza hanno lasciato un profondo impatto sulla storia dell’Europa. Il senso di condivisione di una cultura e di un’identità comune, come anche di un’unica lingua o letteratura, era dovuto alla natura stessa dell’Impero. Sebbene la parte occidentale dell’Impero Romano sia stata rovesciata e il carattere della parte orientale sia cambiato sostanzialmente nel corso dei secoli, l’Impero Romano nel suo complesso ha influenzato il corso della storia umana per secoli. Il diritto romano ad esempio continuò ad essere utilizzato dagli imperatori bizantini e anche dai governanti tedeschi dell’Occidente.

Il Sacro Romano Impero

Mappa del Sacro Romano Impero raffigurante i suoi confini sotto il dominio di Ottone I nel 972 d.C. e Corrado II nel 1032 d.C.
Mappa del Sacro Romano Impero raffigurante i suoi confini sotto il dominio di Ottone I nel 972 d.C. e Corrado II nel 1032 d.C.

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476, diversi Stati si proclamarono successori dell‘Impero Romano. Il Sacro Romano Impero, un tentativo di far risorgere l’Impero in Occidente, fu istituito nell’800, quando papa Leone III incoronò il re franco Carlo Magno come imperatore romano (Imperator Romanorum) il giorno di Natale, anche se l’impero e la carica imperiale non furono formalizzati per alcuni decenni e questo evento non istituì immediatamente un nuovo Stato.

La translatio imperii passò dai Franchi al popolo tedesco dopo l’incoronazione di Ottone I nel 962, dando inizio a una serie di “imperatori romani” che continuarono a fregiarsi di questo titolo fino alla dissoluzione dell’Impero stesso nel 1806, quando fu ormai in gran parte riorganizzato nella Confederazione del Reno da Napoleone Bonaparte, incoronato a sua volta imperatore dei francesi da Papa Pio VII. Tuttavia, la sua casata perderà anche questo titolo dopo che Napoleone stesso dovrà, il 6 aprile 1814, abdicare e rinunciare non solo ai propri diritti al trono francese e a tutti i suoi titoli, ma anche a quelli dei suoi discendenti.

Gli imperatori del Sacro Romano Impero cercarono in molti modi di farsi accettare dai bizantini come loro pari nelle relazioni diplomatiche e nei matrimoni politici. Ma a volte non ottenevano i risultati attesi, anche perché usavano il titolo di “Re dei Germani” e non di “Imperatore”.

L’impero dei Francesi

Entrambi gli imperi francesi (di Napoleone I e di Napoleone III) si definirono anche eredi di Roma. L’aquila fu scelta in riferimento alle aquile romane trasportate dalle legioni, ma era anche il simbolo di Carlo Magno, l’aquila spiegata. Il colore rosso del mantello imperiale è un riferimento diretto alla porpora dell’imperium romano. Napoleone si considerava quindi l’erede dell’Impero romano e di Carlo Magno.

Napoleone I, dipinto di Francois Gerard
Napoleone I, dipinto di Francois Gerard

“Alla fine del XVIII secolo, i riferimenti romani erano ovunque nella vita quotidiana dei francesi: letteratura, teatro, pittura, scultura, architettura e… politica. Il Consolato (un’istituzione ispirata a quelle della Repubblica Romana) e l’Impero andarono incontro a questa moda antica. Vennero creati i prefetti. L’aquila fu adottata come emblema. La Legione d’onore fu organizzata in coorti. Furono costruiti o progettati archi di trionfo (l’arco del Carrousel fu completato durante il regno di Napoleone, l’arco dell’Étoile, iniziato durante il suo regno, non fu completato se non fino al 1836). In un opuscolo del 1800, diretto contro coloro che dubitavano delle capacità di suo fratello, Luciano Bonaparte mise Napoleone al livello di Giulio Cesare, l’unica figura storica degna di essere paragonata a lui.

La propaganda ufficiale si ispirava a temi romani: per esempio, il quadro Bonaparte al ponte di Arcole di Gros raffigura il generale nella posa simbolica di una divinità della storia. Infine, durante l’incoronazione e sulle monete, l’imperatore si presentava al popolo coronato di allori. Semplificando, si potrebbe concludere che l’impero francese rivendicava come riferimento l’antica Roma e Carlo Magno. Perché fu pensando a questo imperatore (ma non in modo simile) che Napoleone costruì la maggior parte del simbolismo della sua monarchia.
La nuova dinastia non poteva essere senza radici storiche…”

(trad. dal francese da « Napoléon a voulu imiter les empereurs romains. » in Napoléon, 2001 di Thierry Lentz, Editore: Le Cavalier Bleu).

L’impero Britannico

Nel periodo di massimo splendore dell’Impero britannico, molti consideravano la Gran Bretagna una “nuova Roma”: gli imperialisti britannici guardavano a Roma come fonte di ispirazione per il proprio impero. Alcuni dei monumenti più iconici di Londra – Buckingham Palace, la Cattedrale di St. Paul, il British Museum – sono stati costruiti per imitare l‘architettura greco-romana.

Nell’Ottocento e in parte anche nel secolo successivo, la Gran Bretagna controllava uno dei più grandi imperi che il mondo abbia mai conosciuto. I domini britannici includevano Canada, Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa. L’Impero Britannico raggiunse il suo culmine sotto la Regina Vittoria (periodo di regno 1837-1901), e i vittoriani guardavano appunto all’Impero Romano, non solo come la loro ispirazione, ma anche come una giustificazione delle loro conquiste territoriali e quindi per imporre quelli che loro credevano fossero i valori e costumi di una civiltà superiore alle altre popolazioni.

La regina Vittoria nell'anno del suo giubileo d'oro, 1887
La regina Vittoria nell’anno del suo giubileo d’oro, 1887

Proprio come i romani diffusero il latino e lasciarono grandi opere in giro per il mondo come strade ed edifici pubblici, così i vittoriani disseminarono l’impero di ferrovie, edifici governativi e imposero la lingua inglese. Oggi l’India è un grande stato indipendente, ex-colonia della Gran Bretagna, ma tra le sue lingue ufficiali c’è ancora l’inglese e la loro estesa linea ferroviaria è basata ancora oggi su quella britannica.

L’Oriente, la Russia e gli Ottomani

In Oriente, l’eredità romana era continuata con l’Impero bizantino. I Greci bizantini continuavano a chiamarsi “Romani” (Romanioi) e il loro Stato “Impero Romano” (Basileia Rhōmaíōn) fino alla caduta di Costantinopoli nel 1453, anche se non vennero mai riconosciuti in Occidente.

Dopo la caduta di Costantinopoli, lo Zardom russo, in quanto erede della tradizione cristiana ortodossa dell’Impero bizantino, si considerava come la Terza Roma (Costantinopoli era la seconda). Questi concetti divennero noti anche come translatio imperii. L’idea fu poi rafforzata dall’adozione dei titoli di Autocrator, Tsar (per Cesare), da Pietro il Grande in poi, e Imperator e Pater Patriae. Furono anche adottate molte insegne bizantine, come L’aquila bicefala, nata dalla riunione dei due imperi romani

Nicola II, ultimo zar di Russia
Nicola II, ultimo zar di Russia

ll Gran Principe di Mosca rimase a lungo il più importante dei sovrani ortodossi orientali; Ivan III sposò Sofia Paleologo, nipote dell’ultimo imperatore bizantino. La sua ultima discendente è presumibilmente considerata la zarina Feodosia Feodorovna di Russia o Ivan Dmitriyevich. Dopo la successione dello Zardom russo all’Impero russo, governato dalla Casa dei Romanov, il titolo fu abolito dalla Rivoluzione russa del 1917, quando i rivoluzionari bolscevichi rovesciarono la monarchia.

L‘ultimo monarca romano d’Oriente, Andreas Palailogos, vendette il titolo di imperatore di Costantinopoli a Carlo VIII di Francia. Alla morte di Carlo, Palaiologos reclamò di nuovo il titolo e lo utilizzò fino alla sua morte, prima di concederlo a Ferdinando II d’Aragona e Isabella I di Castiglia e ai loro successori, che non lo utilizzarono mai.

Quando gli Ottomani, che basavano il loro Stato sul modello bizantino, presero Costantinopoli nel 1453, Mehmed II vi stabilì la sua capitale e pretese di sedere sul trono dell’Impero Romano, assumendo il titolo di “Cesare di Roma” (Kayser-i Rum), rivendicando così la translatio imperii. Lanciò persino un’invasione dell’occidente partendo da Otranto, situata nell‘Italia meridionale, con lo scopo di riunire l’Impero, progetto che fu interrotto solo dalla sua morte. Mehmed II invitò nella sua capitale anche artisti europei, tra cui Gentile Bellini.

Mappa propagandistica della Megali Hellas («Grande Grecia») dopo il Trattato di Sèvres con la rappresentazione di Eleutherios Venizelos, un sostenitore della Megali Idea
Mappa propagandistica della Megali Hellas («Grande Grecia») dopo il Trattato di Sèvres con la rappresentazione di Eleutherios Venizelos, un sostenitore della Megali Idea

La Megali Idea

La Megali Idea (in greco Μεγάλη Ἰδέα, in italiano Grande Idea) era un concetto elaborato dal nazionalismo greco che esprimeva la volontà di annettere allo stato ellenico tutti i territori abitati da popolazioni di etnica greca sotto un unico stato unitario, con capitale Costantinopoli anziché Atene. La Megali Idea era di fatto un tentativo di ripristinare la sovranità greca nella regione balcanico-orientale, recuperando alcuni territori appartenuti a suo tempo all‘impero bizantino o impero romano d’oriente, con anche l’Anatolia meridionale Cipro, e liberando Costantinopoli, sede del suo Patriarcato ecumenico, per farne il centro del cristianesimo ortodosso. Il concetto della Megali Idea, doveva rappresentare una sintesi tra la tradizione ellenistica e quella religioso-ortodossa.

Con l’unificazione greca avvenuta nel 1821-1829, la Megali Idea svolse un ruolo importante nella politica estera greca, in primo luogo con l’opera del suo primo ministro costituzionale di origine armena, Ioannis Kolettis. Questo progetto, obiettivo politico primario per quasi tutti i governi greci fino al 1922, stava quasi per concretizzarsi con il trattato di Sèvres, ma fu abbandonato alla fine della guerra greco-turca del 1919-1922 dopo la disfatta militare dei greci. Il partito politico greco di estrema destra Alba Dorata, è stato accusato più volte di rifarsi all’ideologia della Megali Idea .

La Chiesa

Nell’Occidente medievale, con il termine “romano” si intendevano la Chiesa e il Papa di Roma. La forma greca Romaioi rimase legata alla popolazione cristiana di lingua greca dell‘Impero Romano d’Oriente ed è ancora usata dai greci in aggiunta al loro appellativo comune. Un’altra delle principali eredità di Roma fu la religione cristiana. La Pax Romana creò un’enorme regione di stabilità e unione politica che permise l’espansione della Chiesa cattolica, che è in sostanza una monarchia assoluta basata sul modello romano. I papi assumono il titolo del sommo sacerdote romano, il pontefice massimo (Pontifex Maximus), e si proclamano eredi di Cesare.

La Basilica di San Pietro nello Stato della Città del Vaticano
La Basilica di San Pietro nello Stato della Città del Vaticano

La Chiesa cattolica inoltre, preservò altri aspetti dell’Impero Romano, oltre alla lingua latina, ad esempio le divisioni territoriali della chiesa (Diocesi), che esistevano anche nell’impero Romano, e anche il titolo di Pontefice per il capo della Chiesa. Non solo, la Chiesa conservò alcuni aspetti della civiltà spirituale romana e li diffuse. Per questi motivi la Chiesa si considera detentrice dell'”eredità culturale dell’Impero romano”. Poiché nel 376 l’imperatore Graziano rinunciò al titolo di Pontifex maximus, da allora non più assunto da alcun imperatore, in favore del vescovo di Roma, questo comporta che il titolo di Pontefice Massimo sia ad oggi l’unico titolo romano ancora in vigore dall’epoca più antica di Roma, ininterrottamente dai tempi di Numa Pompilio.

Il Risorgimento italiano

I sette secoli di dominazione romana in Italia e l’eredità territoriale dell’Impero Romano, che controllava la penisola italiana, hanno lasciato anche una forte eredità culturale che ha influenzato in modo significativo il nazionalismo italiano e l’unità d’Italia (nel Risorgimento) nel 1861.

Il maggiore Giacomo Pagliari, comandante del 34º Bersaglieri, colpito a morte durante la presa di Porta Pia a Roma
Il maggiore Giacomo Pagliari, comandante del 34º Bersaglieri, colpito a morte durante la presa di Porta Pia a Roma

Il Nazifascismo

Veniamo alle note dolenti. Un ulteriore imperialismo romano venne rivendicato dall’ideologia fascista durante l’epoca di Benito Mussolini, in particolare dall’Impero italiano e dalla Germania nazista. L’Italia fascista tramite le sue pretese imperiali, si autodefinì come l’erede culturale dell’Impero Romano. Le mire di Mussolini consistevano infatti nel rendere il Regno d’Italia una potenza egemone sull’intero bacino del Mar Mediterraneo con inoltre un vasto impero coloniale in buona parte dell’Africa. Da citare infatti come a seguito della proclamazione dell’Impero Italiano a seguito della conquista dell’Etiopia il duce proclamò: «dopo quindici secoli la riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma».

Adolf Hitler con Benito Mussolini in visita in Italia nel 1938, con la guida di Ranuccio Bianchi Bandinelli
Adolf Hitler con Benito Mussolini in visita in Italia nel 1938, con la guida di Ranuccio Bianchi Bandinelli

In Germania nel XIX e all’inizio del XX secolo, Bismarck e Hitler parlavano di “ primo” e “ secondo”  impero, riferendosi al Sacro Romano Impero come al primo impero tedesco e, successivamente, al Terzo Reich come sua nuova incarnazione, quindi  anche essi si proclamarono eredi dell’Impero Romano. Anche la Spagna franchista, associata al fascismo italiano e alla Germania nazista, si rifece all’imperialismo romano.

Gli Stati Uniti

Dettaglio dall'affresco Apoteosi di Washington è un affresco dell'artista Constantino Brumidi, Washington USA, Campidoglio
Dettaglio dall’affresco Apoteosi di Washington è un affresco dell’artista Constantino Brumidi, Washington USA, Campidoglio

Negli Stati Uniti, i fondatori della nazione erano stati tutti educati alla tradizione classica e quindi utilizzarono modelli classici per i punti di riferimento e gli edifici di Washington D.C., per evitare le connotazioni feudali e religiose dell’architettura europea come i castelli e cattedrali. Nel formulare la loro teoria della costituzione mista, i fondatori guardarono alla democrazia ateniese e al repubblicanesimo romano come modelli, ma considerarono l’imperatore romano come un simbolo di tirannia. Le istituzioni statali degli Stati Uniti sono state create sotto l’influenza degli antichi modelli romani. Attualmente è usuale negli Stati Uniti paragonare il paese allo Stato Romano basato sul culto della libertà. Gli scrittori più critici invece, hanno paragonato la transizione degli Stati Uniti a una “presidenza imperiale come nell’Impero Romano, trovando analogie tra i cambiamenti nel sistema statale americano e la transizione di Roma da una repubblica a un primo impero.

L’arte e l’architettura

Il Pantheon a Roma
Il Pantheon a Roma

Nella sfera artistica, l’arte romana influenzò l’architettura rinascimentale e romanica nell’Europa meridionale, così come nei territori ortodossi dell’Oriente. Molti degli elementi classici romani costituirono la base estetica del Rinascimento e del Neoclassicismo.

Lo stile architettonico rinascimentale sviluppato da Andrea Palladio, ispirato all’architettura greca e romana, divenne estremamente influente in tutto il mondo occidentale. A metà del XVIII secolo, l’architettura romana ispirò l’architettura neoclassica, parte del più ampio movimento internazionale del Neoclassicismo. Sebbene l’architettura neoclassica utilizzi lo stesso patrimonio classico dell’architettura tardo-barocca, essa tende però a enfatizzare le sue qualità planari, piuttosto che i volumi scultorei. Le sporgenze e le rientranze, con i loro effetti di luce e ombra, sono più piatte; i bassorilievi scultorei tendono a essere incorniciati in fregi, tavolette o pannelli. I singoli elementi chiaramente articolati sono isolati piuttosto che compenetrati, autonomi e completi in sé.

L’architettura neoclassica internazionale è stata esemplificata dagli edifici di Karl Friedrich Schinkel, in particolare l’Altes Museum di Berlino; la Bank of England di Sir John Soane a Londra; la Casa Bianca e il Campidoglio di Washington negli Stati Uniti. L’architetto scozzese Charles Cameron creò interni in stile italiano per Caterina II la Grande, nata in Germania, a San Pietroburgo.

L’Italia rimase ancorata al rococò fino a quando i regimi napoleonici portarono il nuovo classicismo archeologico, che fu abbracciato come dichiarazione politica dai giovani italiani progressisti e dai cittadini con tendenze repubblicane.

La lingua

Nelle regioni romanizzate dell’impero occidentale, le lingue prelatine si estinsero gradualmente e il latino divenne la lingua madre della maggior parte degli abitanti di quei territori. Il latino si sviluppò quindi in diversi rami che si sarebbero evoluti nelle moderne lingue romanze, come lo spagnolo, il portoghese, il francese, l’italiano o il rumeno, oltre ad avere esercitato un’enorme influenza sulla lingua inglese. Nonostante la sua frammentazione, il latino rimase la lingua internazionale per eccellenza nell’istruzione, nella letteratura, nella diplomazia e nella vita intellettuale fino al XVII secolo, ed era ancora presente nelle opere giuridiche ed ecclesiastiche della Chiesa romana. Ciò non avvenne nell’Impero d’Oriente, dove la maggior parte dei madrelingua greci era concentrata intorno nella penisola della Grecia e nelle regioni costiere. Diverse lingue afroasiatiche, soprattutto il copto in Egitto e l’aramaico in Siria e Mesopotamia, non furono mai completamente sostituite dal greco.

L’archeologia

In archeologia, in particolare nella preistoria e nella protostoria, un periodo della storia antica delle aree dell’Europa al confine con l’Impero Romano (dall’1 al 375 d.C. circa) è tradizionalmente indicato appunto come Impero Romano. Il 375 è tradizionalmente considerato l’inizio del periodo migratorio. La classificazione cronologica di Hans Jürgen Eggers nei livelli B1 e B2 (primo periodo imperiale romano) e C1-C3 (periodo tardo romano imperiale) si basa sulla datazione dei beni di importazione romani nella Germania magna e nel resto del Barbaricum, ma è stato messo in discussione da recenti ricerche.

Gli ultimi resti dell’Impero

Lo Stato romano durò dal 753 a.C. (anno della leggendaria fondazione di Roma) al 1453 d.C. (caduta di Costantinopoli), per un totale di 2.206 anni.

Inoltre, parti dell’Impero bizantino e dunque romano, sopravvissero alla caduta di Costantinopoli come ultime roccaforti della cultura greco-romana-cristiana nel Despotato di Morea fino al 1460, nell’Impero di Trebisonda fino al 1461 e nel Principato di Teodoro in Crimea fino al 1475, tutte conquistate dall’Impero Ottomano. Eredi delle conquiste dell’Imperatore Giustiniano in occidente, resesi indipendenti de facto ma comunque legate al mondo romano, furono il Ducato Romano evolutosi nello Stato Pontificio e successivamente nello Stato della Città del Vaticano, ancora presente, il Ducato Venetico divenuto la Repubblica di Venezia, soppressa nel 1797 dopo la conquista napoleonica, i Ducati di Napoli, di Gaeta, di Amalfi e di Sorrento annessi al Regno di Sicilia fondato nel 1130 da Ruggero II D’Altavilla, i Giudicati della Sardegna conquistati solo nel 1420 al termine della guerra sardo-catalana.

Linea della cinta muraria di Trebisonda
Linea della cinta muraria di Trebisonda

“Perdere la Trebisonda”

L’impero di Trebisonda prosperava grazie alle miniere d’argento e all’antica via commerciale di Tabriz. In italiano esiste il sostantivo «trebisonda», e la locuzione «perdere la trebisonda», significa «perdere la rotta» o «perdere l’orientamento» (a ricordo del fatto che Trebisonda era un luogo raggiungibile da tutte le rotte che transitavano nel Mar Nero, e quindi un rifugio in caso di tempeste).

Trebisonda resistette ad un duro assedio ottomano per un mese prima di arrendersi, il 15 agosto 1461. Alcuni castelli guidarono una resistenza isolata per qualche settimana, ma con la caduta della città si estinguevano le ultime vestigia dell’Impero romano d’Oriente in Anatolia.

Dunque una spiegazione alternativa del detto, si può trovare nel fatto che Trebisonda fu l’ultima città bizantina a rimanere indipendente e, una volta persa, determinò la caduta definitiva dell’Impero bizantino o Impero Romano d’Oriente.

Diritto romano e politica

Sebbene il diritto dell’Impero Romano non sia più utilizzato oggi, il diritto moderno in molte giurisdizioni si basa sui principi utilizzati e sviluppati durante l’Impero Romano. Parte della stessa terminologia latina è ancora usata oggi. La struttura generale della giurisprudenza utilizzata ai nostri giorni, in molte giurisdizioni, è la stessa (processo con giudice, testimone e imputato) di quella stabilita durante l’Impero Romano.

Il concetto moderno di governo repubblicano è direttamente modellato sulla Repubblica Romana. Le istituzioni repubblicane di Roma sopravvissero in molte delle città-stato italiane del Medioevo e del Rinascimento. La forma, la funzione e i simboli del Congresso degli Stati Uniti attingono fortemente al prototipo del Senato romano e alle assemblee legislative, mentre il presidente detiene una posizione simile a quella di un console romano. Molti pensatori politici europei dell’Illuminismo si nutrivano avidamente di letteratura latina. Montesquieu, Edmund Burke e John Adams furono tutti fortemente influenzati da Cicerone, per esempio. Adams raccomandò Cicerone come modello da imitare per i politici, e una volta osservò che “la dolcezza e la grandiosità delle sue parole e l’armonia del ritmo della sua prosa danno abbastanza piacere da premiarne la lettura anche a chi non capisce nulla del loro significato”.

Alexandre Kojève
Alexandre Kojève

Alexandre Kojève e  l’idea di un Impero Latino

Alexandre Kojève nato a Mosca il 28 aprile 1902 e morto a Bruxelles il 4 giugno 1968, è stato un filosofo francese di origini russe che ha rinnovato lo studio di Hegel in Francia e in Europa. nel 1945 Kojève inviò un lungo promemoria al generale Charles de Gaulle , intitolato Schema di una dottrina della politica francese. Si tratta di un testo tanto ricco di lungimiranza geopolitica quanto di erudizione culturale, storica e filosofica. È anche un esempio caratteristico della sua peculiare miscela di diverse correnti filosofiche, che mostra il rigore con cui riuniva in un’unità coerente le disposizioni rivoluzionarie e conservatrici.

Il testo inizia con l’affermazione che nel 1945 la Francia rischiava di essere ridotta a mera potenza secondaria in Europa a causa del crescente primato economico della Germania. Con questa affermazione, Kojève non si riferiva semplicemente alla marginalità politica della Francia. Piuttosto, intendeva comunicare che il patrimonio culturale della Francia, che condivideva con gli altri Paesi “meridionali” dell’Europa (soprattutto Spagna e Italia), rischiava di essere soppiantato dai calcoli prevalentemente “economici” che sarebbero venuti a dominare l’Europa se la Germania fosse stata incorporata nel sistema europeo. Per evitare un esito così tragico, Kojève propose che la Francia espandesse la sua base politica e il suo apparato di governo oltre i confini del suo tradizionale status di Stato nazionale, diventando invece il capo di un impero, l'”Impero latino”, i cui Stati membri avrebbero incluso anche Spagna e Italia. Se la Francia fosse rimasta uno Stato nazionale asservito a interessi prevalentemente economici, avrebbe rischiato l’emarginazione politica e la cultura della “civiltà latino-cattolica” sarebbe stata a rischio di estinzione.

Secondo Kojève, la spiegazione di un tale risultato è che la cultura tedesca era prevalentemente una cultura protestante che privilegiava uno stile di vita governato dall’economia rispetto ad altri modi di vita. In questo, Kojève riecheggia il famoso studio di Max Weber sulle origini protestanti dell’etica del lavoro capitalista. In particolare, la Germania condivideva questa cultura con uno dei due grandi imperi in cui era diviso l’ordine mondiale contemporaneo, ovvero l’impero anglosassone che era (ed è tuttora) presieduto dagli Stati Uniti d’America. Di conseguenza, se la Germania, il cui potenziale economico superava qualsiasi altra nazione europea, fosse entrata a far parte del sistema europeo nel suo complesso, Kojève temeva che l’Europa sarebbe diventata di fatto un vassallo dell‘impero anglosassone: una mera unità economica, un mero sottoinsieme di ingranaggi nella crescente macchina del capitalismo globale. Se ciò dovesse accadere, le culture uniche dell’Europa, in particolare quella “latina” a cui la Francia aveva contribuito così tanto nel corso dei secoli, verrebbero calpestate da un calcolo puramente economico al servizio dell’espansione della ricchezza materiale.

L’essenza della civiltà latina, secondo Kojève, è una cultura che privilegia il tempo libero e la contemplazione, la “dolcezza del vivere” – ciò che in Italia è noto come dolce far niente – rispetto a una vita di lavoro e alla preoccupazione per le mere comodità materiali. Kojève identifica questa cultura come la fonte delle ricche tradizioni europee di arte, letteratura, musica, ecc. E non esita ad attribuire questa cultura in gran parte all’influenza del cattolicesimo. Al contrario, un’egemonia protestante, tedesco-anglosassone e capitalistica non avrebbe tollerato l’apparente pigrizia e lo stile di vita indulgente di artisti e contemplativi. Non dimentichiamo inoltre che il cattolicesimo cercava soprattutto – spesso facendo appello all’arte – di organizzare e umanizzare la vita “contemplativa”, o addirittura inattiva, dell’uomo, mentre il protestantesimo, ostile ai metodi della pedagogia artistica, si preoccupava soprattutto dell’uomo lavoratore”. Si potrebbe riformulare questo concetto dicendo che il cattolicesimo si è occupato della vita dei saggi, mentre il protestantesimo si è occupato della vita degli schiavi che non riescono a trascendere la loro schiavitù. Questo spiegherebbe perché Kojève pensava che la Chiesa cattolica dovesse essere direttamente coinvolta nel governo dell‘Impero latino, in diretto contrasto con tutte le nozioni liberali di “separazione tra Chiesa e Stato”.

(Riduzione e Traduzione da The Latin Empire: Alexandre Kojève’s European Conservatism di Jonathan Culbreath, https://europeanconservative.com/articles/essay/the-latin-empire-alexandre-kojeves-european-conservatism/)

E il futuro?

Paul Veyne, Storico e archeologo, considerato uno dei massimi esperti delle civiltà antiche, ha scritto un libro, L’ impero greco romano. Le radici del mondo globale – edito da Bur Rizzoli, una lettura che vi consigliamo. Nella nota di copertina si dice:

“La Grecia conquistata conquistò il suo feroce vincitore portando nel Lazio contadino le sue arti”: recitano i versi di Orazio. Vi sono alcuni fondamentali motivi, secondo Paul Veyne, studioso francese del mondo classico, perché l’impero di Roma assuma finalmente il nome di greco-romano, riconoscendo così apertamente il contributo decisivo della civiltà ellenica. Un impero che al tempo della sua massima espansione si estendeva su una superficie di cinque milioni di chilometri quadrati, dall’Africa settentrionale all’Afghanistan, oggi occupata da una trentina di nazioni diverse; un impero “globalizzato”, dove gli eventi che accadevano nelle regioni più periferiche avevano risonanza e conseguenza a Roma. In questo saggio monumentale, vera e propria “summa” di una vita di studi, Paul Veyne ripercorre e interpreta vicende storiche, conquiste culturali, cambiamenti di mentalità di questa grandiosa formazione politica “globale”, l’impero greco-romano, che per tanti aspetti appare percorso da problemi e inquietudini non dissimili da quelli che travagliano la nostra epoca.”

Ma che ne è oggi dell’eredità di questo impero, che fu prima delle armi e poi divenne dello spirito? Ci sentiamo di condividere almeno in parte, ma non certamente nelle soluzioni proposte, l’analisi che a suo tempo fece Alexandre Kojève ed esposta sopra.

Forse per la prima volta dopo millenni, il lascito del mondo ellenico-romano e la sua influenza, sono a rischio di oblio e di estinzione. Questo non significa che ci si dimenticherà degli antichi, che si cesserà di studiarli e di leggerli. Non vuol dire che i musei resteranno vuoti, che non si scriveranno più libri o che non si produrranno più documentari o fiction ambientate nell’antichità.

Il rischio invece, che ormai è assai più di questo, è che Roma e l’Ellade saranno sempre più oggetto solo di una storia monumentale, antiquaria, museale, dotta e classificatoria o anche divulgativa se si vuole, e questo nel migliore dei casi, perché è molto più probabile che invece l’antichità venga inghiottita nel marasma della cultura o sub cultura pop, trasformandosi in gadget, curiosità o parodia.

Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione. La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo sul cervello dei viventi e proprio quando sembra ch’essi lavorino a trasformare se stessi e le cose, a creare ciò che non è mai esistito, proprio in tali epoche di crisi rivoluzionaria essi evocano con angoscia gli spiriti del passato per prenderli al loro servizio; ne prendono a prestito i nomi, le parole d’ordine per la battaglia, i costumi, per rappresentare sotto questo vecchio e venerabile travestimento e con queste frasi prese a prestito la nuova scena della storia.

Karl Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte

Ecco, è questo potere di ispirare nuova storia che gli antichi hanno sempre avuto e che ha prodotto il mondo romano-cristiano, quello bizantino, il Rinascimento, che ha ispirato la Rivoluzione Francese, Napoleone e la Rivoluzione Americana, che ha nutrito le istituzioni e la cultura occidentale, e non solo, fino ai nostri giorni. E ora tutto questo forse sta scomparendo.

Gli antichi in realtà avevano conoscenze, convinzioni e pregiudizi del tutto falsi ed erronei. Noi da tempo sappiamo che il genere umano è sorto dagli ominidi e poi si è faticosamente evoluto, e non è stato direttamente plasmato da una forza divina come pensavano i greci e i romani. Sappiamo anche, al contrario di loro, che l’uomo non è un essere dotato di pura razionalità, ma è un complesso di pulsioni, istinti e passioni inconsce. Abbiamo le corrette cognizioni scientifiche per dichiarare apertamente che l’uomo non è al centro dell’universo e che il sole non gira intorno alla terra. Siamo abbastanza onesti, consapevoli e per nulla ingenui, da sapere ormai bene che gli interessi economici muovono la storia assai più della fede e degli ideali.

Eppure è stata proprio questa loro inconsapevolezza, questa loro ignoranza dello stato delle cose o questa loro ingenuità che ha permesso agli antichi di creare quella dimensione enorme che è lo spazio storico in cui noi stessi ancora viviamo; e nonostante tutta la nostra scienza e tecnologia superiori, noi restiamo nani sulle loro spalle da giganti, condannati a ripetere la loro storia e i loro errori perché non vogliamo realmente capire chi sono stati e non ascoltiamo quello che essi ancora ci dicono.

Gli antichi erano spietati, guerrafondai, schiavisti, razzisti, classisti, sessisti, xenofobi, superstiziosi e forse perfino un po’ pedofili…tutto vero! Ma agivano, pensavano e parlavano anche e soprattutto per i posteri, tenendo sempre presente il palcoscenico della storia e dell’eternità, consapevoli che il modo in cui avrebbero agito o non agito, sarebbe rimasto scolpito nei secoli.  

Non solo; erano convinti che la storia fosse il teatro di forze ben più grandi di loro e ben oltre l’umana comprensione, e agivano, pensavano e scrivevano entrando o cercando di entrare in relazione con esse.

Noi uomini di oggi, pragmatici, legati all’immediato e privi di memoria a lungo termine, forse tutto ciò non lo potremmo mai capire.

Si parla spesso, attribuendo l’idea al filosofo Hegel, di fine della storia, concetto che è stato espresso e interpretato in modi diversi. Ma forse, più semplicemente, la fine della storia non è altri che il desolante spettacolo della fine dell’umanità.

Non degli uomini, perché quelli forse riusciranno a sopravvivere in qualche modo, anche facendo un deserto intorno a loro. Forse “gli uomini” ci saranno anche dopo la catastrofe nucleare o la distruzione ambientale della Terra, magari rifugiatisi tutti su Marte. Forse gli “uomini” sopravviveranno anche all’Intelligenza Artificiale di cui oggi tanto si parla, anzi, magari proprio tenuti in vita da essa per essere utilizzati come batterie, come nel film Matrix.

Sì, gli uomini ci saranno ancora forse e nonostante tutto; o forse bisogna dire “purtroppo gli uomini ci saranno ancora”.

Ma l”umanità”, quella no; l’humanitas che fu creata e tramandata dai greci e dai romani, quella forse sarà invece scomparsa e per sempre.

(Articolo basato su una libera rielaborazione di voci appartenenti a edizioni in varie lingue di Wikipedia, con ulteriori aggiunte e integrazioni da altre fonti)

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